venerdì 5 luglio 2013

L'enciclica dei due papi




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«Queste considerazioni sulla fede — in continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa questa virtù teologale —, intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi. Il Successore di Pietro, ieri, oggi e domani, è infatti sempre chiamato a “confermare i fratelli” in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo».

In questa manciata di righe, a cavallo tra le pagine 9 e 10 di «Lumen Fidei», la prima enciclica del nuovo Papa, sta la migliore risposta a quanti in questi primi mesi di pontificato si sono dedicati a fare la conta dei gesti di «rottura» o di «discontinuità». Dal colore delle scarpe al metallo della croce, dalla ferula alle mitrie meno preziose, dagli accenti più «sociali» e meno interventisti sui temi etici nelle omelie, e via discorrendo. L'enciclica che viene oggi pubblicata attesta innanzitutto l'affetto e la venerazione che Bergoglio ha verso il predecessore. È vero che anche Benedetto XVI, per la seconda parte della sua prima enciclica, aveva assunto e significativamente rielaborato materiali che erano stati preparati per il suo predecessore (il quale peraltro non aveva intenzione di pubblicarli così com'erano), ma questo paragone non è sovrapponibile al caso odierno. Francesco ha infatti assunto e fatto proprio, integrandolo soltanto con qualche aggiunta, un testo completo e preparato per il predecessore. Un'enciclica «a quattro mani», l'ha definita Bergoglio, spazzando via - come al solito - formalismi smentite di palazzo. Un'enciclica molto ratzingeriana - per linguaggio, struttura, citazioni - che porta la firma del primo Papa latinoamericano. Assumendo con umiltà tutto il lavoro preparato dal predecessore e dai suoi collaboratori, il Papa non rende solo evidente che il compito del successore di Pietro, «ieri, oggi e domani», è di «“confermare i fratelli” in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo».

Ma dice anche la sua sintonia con lo sguardo profondo di Ratzinger sulla fede e dunque sulla Chiesa. Uno sguardo che troppo spesso è stato dimenticato o ridotto da certi sedicenti «ratzingeriani», intenti a trasformare stupore e bellezza per l'iniziativa gratuita di Dio in «law and order» ecclesiastico. È proprio nell'umiltà, nel non considerare la Chiesa come dipendente dal protagonismo del vescovo di Roma, nella coscienza del fatto che la fede è dare spazio alla presenza e all'iniziativa di un Altro, il tratto che unisce intimamente Benedetto XVI, il Papa emerito, e Francesco, il Papa.
Tornielli

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Ideata e quasi tutta scritta da Joseph Ratzinger. Completata e firmata da Jorge Mario Bergoglio. Quattro estratti della "Lumen fidei", pubblicata il 5 luglio 2013






DA BENEDETTO A FRANCESCO


1. La luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: « Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre » (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: « E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulge nei nostri cuori » (2 Cor 4,6). Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, "Sol invictus", invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte, là dove l’occhio umano si chiude alla sua luce. « Per la sua fede nel sole — afferma san Giustino Martire — non si è mai visto nessuno pronto a morire ». Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, « i cui raggi donano la vita ». A Marta, che piange per la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: « Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? » (Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta.

Una luce illusoria?

2. Eppure, parlando di questa luce della fede, possiamo sentire l’obiezione di tanti nostri contemporanei. Nell’epoca moderna si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso, la fede appariva come una luce illusoria, che impediva all’uomo di coltivare l’audacia del sapere. Il giovane Nietzsche invitava la sorella Elisabeth a rischiare, percorrendo « nuove vie…, nell’incertezza del procedere autonomo ». E aggiungeva: « A questo punto si separano le vie dell’umanità: se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga ». Il credere si opporrebbe al cercare. A partire da qui, Nietzsche svilupperà la sua critica al cristianesimo per aver sminuito la portata dell’esistenza umana, togliendo alla vita novità e avventura. La fede sarebbe allora come un’illusione di luce che impedisce il nostro cammino di uomini liberi verso il domani.

3. In questo processo, la fede ha finito per essere associata al buio. Si è pensato di poterla conservare, di trovare per essa uno spazio perché convivesse con la luce della ragione. Lo spazio per la fede si apriva lì dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l’uomo non poteva più avere certezze. La fede è stata intesa allora come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il cammino. Poco a poco, però, si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro; alla fine, esso resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto. E così l’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada. Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla mèta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione.

