martedì 2 luglio 2013

La vocazione del cuore

Il pensiero del cardinale Tomas Spidlik a confronto con la teologia di Giovanni Paolo II e del Concilio Vaticano II


Il punto di partenza della teologia ecumenica del Card Tomas Spidlik, si sintetizza con una affermazione: è necessario giungere ad una “sintesi” della cultura teologica europea. Il “problema dell'Europa” è piuttosto recente. Per lungo tempo la storia dell'umanità quasi coincideva con la storia dei popoli europei. Questa situazione, nel nostro secolo, e' rapidamente cambiata. Allora sorge la questione sul posto del nostro piccolo continente nel grande mondo, sull'identità e sul ruolo della sua cultura.
E come dopo il primo periodo della Chiesa era necessario presentare una “sintesi patristica”, ci si aspetta anche oggi  una simile sintesi dall’eredità cristiana della storia di salvezza, che l’Europa ha custodito  per più di mille anni. Siamo capaci di indicarne i tratti principali comuni? La situazione presente ci spinge a lavorare il questo senso.
Spidlik, a tal proposito, rintraccia i fondamenti principali comuni del cristianesimo europeo, e rileva il fondamentale contributo che la teologia slava può fornire alla costituzione di tale patrimonio spirituale comune.
Nella storia della salvezza non solo ogni uomo, ma anche ogni popolo ha la sua vocazione provvidenziale irripetibile. Conosciamo la funzione del popolo ebraico. Il mondo greco diede al cristianesimo il suo contributo ideologico, per la formazione dei dogmi. I Romani diedero alla Chiesa le loro strutture giuridiche. Gli Spagnoli con la loro inquisizione svegliarono nel mondo barbarico del medio evo il senso per la purezza della fede, la Riforma predicò l’inseparabilità della fede dalla moralità, la Rivoluzione francese l’obbligo di inserire il cristianesimo nelle strutture sociali. Il contributo degli Slavi  deve ancora venire. Ma si sta già rivelando. Di ciò sono convinti i grandi pensatori russi cristiani.
Alle formule razionali, giuridiche, morali manca un supplemento personalistico. L’atteggiamento personalistico in Russia va dagli startsi spirituali a Dostoevskij, a Berdjaev, Florenskij ecc. Con questo elemento il ritmo della civiltà europea sarà “compiuto”, o al contrario, senza di esso, degenererà nella tecnologia arida ed  esasperata.
L’uomo di cultura è orgoglioso per le sue conoscenze e disprezza ogni tipo di ignoranza. Sappiamo che il  termine "conoscere" non ha sempre lo stesso significato, per esempio nella Bibbia il "conoscere" è inseparabile dall’esperienza vitale e dall’atteggiamento morale, "conoscere il bene e il male". Il progresso intellettuale dell’Europa occidentale è intimamente legato alle conoscenze astratte, "oggettive", che superano il relativismo delle esperienze soggettive. Ma ci rendiamo conto, che una tale conoscenza oggettiva produce teorie astratte lontane dalla vita e quando cerchiamo di metterle in pratica non raramente arrivano grossi problemi.
Certo è che l’uomo di oggi non può rigettare il modo di pensare « scientifico », negherebbe la propria cultura. Ma forse si offre una soluzione diversa : trovare al di là della conoscenza scientifica un’altra strada vitale religiosa.
Fu il sogno della vita di Solov’ev elaborare per l’uomo di oggi una “nuova sintesi” delle tre conoscenze che, nella civiltà europea, si sono separate: empirica, metafisica e mistica. In tutti questi tre rami l’Europa diede un notabile contributo, purtroppo separatamente. Gli scienziati della natura, i pensatori filosofici, i mistici religiosi non comunicano. Eppure sono alla ricerca della stessa verità !
È interessante ricordare, in questo contesto, la sintonia di queste considerazioni di Spidlik, con quelle di Solov’ev. Per il pensatore russo infatti l’unità delle conoscenze fu il suo grande "sogno". Notiamo che egli stesso cominciò  a farne un abbozzo, stabilire la prima base dell’edificio. E’ interessante che lo fece per mezzo del suo trattato Sulla “bellezza”.
Il bello, nella tradizione greca e russa, viene identificato con l’uno. Ma l’unità si può concepire secondo diversi modi. Le scienze empiriche assegnano agli esseri il loro posto nello spazio e nel tempo. La metafisica unisce i concetti precisi secondo il loro nesso causale. L’estetica vede l’uno nell’altro, crea simboli e immagini. Il tempo moderno vive in una strana contraddizione. Da una parte tutto il nostro ambiente viene creato dalle immagini e d’altra parte l’immagine, nella nostra cultura, ha perduto il significato sia intelligibile che spirituale. Siamo divenuti iconoclasti a causa del disprezzo dell’immagine. Per questo l’uomo di oggi si sente tanto attratto dalle icone orientali-russe, perché vi sente una cultura nuova.
