sabato 27 luglio 2013

Discorso di Papa Francesco ai Vescovi del Brasile.

<br>

Nuovo tweet del Papa: 
Cari ragazzi possiate imparare a pregare ogni giorno: questo è il modo di conoscere Gesù e farlo entrare nella propria vita. #Rio2013 #JMJ 
(27 luglio 2013)

*

Discorso di Papa Francesco ai Vescovi del Brasile. "La Chiesa ha sempre l’urgente bisogno di non disimparare la lezione di Aparecida, non la può dimenticare. Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. E tuttavia Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché è sempre Lui che agisce
(a cura Redazione "Il sismografo") 
[Text: Italiano, Portug Français, English, Español] 
Le Note si trovano alla fine, dopo le traduzioni del testo in altre lingue. 
Cari fratelli, 
Com’è buono e bello trovarmi qui con voi, Vescovi del Brasile! Grazie per essere venuti, e permettetemi di parlavi come ad amici, perciò preferisco  parlarvi in spagnolo per poter esprimere meglio quello che ho nel cuore. Vi chiedo di  scusarmi! Siamo riuniti un po’ in disparte, in questo posto preparato dal nostro fratello Mons.  Orani, per rimanere da soli e poter parlare da cuore a cuore, come Pastori ai quali Dio ha  affidato il suo Gregge. Nelle strade di Rio, giovani di tutto il mondo e tante altre  moltitudini ci aspettano, bisognosi di essere raggiunti dello sguardo misericordioso di  Cristo Buon Pastore, che siamo chiamati a rendere presente. Godiamo, quindi, di questo   momento di riposo, di condivisione, di vera fraternità.
Cominciando dalla Presidenza della Conferenza Episcopale e dall’Arcivescovo di Rio de   Janeiro, voglio abbracciare tutti e ciascuno, specialmente i Vescovi emeriti. Più che un discorso formale, voglio condividere con voi alcune riflessioni. La prima mi è venuta in mente quando ho visitato il santuario di Aparecida. Lì, ai piedi   della statua dell’Immacolata Concezione, ho pregato per voi, per le vostre Chiese, per i   vostri presbiteri, religiosi e religiose, per i vostri seminaristi, per i laici e le loro famiglie e,   in modo particolare, per i giovani e per gli anziani, entrambi sono la speranza di un   popolo; i giovani, perché portano la forza, l’illusione, la speranza del futuro; gli anziani,   perché sono la memoria, la saggezza di un popolo.(1)  
1. Aparecida: chiave di lettura per la missione della Chiesa 
In Aparecida, Dio ha offerto al Brasile la sua propria Madre. Ma, in Aparecida, Dio ha dato   anche una lezione su Se stesso, circa il suo modo di essere e di agire. Una lezione   sull’umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale, è nel DNA di Dio. C’è qualcosa di   perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida; un insegnamento che né la   Chiesa in Brasile, né il Brasile stesso devono dimenticare. All’inizio dell’evento di Aparecida c’è la ricerca dei poveri pescatori. Tanta fame e poche   risorse. La gente ha sempre bisogno di pane. Gli uomini partono sempre dei loro   bisogni, anche oggi. Hanno una barca fragile, inadatta; hanno reti scadenti, forse anche danneggiate,   insufficienti. Prima c’è la fatica, forse la stanchezza, per la pesca, e tuttavia il risultato è scarso: un   fallimento, un insuccesso. Nonostante gli sforzi, le reti sono vuote. Poi, quando vuole Dio, Egli stesso subentra nel suo Mistero. Le acque sono profonde e   tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è arrivato di sorpresa, forse   quando non era più atteso. La pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla   prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché può sempre reinventarsi: un’immagine di   fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. Dio entra   sempre nelle vesti della pochezza. Ecco allora l’immagine dell’Immacolata Concezione. Prima il corpo, poi la testa, poi il   ricongiungimento di corpo e testa: unità. Quello che era spezzato riprende l’unità. Il   Brasile coloniale era diviso dal muro vergognoso della schiavitù. La Madonna Aparecida   si presenta con il volto negro, prima divisa, poi unita nelle mani dei pescatori. C’è un insegnamento perenne che Dio vuole offrire. La sua bellezza riflessa nella Madre,   concepita senza peccato originale, emerge dall’oscurità del fiume. In Aparecida, sin   dall’inizio, Dio dona un messaggio di ricomposizione di ciò che è fratturato, di   compattazione di ciò che è diviso. Muri, abissi, distanze presenti anche oggi sono   destinati a scomparire. La Chiesa non può trascurare questa lezione: essere strumento   di riconciliazione. I pescatori non disprezzano il mistero incontrato nel fiume, anche se è un mistero che   appare incompleto. Non buttano via i pezzi del mistero. Attendono la pienezza. E questa   non tarda ad arrivare. C’è qualcosa di saggio che dobbiamo imparare. Ci sono pezzi di   un mistero, come tessere di un mosaico, che incontriamo e vediamo. Noi vogliamo   vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano. Anche la Chiesa deve   imparare questa attesa. Poi, i pescatori portano a casa il mistero. La gente semplice ha sempre spazio per far   albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una   spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei   poveri Dio trova sempre posto. I pescatori “agasalham”: rivestono il mistero della Vergine pescata, come se lei avesse   freddo e avesse bisogno di essere riscaldata. Dio chiede di essere messo al riparo nella   parte più calda di noi stessi: il cuore. Poi è Dio a sprigionare il calore di cui abbiamo   bisogno, ma prima entra con l’astuzia di colui che mendica. I pescatori coprono quel   mistero della Vergine con il manto povero della loro fede. Chiamano i vicini per vedere la   bellezza trovata; si riuniscono intorno ad essa; raccontano le loro pene in sua presenza   e le affidano le loro cause. Consentono così che le intenzioni di Dio si possano attuare:   una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad un’altra; una grazia che prepara un’altra.   Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza. C’è da imparare tanto da questo atteggiamento dei pescatori. Una Chiesa che fa spazio al   mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in modo che esso   possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è   l’incanto, il fascino. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di   custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il   desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce   proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro. Parliamo di missione,   di Chiesa missionaria. Penso ai pescatori che chiamano i loro vicini per vedere il mistero   della Vergine. Senza la semplicità del loro atteggiamento, la nostra missione è destinata   al fallimento. La Chiesa ha sempre l’urgente bisogno di non disimparare la lezione di Aparecida, non   la può dimenticare. Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della   Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. E tuttavia Dio   vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché è sempre Lui   che agisce. Cari Fratelli, il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse,   ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la   programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della   Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali   essa è chiamata a gettare le reti. Un’altra lezione che la Chiesa deve ricordare sempre è che non può allontanarsi dalla   semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e non solo resta fuori dalla porta   del Mistero, ma non riesce neppure ad entrare in coloro che dalla Chiesa pretendono   quello che non possono darsi da sé, cioè Dio stesso. A volte, perdiamo coloro che non ci   capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una   razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si   priva delle condizioni che rendono possibile “pescare” Dio nelle acque profonde del suo   Mistero. Un ultimo ricordo: Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio. La strada che univa   Rio, la capitale, con San Paolo, la provincia intraprendente che stava nascendo, e Minas   Gerais, le miniere molto ambite dalle Corti europee: un crocevia del Brasile Coloniale.   Dio appare negli incroci. La Chiesa in Brasile non può dimenticare tale vocazione   inscritta in sé fin dal suo primo respiro: essere capace di sistole e diastole, di   raccogliere e diffondere. 
2. L’apprezzamento per il percorso della Chiesa in Brasile 
I Vescovi di Roma hanno avuto sempre il Brasile e la sua Chiesa nel loro cuore. Un   meraviglioso percorso è stato compiuto. Dalle 12 diocesi durante il Concilio Vaticano I   alle attuali 275 circoscrizioni. Non si è avviata l’espansione di un apparato o di   un’impresa, ma piuttosto il dinamismo dei “cinque pani e due pesci” evangelici, che,   messi a contatto con la bontà del Padre, in mani callose sono diventati fecondi. Oggi, vorrei riconoscere il lavoro senza risparmio di voi Pastori, nelle vostre Chiese.   Penso ai Vescovi nelle foreste, salendo e scendendo i fiumi, nelle aree semiaride, nel   Pantanal, nella pampa, nelle giungle urbane delle megalopoli. Amate sempre, con totale   dedizione il vostro gregge! Ma penso anche a tanti nomi e tanti volti, che hanno lasciato   impronte incancellabili nel cammino della Chiesa in Brasile, Facendo toccare con mano   la grande bontà del Signore verso questa Chiesa (2) . I Vescovi di Roma non sono mai stati lontani; hanno seguito, incoraggiato,   accompagnato. Negli ultimi decenni, il beato Giovanni XXIII ha invitato con insistenza i   Vescovi brasiliani a predisporre il loro primo piano pastorale, e, da quell’inizio, è   cresciuta una vera tradizione pastorale in Brasile, che ha fatto sì che la Chiesa non fosse   un transatlantico alla deriva, ma avesse sempre una bussola. Il Servo di Dio Paolo VI,   oltre ad incoraggiare la ricezione del Concilio Vaticano II, con fedeltà, ma anche con tratti   originali (cfr l’Assemblea Generale del CELAM a Medellin), ha influito in modo decisivo   sull’autocoscienza della Chiesa in Brasile attraverso il Sinodo sull’evangelizzazione e   quel testo fondamentale di riferimento che rimane l’Esortazione apostolica Evangelii   nuntiandi. Il beato Giovanni Paolo II ha visitato il Brasile per tre volte, percorrendolo da   “cabo a rabo”, dal nord al sud, insistendo sulla missione pastorale della Chiesa, sulla   comunione e partecipazione, sulla preparazione al Grande Giubileo, sulla nuova   evangelizzazione. Benedetto XVI ha scelto Aparecida per realizzare la V Assemblea   Generale del CELAM e questo ha lasciato una grande impronta nella Chiesa dell’intero   Continente. La Chiesa in Brasile ha ricevuto e applicato con originalità il Concilio Vaticano II e il   percorso realizzato, pur avendo dovuto superare certe malattie infantili, ha portato ad   una Chiesa gradualmente più matura, aperta, generosa, missionaria. Oggi siamo in un momento nuovo. Come si è bene espresso il Documento di Aparecida:   non è un’epoca di cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca. Allora, oggi è sempre   urgente domandarci: che cosa chiede Dio a noi? A questa domanda vorrei tentare di   offrire qualche linea di risposta.
3. L’icona di Emmaus come chiave di lettura del presente e del futuro 
Anzitutto non bisogna cedere alla paura di cui parlava il beato John Henry Newman: «Il   mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile, e si esaurisce come una terra   sfruttata a fondo che diviene sabbia».(3)  Non bisogna cedere al disincanto, allo   scoraggiamento, alle lamentele. Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere   degli sconfitti, come chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a   coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti. Rileggiamo in questa luce, ancora una volta, l’episodio di Emmaus (cfr Lc 24, 13-15). I   due discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontano dalla “nudità” di Dio. Sono   scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare   irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno (vv. 17-21). Il mistero   difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da   altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire   più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro   delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro   bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda   nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi   linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente   per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non   per la sua età adulta(4) . Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di   Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma   anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica. Di fronte a questa situazione che cosa fare? Serve una Chiesa che non abbia paura di uscire nella loro notte. Serve una Chiesa   capace di intercettare la loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro   conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali,   scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con   la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di   generare senso. La globalizzazione implacabile, l’urbanizzazione spesso selvaggia, hanno promesso   molto. Tanti sono innamorati dalla potenzialità della globalizzazione e in essa c’è   qualcosa di veramente positivo. Ma a tanti sfugge il lato oscuro: lo smarrimento del   senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenenza   a un qualsivoglia “nido”, la violenza sottile ma implacabile, la rottura interiore e la   frattura nelle famiglie, la solitudine e l’abbandono, le divisioni e l’incapacità di amare, di   perdonare, di comprendere, il veleno interiore che rende la vita un inferno, il bisogno   della tenerezza perché ci si sente così inadeguati e infelici, i tentativi falliti di trovare   risposte nella droga, nell’alcool, nel sesso diventati ulteriori prigioni. E tanti hanno cercato scorciatoie, perché appare troppo alta la “misura” della Grande   Chiesa. Molti hanno pensato: l’idea di uomo è troppo grande per me, l’ideale di vita che   propone è fuori delle mie possibilità, la meta a cui tendere è irraggiungibile, lontana della   mia portata. Tuttavia – hanno continuato - non posso vivere senza avere almeno   qualcosa, sia pure una caricatura, di quello che è troppo alto per me, di quello che non   mi posso permettere. Con la delusione nel cuore, sono andati alla ricerca di qualcuno   che illuda ancora una volta. Il grande senso di abbandono e di solitudine, di non appartenenza neanche a se stessi   che spesso emerge da questa situazione, è troppo doloroso per essere messo a tacere.   C’è bisogno di uno sfogo e allora resta la via del lamento: come mai siamo arrivati a   questo punto? Ma anche il lamento diventa a sua volta come un boomerang che torna   indietro e finisce per aumentare l’infelicità. Poca gente è ancora capace di ascoltare il   dolore; bisogna almeno anestetizzarlo. Oggi, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto;   una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una   Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da   Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è chi si   allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è   necessario saper leggere il tutto con coraggio. Vorrei che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il   cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In   Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità,   amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste   fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza? Tanti se ne sono andati poiché è stato loro promesso qualcosa di più alto, qualcosa di   più forte, qualcosa di più veloce. Ma c’è qualcosa di più alto dell’amore rivelato a Gerusalemme? Nulla è più alto   dell’abbassamento della Croce, poiché lì si raggiunge veramente l’altezza dell’amore!   Siamo ancora in grado di mostrare questa verità a coloro che pensano che la vera   altezza della vita sia altrove? Si conosce qualcosa di più forte della potenza nascosta nella fragilità dell’amore, del   bene, della verità, della bellezza? La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto   veloci, aerei veloci, rapporti veloci... E tuttavia si avverte una disperata necessità di   calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa, sa ancora essere lenta: nel tempo, per   ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta   della frenesia dell’efficienza? Recuperiamo, cari Fratelli, la calma di saper accordare il   passo con le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la capacità di essere   sempre vicini per consentire loro di aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori, così   da potervi entrare. Essi vogliono dimenticare Gerusalemme nella quale abitano le loro   sorgenti, ma allora finiranno per sentire sete. Serve una Chiesa capace ancora di   accompagnare il ritorno a Gerusalemme! Una Chiesa che sia in grado di far riscoprire le   cose gloriose e gioiose che si dicono di Gerusalemme, di far capire che essa è mia   Madre, nostra Madre e non siano orfani! In essa siamo nati. Dov’è la nostra   Gerusalemme, dove siamo nati? Nel Battesimo, nel primo incontro di amore, nella   chiamata, nella vocazione! (5)   Serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che   camminano come in un esodo.
4. Le sfide della Chiesa in Brasile 
Alla luce di quanto ho detto, vorrei sottolineare alcune sfide dell’amata Chiesa che è in  Brasile.