Una luce da riscoprire

4. È urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo. Perché una luce sia così potente, non può procedere da noi stessi, deve venire da una fonte più originaria, deve venire, in definitiva, da Dio. […]

7. Queste considerazioni sulla fede — in continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa questa virtù teologale —, intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi. Il Successore di Pietro, ieri, oggi e domani, è infatti sempre chiamato a "confermare i fratelli" in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo.


SULLA MODERNA IDOLATRIA


13. La storia di Israele ci mostra la tentazione dell’incredulità in cui il popolo più volte è caduto. L’opposto della fede appare qui come idolatria. Mentre Mosè parla con Dio sul Sinai, il popolo non sopporta il mistero del volto divino nascosto, non sopporta il tempo dell’attesa. La fede per sua natura chiede di rinunciare al possesso immediato che la visione sembra offrire, è un invito ad aprirsi verso la fonte della luce, rispettando il mistero proprio di un Volto che intende rivelarsi in modo personale e a tempo opportuno. Martin Buber citava questa definizione dell’idolatria offerta dal rabbino di Kock: vi è idolatria « quando un volto si rivolge riverente a un volto che non è un volto ». Invece della fede in Dio si preferisce adorare l’idolo, il cui volto si può fissare, la cui origine è nota perché fatto da noi. Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli « hanno bocca e non parlano » (Sal 115,5). Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani. L’uomo, perso l’orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri; negandosi ad attendere il tempo della promessa, si disintegra nei mille istanti della sua storia. Per questo l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all’altro. L’idolatria non offre un cammino, ma una molteplicità di sentieri, che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto. Chi non vuole affidarsi a Dio deve ascoltare le voci dei tanti idoli che gli gridano: "Affidati a me!". La fede in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale. Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia. La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio. Ecco il paradosso: nel continuo volgersi verso il Signore, l’uomo trova una strada stabile che lo libera dal movimento dispersivo cui lo sottomettono gli idoli.


IL GRANDE OBLIO DEL NOSTRO TEMPO

25. Richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di verità in cui viviamo. Nella cultura contemporanea si tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia: è vero ciò che l’uomo riesce a costruire e misurare con la sua scienza, vero perché funziona, e così rende più comoda e agevole la vita. Questa sembra oggi l’unica verità certa, l’unica condivisibile con altri, l’unica su cui si può discutere e impegnarsi insieme. Dall’altra parte vi sarebbero poi le verità del singolo, che consistono nell’essere autentici davanti a quello che ognuno sente nel suo interno, valide solo per l’individuo e che non possono essere proposte agli altri con la pretesa di servire il bene comune. La verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale, è guardata con sospetto. Non è stata forse questa — ci si domanda — la verità pretesa dai grandi totalitarismi del secolo scorso, una verità che imponeva la propria concezione globale per schiacciare la storia concreta del singolo? Rimane allora solo un relativismo in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più. È logico, in questa prospettiva, che si voglia togliere la connessione della religione con la verità, perché questo nesso sarebbe alla radice del fanatismo, che vuole sopraffare chi non condivide la propria credenza. Possiamo parlare, a questo riguardo, di un grande oblio nel nostro mondo contemporaneo. La domanda sulla verità è, infatti, una questione di memoria, di memoria profonda, perché si rivolge a qualcosa che ci precede e, in questo modo, può riuscire a unirci oltre il nostro "io" piccolo e limitato. È una domanda sull’origine di tutto, alla cui luce si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune.


CERCATORI DI DIO

35. La luce della fede in Gesù illumina anche il cammino di tutti coloro che cercano Dio, e offre il contributo proprio del cristianesimo nel dialogo con i seguaci delle diverse religioni. La Lettera agli Ebrei ci parla della testimonianza dei giusti che, prima dell’Alleanza con Abramo, già cercavano Dio con fede. Di Enoc si dice che « fu dichiarato persona gradita a Dio » (Eb 11,5), cosa impossibile senza la fede, perché chi « si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano » (Eb 11,6). Possiamo così capire che il cammino dell’uomo religioso passa per la confessione di un Dio che si prende cura di lui e che non è impossibile trovare. Quale altra ricompensa potrebbe offrire Dio a coloro che lo cercano, se non lasciarsi incontrare? Prima ancora, troviamo la figura di Abele, di cui pure si loda la fede a causa della quale Dio ha gradito i suoi doni, l’offerta dei primogeniti dei suoi greggi (cfr Eb 11,4). L’uomo religioso cerca di riconoscere i segni di Dio nelle esperienze quotidiane della sua vita, nel ciclo delle stagioni, nella fecondità della terra e in tutto il movimento del cosmo. Dio è luminoso, e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore sincero.  