Ma la ragione di questa situazione è più profonda. La civiltà tecnica nella quale viviamo si è abituata a chiedere in ogni evento la causa. Scoprendo la causa possiamo rimediare l’effetto. Il nostro grande progresso tecnico è possibile grazie a queste domande « causali ». Purtroppo abbiamo dimenticato l’atteggiamento orientale che è concentrato sulla « causa esemplare »., e cioè chiedersi, appena succede qualche cosa, che significato essa ha per la nostra vita. 
Per Ivanov, come per il suo maestro Solov’ev, l’atto della conoscenza personale coincide con l’atto d’amore. Conoscere significa vivere, perché significa amare, e amare a sua volta significa credere, nell’altro. «La conoscenza senza amore non serve a niente se non a gonfiarci di vanità»: d’accordo con il pensatore russo P. Florenskij, Ivanov arriva ad affermare la fede nella Verità che è l’Amore. Per Ivanov  questa autotrasportazione nell’altro è così importante per la conoscenza  perché «la comprensione dell’essenza, è caratteristica dall’amore soltanto. Solo l’amore può dire "Tu sei"», e allo stesso tempo confermare l’essere dell’amato. Solo l’amore unisce realmente chi conosce con il conosciuto .
Secondo Spidlik, c’è una via particolare che conduce all’unione degli uomini, ed è il cuore. La “vocazione del cuore” è anche di unire il Creatore a tutta la sua creazione : se il cuore è al centro della persona umana allora è "attraverso il cuore che l’uomo entra in relazione con tutto ciò che esiste soprattutto con il prossimo ". L'antico principio gnoseologico stabilisce che solo il “simile conosce ciò che gli é simile”.  Allora senza la carità non é possibile nessuna forma di conoscenza di Dio, perché Dio é carità (I Gv 4,8; 4,16).
I “razionalisti” infatti abusano della ragione, che serve loro per misconoscere la realtà. Questa meravigliosa facoltà dell’uomo viene impegnata in questioni inutili e dannose. Essi seguono le leggi della logica, ma la loro ragione è come una macchina, senza vita, perché le manca il senso autentico dei valori.  L’unico metodo per guarire sarebbe quello di « far scendere la ragione nel cuore ».  Per vivere una vita razionale non  basta quindi avere concetti chiari e precisi. E’ molto più importante avere “idee”, il che significa, comprensione delle cose nel contesto di tutta la vita e del suo fine. E’ questa l’ “idea” che la ragione scopre soltanto in collaborazione con il cuore.
É questa per Giovanni Paolo II, la conoscenza del cuore. Qui, il «cuore» indica molto di più di una facoltà umana, qual è ad esempio l’affettività. È piuttosto il principio di unità della persona, quasi «luogo interiore» in cui la persona si raccoglie tutta, per vivere nella conoscenza e nell’amore del Signore.  Non basta conoscere le cose, non basta pensarle, occorre che esse diventino «vita». Questo messaggio importante, che vale non solo per l’esperienza specificatamente religiosa, ma anche per la vita umana nella sua globalità. La cultura scientifica oggi dominante mette a disposizione a tutti noi, una quantità enorme di informazioni, eppure si costata ogni giorno che ciò non basta per un autentico cammino di umanizzazione. Abbiamo più che mai bisogno di riscoprire le dimensioni del «cuore», abbiamo bisogno di più cuore. Un rinnovato confronto con le prospettive cristiane, nelle loro peculiari ricchezze orientali e occidentali, offre in questo un apporto di grande valore. (Angelus Ecumenici di Giovanni Paolo II, La conoscenza del cuore, da L’Osservatore Romano del 29 settembre 1996).
La carità risiede nel cuore. Quindi l'Oriente cristiano favorisce la "spiritualità del cuore" per guarire l'uomo dal razionalismo, da una mentalità puramente tecnica, e dalle “nuove schiavitù” prodotte dai mezzi di comunicazione per es: da internet ecc. La ragione fredda, il razionalismo critico fallisce, proprio in quanto l’uomo scopre il cuore come primordiale sede del vero intelletto, che non permette nessun dualismo razionalistico. La cultura dell’Occidente soccombe facilmente alla tentazione della specializzazione, e di questa non sfugge nemmeno la Chiesa, dove spesso si distingue una “doppia vocazione religiosa”, o alla contemplazione o all’apostolato e invita gli “Ordini” a restare fedeli ognuno al suo atteggiamento preso, senza considerare l’incontro tra le due “vocazioni” che le “due vocacazioni”.