La priorità della formazione: Vescovi, sacerdoti, religiosi, laici
Cari Fratelli, se non formeremo ministri capaci di riscaldare il cuore alla gente, di camminare nella notte con loro, di dialogare con le loro illusioni e delusioni, di ricomporre le loro disintegrazioni, che cosa potremo sperare per il cammino presente e futuro? Non è vero che Dio sia oscurato in loro. Impariamo a guardare più in profondità: manca chi riscaldi loro il cuore, come con i discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,32). Per questo è importante promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità. Serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale.(6) Cari Fratelli nell’Episcopato, bisogna avere il coraggio di una revisione profonda delle strutture di formazione e di preparazione del clero e del laicato della Chiesa che è in Brasile. Non è sufficiente una vaga priorità della formazione, né di documenti o di convegni. Serve la saggezza pratica di mettere in piedi strutture durevoli di preparazione in ambito locale, regionale, nazionale e che siano il vero cuore per l’Episcopato, senza risparmiare forze, attenzione e accompagnamento. La situazione attuale esige una formazione qualificata a tutti i livelli. I Vescovi non possono delegare tale compito. Voi non potete delegare tale compito, ma assumerlo come qualcosa di fondamentale per il cammino delle vostre Chiese.
Collegialità e solidarietà della Conferenza Episcopale
Alla Chiesa in Brasile non basta un leader nazionale, serve una rete di “testimonianze” regionali, che, parlando lo stesso linguaggio, assicurino dappertutto non l’unanimità, ma la vera unità nella ricchezza della diversità. La comunione è una tela da tessere con pazienza e perseveranza che va gradualmente “avvicinando i punti” per consentire una copertura sempre più estesa e densa. Una coperta con pochi fili di lana non riscalda. E’ importante ricordare Aparecida, il metodo di raccogliere la diversità. Non tanto diversità di idee per produrre un documento, ma varietà di esperienze di Dio per mettere in moto una dinamica vitale. I discepoli di Emmaus sono tornati a Gerusalemme raccontando l’esperienza che avevano fatto nell’incontro con il Cristo Risorto (cfr Lc 24,33-35). E là sono venuti a conoscenza delle altre manifestazione del Signore e delle esperienze dei loro fratelli. La Conferenza Episcopale è proprio un spazio vitale per consentire tale interscambio di testimonianze circa gli incontri con il Risorto, nel nord, nel sud, nell’ ovest... Serve, allora, una valorizzazione crescente dell’elemento locale e regionale. Non è sufficiente la burocrazia centrale, ma bisogna far crescere la collegialità e la solidarietà, sarà una vera ricchezza per tutti.(7)
Stato permanente di missione e conversione pastorale.
Aparecida ha parlato di stato permanente di missione (8) e della necessità di una conversione pastorale.(9) Sono due risultati importanti di quell’Assemblea per l’intera Chiesa dell’area, e il cammino fatto in Brasile su questi due punti è significativo. Sulla missione è da ricordare che l’urgenza deriva dalla sua motivazione interna, si tratta cioè di trasmettere un’eredità, e sul metodo è decisivo ricordare che un’eredità .è come il testimone, il bastone, nella corsa a staffetta: non si butta per aria e chi riesce a prenderlo, bene, e chi non ci riesce rimane senza. Per trasmettere l’eredità bisogna consegnarla personalmente, toccare colui al quale si vuole donare, trasmettere, tale eredità. Sulla conversione pastorale vorrei ricordare che “pastorale” non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano ... Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore. Nella missione, anche continentale,(10) è molto importante rinforzare la famiglia, che rimane cellula essenziale per la società e per la Chiesa; i giovani, che sono il volto futuro della Chiesa; le donne, che hanno un ruolo fondamentale nel trasmettere la fede. Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Perdendo le donne la Chiesa rischia la sterilità.
Il compito della Chiesa nella società
Nell’ambito della società c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele. La Chiesa avanza il diritto di poter servire l’uomo nella sua interezza, dicendogli quello che Dio ha rivelato circa l’uomo e la sua realizzazione. La Chiesa desidera rendere presente quel patrimonio immateriale senza il quale la società si sfalda, le città sarebbero travolte dai propri muri, abissi, barriere. La Chiesa ha il diritto e il dovere di mantenere accesa la fiamma della liberta e dell’unità dell’uomo. Educazione, salute, pace sociale sono le urgenze brasiliane. La Chiesa ha una parola da dire sui questi temi, perché per rispondere adeguatamente a tali sfide non sono sufficienti soluzioni meramente tecniche, ma bisogna avere una sottostante visione dell’uomo, della sua libertà, del suo valore, della sua apertura al trascendente. E voi, cari Confratelli, non abbiate timore di offrire questo contributo della Chiesa che è per il bene dell’intera società.
L’Amazzonia come cartina di tornasole, banco di prova per la Chiesa e la società brasiliane
C’è un ultimo punto sul quale vorrei soffermarmi, e che ritengo rilevante per il cammino attuale e futuro non solo della Chiesa in Brasile, ma anche dell’intera compagine sociale: l’Amazzonia. La Chiesa è in Amazzonia non come chi ha le valigie in mano per partire dopo aver sfruttato tutto ciò che ha potuto. La Chiesa è presente in Amazzonia sin dall’inizio con missionari, congregazioni religiose, e tuttora è presente e determinante per il futuro dell’area. Penso all’accoglienza che la Chiesa in Amazzonia offre anche oggi agli immigrati haitiani dopo il terribile terremoto, che ha sconvolto il loro Paese. Vorrei invitare tutti a riflettere su quello che Aparecida ha detto sull’Amazzonia,(11) anche il forte richiamo al rispetto e alla custodia del intera creazione che Dio ha affidato all’uomo non perché lo sfrutti selvaggiamente, ma perché lo renda un giardino. Nella sfida pastorale che rappresenta l’Amazzonia non posso non ringraziare ciò che la Chiesa in Brasile sta facendo: la Commissione Episcopale per l’Amazzonia creata nel 1997 ha già dato molti frutti e tante diocesi hanno risposto in modo pronto e generoso alla richiesta di solidarietà, inviando missionari laici e sacerdoti. Ringrazio Mons. Jaime Chemelo pioniere di questo lavoro e il Card. Hummes attuale Presidente della Commissione. Ma vorrei aggiungere che va ulteriormente incentivata e rilanciata l’opera della Chiesa. Servono formatori qualificati, soprattutto professori di teologia, per consolidare i risultati ottenuti nel campo della formazione di un clero autoctono, anche per avere sacerdoti adattati alle condizioni locali e consolidare, per così dire, il “volto amazzonico” della Chiesa. Cari Confratelli, ho cercato di offrivi in modo fraterno delle riflessioni e delle linee di lavoro in una Chiesa come quella in Brasile che è un grande mosaico di tessere, di immagini, di forme, di problemi, di sfide, ma che proprio per questo è una enorme ricchezza. La Chiesa non è mai uniformità, ma diversità che si armonizzano nell’unità e questo vale in ogni realtà ecclesiale. La Vergine Immacolata di Aparecida sia la stella che illumina il vostro impegno e il vostro cammino per portare, come Lei ha fatto, il Cristo ad ogni uomo e ad ogni donna del vostro immenso Paese. Sarà Lui, come ha fatto con i due discepoli smarriti e delusi di Emmaus, a scaldare il cuore e donare nuova e sicura speranza.
PORTOGHESE
Queridos Irmãos!
Como é bom e agradável encontrar-me aqui com vocês, Bispos do Brasil!  
Obrigado por terem vindo, e permitam que lhes fale como amigos, pelo que prefiro usar o castelhano, para poder expressar melhor aquilo que levo no coração. Peço-lhes que me perdoem!
Retiramo-nos um pouco, neste lugar preparado por nosso irmão Dom Orani, para estar sozinhos e poder falar de coração a coração como Pastores a quem Deus confiou o seu Rebanho. Nas ruas do Rio, jovens de todo o mundo e muitas outras multidões estão esperando por nós, necessitados de serem envolvidos pelo olhar misericordioso de Cristo Bom Pastor, que nós somos chamados a tornar presente. Por isso, gozemos deste momento de descanso, de partilha, de verdadeira fraternidade.
Começando pela Presidência da Conferência Episcopal e do Arcebispo do Rio de Janeiro, quero abraçar a todos e cada um, especialmente aos Bispos eméritos.
Mais do que um discurso formal, quero compartilhar algumas reflexões com vocês.
A primeira veio à minha mente, quando visitei o Santuário de Aparecida. Lá, ao pé da imagem da Imaculada Conceição, eu rezei por vocês, por suas Igrejas, por seus presbíteros, religiosos e religiosas, por seus seminaristas, pelos leigos e as suas famílias, em particular pelos jovens e os idosos, já que ambos constituem a esperança de um povo: os jovens, porque eles carregam a força, o sonho, a esperança do futuro, e os idosos, porque eles são a memória, a sabedoria de um povo.(1)
1. Aparecida: chave de leitura para a missão da Igreja
Em Aparecida, Deus ofereceu ao Brasil a sua própria Mãe. Mas, em Aparecida, Deus deu também uma lição sobre Si mesmo, sobre o seu modo de ser e agir. Uma lição sobre a humildade que pertence a Deus como um traço essencial: ela está no DNA de Deus. Há algo de perene para aprender sobre Deus e sobre a Igreja, em Aparecida; um ensinamento, que nem a Igreja no Brasil nem o próprio Brasil devem esquecer.
No início do evento que é Aparecida, está a busca dos pescadores pobres. Tanta fome e poucos recursos. As pessoas sempre precisam de pão. Os homens partem sempre das suas carências, mesmo hoje.
Possuem um barco frágil, inadequado; têm redes decadentes, talvez mesmo danificadas, insuficientes.
Primeiro, há a labuta, talvez o cansaço, pela pesca, mas o resultado é escasso: um falimento, um insucesso. Apesar dos esforços, as redes estão vazias.
Depois, quando foi da vontade de Deus, comparece Ele mesmo no seu Mistério. As águas são profundas e, todavia, encerram sempre a possibilidade de Deus; e Ele chegou de surpresa, quando talvez já não fosse esperado. A paciência dos que esperam por Ele é sempre posta à prova. E Deus chegou de uma maneira nova, porque sempre pode Se reinventar: uma imagem de barro frágil, escurecida pelas águas do rio, envelhecida também pelo tempo. Deus entra sempre nas vestes da pequenez.
Veem então a imagem da Imaculada Conceição. Primeiro o corpo, depois a cabeça, em seguida a unificação de corpo e cabeça: a unidade. Aquilo que estava quebrado retoma a unidade. O Brasil colonial estava dividido pelo muro vergonhoso da escravatura. Nossa Senhora Aparecida se apresenta com a face negra, primeiro dividida mas depois unida, nas mãos dos pescadores.
Há um ensinamento perene que Deus quer oferecer. Sua beleza refletida na Mãe, concebida sem pecado original, emerge da obscuridade do rio. Em Aparecida, logo desde o início, Deus dá uma mensagem de recomposição do que está fraturado, de compactação do que está dividido. Muros, abismos, distâncias ainda hoje existentes estão destinados a desaparecer. A Igreja não pode descurar esta lição: ser instrumento de reconciliação.

Os pescadores não desprezam o mistério encontrado no rio, embora seja um mistério que aparece incompleto. Não jogam fora os pedaços do mistério. Esperam a plenitude. E esta não demora a chegar. Há aqui algo de sabedoria que devemos aprender. Há pedaços de um mistério, como ladrilhos de um mosaico, que encontramos e vemos. Nós queremos ver muito rápido a totalidade e Deus, pelo contrário, Se faz ver pouco a pouco. Também a Igreja deve aprender esta expectativa.
Depois, os pescadores trazem para casa o mistério. O povo simples tem sempre espaço para albergar o mistério. Talvez nós tenhamos reduzido a nossa exposição do mistério a uma explicação racional; no povo, pelo contrário, o mistério entra pelo coração. Na casa dos pobres, Deus encontra sempre lugar.
Os pescadores agasalham: revestem o mistério da Virgem pescada, como se Ela tivesse frio e precisasse ser aquecida. Deus pede para ficar abrigado na parte mais quente de nós mesmos: o coração. Depois é Deus que irradia o calor de que precisamos, mas primeiro entra com o subterfúgio de quem mendiga. Os pescadores cobrem o mistério da Virgem com o manto pobre da sua fé. Chamam os vizinhos para verem a beleza encontrada; eles se reúnem à volta dela; contam as suas penas em sua presença e lhe confiam as suas causas. Permitem assim que possam implementar-se as intenções de Deus: uma graça, depois a outra; uma graça que abre para outra; uma graça que prepara outra. Gradualmente Deus vai desdobrando a humildade misteriosa de sua força.
Há muito para aprender nessa atitude dos pescadores. Uma Igreja que dá espaço ao mistério de Deus; uma Igreja que alberga de tal modo em si mesma esse mistério, que ele possa encantar as pessoas, atraí-las. Somente a beleza de Deus pode atrair. O caminho de Deus é o encanto, a fascinação. Deus faz-se levar para casa. Ele desperta no homem o desejo de guardá-lo em sua própria vida, na própria casa, em seu coração. Ele desperta em nós o desejo de chamar os vizinhos, para dar-lhes a conhecer a sua beleza. A missão nasce precisamente dessa fascinação divina, dessa maravilha do encontro. Falamos de missão, de Igreja missionária. Penso nos pescadores que chamam seus vizinhos para verem o mistério da Virgem. Sem a simplicidade do seu comportamento, a nossa missão está fadada ao fracasso.
A Igreja tem sempre a necessidade urgente de não desaprender a lição de Aparecida; não a pode esquecer. As redes da Igreja são frágeis, talvez remendadas; a barca da Igreja não tem a força dos grandes transatlânticos que cruzam os oceanos. E, contudo, Deus quer se manifestar justamente através dos nossos meios, meios pobres, porque é sempre Ele que está agindo.
Queridos irmãos, o resultado do trabalho pastoral não assenta na riqueza dos recursos, mas na criatividade do amor. Servem certamente a tenacidade, a fadiga, o trabalho, o planejamento, a organização, mas, antes de tudo, você deve saber que a força da Igreja não reside nela própria, mas se esconde nas águas profundas de Deus, nas quais ela é chamada a lançar as redes.
Outra lição que a Igreja deve sempre lembrar é que não pode afastar-se da simplicidade; caso contrário, desaprende a linguagem do Mistério. E não só ela fica fora da porta do Mistério, mas não consegue sequer entrar naqueles que pretendem da Igreja aquilo que não podem dar-se por si mesmos: o próprio Deus. Às vezes, perdemos aqueles que não nos entendem, porque desaprendemos a simplicidade, inclusive importando de fora uma racionalidade alheia ao nosso povo. Sem a gramática da simplicidade, a Igreja se priva das condições que tornam possível «pescar» Deus nas águas profundas do seu Mistério.
Uma última lembrança: Aparecida surgiu em um lugar de cruzamento. A estrada que ligava Rio, a capital, com São Paulo, a província empreendedora que estava nascendo, e Minas Gerais, as minas muito cobiçadas pelas cortes europeias: uma "encruzilhada" do Brasil colonial. Deus aparece nos cruzamentos. A Igreja no Brasil não pode esquecer esta vocação inscrita em si mesma desde a sua primeira respiração: ser capaz de sístole e diástole, de recolher e divulgar.
2. Apreço pelo percurso da Igreja no Brasil
Os Bispos de Roma tiveram sempre o Brasil e sua Igreja em seu coração. Um maravilhoso percurso foi realizado. Passou-se das 12 dioceses durante o Concílio Vaticano I para as atuais 275 circunscrições. Não teve início a expansão de um aparato governamental ou de uma empresa, mas sim o dinamismo dos «cinco pães e dois peixes» – de que fala o Evangelho – que, entrando em contato com a bondade do Pai, em mãos calejadas, tornaram-se fecundos.
