venerdì 26 luglio 2013

I nuovi schiavi



Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro ventuno milioni di persone sono vittime del traffico di esseri umani.

Anticipiamo stralci di un articolo in uscita nel numero del 3-17 agosto della «Civiltà Cattolica».
(Francesco Occhetta) La tratta di essere umani è una pratica purtroppo ancora molto diffusa, che va assumendo forme sempre più organizzate. Il suo volto è duplice: è una forma moderna di schiavitù per coloro che la subiscono e una vera e propria attività criminale per quanti la gestiscono.L’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) stima che le persone vittime nel mercato della tratta siano circa 21 milioni; di queste 880.000 sono in Europa, 3 milioni nell’area dei Paesi dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
Spesso si è indotti a credere che la tratta di esseri umani si riduca al traffico e agli interessi intorno alla prostituzione di giovani donne; invece, il traffico di esseri umani include le adozioni illegali, il traffico di organi e tutti i lavori umilianti o illegali nelle fabbriche, nelle aziende agricole, nelle strutture turistiche o nelle case private. Una vera miniera d’oro, se si pensa che, per la criminalità organizzata, il traffico di persone rappresenta, dopo quello di armi e di droga, il mercato più redditizio, che frutta circa 32 miliardi di dollari l’anno. Il traffico degli esseri umani ha bassi costi e pochi rischi in tutte le sue varie tappe — trasporto, sfruttamento e aggiramento delle legislazioni nazionali — rispetto ai pericoli legati al commercio della droga e delle armi. Le reti di organizzazioni criminali connesse tra loro sono in grado di creare la domanda e l’offerta attraverso finte agenzie matrimoniali, agenzie turistiche compiacenti, ospedali in cui si fanno trapianti, proprietari di case chiuse, aziende di produzione e diffusione di materiale pornografico.
Il resto appartiene al dramma umano delle singole persone, che si consuma sul palco della vita: le false promesse di nuovi inizi in terre ricche, il sogno di un lavoro stipendiato, l’istruzione tanto sognata, perfino l’illusione di trovare l’amore della vita, per poi ritrovarsi su un marciapiede o in un appartamento, senza un rene o sfruttati in un campo, picchiati o minacciati, con aborti procurati, o semplicemente soli, lontani dalla propria terra, da famiglia e da amici. E il destino preparato ai nuovi vulnerabili del terzo millennio, costretti a lavorare dietro le quinte di uno spettacolo la cui platea sembra non riconoscere il loro dolore.
Come è possibile che uomini e donne possano essere venduti e coartati nelle loro libertà? Chi sono quelli che organizzano questi fatti? Che cosa possono fare le Organizzazioni internazionali e gli Stati per contrastare questo male sociale?
Rispondere a queste domande non è per nulla facile. Esistono molti rapporti e studi anche universitari che tentano di fare bilanci e stime, ma la controcultura della tratta, che attribuisce la responsabilità alla vittima piuttosto che agli organizzatori e ai clienti, non aiuta a contrastare, prevenire e proteggere.
I gruppi di esseri umani che vengono sfruttati nei Paesi occidentali provengono soprattutto dall’Europa orientale e da Paesi africani e asiatici. Luoghi come le zone rurali o le periferie povere delle grandi città sono le reti in cui i trafficanti pescano le loro vittime. Ma ancora: donne e bambine che vivono in contesti culturali maschilisti o patriarcali possono essere vendute come merce dalle organizzazioni criminali locali alle grandi organizzazioni di traffico internazionale. Sono vulnerabili anche le persone che provengono dai Paesi in guerra o da regimi dittatoriali o rivoluzionari, o semplicemente che appartengono a minoranze etniche discriminate.
Paura, condizioni di vita disumane e desiderio di costruire il proprio futuro sono ragioni sufficienti per farsi convincere dai trafficanti a raggiungere Paesi più sicuri, sperando di poter poi sfuggire a essi una volta giunti in Occidente. Ma quando le vittime arrivano nella terra a loro promessa, ormai è troppo tardi; per loro è l’inizio di una nuova schiavitù: la loro libertà è vigilata, i loro documenti e il passaporto vengono sequestrati dai trafficanti, che le ricattano e le costringono a “lavori forzati”; spesso un grande numero di maltrattati si ammala, il corpo somatizza il dolore e le violenze subite.