Immagine di questa ricerca sono i Magi, guidati dalla stella fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Per loro la luce di Dio si è mostrata come cammino, come stella che guida lungo una strada di scoperte. La stella parla così della pazienza di Dio con i nostri occhi, che devono abituarsi al suo splendore. L’uomo religioso è in cammino e deve essere pronto a lasciarsi guidare, a uscire da sé per trovare il Dio che sorprende sempre. Questo rispetto di Dio per gli occhi dell’uomo ci mostra che, quando l’uomo si avvicina a Lui, la luce umana non si dissolve nell’immensità luminosa di Dio, come se fosse una stella inghiottita dall’alba, ma diventa più brillante quanto è più prossima al fuoco originario, come lo specchio che riflette lo splendore. La confessione cristiana di Gesù, unico salvatore, afferma che tutta la luce di Dio si è concentrata in Lui, nella sua "vita luminosa", in cui si svela l’origine e la consumazione della storia. Non c’è nessuna esperienza umana, nessun itinerario dell’uomo verso Dio, che non possa essere accolto, illuminato e purificato da questa luce. Quanto più il cristiano s’immerge nel cerchio aperto dalla luce di Cristo, tanto più è capace di capire e di accompagnare la strada di ogni uomo verso Dio.

Poiché la fede si configura come via, essa riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare. Nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero e si mettono in cammino con quella luce che riescono a cogliere, già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede. Essi cercano di agire come se Dio esistesse, a volte perché riconoscono la sua importanza per trovare orientamenti saldi nella vita comune, oppure perché sperimentano il desiderio di luce in mezzo al buio, ma anche perché, nel percepire quanto è grande e bella la vita, intuiscono che la presenza di Dio la renderebbe ancora più grande. Racconta sant’Ireneo di Lione che Abramo, prima di ascoltare la voce di Dio, già lo cercava « nell’ardente desiderio del suo cuore », e « percorreva tutto il mondo, domandandosi dove fosse Dio », finché « Dio ebbe pietà di colui che, solo, lo cercava nel silenzio ». Chi si mette in cammino per praticare il bene si avvicina già a Dio, è già sorretto dal suo aiuto, perché è proprio della dinamica della luce divina illuminare i nostri occhi quando camminiamo verso la pienezza dell’amore
Magister

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Sintesi ampia dell'Enciclica "Lumen fidei"


Lumen fidei - La luce della fede (LF) è la prima Enciclica firmata da Papa Francesco. Suddivisa in quattro capitoli, più un’introduzione e una conclusione, la Lettera – spiega lo stesso Pontefice – si aggiunge alle Encicliche di Benedetto XVI sulla carità e sulla speranza e assume il “prezioso lavoro” compiuto dal Papa emerito, che aveva già “quasi completato” l’Enciclica sulla fede. A questa “prima stesura” ora il Santo Padre Francesco aggiunge “ulteriori contributi”. 

L’introduzione (n. 1-7) della LF illustra le motivazioni poste alla base del documento: innanzitutto, recuperare il carattere di luce proprio della fede, capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, di aiutarlo a distinguere il bene dal male, in particolare in un’epoca, come quella moderna, in cui il credere si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel vuoto che impedisce la libertà dell’uomo. In secondo luogo, la LF – proprio nell’Anno della fede, a 50 anni dal Concilio Vaticano II, un “Concilio sulla fede” – vuole rinvigorire la percezione dell’ampiezza degli orizzonti che la fede apre per confessarla in unità e integrità. La fede, infatti, non è un presupposto scontato, ma un dono di Dio che va nutrito e rafforzato. “Chi crede, vede”, scrive il Papa, perché la luce della fede viene da Dio ed è capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo: procede dal passato, dalla memoria della vita di Gesù, ma viene anche dal futuro perché ci schiude grandi orizzonti. 