Hoje, queria agradecer o trabalho sem parcimônia de vocês, Pastores, em suas Igrejas. Penso nos Bispos nas florestas, subindo e descendo os rios, nas regiões semiáridas, no Pantanal, na pampa, nas selvas urbanas das megalópoles. Amem sempre, com total dedicação, o seu rebanho! Mas penso também em tantos nomes e tantas faces, que deixaram marcas indeléveis no caminho da Igreja no Brasil, fazendo palpar com a mão a grande bondade de Deus por esta Igreja (2).
Os Bispos de Roma nunca lhes deixaram sós; seguiram de perto, encorajaram, acompanharam. Nas últimas décadas, o Beato João XXIII convidou com insistência os Bispos brasileiros a prepararem o seu primeiro plano pastoral e, daquele início, cresceu uma verdadeira tradição pastoral no Brasil, que fez com que a Igreja não fosse um transatlântico à deriva, mas tivesse sempre uma bússola. O Servo de Deus Paulo VI, para além de encorajar a recepção do Concílio Vaticano II, com fidelidade mas também com traços originais (veja-se a Assembleia Geral do CELAM, em Medellín), influiu decisivamente sobre a autoconsciência da Igreja no Brasil através do Sínodo sobre a evangelização e daquele texto que continua referência fundamental: a Exortação apostólica  Evangelii nuntiandi. O Beato João Paulo II visitou o Brasil três vezes, percorrendo-o de cabo a rabo, de norte a sul, insistindo sobre a missão pastoral da Igreja, a comunhão e participação, a preparação do Grande Jubileu, a nova evangelização. Bento XVI escolheu Aparecida para realizar a V Assembleia Geral do CELAM e isso deixou uma grande marca na Igreja de todo o Continente.
A Igreja no Brasil recebeu e aplicou com originalidade o Concílio Vaticano II e o percurso realizado, embora tenha tido de superar determinadas doenças infantis, levou a uma Igreja gradualmente mais madura, aberta, generosa, missionária.
Hoje estamos em um novo momento. Segundo a feliz expressão do Documento de Aparecida, não é uma época de mudança, mas uma mudança de época. Sendo assim, hoje é cada vez mais urgente nos perguntarmos: O que Deus pede a nós? A esta pergunta, queria tentar oferecer qualquer linha de resposta.
3. O ícone de Emaús como chave de leitura do presente e do futuro
Antes de mais nada, não devemos ceder ao medo, de que falava o Beato John Henry Newman: «O mundo cristão está gradualmente se tornando estéril, e esgota-se como uma terra profundamente explorada que se torna areia».(3) Não devemos ceder ao desencanto, ao desânimo, às lamentações. Nós trabalhamos duro e, às vezes, nos parece acabar derrotados, como quem tivesse de fazer o balanço de uma estação já perdida, olhando para aqueles que nos deixam ou já não nos consideram credíveis, relevantes.
Vamos ler a esta luz, mais uma vez, o episódio de Emaús (cf. Lc 24, 13-15). Os dois discípulos escapam de Jerusalém. Eles se afastam da «nudez» de Deus. Estão escandalizados com o falimento do Messias, em quem haviam esperado e que agora aparece irremediavelmente derrotado, humilhado, mesmo após o terceiro dia (cf. vv. 17-21). O mistério difícil das pessoas que abandonam a Igreja; de pessoas que, após deixar-se iludir por outras propostas, consideram que a Igreja – a sua Jerusalém – nada mais possa lhes oferecer de significativo e importante. E assim seguem pelo caminho sozinhos, com a sua desilusão. Talvez a Igreja lhes apareça demasiado frágil, talvez demasiado longe das suas necessidades, talvez demasiado pobre para dar resposta às suas inquietações, talvez demasiado fria para com elas, talvez demasiado auto-referencial, talvez prisioneira da própria linguagem rígida, talvez lhes pareça que o mundo fez da Igreja uma relíquia do passado, insuficiente para as novas questões; talvez a Igreja tenha respostas para a infância do homem, mas não para a sua idade adulta.(4) O fato é que hoje há muitos que são como os dois discípulos de Emaús; e não apenas aqueles que buscam respostas nos novos e difusos grupos religiosos, mas também aqueles que parecem já viver sem Deus tanto em teoria como na prática.
Perante esta situação, o que fazer?
Serve uma Igreja que, na sua noite, não tenha medo de sair. Serve uma Igreja capaz de interceptar o caminho deles. Serve uma Igreja capaz de inserir-se na sua conversa. Serve uma Igreja que saiba dialogar com aqueles discípulos, que, fugindo de Jerusalém, vagam sem meta, sozinhos, com o seu próprio desencanto, com a desilusão de um cristianismo considerado hoje um terreno estéril, infecundo, incapaz de gerar sentido.
A globalização implacável, a urbanização frequentemente selvagem prometeram muito. Muitos se enamoraram das potencialidades da globalização e, nela, existe algo de verdadeiramente positivo. Mas, a muitos, escapa o lado obscuro: o extravio do sentido da vida, a desintegração pessoal, a perda da experiência de pertencer a um «ninho» seja ele qual for, a violência sutil mas implacável, a ruptura interior e a fratura nas famílias, a solidão e o abandono, as divisões e a incapacidade de amar, de perdoar, de compreender, o veneno interior que torna a vida um inferno, a necessidade da ternura porque nos sentimos tão inadaptados e infelizes, as tentativas frustradas de encontrar respostas na drogas, no álcool, no sexo que se tornam novas prisões.
E muitos buscaram atalhos, porque se apresenta demasiado alta a «medida» da Grande Igreja. Muitos pensaram: a ideia de homem é grande demais para mim, o ideal de vida que propõe está fora das minhas possibilidades, a meta a alcançar é inatingível, longe do meu alcance. Todavia – continuaram eles – eu não posso viver sem ter pelo menos alguma coisa, nem que seja uma caricatura, daquilo que é demasiado elevado para mim, daquilo que não posso me permitir. Com a desilusão no coração, eles foram à procura de alguém que lhes iludirá uma vez mais.
A grande sensação de abandono e solidão, de não pertencerem sequer a si mesmos que muitas vezes surge dessa situação, é dolorosa demais para ser silenciada. Há necessidade de desabafar, restando-lhes então a via da lamentação: Como é que chegamos a esse ponto? Mas a própria lamentação torna-se, por sua vez, como um bumerangue que regressa e acaba aumentando a infelicidade. Ainda poucas pessoas são capazes de ouvir a dor: é preciso pelo menos anestesiá-lo.
Hoje, serve uma Igreja capaz de fazer companhia, de ir para além da simples escuta; uma Igreja, que acompanha o caminho pondo-se em viagem com as pessoas; uma Igreja capaz de decifrar a noite contida na fuga de tantos irmãos e irmãs de Jerusalém; uma Igreja que se dê conta de como as razões, pelas quais há quem se afaste, contém já em si mesmas também as razões para um possível retorno, mas é necessário saber a totalidade com coragem.
Eu gostaria que hoje nos perguntássemos todos: Somos ainda uma Igreja capaz de aquecer o coração? Uma Igreja capaz de reconduzir a Jerusalém? Capaz de acompanhar de novo a casa? Em Jerusalém, residem as nossas fontes: Escritura, Catequese, Sacramentos, Comunidade, amizade do Senhor, Maria e os Apóstolos... Somos ainda capazes de contar de tal modo essas fontes, que despertem o encanto pela sua beleza?
Muitos se foram, porque lhes foi prometido algo de mais alto, algo de mais forte, algo de mais rápido.

Mas haverá algo de mais alto que o amor revelado em Jerusalém? Nada é mais alto do que o abaixamento da Cruz, porque lá se atinge verdadeiramente a altura do amor! Somos ainda capazes de mostrar esta verdade para aqueles que pensam que a verdadeira altura da vida esteja em outro lugar?
Porventura se conhece algo de mais forte que a força escondida na fragilidade do amor, do bem, da verdade, da beleza?
A busca do que é cada vez mais rápido atrai o homem de hoje: internet rápida, carros velozes, aviões rápidos, relatórios rápidos... E, todavia, se sente uma necessidade desesperada de calma, quero dizer de lentidão. A Igreja sabe ainda ser lenta: no tempo para ouvir, na paciência para costurar novamente e reconstruir? Ou a própria Igreja já se deixa arrastar pelo frenesi da eficiência? Recuperemos, queridos Irmãos, a calma de saber sintonizar o passo com as possibilidades dos peregrinos, com os seus ritmos de caminhada, recuperemos a capacidade de estar lhes sempre perto para permitir a eles abrirem uma brecha no desencanto que existe nos corações, para que possam entrar. Eles querem esquecer Jerusalém onde residem as suas fontes, mas assim acabarão por sentir sede. Serve uma Igreja ainda capaz de acompanhar o regresso a Jerusalém! Uma Igreja, que seja capaz de fazer descobrir as coisas gloriosas e estupendas que se dizem de Jerusalém, de fazer entender que ela é minha Mãe, nossa Mãe, e não somos órfãos! Nela nascemos. Onde está a nossa Jerusalém em que nascemos? No Batismo, no primeiro encontro de amor, na chamada, na vocação!(5)
Serve uma Igreja capaz ainda de devolver a cidadania a muitos de seus filhos que caminham como em um êxodo.
4. Os desafios da Igreja no Brasil
À luz do que eu disse, quero sublinhar alguns desafios da amada Igreja que está no Brasil.
A prioridade da formação: Bispos, sacerdotes, religiosos, leigos
Queridos irmãos, senão formarmos ministros capazes de aquecer o coração das pessoas, de caminhar na noite com elas, de dialogarem com as suas ilusões e desilusões, de recompor as suas desintegrações, o que poderemos esperar para o caminho presente e futuro? Não é verdade que Deus se tenha obscurecido nelas. Aprendamos a olhar mais profundamente: falta quem lhes aqueça o coração, como sucedeu com os discípulos de Emaús (cf.Lc 24,32).
Por isso, é importante promover e cuidar uma formação qualificada que crie pessoas capazes de descer na noite sem ser invadidas pela escuridão e perder-se; capazes de ouvir a ilusão de muitos, sem se deixar seduzir; capazes de acolher as desilusões, sem desesperar-se nem precipitar na amargura; capazes de tocar a desintegração alheia, sem se deixar dissolver e decompor na sua própria identidade.
Serve uma solidez humana, cultural, afetiva, espiritual, doutrinal.(6) Queridos Irmãos no Episcopado, é preciso ter a coragem de uma revisão profunda das estruturas de formação e preparação do clero e do laicato da Igreja que está no Brasil. Não é suficiente uma vaga prioridade da formação, nem documentos ou encontros. Serve a sabedoria prática de levantar estruturas duradouras de preparação em âmbito local, regional, nacional e que sejam o verdadeiro coração para o Episcopado, sem poupar forças, solicitude e assistência. A situação atual exige uma formação qualificada em todos os níveis. Vocês, Bispos, não podem delegar este dever, mas assumi-lo como algo de fundamental para o caminho das suas Igrejas.
Colegialidade e solidariedade da Conferência Episcopal
Para a Igreja no Brasil, não basta um líder nacional; serve uma rede de «testemunhos» regionais, que, falando a mesma linguagem, assegurem em todos os lugares, não a unanimidade, mas a verdadeira unidade na riqueza da diversidade.

A comunhão é uma teia que deve ser tecida com paciência e perseverança, que vai gradualmente «aproximando os pontos» para permitir uma cobertura cada vez mais ampla e densa. Um cobertor só com poucos fios de lã não aquece.
É importante lembrar Aparecida, o método de congregar a diversidade; não tanto a diversidade de ideias para produzir um documento, mas a variedade de experiências de Deus para pôr em movimento uma dinâmica vital.
Os discípulos de Emaús voltaram para Jerusalém, contando a experiência que tinham feito no encontro com o Cristo Ressuscitado. E lá tomaram conhecimento das outras manifestações do Senhor e das experiências dos seus irmãos. A Conferência Episcopal é justamente o espaço vital para permitir tal permuta de testemunhos sobre os encontros com o Ressuscitado, no norte, no sul, no oeste... Serve, pois, uma progressiva valorização do elemento local e regional. Não é suficiente a burocracia central, mas é preciso fazer crescer a colegialidade e a solidariedade; será uma verdadeira riqueza para todos.(7)
Estado permanente de missão e conversão pastoral
Aparecida falou de estado permanente de missão (8) e da necessidade de uma conversão pastoral.(9) São dois resultados importantes daquela Assembleia para a Igreja inteira da região, e o caminho realizado no Brasil a propósito destes dois pontos é significativo.
Quanto à missão, há que lembrar que a urgência deriva de sua motivação interna, isto é, trata-se de transmitir uma herança, e, quanto ao método, é decisivo lembrar que uma herança sucede como na passagem do testemunho, do bastão, na corrida de estafeta: não se joga ao ar e quem consegue apanhá-lo tem sorte, e quem não consegue fica sem nada. Para transmitir a herança é preciso entregá-la pessoalmente, tocar a pessoa para quem você quer doar, transmitir essa herança.
Quanto à conversão pastoral, quero lembrar que «pastoral» nada mais é que o exercício da maternidade da Igreja. Ela gera, amamenta, faz crescer, corrige, alimenta, conduz pela mão... Por isso, serve uma Igreja capaz de redescobrir as entranhas maternas da misericórdia. Sem a misericórdia, poucas possibilidade temos hoje de inserir-nos em um mundo de «feridos», que têm necessidade de compreensão, de perdão, de amor.
Na missão, mesmo continental,(10) é muito importante reforçar a família, que permanece célula essencial para a sociedade e para a Igreja; os jovens, que são o rosto futuro da Igreja; as mulheres, que têm um papel fundamental na transmissão da fé. Não reduzamos o empenho das mulheres na Igreja, antes pelo contrário promovamos o seu papel ativo na comunidade eclesial. Perdendo as mulheres, a Igreja corre o risco da esterilidade.
A função da Igreja na sociedade
No âmbito da sociedade, há somente uma coisa que a Igreja pede com particular clareza: a liberdade de anunciar o Evangelho de modo integral, mesmo quando ele está em contraste com o mundo, mesmo quando vai contra a corrente, defendendo o tesouro de que é somente guardiã, e os valores dos quais não pode livremente dispor, mas que recebeu e deve ser-lhes fiel.
A Igreja pede o direito de poder servir o homem na sua totalidade, dizendo-lhe o que Deus revelou sobre o homem e sua realização. A Igreja deseja tornar presente aquele patrimônio imaterial, sem o qual a sociedade se desintegra, as cidades seriam arrasadas por seus próprios muros, abismos, barreiras. A Igreja tem o direito e o dever de manter acesa a chama da liberdade e da unidade do homem.
Educação, saúde, paz social são as urgências no Brasil. A Igreja tem uma palavra a dizer sobre estes temas, porque, para responder adequadamente a esses desafios, não são suficientes soluções meramente técnicas, mas é preciso ter uma visão subjacente do homem, da sua liberdade, do seu valor, da sua abertura ao transcendente. E vocês, queridos Irmãos, não tenham medo de oferecer esta contribuição da Igreja que é para bem da sociedade inteira.
A Amazônia como teste decisivo, banco de prova para a Igreja e a sociedade brasileiras
Há um último ponto sobre o qual gostava de deter-me e que considero relevante para o caminho atual e futuro não só da Igreja no Brasil, mas também de toda a estrutura social: a Amazônia. A Igreja está na Amazônia não como aqueles que têm as malas na mão para partir depois de terem explorado tudo o que puderam. Desde o início que a Igreja está presente na Amazônia com missionários, congregações religiosas, e lá continua ainda presente e determinante no futuro daquela área. Penso no acolhimento que a Igreja na Amazônia oferece ainda hoje aos imigrantes haitianos depois do terrível terremoto que devastou o seu país.