Gli uomini vengono destinati a lavori clandestini, ad esempio nel settore agricolo; la loro età si aggira tra i 18 e i 40 anni. Sono sfruttati per attività lavorative, ma anche per crimini comuni, come furti nelle case, scippi, rapine, o spaccio. Spesso anche i bambini vengono utilizzati per gli stessi fini. Secondo il dossier Piccoli schiavi di Save the Children (2012), in Italia il 15 per cento delle vittime della tratta sono bambini, costretti a chiedere elemosina sui tram, nella metropolitana o negli angoli delle strade. Molti di loro sono obbligati a prostituirsi: le ragazzine provengono da Romania, Bulgaria, Nigeria, Albania e dal Nord Africa; i ragazzini sono magrebini o rom. Si calcola che circa 3.000 di loro siano avviati alla prostituzione di strada, ma un numero equivalente di minorenni è obbligato a prostituirsi in appartamenti o nei saloni del cosiddetto massaggio.
In un recente Rapporto di Amnesty International si denuncia la drammatica situazione di giovani eritrei che, nel deserto del Sinai, detto anche “deserto di Dio”, sono vittime del traffico di esseri umani. Dopo il sequestro, le bande criminali chiedono alle loro famiglie un riscatto per la loro liberazione, altrimenti diventano “merce pregiata” per il traffico di organi. Un’altra forma di tratta avviene in America Latina, nel “corridoio della morte”, tra Colombia, Ecuador, Perú e Bolivia, dove le famiglie sono costrette a scappare per salvare i loro bambini dal traffico degli organi.
Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, è tra le religiose più attive nel ridare dignità alle donne costrette a prostituirsi; ha spiegato che nel mercato del sesso c’è molta competitività: per una prestazione consumata in macchina le donne africane richiedono un compenso di 10-15 euro, quelle provenienti dall’Est non meno di 25 euro. I debiti che queste donne devono pagare possono arrivare a 70.000 euro e, per saldarli, le ragazze africane devono sottoporsi ad almeno 4.000 prestazioni sessuali. Mentre le donne dell’Europa orientale durante il periodo della prostituzione possono avere fino a 4 aborti, le donne africane tendono invece a far nascere i figli. Una di loro aveva simbolicamente portato il suo bambino in una processione offertoriale durante una messa presieduta da Giovanni Paolo II.
Per la religiosa della Consolata, che ha vissuto per 24 anni in Kenya, la sua terra di missione sono diventate le strade di Roma, dalle quali ha salvato circa 6.000 ragazze in dieci anni.
Papa Francesco nel suo discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ha ribadito che «la "tratta delle persone" è un’attività ignobile, una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate! Sfruttatori e clienti a tutti i livelli dovrebbero fare un serio esame di coscienza davanti a se stessi e davanti a Dio!».
Per la Chiesa è urgente far diventare cultura condivisa i grandi bisogni delle vittime: rispetto e riconoscimento, assistenza, protezione, accesso alla giustizia e risarcimento. Prima che essere giuridico, questo compito è morale, secondo Christine Jeangey, incaricata dei diritti umani del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: «La promozione dei diritti fondamentali della persona, di ogni persona, è un compito che esige in primo luogo la conversione dei cuori». La protezione dei diritti umani è impossibile senza uomini retti che vivano nelle loro coscienze l’appello del bene comune.
L’invito del Papa dà voce all’impegno silenzioso di molte organizzazioni cattoliche la cui missione è di accompagnare le vittime della tratta. Il servizio che esse svolgono va dal soccorso sulla strada ai centri di ascolto e dalle comunità di accoglienza o case famiglia all’aiuto spirituale; dall’aiuto professionale con corsi di lingua e addestramento lavorativo all’assistenza legale. Anche le Caritas europee hanno un Coordinamento in rete chiamato Coatnet, che è ormai un network internazionale ed ecumenico sul tema della tratta. Questa particolare missione consente alla Chiesa di cooperare e dialogare anche con ebrei e musulmani impegnati nello stesso campo; l’incontro quotidiano sta dando risultati inattesi.
L'Osservatore Romano