Ci rendiamo conto che questa divisione è assai pragmatica. In “Betania”, simbolicamente  nella “casa di Dio”, non solo nella Chiesa come tale, ma anche nel cuore di ogni uomo, “le due sorelle” sono inseparabili e crescono in uguale proporzione. E’ quindi giusto che gli Orientali comincino a imitare le organizzazioni apostoliche occidentali e che gli occidentali apprezzino laFilocalia e gli altri scritti contemplativi dell’ Oriente cristiano. Si potrebbe persino dire a questo punto, che una prima  “sintesi”, sotto quest’aspetto, è già avviata.  
In questo orizzonte una nuova ecclesiologia che respira “a due polmoni”  facilita l’avvicinamento ecumenico. Per il Concilio tale cura di ristabilire l’unione riguarda tutta la Chiesa, e manifesta già in qualche modo il legame fraterno che esiste fra tutti i cristiani e conduce alla piena e perfetta unità, conforme al disegno della bontà di Dio (U.R. del Concilio Vat. II n° 5-6 ).
In questa prospettiva un grande contributo ci viene dalla teologia orientale russa. In particolare i teologi personalisti russi del secolo scorso, chiamati « slavofili », in specie A. Chomiakov. Essi erano convinti che l’unità è nota primaria della Chiesa. La vera unità fra gli uomini deve essere fondata sulle relazioni umane, nella libertà e nell’amore, sul fondamento di Cristo eternamente vivente nei fedeli.
Sulla stessa linea Giovanni Paolo II sostiene: "La cultura dell’Oriente cristiano ha prodotto vigorose espressioni letterarie, contribuendo notevolmente all’elevazione della coscienza dell’umanità, nell’orizzonte ecumenico anche in epoca contemporanea". Volendo fare un esempio, a me molto caro, penso a Vladimir Solovev. Per lui, il fondamento stesso della cultura è il riconoscimento dell’esistenza incondizionata dell’altro. Di qui il suo rifiuto di un universalismo culturale di tipo monolitico, incapace di rispettare ed accogliere le molteplici espressioni della civiltà. Egli fu coerente con questa visione anche quando fu ardito e appassionato profeta dell’ecumenismo, prodigandosi per la riunificazione tra l’ortodossia e il cattolicesimo.
E come dimenticare, poi, tra i massimi scrittori di ogni tempo, F. Dostoevskij ? Il suo sguardo di credente penetra le profondità dell’animo umano, descrivendo la grande avventura della libertà, nei suoi infiniti percorsi, alla luce della convinzione che Cristo è il segreto della vera libertà. Nel fondo della sua visione umana e cristiana egli tocca corde veramente universali, esprimendo un’intima conoscenza dell’uomo e una grande ansia per il suo destino. L’anima profonda del suo pensiero è l’amore per Cristo. In lui egli vede la bellezza sorgiva, la bellezza che non tramonta, la bellezza « che salva il mondo” (Giovanni Paolo II, L'Osservatore romano 1/9/1996).
Ecco dunque delineata mirabilmente la dinamica dell’incontro: la conoscenza dei tesori di fede altrui produce spontaneamente lo stimolo per un nuovo e più intimo incontro tra fratelli e un sincero scambio reciproco. È uno stimolo che lo Spirito suscita costantemente nella Chiesa(Giovanni Paolo II, Orientale Lumen, 1995, n. 20). Sento il bisogno che cresca la nostra comune disponibilità allo Spirito che ci chiama alla conversione, e ad accettare e riconoscere l’altro con rispetto fraterno” (Ibidem, n. 17).
Per il Concilio Vaticano II, infatti non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, devono essere considerate come l’anima del movimento ecumenico (Unitatis Redintegratio, Decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo, 1964, n. 8).
Questo è nelle nostre possibilità e nella nostra volontà sostiene Teofane il Recluso, seguendo in questo ordine,  in tutto e per tutto la tradizione dei padri greci. La volontà è libera. Perciò su di noi cade la “responsabilità” delle nostre azioni. La volontà è forte. Con l’aiuto di Dio siamo capaci di vincere il peccato e le sue conseguenze. Teofane sa comunque che si discute da sempre sul rapporto tra la necessità della grazia di Dio e la volontà umana, ma ritiene che questo problema sia troppo teorico. La pratica è più semplice. Dobbiamo porre tutta la nostra fiducia in Dio, e nello stesso tempo adoperare tutte le nostre forze per raggiungere l’obiettivo che ci prefiggiamo.
(D. Franco Nardin)