Queria convidar todos a refletirem sobre o que Aparecida disse a propósito da Amazônia,(11) incluindo o forte apelo ao respeito e à salvaguarda de toda a criação que Deus confiou ao homem, não para que a explorasse rudemente, mas para que tornasse ela um jardim. No desafio pastoral que representa a Amazônia, não posso deixar de agradecer o que a Igreja no Brasil está fazendo: a Comissão Episcopal para a Amazônia, criada em 1997, já deu muitos frutos e tantas dioceses responderam pronta e generosamente ao pedido de solidariedade, enviando missionários, leigos e sacerdotes. Agradeço a Dom Jaime Chemelo, pioneiro deste trabalho, e ao Cardeal Hummes, atual presidente da Comissão. Mas eu gostaria de acrescentar que deveria ser mais incentivada e relançada a obra da Igreja. Servem formadores qualificados, especialmente professores de teologia, para consolidar os resultados alcançados no campo da formação de um clero autóctone, inclusive para se ter sacerdotes adaptados às condições locais e consolidar por assim dizer o «rosto amazônico» da Igreja.
Queridos Irmãos, procurei oferecer-lhes fraternalmente reflexões e linhas de ação em uma Igreja como a que está no Brasil, que é um grande mosaico de ladrilhos, de imagens, de formas, de problemas, de desafios, mas que por isso mesmo é uma enorme riqueza. A Igreja não é jamais uniformidade, mas diversidades que se harmonizam na unidade, e isso é válido em toda a realidade eclesial.
Que a Virgem Imaculada Aparecida seja a estrela que ilumina o compromisso e o caminho de vocês levarem Cristo, como Ela fez, a cada homem e cada mulher de seu imenso país. Será Ele, como fez com os dois discípulos extraviados e desiludidos de Emaús, a aquecer o coração e a dar nova e segura esperança.
FRANCESE
Chers frères,
Comme il est bon et beau de me trouver ici avec vous, Évêques du Brésil !
Merci d’être venus, et permettez-moi de vous parler comme à des amis, c’est pourquoi je préfère vous parler en espagnol pour pouvoir mieux exprimer ce j’ai dans mon cœur. Je vous prie de m’en excuser !
Nous sommes réunis un peu à l’écart, dans ce lieu préparé par notre frère Mgr Orani, pour demeurer seuls et pouvoir parler cœur à cœur, comme Pasteurs auxquels Dieu a confié son Troupeau. Dans les rues de Rio, des jeunes du monde entier et tant d’autres multitudes nous attendent, ayant besoin d’être rejoints par le regard miséricordieux du Christ Bon Pasteur, que nous sommes appelés à rendre présent. Réjouissons-nous donc de ce moment de repos, de partage, de vraie fraternité.
En commençant par la Présidence de la Conférence épiscopale et par l’Archevêque de Rio de Janeiro, je veux vous embrasser tous et chacun, spécialement les évêques émérites.
Plus qu’un discours formel, je veux partager avec vous quelques réflexions.
La première m’est venue à l’esprit quand j’ai visité le sanctuaire d’Aparecida. Là, aux pieds de la statue de l’Immaculée Conception, j’ai prié pour vous, pour vos Églises, pour vos prêtres, religieux et religieuses, pour vos séminaristes, pour les laïcs et leurs familles et, de manière particulière pour les jeunes et les anciens, les deux sont l’espérance d’un peuple ; les jeunes, parce qu’ils portent la force, l’illusion, l’espérance de l’avenir ; les anciens, parce qu’ils sont la mémoire, la sagesse d’un peuple (1).
1. Aparecida : clé de lecture pour la mission de l’Église
À Aparecida, Dieu a offert au Brésil sa propre Mère. Mais, à Aparecida, Dieu a aussi donné une leçon sur lui-même, à propos de sa façon d’être et d’agir. Une leçon sur l’humilité qui appartient à Dieu comme trait essentiel, c’est dans l’ADN de Dieu. Il y a quelque chose de pérenne à apprendre sur Dieu et sur l’Église à Aparecida ; un enseignement que ni l’Église au Brésil, ni le Brésil lui-même ne doivent oublier.
Au commencement de l’événement d’Aparecida il y a la recherche des pauvres pêcheurs. Beaucoup de faim et peu de ressources. Les gens ont toujours besoin de pain. Les hommes partent toujours de leurs besoins, même aujourd’hui.
Ils ont une barque fragile, inappropriée ; ils ont des filets de mauvaise qualité, peut-être même endommagés, insuffisants.
D’abord il y a la fatigue, peut-être la lassitude, pour la pêche, et toutefois le résultat est maigre : un échec, un insuccès. Malgré les efforts, les filets sont vides.
Ensuite, quand Dieu le veut, lui-même surgit dans son Mystère. Les eaux sont profondes et toutefois elles cachent toujours la possibilité de Dieu ; et lui est arrivé par surprise, peut-être quand il n’était plus attendu. La patience de ceux qui l’attendent est toujours mise à l’épreuve. Et Dieu est arrivé de façon nouvelle, parce qu’il peut toujours se réinventer : une image d’argile fragile, obscurcie par les eaux du fleuve, même vieillie par le temps. Dieu entre toujours dans les vêtements de la pauvreté.
Voici alors l’image de l’Immaculée Conception. D’abord le corps, puis la tête, puis le regroupement du corps et de la tête : unité. Ce qui était brisé retrouve l’unité. Le Brésil colonial était divisé par le mur honteux de l’esclavage. La Vierge d’Aparecida se présente avec le visage noir, d’abord divisée, puis unie dans les mains des pêcheurs.
C’est un enseignement pérenne que Dieu veut offrir. Sa beauté se reflète dans la Mère, conçue sans le péché originel, émerge de l’obscurité du fleuve. À Aparecida, depuis le commencement, Dieu donne un message de recomposition de ce qui est fracturé, de consolidation de ce qui est divisé. Murs, abîmes, distances encore présents aujourd’hui, sont destinés à disparaître. L’Église ne peut négliger cette leçon : être un instrument de réconciliation.
Les pêcheurs ne méprisent pas le mystère rencontré dans le fleuve, même si c’est un mystère qui apparaît incomplet. Ils ne jettent pas les morceaux du mystère. Ils attendent la plénitude. Et cela ne tarde pas à arriver. Il y a quelque chose de sage que nous devons apprendre. Il y a des morceaux d’un mystère, comme des pièces d’une mosaïque, que nous rencontrons et que nous voyons. Nous voulons voir trop rapidement le tout et Dieu au contraire se fait voir petit à petit. L’Église aussi doit apprendre cette attente.
Puis les pêcheurs portent ce mystère chez eux. Les gens simples ont toujours un endroit pour faire loger le mystère. Nous avons peut-être réduit notre façon de parler du mystère à une explication rationnelle ; chez les gens, au contraire, le mystère entre par le cœur. Dans la maison des pauvres Dieu trouve toujours une place.
Les pêcheurs ‘agasalham’ : ils revêtent le mystère de la Vierge pêchée, comme si elle avait froid et avait besoin d’être réchauffée. Dieu demande d’être mis à l’abri dans la partie la plus chaude de nous-mêmes : le cœur. Puis c’est Dieu qui dégage la chaleur dont nous avons besoin, mais d’abord il entre par la ruse de celui qui mendie. Les pêcheurs couvrent ce mystère de la Vierge du pauvre manteau de leur foi. Ils appellent les voisins pour voir la beauté qu’ils ont trouvée ; ils se réunissent autour d’elle ; ils racontent leurs peines en sa présence et lui confient leurs causes. Ils permettent ainsi que les intentions de Dieu puissent se réaliser : une grâce, puis l’autre ; une grâce qui ouvre à une autre ; une grâce qui prépare une autre. Dieu va graduellement en déployant l’humilité mystérieuse de sa force.
Il y a beaucoup à apprendre de cette attitude des pêcheurs. Une Église qui fait de la place au mystère de Dieu ; une Église qui héberge en elle-même ce mystère, de façon qu’elle puisse fasciner les gens, les attirer. Seule la beauté de Dieu peut attirer. Le chemin de Dieu est le charme, l’attrait. Dieu se fait emmener chez soi. Il réveille dans l’homme le désir de le garder dans sa vie, dans sa maison, dans son cœur. Il réveille en nous le désir d’appeler les proches pour faire connaître sa beauté. La mission naît justement de cet attrait divin, de cet étonnement de la rencontre. Nous parlons de mission, d’Église missionnaire. Je pense aux pêcheurs qui appellent leurs proches pour voir le mystère de la Vierge. Sans la simplicité de leur attitude, notre mission est destinée à l’échec.
L’Église a toujours l’urgent besoin de ne pas oublier la leçon d’Aparecida, elle ne peut pas l’oublier. Les filets de l’Église sont fragiles, peut-être raccommodés ; la barque de l’Église n’a pas la puissance des grands transatlantiques qui franchissent les océans. Et toutefois Dieu veut justement se manifester à travers nos moyens, de pauvres moyens, parce que c’est toujours lui qui agit.
Chers frères, le résultat du travail pastoral ne s’appuie pas sur la richesse des ressources, mais sur la créativité de l’amour. La ténacité, l’effort, le travail, la programmation, l’organisation servent certainement, mais avant tout il faut savoir que la force de l’Église n’habite pas en elle-même, mais elle se cache dans les eaux profondes de Dieu, dans lesquelles elle est appelée à jeter ses filets.
Une autre leçon que l’Église doit toujours se rappeler est qu’elle ne peut pas s’éloigner de la simplicité, autrement elle oublie le langage du Mystère, et non seulement elle reste hors de la porte du Mystère, mais elle ne réussit pas même à entrer en ceux qui par l’Église prétendent ce qu’ils ne peuvent se donner par eux-mêmes, c’est-à-dire Dieu lui-même.  Parfois, nous perdons ceux qui ne nous comprennent pas parce que nous avons oublié la simplicité, important de l’extérieur aussi une rationalité étrangère à nos gens. Sans la grammaire de la simplicité, l’Église se prive des conditions qui rendent possible le fait de « pêcher » Dieu dans les eaux profondes de son Mystère.
Un dernier souvenir : Aparecida est une apparition dans un lieu de carrefour. La route qui unissait Rio, la capitale, avec São Paulo, la province entreprenante qui était en train de naître, et Minas Gerais, les mines très convoitées par les Cours européennes : un carrefour du Brésil colonial. Dieu apparaît dans les carrefours. L’Église au Brésil ne peut oublier cette vocation inscrite en elle depuis son premier souffle : être capable de systole et diastole, de recueillir et de répandre.
2. L’appréciation pour le parcours de l’Église au Brésil
Les Évêques de Rome ont toujours eu le Brésil et son Église dans leur cœur. Un merveilleux parcours a été accompli. Des 12 diocèses durant le Concile Vatican I aux 275 circonscriptions actuelles. Ne s’est pas mise en route l’expansion d’un appareil ou d’une entreprise, mais plutôt le dynamisme des « cinq pains et deux poissons » évangéliques, qui, mis en contact avec la bonté du Père, dans des mains rugueuses (calejadas maõs), sont devenus féconds.
Aujourd’hui, je voudrais reconnaître votre travail généreux à vous Pasteurs, dans vos Églises. Je pense aux évêques dans les forêts, montant et descendant les fleuves, dans les régions semi-arides, dans le Pantanal, dans la pampa, dans les jungles urbaines des mégapoles. Aimez toujours votre troupeau avec un dévouement total ! Mais je pense aussi à tant de noms et à tant de visages, qui ont laissé des empreintes ineffaçables sur le chemin de l’Église au Brésil, faisant toucher de la main la grande bonté du Seigneur envers cette Église (2).
Les Évêques de Rome n’ont jamais été loin ; ils ont suivi, encouragé, accompagné. Dans les dernières décennies, le bienheureux Jean XXIII a invité avec insistance les évêques brésiliens à préparer leur premier plan pastoral, et, depuis ce commencement, a grandi une vraie tradition pastorale au Brésil, qui a fait en sorte que l’Église ne soit pas un transatlantique à la dérive, mais ait toujours une boussole. Le Serviteur de Dieu Paul VI, en plus d’encourager la réception du Concile Vatican II, avec fidélité, mais aussi avec des traits originaux (cf. l’Assemblée générale du CELAM à Medellin), a influé de façon décisive sur l’auto-conscience de l’Église au Brésil à travers le Synode sur l’évangélisation et ce texte fondamental de référence que demeure l’Exhortation apostolique Evangelii nuntiandi. Le bienheureux Jean-Paul II a visité le Brésil trois fois, le parcourant de « cabo a rabo », du nord au sud, insistant sur la mission pastorale de l’Église, sur la communion et la participation, sur la préparation au grand Jubilé, sur la nouvelle évangélisation. Benoît XVI a choisi Aparecida pour réaliser la 5ème Assemblée générale du CELAM et cela a laissé une grande empreinte dans l’Église du continent tout entier.
L’Église au Brésil a reçu et appliqué avec originalité le Concile Vatican II et le parcours réalisé, tout en ayant dû dépasser certaines maladies infantiles, a conduit à une Église graduellement plus mûre, ouverte, généreuse, missionnaire.
Aujourd’hui nous sommes à une période nouvelle. Comme c’est bien exprimé dans le Document d’Aparecida : ce n’est pas une époque de changement, mais c’est un changement d’époque. Alors, aujourd’hui il est toujours urgent de nous demander : qu’est-ce que Dieu nous demande ? À cette question, je voudrais tenter d’offrir quelques lignes de réponse.
3. L’icône d’Emmaüs comme clé de lecture du présent et de l’avenir
Avant tout, il ne faut pas céder à la peur dont parlait le bienheureux John Henry Newman : « Le monde chrétien est en train de devenir graduellement stérile, et s’épuise comme une terre exploitée à fond qui devient du sable » (3). Il ne faut pas céder au désenchantement, au découragement, aux lamentations. Nous avons beaucoup travaillé et, parfois, il nous semble être des vaincus, comme celui qui doit faire le bilan d’une période désormais perdue, regardant ceux qui nous laissent ou ne nous considèrent plus comme crédibles, importants.
Relisons à cette lumière encore une fois l’épisode d’Emmaüs (cf. Lc24, 13-15). Les deux disciples s’enfuient de Jérusalem. Ils s’éloignent de la "nudité" de Dieu. Ils sont scandalisés par l’échec du Messie en qui ils avaient espéré et qui maintenant apparaît irrémédiablement vaincu, humilié, même après le troisième jour (vv. 17-21). Le mystère difficile de ceux qui quittent l’Église ; des personnes qui, après s’être laissées illusionner par d’autres propositions, retiennent que désormais l’Église – leur Jérusalem – ne peut plus offrir quelque chose de significatif et d’important. Et alors ils s’en vont par les chemins seuls avec leur désillusion. Peut-être l’Église est-elle apparue trop faible, peut-être trop éloignée de leurs besoins, peut-être trop pauvre pour répondre à leurs inquiétudes, peut-être trop froide dans leurs contacts, peut-être trop autoréférentielle, peut-être prisonnière de ses langages rigides, peut-être le monde semble avoir fait de l’Église comme une survivance du passé, insuffisante pour les questions nouvelles ; peut-être l’Église avait-elle des réponses pour l’enfance de l’homme mais non pour son âge adulte (4). Le fait est qu’aujourd’hui, il y en a beaucoup qui sont comme les deux disciples d’Emmaüs ; non seulement ceux qui cherchent des réponses dans les nouveaux et répandus groupes religieux, mais aussi ceux qui semblent désormais sans Dieu que ce soit en théorie ou en pratique.
Face à cette situation, que faire ?
Il faut une Église qui n’a pas peur de sortir dans leur nuit. Il faut une Église capable de croiser leur route. Il faut une Église en mesure de s’insérer dans leurs conversations. Il faut une Église qui sait dialoguer avec ces disciples, qui, en s’enfuyant de Jérusalem, errent sans but, seuls, avec leur désenchantement, avec la désillusion d’un Christianisme considéré désormais comme un terrain stérile, infécond, incapable de générer du sens.
La mondialisation implacable, l’urbanisation souvent sauvage ont promis beaucoup. Nombreux sont ceux qui se sont épris de la puissance de la mondialisation et en elle il y a quelque chose de vraiment positif. Mais à beaucoup échappe le côté obscur : la perte du sens de la vie, la désintégration personnelle, la perte de l’expérience d’appartenance à un "nid" quelconque, la violence subtile mais implacable, la rupture intérieure et la fracture dans les familles, la solitude et l’abandon, les divisions et l’incapacité d’aimer, de pardonner, de comprendre, le poison intérieur qui rend la vie un enfer, le besoin de tendresse parce qu’on se sent si incapables et malheureux, les tentatives ratées de trouver des réponses dans la drogue, dans l’alcool, dans le sexe devenus prisons supplémentaires.
Et beaucoup ont cherché des faux-fuyants parce que la "mesure" de la Grande Église apparaît trop haute. Beaucoup ont pensé : l’idée de l’homme est trop grande pour moi, l’idéal de vie qu’elle propose est en dehors de mes possibilités, le but à atteindre est inaccessible, hors de ma portée. Toutefois – ont-ils continué – je ne peux pas vivre sans avoir au moins quelque chose, même si c’est une caricature, de ce qui est trop haut pour moi, de ce que je ne peux pas me permettre. Avec la désillusion dans le cœur, ils sont allés à la recherche de quelqu’un qui les illusionne encore une fois.
Le sens profond d’abandon et de solitude, de non appartenance non plus à soi-même qui émerge souvent de cette situation est trop douloureux pour être passé sous silence. Il faut un exutoire et alors reste la voie de la lamentation : comment se fait-il que nous soyons arrivés à ce point ? Mais la lamentation devient aussi à son tour comme un boomerang qui revient en arrière et finit par augmenter le malheur. Peu de personnes sont encore capables d’écouter leur douleur ; il faut au moins l’anesthésier.
Aujourd’hui, il faut une Église en mesure de tenir compagnie, d’aller au-delà de la simple écoute ; une Église qui accompagne le chemin en se mettant en chemin avec les personnes, une Église capable de déchiffrer la nuit contenue dans la fuite de tant de frères et sœurs de Jérusalem ; une Église qui se rend compte que les raisons pour lesquelles on s’est éloigné contiennent déjà en elles-mêmes aussi les raisons d’un possible retour, mais il est nécessaire de savoir lire le tout avec courage.
Je voudrais que nous nous demandions tous aujourd’hui : sommes-nous encore une Église capable de réchauffer le cœur ? Une Église capable de reconduire à Jérusalem ? De réaccompagner à la maison ? Dans Jérusalem habitent nos sources : Écriture, Catéchèses, Sacrements, Communauté, amitié du Seigneur, Marie et les Apôtres… Sommes-nous encore en mesure de raconter ces sources de façon à réveiller l’enchantement pour leur beauté ?
Beaucoup sont partis parce qu’on leur a promis quelque chose de plus haut, quelque chose de plus fort, quelque chose de plusrapide.
Mais y-a-t-il quelque chose de plus haut que l’amour révélé à Jérusalem ? Rien n’est plus haut que l’abaissement de la Croix, puisque là est vraiment atteint le sommet de l’amour ! Sommes-nous encore capables de montrer cette vérité à ceux qui pensent que la vraie grandeur de la vie se trouve ailleurs ?
Connaissons-nous quelque chose de plus fort que la puissance cachée dans la fragilité de l’amour, du bien, de la vérité, de la beauté ?
La recherche de ce qui est toujours plus rapide attire l’homme d’aujourd’hui : Internet rapide, voitures rapides, avions rapides, rapports rapides… Et cependant on perçoit un besoin désespéré de calme, je veux dire de lenteur. L’Église sait-elle encore être lente : dans le temps, pour écouter ; dans la patience, pour recoudre et recomposer ? Ou bien aussi l’Église est-elle désormais emportée par la frénésie de l’efficacité ? Retrouvons, chers frères, le calme de savoir accorder le pas avec les possibilités des pèlerins, avec leurs rythmes de marche, la capacité d’être toujours plus proches, pour leur permettre d’ouvrir un passage dans le désenchantement qu’il y a dans leurs cœurs, de manière à pouvoir y entrer. Ils veulent oublier Jérusalem en laquelle se trouvent leurs sources, mais ils finiront par avoir soif. Il faut une Église encore capable d’accompagner le retour à Jérusalem ! Une Église qui soit capable de faire redécouvrir les choses glorieuses et joyeuses qui se disent de Jérusalem, de faire comprendre qu’elle est ma Mère, notre Mère et que nous ne sommes pas orphelins ! Nous sommes nés en elle. Où est-elle notre Jérusalem, en laquelle nous sommes nés ? Dans le Baptême, dans la première rencontre avec l’amour, dans l’appel, dans la vocation (5) !
Il faut une Église encore capable de redonner droit de cité à tant de ses fils qui marchent comme s’ils étaient en exode.
4. Les défis de l’Église au Brésil
À la lumière de ce que je viens de dire, je voudrais souligner quelques défis de l’Église bien-aimée qui est au Brésil.
La priorité de la formation : Évêques, prêtres, religieux, laïcs.
Chers frères, si nous ne formons pas des ministres capables de réchauffer le cœur des gens, de marcher dans la nuit avec eux, de dialoguer avec leurs illusions et leurs désillusions, de recomposer ce qui a été détruit en eux, que pouvons-nous espérer pour la route présente et future ? Il n’est pas vrai que Dieu soit obscurci en eux. Apprenons à regarder plus en profondeur : il manque celui qui réchauffe leur cœur, comme avec les disciples d’Emmaüs.
Pour cette raison, il est important de promouvoir et de soigner une formation qualifiée qui fasse des personnes capables de descendre dans la nuit sans être envahies par l’obscurité ni se perdre ; d’écouter les illusions d’un grand nombre, sans se laisser séduire ; d’accueillir les désillusions, sans se désespérer ni tomber dans l’amertume ; de toucher ce qui a été détruit chez les autres, sans se laisser dissoudre ni décomposer dans sa propre identité.
Il faut une solidité humaine, culturelle, affective, spirituelle, doctrinale (6). Chers frères dans l’épiscopat, il faut avoir le courage d’une révision profonde des structures de formation et de préparation des clercs et des laïcs de l’Église au Brésil. Une vague priorité donnée à la formation n’est pas suffisante, pas plus que des documents ou des congrès. Il faut avoir la sagesse pratique de mettre sur pied des structures durables de préparation dans le milieu local, régional et national, qui soient vraiment prises à cœur par l’épiscopat, sans épargner forces, attention et accompagnement. La situation actuelle exige une formation qualifiée à tous les niveaux. Les évêques ne peuvent pas déléguer cette tâche. Vous ne pouvez pas déléguer cette tâche, mais vous devez l’assumer comme quelque chose de fondamental pour la marche de vos Églises.
Collégialité et solidarité de la Conférence épiscopale
Il ne suffit pas, pour l’Église au Brésil, d’avoir un leader national ; il faut un réseau de « témoignages » régionaux, qui, parlant le même langage, font partout non pas l’unanimité, mais la véritable unité dans la richesse de la diversité.
La communion est une toile qui doit être tissée avec patience et persévérance, qui progressivement « resserre les points »  pour obtenir une couverture toujours plus étendue et plus dense. Une couverture qui a peu de fils de laine ne réchauffe pas.
Il est important de rappeler Aparecida, la méthode de rassembler la diversité. Pas tant la diversité des idées pour produire un document, mais la variété des expériences de Dieu pour mettre en mouvement une dynamique vitale.
Les disciples d’Emmaüs sont retournés à Jérusalem en racontant l’expérience qu’ils avaient faite dans la rencontre avec le Christ Ressuscité. Et là ils ont pris connaissance des autres manifestations du Seigneur, et des expériences de leurs frères. La Conférence épiscopale est justement un espace vital pour permettre un tel échange de témoignages sur les rencontres avec le Ressuscité, au Nord, au Sud, à l’Ouest… Il faut alors une valorisation grandissante de l’élément local et régional. La bureaucratie centrale n’est pas suffisante, mais il faut faire grandir la collégialité et la solidarité ; ce sera une vraie richesse pour tous (7).
État permanent de mission et conversion pastorale
Aparecida a parlé d’un état permanent de mission (8) et de la nécessité d’une conversion pastorale (9). Ce sont deux résultats importants de cette assemblée pour toute l’Église de la région, et le chemin parcouru au Brésil sur ces deux points est significatif.
À propos de la mission, il faut rappeler que son urgence provient de sa motivation interne ; c'est-à-dire qu’il s’agit de transmettre un héritage. Et, concernant la méthode, il est décisif de rappeler qu’un héritage est comme le témoin, le bâton dans la course de relais : on ne le jette pas en l’air, celui qui réussit à la prendre, c’est bien, celui qui ne réussit pas tant pis. Pour transmettre l’héritage, il faut le remettre personnellement, toucher celui à qui on veut donner,  transmettre, cet héritage.
À propos de la conversion pastorale je voudrais rappeler que « pastoral » n’est pas autre chose que l’exercice de la maternité de l’Église. Celle-ci engendre, allaite, fait grandir, corrige, alimente, conduit par la main… Il faut alors une Église capable de redécouvrir les entrailles maternelles de la miséricorde. Sans la miséricorde il est difficile aujourd’hui de s’introduire dans un monde de « blessés » qui ont besoin de compréhension, de pardon, d’amour.
Dans la mission, également continentale (10), il est très important de renforcer la famille, qui reste la cellule essentielle pour la société et pour l’Église ; les jeunes, qui sont le visage futur de l’Église ; les femmes, qui ont un rôle fondamental dans la transmission de la foi. Ne réduisons pas l’engagement des femmes dans l’Église, mais promouvons leur rôle actif dans la communauté ecclésiale. En perdant les femmes l’Église risque la stérilité.
La mission de l’Église dans la société
Dans la société, l’Église demande une seule chose avec une clarté particulière : la liberté d’annoncer l’Évangile de manière intégrale, même quand elle est en opposition avec le monde, même quand elle va à contre-courant, en défendant le trésor dont elle est seulement la gardienne, et les valeurs dont elle ne dispose pas, mais qu’elle a reçues et auxquelles elle doit être fidèle.
L’Église met en avant le droit de pouvoir servir l’homme dans son intégralité, en lui disant ce que Dieu a révélé au sujet de l’homme et de sa réalisation. L’Église désire rendre présent ce patrimoine immatériel sans lequel la société s’effrite, les villes seraient englouties par leurs murs, leurs gouffres, leurs barrières. L’Église a le droit et le devoir de maintenir allumée la flamme de la liberté et de l’unité de l’homme.
Éducation, santé, paix sociale sont les urgences brésiliennes. L’Église a une parole à dire sur ces thèmes, car, pour répondre convenablement à ces défis, les solutions purement techniques ne suffisent pas, mais il faut avoir une vision sous-jacente de l’homme, de sa liberté, de sa valeur, de son ouverture au transcendant. Et vous, chers confrères, ne craignez pas d’offrir cette contribution de l’Église qui est pour le bien de toute la société.
L’Amazonie comme un papier tournesol, banc d’épreuve pour l’Église et la société brésiliennes
Il y a un dernier point sur lequel j’aimerais m’arrêter, et que je retiens important pour la marche actuelle et future non seulement de l’Église au Brésil, mais aussi de toute la structure sociale : l’Amazonie. L’Église est en Amazonie non comme celui qui a les valises en main pour partir, après avoir exploité tout ce qu’il a pu. L’Église est présente en Amazonie depuis le début avec des missionnaires, des congrégations religieuses, et elle y est encore présente et déterminante pour l’avenir de cette région. Je pense à l’accueil que l’Église en Amazonie offre aujourd’hui aussi aux immigrés haïtiens après le terrible tremblement de terre qui a dévasté leur pays.
Je voudrais vous inviter tous à réfléchir sur ce que Aparecida a dit sur l’Amazonie(11), ainsi que sur le fort appel au respect et à la protection de toute la création que Dieu a confiée à l’homme, non pas pour qu’il l’exploite sauvagement, mais pour qu’il la fasse devenir un jardin. Dans le défi pastoral que représente l’Amazonie, je ne peux pas ne pas remercier l’Église au Brésil pour ce qu’elle fait : la Commission épiscopale pour l’Amazonie, créée en 1997, a déjà donné beaucoup de fruits et de nombreux diocèses ont répondu avec promptitude et générosité à la demande de solidarité, en y envoyant des missionnaires laïcs et prêtres. Je remercie Mgr Jaime Chemelo, pionnier de ce travail, et le Cardinal Hummes, actuel Président de cette Commission. Mais je voudrais ajouter que l’œuvre de l’Église doit être stimulée et relancée davantage. Il faut des formateurs qualifiés, surtout des professeurs de théologie, pour consolider les résultats obtenus dans le domaine de la formation d’un clergé autochtone, aussi pour avoir des prêtres qui s’adaptent aux conditions locales, et consolider, pour ainsi dire, le « visage amazonien » de l’Église.
Chers confrères, j’ai essayé de vous offrir de manière fraternelle des réflexions et des lignes de travail dans une Église comme celle qui est au Brésil qui est un grand mosaïques de pièces, d’images, de formes, de problèmes, de défis, mais qui, justement pour cela, est une énorme richesse. L’Église n’est jamais uniformité, mais diversités qui s’harmonisent dans l’unité et cela vaut pour toutes les réalités ecclésiales.
Que la Vierge Immaculée d’Aparecida soit l’étoile qui illumine votre engagement et votre marche pour porter, comme elle l’a fait, le Christ à tout homme et toute femme de votre immense pays. Comme il l’a fait avec les disciples d’Emmaüs perdus et déçus, lui vous réchauffera le cœur et vous donnera une espérance nouvelle et sûre.
INGLESE
Dear Brothers,
How good it is to be here with you, the Bishops of Brazil!
Thank you for coming, and please allow me to speak with you as one among friends.  That’s why I prefer to speak to you in Spanish, so as to express better what I carry in my heart.  I ask you to forgive me.
We are meeting somewhat apart, in this place prepared by our brother, Archbishop Orani Tempesta, so that we can be alone and speak to one another from the heart, as pastors to whom God has entrusted his flock.  On the streets of Rio, young people from all over the world and countless others await us, needing to be reached by the merciful gaze of Christ the Good Shepherd, whom we are called to make present.  So let us enjoy this moment of repose, exchange of ideas and authentic fraternity.
Beginning with the President of the Episcopal Conference and the Archbishop of Rio de Janeiro, I want to embrace each and every one of you, and in a particular way the Emeritus Bishops. 
More than a formal address, I would like to share some reflections with you.
The first came to mind when I visited the shrine of Aparecida. There, at the foot of the statue of the Immaculate Conception, I prayed for you, your Churches, your priests, men and women religious, seminarians, laity and their families and, in a particular way, the young people and the elderly: these last are the hope of a nation; the young, because they bring strength, idealism and hope for the future; the elderly because they represent the memory, the wisdom of the people.(1)
1. Aparecida: a key for interpreting the Church’s mission
In Aparecida God gave Brazil his own Mother.  But in Aparecida God also offered a lesson about himself, about his way of being and acting.  A lesson about the humility which is one of God’s essential features, part of God’s DNA.  Aparecida offers us a perennial teaching about God and about the Church; a teaching which neither the Church in Brazil nor the nation itself must forget.
At the beginning of the Aparecida event, there were poor fishermen looking for food.  So much hunger and so few resources.  People always need bread.  People always start with their needs, even today.
They have a dilapidated, ill-fitted boat; their nets are old and perhaps torn, insufficient.
First comes the effort, perhaps the weariness, of the catch, yet the results are negligible: a failure, time wasted.  For all their work, the nets are empty.
Then, when God wills it, he mysteriously enters the scene.  The waters are deep and yet they always conceal the possibility of a revelation of God.  He appeared out of the blue, perhaps when he was no longer expected.  The patience of those who await him is always tested.  And God arrived in a novel fashion, since he can always reinvent himself: as a fragile clay statue, darkened by the waters of the river and aged by the passage of time.  God always enters clothed in poverty, littleness.
Then there is the statue itself of the Immaculate Conception.  First, the body appeared, then the head, then the head was joined to the body: unity.  What had been broken is restored and becomes one. Colonial Brazil had been divided by the shameful wall of slavery. Our Lady of Aparecida appears with a black face, first separated, and then united in the hands of the fishermen.
Here there is an enduring message which God wants to teach us. His own beauty, reflected in his Mother conceived without original sin, emerges from the darkness of the river.  In Aparecida, from the beginning, God’s message was one of restoring what was broken, reuniting what had been divided.  Walls, chasms, differences which still exist today are destined to disappear.  The Church cannot neglect this lesson: she is called to be a means of reconciliation.
The fishermen do not dismiss the mystery encountered in the river, even if it is a mystery which seems incomplete.  They do not throw away the pieces of the mystery.  They await its completion. And this does not take long to come.  There is a wisdom here that we need to learn.  There are pieces of the mystery, like the stones of a mosaic, which we encounter, which we see.  We are impatient, anxious to see the whole picture, but God lets us see things slowly, quietly.  The Church also has to learn how to wait.
Then the fishermen bring the mystery home.  Ordinary people always have room to take in the mystery.  Perhaps we have reduced our way of speaking about mystery to rational explanations; but for ordinary people the mystery enters through the heart.  In the homes of the poor, God always finds a place.
The fishermen “bundle up” the mystery, they clothe the Virgin drawn from the waters as if she were cold and needed to be warmed.  God asks for shelter in the warmest part of ourselves: our heart.  God himself releases the heat we need, but first he enters like a shrewd beggar.  The fishermen wrap the mystery of the Virgin with the lowly mantle of their faith.  They call their neighbours to see its rediscovered beauty; they all gather around and relate their troubles in its presence and they entrust their causes to it.  In this way they enable God’s plan to be accomplished: first comes one grace, then another; one grace leads to another; one grace prepares for another.  God gradually unfolds the mysterious humility of his power.
There is much we can learn from the approach of the fishermen. About a Church which makes room for God’s mystery; a Church which harbours that mystery in such a way that it can entice people, attract them.  Only the beauty of God can attract.  God’s way is through enticement, allure.  God lets himself be brought home.  He awakens in us a desire to keep him and his life in our homes, in our hearts.  He reawakens in us a desire to call our neighbours in order to make known his beauty.  Mission is born precisely from this divine allure, by this amazement born of encounter.  We speak about mission, about a missionary Church.  I think of those fishermen calling their neighbours to see the mystery of the Virgin.  Without the simplicity of their approach, our mission is doomed to failure.
The Church needs constantly to relearn the lesson of Aparecida; she must not lose sight of it.  The Church’s nets are weak, perhaps patched; the Church’s barque is not as powerful as the great transatlantic liners which cross the ocean.  And yet God wants to be seen precisely through our resources, scanty resources, because he is always the one who acts.
Dear brothers, the results of our pastoral work do not depend on a wealth of resources, but on the creativity of love.  To be sure, perseverance, effort, hard work, planning and organization all have their place, but first and foremost we need to realize that the Church’s power does not reside in herself; it is hidden in the deep waters of God, into which she is called to cast her nets.
Another lesson which the Church must constantly recall is that she cannot leave simplicity behind; otherwise she forgets how to speak the language of Mystery.  Not only does she herself remain outside the door of the mystery, but she proves incapable of approaching those who look to the Church for something which they themselves cannot provide, namely, God himself.  At times we lose people because they don’t understand what we are saying, because we have forgotten the language of simplicity and import an intellectualism foreign to our people.  Without the grammar of simplicity, the Church loses the very conditions which make it possible “to fish” for God in the deep waters of his Mystery.
A final thought: Aparecida took place at a crossroads.  The road which linked Rio, the capital, with São Paulo, the resourceful province then being born, and Minas Gerais, the mines coveted by the courts of Europe, was a major intersection in colonial BrazilGod appears at the crossroads.  The Church in Brazil cannot forget this calling which was present from the moment of her birth: to be a beating heart, to gather and to spread.
2. Appreciation for the path taken by the Church in Brazil
The Bishops of Rome have always had a special place in their heart for Brazil and its Church.  A marvellous journey has been accomplished.  From twelve dioceses during the First Vatican Council, it now numbers 275 circumscriptions.  This was not the expansion of an organization or a business enterprise, but rather the dynamism of the Gospel story of the “five loaves and two fish” which, through the bounty of the Father and through tireless labour, bore abundant fruit.
Today I would like to acknowledge your unsparing work as pastors in your local Churches.  I think of Bishops in the forests, travelling up and down rivers, in semiarid places, in the Pantanal, in the pampas, in the urban jungles of your sprawling cities.  Always love your flock with complete devotion!  I also think of all those names and faces which have indelibly marked the journey of the Church in Brazil, making palpable the Lord’s immense bounty towards this Church.(2)
The Bishops of Rome were never distant; they followed, encouraged and supported this journey.  In recent decades, Blessed John XXIII urged the Brazilian Bishops to draw up their first pastoral plan and, from that beginning a genuine pastoral tradition arose in Brazil, one which prevented the Church from drifting and provided it with a sure compass.  The Servant of God Paul VI encouraged the reception of the Second Vatican Council not only in fidelity but also in creativity (cf. the CELAM General Assembly in Medellin), and decisively influenced the self-identity of the Church in Brazil through the Synod on evangelization and that basic point of reference which is the Apostolic ExhortationEvangelii Nuntiandi.   Blessed John Paul II visited Brazil three times, going up and down the country, from north to south, emphasizing the Church’s pastoral mission, communion and participation, preparation for the Great Jubilee and the new evangelization.  Benedict XVI chose Aparecida as the site of the Fifth CELAM General Assembly and this left a profound mark on the Church of the whole continent.
The Church in Brazil welcomed and creatively applied the Second Vatican Council, and the course it has taken, though needing to overcome some teething problems, has led to a Church gradually more mature, open, generous and missionary.
Today, times have changed.  As the Aparecida document nicely put it: ours is not an age of change, but a change of age.  So today we urgently need to keep putting the question: what is it that God is asking of us?   I would now like to sketch a few ideas by way of a response.
3. The icon of Emmaus as a key for interpreting the present and the future
Before all else, we must not yield to the fear once expressed by Blessed John Henry Newman: “… the Christian world is gradually becoming barren and effete, as land which has been worked out and is become sand”.(3)  We must not yield to disillusionment, discouragement and complaint.  We have laboured greatly and, at times, we see what appear to be failures.  We feel like those who must tally up a losing season as we consider those who have left us or no longer consider us credible or relevant.
Let us read once again, in this light, the story of Emmaus (cf. Lk24:13-15).  The two disciples have left Jerusalem.  They are leaving behind the “nakedness” of God.  They are scandalized by the failure of the Messiah in whom they had hoped and who now appeared utterly vanquished, humiliated, even after the third day (vv. 17-21).  Here we have to face the difficult mystery of those people who leave the Church, who, under the illusion of alternative ideas, now think that the Church – their Jerusalem – can no longer offer them anything meaningful and important.  So they set off on the road alone, with their disappointment.  Perhaps the Church appeared too weak, perhaps too distant from their needs, perhaps too poor to respond to their concerns, perhaps too cold, perhaps too caught up with itself, perhaps a prisoner of its own rigid formulas, perhaps the world seems to have made the Church a relic of the past, unfit for new questions; perhaps the Church could speak to people in their infancy but not to those come of age.(4)  It is a fact that nowadays there are many people like the two disciples of Emmaus; not only those looking for answers in the new religious groups that are sprouting up, but also those who already seem godless, both in theory and in practice.
Faced with this situation, what are we to do?
We need a Church unafraid of going forth into their night.  We need a Church capable of meeting them on their way.  We need a Church capable of entering into their conversation.  We need a Church able to dialogue with those disciples who, having left Jerusalem behind, are wandering aimlessly, alone, with their own disappointment, disillusioned by a Christianity now considered barren, fruitless soil, incapable of generating meaning.
A relentless process of globalization, an often uncontrolled process of urbanization, have promised great things.  Many people have been captivated by the potential of globalization, which of course does contain positive elements.  But many also completely overlook its darker side: the loss of a sense of life’s meaning, personal dissolution, a loss of the experience of belonging to any “nest” whatsoever, subtle but relentless violence, the inner fragmentation and breakup of families, loneliness and abandonment, divisions, and the inability to love, to forgive, to understand, the inner poison which makes life a hell, the need for affection because of feelings of inadequacy and unhappiness, the failed attempt to find an answer in drugs, alcohol, and sex, which only become further prisons.
Many, too, have sought shortcuts, for the standards set by Mother Church seem to be asking too much.  Many people think: “the Church’s idea of man is too lofty for me, the ideal of life which she proposes is beyond my abilities, the goal she sets is unattainable, beyond my reach.  Nonetheless – they continue – I cannot live without having at least something, even a poor imitation, of what is too lofty for me, what I cannot afford.  With disappointed hearts, they then go off in search of someone who will lead them even further astray.
The great sense of abandonment and solitude, of not even belonging to oneself, which often results from this situation, is too painful to hide.  Some kind of release is necessary.  There is always the option of complaining: however did we get to this point?  But even complaint acts like a boomerang; it comes back and ends up increasing one’s unhappiness.  Few people are still capable of hearing the voice of pain; the best we can do is to anaesthetize it.
Today, we need a Church capable of walking at people’s side, of doing more than simply listening to them; a Church which accompanies them on their journey; a Church able to make sense of the “night” contained in the flight of so many of our brothers and sisters from Jerusalem; a Church which realizes that the reasons why people leave also contain reasons why they can eventually return.  But we need to know how to interpret, with courage, the larger picture.
I would like all of us to ask ourselves today: are we still a Church capable of warming hearts?  A Church capable of leading people back to Jerusalem?  Of bringing them home?  Jerusalem is where our roots are: Scripture, catechesis, sacraments, community, friendship with the Lord, Mary and the apostles…  Are we still able to speak of these roots in a way that will revive a sense of wonder at their beauty?
Many people have left because they were promised something more lofty, more powerful, and faster.
But what is more lofty than the love revealed in Jerusalem?  Nothing is more lofty than the abasement of the Cross, since there we truly approach the height of love!  Are we still capable of demonstrating this truth to those who think that the apex of life is to be found elsewhere?
Do we know anything more powerful than the strength hidden within the weakness of love, goodness, truth and beauty?
People today are attracted by things that are faster and faster: rapid Internet connections, speedy cars and planes, instant relationships.  But at the same time we see a desperate need for calmness, I would even say slowness.  Is the Church still able to move slowly: to take the time to listen, to have the patience to mend and reassemble?  Or is the Church herself caught up in the frantic pursuit of efficiency?  Dear brothers, let us recover the calm to be able to walk at the same pace as our pilgrims, keeping alongside them, remaining close to them, enabling them to speak of the disappointments present in their hearts and to let us address them.  They want to forget Jerusalem, where they have their sources, but eventually they will experience thirst.  We need a Church capable of accompanying them on the road back to Jerusalem!  A Church capable of helping them to rediscover the glorious and joyful things that are spoken of Jerusalem, and to understand that she is my Mother, our Mother, and that we are not orphans!  We were born in her.  Where is our Jerusalem, where were we born?  In Baptism, in the first encounter of love, in our calling, in vocation.(5)
We need a Church capable of restoring citizenship to her many children who are journeying, as it were, in an exodus.
4. Challenges facing the Church in Brazil
In the light of what I have said above, I would like to emphasize several challenges facing the beloved Church in Brazil.
Formation as a priority: Bishops, priests, religious, laity
Dear brothers, unless we train ministers capable of warming people’s hearts, of walking with them in the night, of dialoguing with their hopes and disappointments, of mending their brokenness, what hope can we have for our present and future journey?  It isn’t true that God’s presence has been dimmed in them. Let us learn to look at things more deeply.  What is missing is someone to warm their heart, as was the case with the disciples of Emmaus (cf. Lk 24:32).
That is why it is important to devise and ensure a suitable formation, one which will provide persons able to step into the night without being overcome by the darkness and losing their bearings; able to listen to people’s dreams without being seduced and to share their disappointments without losing hope and becoming bitter; able to sympathize with the brokenness of others without losing their own strength and identity.
What is needed is a solid human, cultural, effective, spiritual and doctrinal formation.(6)  Dear brother Bishops, courage is needed to undertake a profound review of the structures in place for the formation and preparation of the clergy and the laity of the Church in Brazil.  It is not enough that formation be considered a vague priority, either in documents or at meetings.  What is needed is the practical wisdom to set up lasting educational structures on the local, regional and national levels and to take them to heart as Bishops, without sparing energy, concern and personal interest.  The present situation calls for quality formation at every level.  Bishops may not delegate this task.  You cannot delegate this task, but must embrace it as something fundamental for the journey of your Churches.
Collegiality and solidarity in the Episcopal Conference
The Church in Brazil needs more than a national leader; it needs a network of regional “testimonies” which speak the same language and in every place ensure not unanimity, but true unity in the richness of diversity.
Communion is a fabric to be woven with patience and perseverance, one which gradually “draws together the stitches” to make a more extensive and thick cover.  A threadbare cover will not provide warmth.
It is important to remember Aparecida, the method of gathering diversity together.  Not so much a diversity of ideas in order to produce a document, but a variety of experiences of God, in order to set a vital process in motion.
The disciples of Emmaus returned to Jerusalem, recounting their experience of meeting the risen Christ.  There they came to know other manifestations of the Lord and the experiences of their brothers and sisters. The Episcopal Conference is precisely a vital space for enabling such an exchange of testimonies about encounters with the Risen One, in the north, in the south, in the west…  There is need, then, for a greater appreciation of local and regional elements.  Central bureaucracy is not sufficient; there is also a need for increased collegiality and solidarity.  This will be a source of true enrichment for all.(7)
Permanent state of mission and pastoral conversion
Aparecida spoke about a permanent state of mission(8) and of the need for pastoral conversion.(9)  These are two important results of that Assembly for the entire Church in the area, and the progress made in Brazil on these two points has been significant.
Concerning mission, we need to remember that its urgency derives from its inner motivation; in other words, it is about handing on a legacy.  As for method, it is essential to realize that a legacy is about witness, it is like the baton in a relay race: you don’t throw it up in the air for whoever is able to catch it, so that anyone who doesn’t catch it has to manage without.  In order to transmit a legacy, one needs to hand it over personally, to touch the one to whom one wants to give, to relay, this inheritance.
Concerning pastoral conversion, I would like to recall that “pastoral care” is nothing other than the exercise of the Church’s motherhood.  She gives birth, suckles, gives growth, corrects, nourishes and leads by the hand …  So we need a Church capable of rediscovering the maternal womb of mercy.  Without mercy we have little chance nowadays of becoming part of a world of “wounded” persons in need of understanding, forgiveness, love. 
In mission, also on a continental level,(10) it is very important to reaffirm the family, which remains the essential cell of society and the Church; young people, who are the face of the Church’s future; women, who play a fundamental role in passing on the faith.  Let us not reduce the involvement of women in the Church, but instead promote their active role in the ecclesial community.  By losing women, the Church risks becoming sterile.
The task of the Church in society
In the context of society, there is only one thing which the Church quite clearly demands: the freedom to proclaim the Gospel in its entirety, even when it runs counter to the world, even when it goes against the tide.  In so doing, she defends treasures of which she is merely the custodian, and values which she does not create but rather receives, to which she must remain faithful.
The Church claims the right to serve man in his wholeness, and to speak of what God has revealed about human beings and their fulfilment.  The Church wants to make present that spiritual patrimony without which society falls apart and cities are overwhelmed by their own walls, pits, barriers.  The Church has the right and the duty to keep alive the flame of human freedom and unity.
Education, health, social harmony are pressing concerns in Brazil. The Church has a word to say on these issues, because any adequate response to these challenges calls for more than merely technical solutions; there has to be an underlying view of man, his freedom, his value, his openness to the transcendent.  Dear brother Bishops, do not be afraid to offer this contribution of the Church, which benefits society as a whole.
The Amazon Basin as a litmus test for Church and society in Brazil
There is one final point on which I would like to dwell, which I consider relevant for the present and future journey not only of the Brazilian Church but of the whole society, namely, the Amazon Basin.  The Church’s presence in the Amazon Basin is not that of someone with bags packed and ready to leave after having exploited everything possible.  The Church has been present in the Amazon Basin from the beginning, in her missionaries and religious congregations, and she is still present and critical to the area’s future.  I think of the welcome which the Church in the Amazon Basin is offering even today to Haitian immigrants following the terrible earthquake which shook their country.
I would like to invite everyone to reflect on what Aparecida said about the Amazon Basin,(11) its forceful appeal for respect and protection of the entire creation which God has entrusted to man, not so that it be indiscriminately exploited, but rather made into a garden.  In considering the pastoral challenge represented by the Amazon Basin, I have to express my thanks for all that the Church in Brazil is doing: the Episcopal Commission for the Amazon Basin established in 1997 has already proved its effectiveness and many dioceses have responded readily and generously to the appeal for solidarity by sending lay and priestly missionaries.  I think Archbishop Jaime Chemelo, a pioneer in this effort, and Cardinal Hummes, the current President of the Commission.  But I would add that the Church’s work needs to be further encouraged and launched afresh.  There is a need for quality formators, especially professors of theology, for consolidating the results achieved in the area of training a native clergy and providing priests suited to local conditions and committed to consolidating, as it were, the Church’s “Amazonian face”.
Dear brother Bishops, I have attempted to offer you in a fraternal spirit some reflections and approaches for a Church like that of Brazil, which is a great mosaic made up of different pieces, images, forms, problems and challenges, but which for this very reason is an enormous treasure.  The Church is never uniformity, but diversities harmonized in unity, and this is true for every ecclesial reality.
May the Virgin of Aparecida be the star which illumines your task and your journey of bringing Christ, as she did, to all the men and women of your immense country.   Just as he did for the two lost and disillusioned disciples of Emmaus, he will warm your hearts and give you new and certain hope.
SPAGNOLO
Queridos hermanos
¡Qué bueno y hermoso encontrarme aquí con ustedes, obispos de Brasil!
Gracias por haber venido, y permítanme que les hable como amigos; por eso prefiero hablarles en español, para poder expresar mejor lo que llevo en el corazón. Les pido disculpas.
Estamos reunidos aquí, un poco apartados, en este lugar preparado por nuestro hermano Mons. Orani, para estar solos y poder hablar de corazón a corazón, como pastores a los que Dios ha confiado su rebaño. En las calles de Río, jóvenes de todo el mundo y muchas otras multitudes nos esperan, necesitados de ser alcanzados por la mirada misericordiosa de Cristo, el Buen Pastor, al que estamos llamados a hacer presente. Gustemos, pues, este momento de descanso, de compartir, de verdadera fraternidad.
Deseo abrazar a todos y a cada uno, comenzando por el Presidente de la Conferencia Episcopal y el Arzobispo de Río de Janeiro, y especialmente a los obispos eméritos.

Más que un discurso formal, quisiera compartir con ustedes algunas reflexiones.
La primera me ha venido a la mente cuando he visitado el santuario de Aparecida. Allí, a los pies de la imagen de la Inmaculada Concepción, he rezado por ustedes, por sus Iglesias, por los sacerdotes, religiosos y religiosas, por los seminaristas, por los laicos y sus familias y, en particular, por los jóvenes y los ancianos; ambos son la esperanza de un pueblo: los jóvenes, porque llevan la fuerza, la ilusión, la esperanza del futuro; los ancianos, porque son la memoria, la sabiduría de un pueblo.(1)
1. Aparecida: clave de lectura para la misión de la Iglesia
En Aparecida, Dios ha ofrecido su propia Madre al Brasil. Pero Dios ha dado también en Aparecida una lección sobre sí mismo, sobre su forma de ser y de actuar. Una lección de esa humildad que pertenece a Dios como un rasgo esencial, está en el adn de Dios. En Aparecida hay algo perenne que aprender sobre Dios y sobre la Iglesia; una enseñanza que ni la Iglesia en Brasil, ni Brasil mismo deben olvidar.
En el origen del evento de Aparecida está la búsqueda de unos pobres pescadores. Mucha hambre y pocos recursos. La gente siempre necesita pan. Los hombres comienzan siempre por sus necesidades, también hoy.
Tienen una barca frágil, inadecuada; tienen redes viejas, tal vez también deterioradas, insuficientes.
En primer lugar aparece el esfuerzo, quizás el cansancio de la pesca, y, sin embargo, el resultado es escaso: un revés, un fracaso. A pesar del sacrificio, las redes están vacías.
Después, cuando Dios quiere, él mismo aparece en su misterio. Las aguas son profundas y, sin embargo, siempre esconden la posibilidad de Dios; y él llegó por sorpresa, tal vez cuando ya no se le esperaba. Siempre se pone a prueba la paciencia de los que le esperan. Y Dios llegó de un modo nuevo, porque siempre puede reinventarse: una imagen de frágil arcilla, ennegrecida por las aguas del río, y también envejecida por el tiempo. Dios aparece siempre con aspecto de pequeñez.
Así apareció entonces la imagen de la Inmaculada Concepción. Primero el cuerpo, luego la cabeza, después cuerpo y cabeza juntos: unidad. Lo que estaba separado recobra la unidad. El Brasil colonial estaba dividido por el vergonzoso muro de la esclavitud. La Virgen de Aparecida se presenta con el rostro negro, primero dividida y después unida en manos de los pescadores.
Hay una enseñanza perenne que Dios quiere ofrecer. Su belleza reflejada en la Madre, concebida sin pecado original, emerge de la oscuridad del río. En Aparecida, desde el principio, Dios nos da un mensaje de recomposición de lo que está separado, de reunión de lo que está dividido. Los muros, barrancos y distancias, que también hoy existen, están destinados a desaparecer. La Iglesia no puede desatender esta lección: ser instrumento de reconciliación.
Los pescadores no desprecian el misterio encontrado en el río, aun cuando es un misterio que aparece incompleto. No tiran las partes del misterio. Esperan la plenitud. Y ésta no tarda en llegar. Hay algo sabio que hemos de aprender. Hay piezas de un misterio, como teselas de un mosaico, que encontramos y vemos. Nosotros queremos ver el todo con demasiada prisa, mientras que Dios se hace ver poco a poco. También la Iglesia debe aprender esta espera.
Después, los pescadores llevan a casa el misterio. La gente sencilla siempre tiene espacio para albergar el misterio. Tal vez hemos reducido nuestro hablar del misterio a una explicación racional; pero en la gente, el misterio entra por el corazón. En la casa de los pobres, Dios siempre encuentra sitio.
Los pescadores «agasalham»: arropan el misterio de la Virgen que han pescado, como si tuviera frío y necesitara calor. Dios pide que se le resguarde en la parte más cálida de nosotros mismos: el corazón. Después será Dios quien irradie el calor que necesitamos, pero primero entra con la astucia de quien mendiga. Los pescadores cubren el misterio de la Virgen con el pobre manto de su fe. Llaman a los vecinos para que vean la belleza encontrada, se reúnen en torno a ella, cuentan sus penas en su presencia y le encomiendan sus preocupaciones. Hacen posible así que las intenciones de Dios se realicen: una gracia, y luego otra; una gracia que abre a otra; una gracia que prepara a otra. Dios va desplegando gradualmente la humildad misteriosa de su fuerza.
Hay mucho que aprender de esta actitud de los pescadores. Una iglesia que da espacio al misterio de Dios; una iglesia que alberga en sí misma este misterio, de manera que pueda maravillar a la gente, atraerla. Sólo la belleza de Dios puede atraer. El camino de Dios es el de la atracción, la fascinación. A Dios, uno se lo lleva a casa. Él despierta en el hombre el deseo de tenerlo en su propia vida, en su propio hogar, en el propio corazón. Él despierta en nosotros el deseo de llamar a los vecinos para dar a conocer su belleza. La misión nace precisamente de este hechizo divino, de este estupor del encuentro. Hablamos de la misión, de Iglesia misionera. Pienso en los pescadores que llaman a sus vecinos para que vean el misterio de la Virgen. Sin la sencillez de su actitud, nuestra misión está condenada al fracaso.
La Iglesia siempre tiene necesidad apremiante de no olvidar la lección de Aparecida, no la puede desatender. Las redes de la Iglesia son frágiles, quizás remendadas; la barca de la Iglesia no tiene la potencia de los grandes transatlánticos que surcan los océanos. Y, sin embargo, Dios quiere manifestarse precisamente a través de nuestros medios, medios pobres, porque es siempre él quien actúa.
Queridos hermanos, el resultado del trabajo pastoral no se basa en la riqueza de los recursos, sino en la creatividad del amor. Ciertamente, es necesaria la tenacidad, el esfuerzo, el trabajo, la planificación, la organización, pero hay que saber ante todo que la fuerza de la Iglesia no reside en sí misma, sino que está escondida en las aguas profundas de Dios, en las que ella está llamada a echar las redes.
Otra lección que la Iglesia ha de recordar siempre es que no puede alejarse de la sencillez, de lo contrario olvida el lenguaje del misterio, y no sólo se queda fuera, a las puertas del misterio, sino que ni siquiera consigue entrar en aquellos que pretenden de la Iglesia lo no pueden darse por sí mismos, es decir, Dios mismo. A veces perdemos a quienes no nos entienden porque hemos olvidado la sencillez, importando de fuera también una racionalidad ajena a nuestra gente. Sin la gramática de la simplicidad, la Iglesia se ve privada de las condiciones que hacen posible «pescar» a Dios en las aguas profundas de su misterio.
Una última anotación: Aparecida se hizo presente en un cruce de caminos. La vía que unía Río de Janeiro, la capital, con San Pablo, la provincia emprendedora que estaba naciendo, y Minas Gerais, las minas tan codiciadas por la Cortes europeas: una encrucijada del Brasil colonial. Dios aparece en los cruces. La Iglesia en Brasil no puede olvidar esta vocación inscrita en ella desde su primer aliento: ser capaz de sístole y diástole, de recoger y difundir.
2. Aprecio por la trayectoria de la Iglesia en Brasil
Los obispos de Roma han llevado siempre en su corazón a Brasil y a su Iglesia. Se ha logrado un maravilloso recorrido. De 12 diócesis durante el Concilio Vaticano I a las actuales 275 circunscripciones. No ha sido la expansión de un aparato o de una empresa, sino más bien el dinamismo de los «cinco panes y dos peces» evangélicos, que, en contacto con la bondad del Padre, en manos encallecidas (calejadas mãos), han sido fecundos.
Hoy deseo reconocer el trabajo sin reservas de ustedes, Pastores, en sus Iglesias. Pienso en los obispos que están en la selva, subiendo y bajando por los ríos, en las zonas semiáridas, en el Pantanal, en la pampa, en las junglas urbanas de las megalópolis.Amen siempre con una dedicación total a su grey. Pero pienso también en tantos nombres y tantos rostros que han dejado una huella indeleble en el camino de la Iglesia en Brasil, haciendo palpable la gran bondad de Dios para con esta iglesia.(2)

Los obispos de Roma siempre han estado cerca; han seguido, animado, acompañado. En las últimas décadas, el beato Juan XXIII invitó con insistencia a los obispos brasileños a preparar su primer plan pastoral y, desde entonces, se ha desarrollado una verdadera tradición pastoral en Brasil, logrando que la Iglesia no fuera un trasatlántico a la deriva, sino que tuviera siempre una brújula. El Siervo de Dios Pablo VI, además de alentar la recepción del Concilio Vaticano II con fidelidad, pero también con rasgos originales (cf. Asamblea General del celam en Medellín), influyó decisivamente en la autoconciencia de la Iglesia en Brasil mediante el Sínodo sobre la evangelización y el texto fundamental de referencia, que sigue siendo la Exhortación ApostólicaEvangelii nuntiandi. El beato Juan Pablo II visitó Brasil en tres ocasiones, recorriéndolo «de cabo a rabo», de norte a sur, insistiendo en la misión pastoral de la Iglesia, en la comunión y la participación, en la preparación del Gran Jubileo, en la nueva evangelización. Benedicto XVI eligió Aparecida para celebrar la V Asamblea General del celam, y esto ha dejado una huella profunda en la Iglesia de todo el continente.
La Iglesia en Brasil ha recibido y aplicado con originalidad el Concilio Vaticano II y el camino recorrido, aunque ha debido superar algunas enfermedades infantiles, ha llevado gradualmente a una Iglesia más madura, generosa y misionera.
Hoy nos encontramos en un nuevo momento. Como ha expresado bien el Documento de Aparecida, no es una época de cambios, sino un cambio de época. Entonces, también hoy es urgente preguntarse: ¿Qué nos pide Dios? Quisiera intentar ofrecer algunas líneas de respuesta a esta pregunta.
3. El icono de Emaús como clave de lectura del presente y del futuro.
Ante todo, no hemos de ceder al miedo del que hablaba el Beato John Henry Newman: «El mundo cristiano se está haciendo estéril, y se agota como una tierra sobreexplotada, que se convierte en arena».(3) No hay que ceder al desencanto, al desánimo, a las lamentaciones. Hemos trabajado mucho, y a veces nos parece que hemos fracasado, como quien debe hacer balance de una temporada ya perdida, viendo a quienes se han marchado o ya no nos consideran creíbles, relevantes.
Releamos una vez más el episodio de Emaús desde este punto de vista (Lc 24, 13-15). Los dos discípulos huyen de Jerusalén. Se alejan de la «desnudez» de Dios. Están escandalizados por el fracaso del Mesías en quien habían esperado y que ahora aparece irremediablemente derrotado, humillado, incluso después del tercer día (vv. 24,17-21). Es el misterio difícil de quien abandona la Iglesia; de aquellos que, tras haberse dejado seducir por otras propuestas, creen que la Iglesia —su Jerusalén— ya no puede ofrecer algo significativo e importante. Y, entonces, van solos por el camino con su propia desilusión. Tal vez la Iglesia se ha mostrado demasiado débil, demasiado lejana de sus necesidades, demasiado pobre para responder a sus inquietudes, demasiado fría para con ellos, demasiado autorreferencial, prisionera de su propio lenguaje rígido; tal vez el mundo parece haber convertido a la Iglesia en una reliquia del pasado, insuficiente para las nuevas cuestiones; quizás la Iglesia tenía respuestas para la infancia del hombre, pero no para su edad adulta.(4) El hecho es que actualmente hay muchos como los dos discípulos de Emaús; no sólo los que buscan respuestas en los nuevos y difusos grupos religiosos, sino también aquellos que parecen vivir ya sin Dios, tanto en la teoría como en la práctica.
Ante esta situación, ¿qué hacer?
Hace falta una Iglesia que no tenga miedo a entrar en su noche. Necesitamos una Iglesia capaz de encontrarse en su camino. Necesitamos una Iglesia capaz de entrar en su conversación. Necesitamos una Iglesia que sepa dialogar con aquellos discípulos que, huyendo de Jerusalén, vagan sin una meta, solos, con su propio desencanto, con la decepción de un cristianismo considerado ya estéril, infecundo, impotente para generar sentido.

La globalización implacable, la urbanización a menudo salvaje, prometían mucho. Así que muchos se han enamorado de las posibilidades de la globalización, y en ella hay algo realmente positivo. Pero muchos olvidan el lado oscuro: la confusión del sentido de la vida, la desintegración personal, la pérdida de la experiencia de pertenecer a un cualquier «nido», la violencia sutil pero implacable, la ruptura interior y las fracturas en las familias, la soledad y el abandono, las divisiones y la incapacidad de amar, de perdonar, de comprender, el veneno interior que hace de la vida un infierno, la necesidad de ternura por sentirse tan inadecuados e infelices, los intentos fallidos de encontrar respuestas en la droga, el alcohol, el sexo, convertidos en otras tantas prisiones.
Y muchos han buscado atajos, porque la «medida» de la gran Iglesia parece demasiado alta. Muchos han pensado: la idea del hombre es demasiado grande para mí, el ideal de vida que propone está fuera de mis posibilidades, la meta a perseguir es inalcanzable, lejos de mi alcance. Sin embargo —siguen pensando—, no puedo vivir sin tener al menos algo, aunque sea una caricatura, de eso que es demasiado alto para mí, de lo que no me puedo permitir. Con la desilusión en el corazón, han ido en busca de alguien que les ilusione de nuevo.
La gran sensación de abandono y soledad, de no pertenecerse ni siquiera a sí mismos, que surge a menudo en esta situación, es demasiado dolorosa para acallarla. Hace falta un desahogo y, entonces, queda la vía del lamento: ¿Cómo hemos podido llegar hasta este punto? Pero incluso el lamento se convierte a su vez en un boomerang que vuelve y termina por aumentar la infelicidad. Hay pocos que todavía saben escuchar el dolor; al menos, hay que anestesiarlo.
Hoy hace falta una Iglesia capaz de acompañar, de ir más allá del mero escuchar; una Iglesia que acompañe en el camino poniéndose en marcha con la gente; una Iglesia que pueda descifrar esa noche que entraña la fuga de Jerusalén de tantos hermanos y hermanas; una Iglesia que se dé cuenta de que las razones por las que hay quien se aleja, contienen ya en sí mismas también los motivos para un posible retorno, pero es necesario saber leer el todo con valentía.
Quisiera que hoy nos preguntáramos todos: ¿Somos aún una Iglesia capaz de inflamar el corazón? ¿Una Iglesia que pueda hacer volver a Jerusalén? ¿De acompañar a casa? En Jerusalén residen nuestras fuentes: Escritura, catequesis, sacramentos, comunidad, la amistad del Señor, María y los Apóstoles... ¿Somos capaces todavía de presentar estas fuentes, de modo que se despierte la fascinación por su belleza?
Muchos se han ido porque se les ha prometido algo más alto, algo más fuerte, algo más veloz.
Pero, ¿hay algo más alto que el amor revelado en Jerusalén? Nada es más alto que el abajamiento de la cruz, porque allí se alcanza verdaderamente la altura del amor. ¿Somos aún capaces de mostrar esta verdad a quienes piensan que la verdadera altura de la vida esté en otra parte?
¿Alguien conoce algo de más fuerte que el poder escondido en la fragilidad del amor, de la bondad, de la verdad, de la belleza?
La búsqueda de lo que cada vez es más veloz atrae al hombre de hoy: internet veloz, coches y aviones rápidos, relaciones inmediatas... Y, sin embargo, se nota una necesidad desesperada de calma, diría de lentitud. La Iglesia, ¿sabe todavía ser lenta: en el tiempo, para escuchar, en la paciencia, para reparar y reconstruir? ¿O acaso también la Iglesia se ve arrastrada por el frenesí de la eficiencia? Recuperemos, queridos hermanos, la calma de saber ajustar el paso a las posibilidades de los peregrinos, al ritmo de su caminar, la capacidad de estar siempre cerca para que puedan abrir un resquicio en el desencanto que hay en su corazón, y así poder entrar en él. Quieren olvidarse de Jerusalén, donde están sus fuentes, pero terminan por sentirse sedientos. Hace falta una Iglesia capaz de acompañar también hoy el retorno a Jerusalén. Una Iglesia que pueda hacer redescubrir las cosas gloriosas y gozosas que se dicen en Jerusalén, de hacer entender que ella es mi Madre, nuestra Madre, y que no están huérfanos. En ella hemos nacido. ¿Dónde está nuestra Jerusalén, donde hemos nacido? En el bautismo, en el primer encuentro de amor, en la llamada, en la vocación.(5)
Se necesita una Iglesia que también hoy pueda devolver la ciudadanía a tantos de sus hijos que caminan como en un éxodo.
4. Los desafíos de la Iglesia en Brasil
A la luz de lo dicho, quisiera señalar algunos desafíos de la amada Iglesia en Brasil.
La prioridad de la formación: obispos, sacerdotes, religiosos y laicos
Queridos hermanos, si no formamos ministros capaces de enardecer el corazón de la gente, de caminar con ellos en la noche, de entrar en diálogo con sus ilusiones y desilusiones, de recomponer su fragmentación, ¿qué podemos esperar para el camino presente y futuro? No es cierto que Dios se haya apagado en ellos. Aprendamos a mirar más profundo: no hay quien inflame su corazón, como a los discípulos de Emaús (cf. Lc 24, 32).
Por esto es importante promover y cuidar una formación de calidad, que cree personas capaces de bajar en la noche sin verse dominadas por la oscuridad y perderse; de escuchar la ilusión de tantos, sin dejarse seducir; de acoger las desilusiones, sin desesperarse y caer en la amargura; de tocar la desintegración del otro, sin dejarse diluir y descomponerse en su propia identidad.
Se necesita una solidez humana, cultural, afectiva, espiritual y doctrinal.(6) Queridos hermanos en el episcopado, hay que tener el valor de una revisión profunda de las estructuras de formación y preparación del clero y del laicado de la Iglesia en Brasil. No es suficiente una vaga prioridad de formación, ni los documentos o las reuniones. Hace falta la sabiduría práctica de establecer estructuras duraderas de preparación en el ámbito local, regional, nacional, y que sean el verdadero corazón para el episcopado, sin escatimar esfuerzos, atenciones y acompañamiento. La situación actual exige una formación de calidad a todos los niveles. Los obispos no pueden delegar este cometido. Ustedes no pueden delegar esta tarea, sino asumirla como algo fundamental para el camino de sus Iglesias.
Colegialidad y solidaridad de la Conferencia Episcopal
A la Iglesia en Brasil no le basta un líder nacional, necesita una red de «testimonios» regionales que, hablando el mismo lenguaje, aseguren por doquier no la unanimidad, sino la verdadera unidad en la riqueza de la diversidad.
La comunión es un lienzo que se debe tejer con paciencia y perseverancia, que va gradualmente «juntando los puntos» para lograr una textura cada vez más amplia y espesa. Una manta con pocas hebras de lana no calienta.
Es importante recordar Aparecida, el método de recoger la diversidad. No tanto diversidad de ideas para elaborar un documento, sino variedad de experiencias de Dios para poner en marcha una dinámica vital.
Los discípulos de Emaús regresaron a Jerusalén contando la experiencia que habían tenido en el encuentro con el Cristo resucitado. Y allí se enteraron de las otras manifestaciones del Señor y de las experiencias de sus hermanos. La Conferencia Episcopal es precisamente un ámbito vital para posibilitar el intercambio de testimonios sobre los encuentros con el Resucitado, en el norte, en el sur, en el oeste... Se necesita, pues, una valorización creciente del elemento local y regional. No es suficiente una burocracia central, sino que es preciso hacer crecer la colegialidad y la solidaridad: será una verdadera riqueza para todos.(7)
Estado permanente de misión y conversión pastoral

Aparecida habló de estado permanente de misión(8) y de la necesidad de una conversión pastoral.(9) Son dos resultados importantes de aquella Asamblea para el conjunto de la Iglesia de la zona, y el camino recorrido en Brasil en estos dos puntos es significativo.
Sobre la misión se ha de recordar que su urgencia proviene de su motivación interna: la de transmitir un legado; y, sobre el método, es decisivo recordar que un legado es como el testigo, la posta en la carrera de relevos: no se lanza al aire y quien consigue agarrarlo, bien, y quien no, se queda sin él. Para transmitir el legado hay que entregarlo personalmente, tocar a quien se le quiere dar, transmitir este patrimonio.
Sobre la conversión pastoral, quisiera recordar que «pastoral» no es otra cosa que el ejercicio de la maternidad de la Iglesia. La Iglesia da a luz, amamanta, hace crecer, corrige, alimenta, lleva de la mano... Se requiere, pues, una Iglesia capaz de redescubrir las entrañas maternas de la misericordia. Sin la misericordia, poco se puede hacer hoy para insertarse en un mundo de «heridos», que necesitan comprensión, perdón y amor.
En la misión, también en la continental,(10) es muy importante reforzar la familia, que sigue siendo la célula esencial para la sociedad y para la Iglesia; los jóvenes, que son el rostro futuro de la Iglesia; las mujeres, que tienen un papel fundamental en la transmisión de la fe. No reduzcamos el compromiso de las mujeres en la Iglesia, sino que promovamos su participación activa en la comunidad eclesial. Si pierde a las mujeres, la Iglesia se expone a la esterilidad.
La tarea de la Iglesia en la sociedad
En el ámbito social, sólo hay una cosa que la Iglesia pide con particular claridad: la libertad de anunciar el Evangelio de modo integral, aun cuando esté en contraste con el mundo, cuando vaya contracorriente, defendiendo el tesoro del cual es solamente guardiana, y los valores de los que no dispone, pero que ha recibido y a los cuales debe ser fiel.
La Iglesia sostiene el derecho de servir al hombre en su totalidad, diciéndole lo que Dios ha revelado sobre el hombre y su realización. La Iglesia quiere hacer presente ese patrimonio inmaterial sin el cual la sociedad se desmorona, las ciudades se verían arrasadas por sus propios muros, barrancos, barreras. La Iglesia tiene el derecho y el deber de mantener encendida la llama de la libertad y de la unidad del hombre.
Las urgencias de Brasil son la educación, la salud, la paz social. La Iglesia tiene una palabra que decir sobre estos temas, porque para responder adecuadamente a estos desafíos no bastan soluciones meramente técnicas, sino que hay que tener una visión subyacente del hombre, de su libertad, de su valor, de su apertura a la trascendencia. Y ustedes, queridos hermanos, no tengan miedo de ofrecer esta contribución de la Iglesia, que es por el bien de toda la sociedad.
La Amazonia como tornasol, banco de pruebas para la Iglesia y la sociedad brasileña
Hay un último punto al que quisiera referirme, y que considero relevante para el camino actual y futuro, no solamente de la Iglesia en Brasil, sino también de todo el conjunto social: la Amazonia. La Iglesia no está en la Amazonia como quien tiene hechas las maletas para marcharse después de haberla explotado todo lo que ha podido. La Iglesia está presente en la Amazonia desde el principio con misioneros, congregaciones religiosas, y todavía hoy está presente y es determinante para el futuro de la zona. Pienso en la acogida que la Iglesia en la Amazonia ofrece también hoy a los inmigrantes haitianos después del terrible terremoto que devastó su país.
Quisiera invitar a todos a reflexionar sobre lo que Aparecida dijo sobre la Amazonia,(11) y también el vigoroso llamamiento al respeto y la custodia de toda la creación, que Dios ha confiado al hombre, no para explotarla salvajemente, sino para que la convierta en un jardín. En el desafío pastoral que representa la Amazonia, no puedo dejar de agradecer lo que la Iglesia en Brasil está haciendo: la Comisión Episcopal para la Amazonia, creada en 1997, ha dado ya mucho fruto, y muchas diócesis han respondido con prontitud y generosidad a la solicitud de solidaridad, enviando misioneros laicos y sacerdotes. Doy gracias a Monseñor Jaime Chemelo, pionero en este trabajo, y al Cardenal Hummes, actual Presidente de la Comisión. Pero quisiera añadir que la obra de la Iglesia ha de ser ulteriormente incentivada y relanzada. Se necesitan instructores cualificados, sobre todo profesores de teología, para consolidar los resultados alcanzados en el campo de la formación de un clero autóctono, para tener también sacerdotes adaptados a las condiciones locales y fortalecer, por decirlo así, el «rostro amazónico» de la Iglesia.
Queridos hermanos, he tratado de ofrecer de una manera fraterna algunas reflexiones y líneas de trabajo en una Iglesia como la que está en Brasil, que es un gran mosaico de teselas, de imágenes, de formas, problemas y retos, pero que precisamente por eso constituye una enorme riqueza. La Iglesia nunca es uniformidad, sino diversidad que se armoniza en la unidad, y esto vale para toda realidad eclesial.
Que la Virgen Inmaculada de Aparecida sea la estrella que ilumine el compromiso de ustedes y su camino para llevar a Cristo, como ella ha hecho, a todo hombre y a toda mujer de este inmenso país. Será él, como lo hizo con los dos discípulos confusos y desilusionados de Emaús, quien haga arder el corazón y dé nueva y segura esperanza.
---------------------
(1)  Il Documento di Aparecida sottolinea come i bambini, i giovani e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli (cfr n. 447).
(2)  Penso a tante figure come, per citarne solo alcuni: Lorscheider, Mendes de Almeida, Sales, Vital, Camara, Macedo... insieme al primo Vescovo brasiliano Pero Fernandes Sardinha (1551/1556) ucciso da bellicose tribù locali.
(3)   Letter of 26 January 1833, in: The Letters and Diaries of John Henry Newman, vol. III, Oxford 1979, p. 204.
(4)   Nel Documento di Aparecida vengono presentate sinteticamente le ragioni di fondo di questo fenomeno (cfr n. 225).
(5)   Cfr anche i quattro punti indicati da Aparecida (n. 226).
(6)   Nel Documento di Aparecida grande attenzione è riservata alla formazione del Clero, come pure dei laici (cfr nn. 316-325; 212).
(7)   Anche su questo aspetto il Documento di Aparecida offre linee di cammino importanti (cfr nn. 181-183; 189).
(8)   Cfr n. 216.
(9)   Cfr nn. 365-372.
(10)   Le conclusioni della Conferenza di Aparecida insistono sul volto di una Chiesa che è per sua stessa natura evangelizzatrice, che esiste per evangelizzare, con audacia e libertà, a tutti i livelli (cfr nn.547-554). 
(11)   Cfr in particolare i nn. 83-87 e da un punto di vista di una pastorale unitaria il n. 475.