Il primo capitolo (n. 8-22): Abbiamo creduto all’amore (1 Gv 4, 16). Facendo riferimento alla figura biblica di Abramo, in questo capitolo la fede viene spiegata come “ascolto” della Parola di Dio, “chiamata” ad uscire dal proprio io isolato per aprirsi ad una vita nuova e “promessa” del futuro, che rende possibile la continuità del nostro cammino nel tempo, legandosi così strettamente alla speranza. La fede è connotata anche dalla “paternità”, perché il Dio che ci chiama non è un Dio estraneo, ma è Dio Padre, la sorgente di bontà che è all’origine di tutto e che sostiene tutto. Nella storia di Israele, all’opposto della fede c’è l’idolatria, che disperde l’uomo nella molteplicità dei suoi desideri e lo “disintegra nei mille istanti della sua storia”, negandogli di attendere il tempo della promessa. Al contrario, la fede è affidamento all’amore misericordioso di Dio, che sempre accoglie e perdona, che raddrizza “le storture della nostra storia”; è disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio, “è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi a Lui per vedere il luminoso cammino dell’incontro fra Dio e gli uomini, la storia della salvezza” (n.14). E qui sta il “paradosso” della fede: il continuo volgersi al Signore rende stabile l’uomo, allontanandolo dagli idoli. 

La LF si sofferma, poi, sulla figura di Gesù, mediatore che ci apre ad una verità più grande di noi, manifestazione di quell’amore di Dio che è il fondamento della fede: “nella contemplazione della morte di Gesù, infatti, la fede si rafforza”, perché Egli vi rivela il suo amore incrollabile per l’uomo. In quanto risorto, inoltre, Cristo è “testimone affidabile”, “degno di fede”, attraverso il quale Dio opera veramente nella storia e ne determina il destino finale. Ma c’è “un aspetto decisivo” della fede in Gesù: “la partecipazione al suo modo di vedere”. La fede, infatti, non solo guarda a Gesù, ma guarda anche dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi. Usando un’analogia, il Papa spiega che come nella vita quotidiana ci affidiamo a “persone che conoscono le cose meglio di noi” – l’architetto, il farmacista, l’avvocato – così per la fede necessitiamo di qualcuno che sia affidabile ed esperto “nelle cose di Dio” e Gesù è “colui che ci spiega Dio”. Per questo, crediamo a Gesù quando accettiamo la sua Parola, e crediamo in Gesù quando Lo accogliamo nella nostra vita e ci affidiamo a Lui. La sua incarnazione, infatti, fa sì che la fede non ci separi dalla realtà, ma ci aiuti a coglierne il significato più profondo. Grazie alla fede, l’uomo si salva, perché si apre a un Amore che lo precede e lo trasforma dall’interno. E questa è l’azione propria dello Spirito Santo: “Il cristiano può avere gli occhi di Gesù, i suoi sentimenti, la sua disposizione filiale, perché viene reso partecipe del suo Amore, che è lo Spirito” (n. 21). Fuori dalla presenza dello Spirito, è impossibile confessare il Signore. Perciò “l’esistenza credente diventa esistenza ecclesiale”, perché la fede si confessa all’interno del corpo della Chiesa, come “comunione concreta dei credenti”. I cristiani sono “uno” senza perdere la loro individualità e nel servizio agli altri ognuno guadagna il proprio essere. Perciò “la fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva”, ma nasce dall’ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio. 

Il secondo capitolo (n. 23-36): Se non crederete, non comprenderete (Is 7,9). Il Papa dimostra lo stretto legame tra fede e verità, la verità affidabile di Dio, la sua presenza fedele nella storia. “La fede senza verità non salva – scrive il Papa – Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità”. Ed oggi, data “la crisi di verità in cui viviamo”, è più che mai necessario richiamare questo legame, perché la cultura contemporanea tende ad accettare solo la verità della tecnologia, ciò che l’uomo riesce a costruire e misurare con la scienza e che è “vero perché funziona”, oppure le verità del singolo valide solo per l’individuo e non a servizio del bene comune. Oggi si guarda con sospetto alla “verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale”, perché la si associa erroneamente alle verità pretese dai totalitarismi del XX secolo. Ciò comporta però il “grande oblio del mondo contemporaneo” che - a vantaggio del relativismo e temendo il fanatismo - dimentica la domanda sulla verità, sull’origine di tutto, la domanda su Dio. La LF sottolinea, poi, il legame tra fede e amore, inteso non come “un sentimento che va e viene”, ma come il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà. Se, quindi, la fede è legata alla verità e all’amore, allora “amore e verità non si possono separare”, perché solo l’amore vero supera la prova del tempo e diventa fonte di conoscenza. E poiché la conoscenza della fede nasce dall’amore fedele di Dio, “verità e fedeltà vanno insieme”. La verità che ci dischiude la fede è una verità incentrata sull’incontro con Cristo incarnato, il quale, venendo tra noi, ci ha toccato e donato la sua grazia, trasformando il nostro cuore. 

A questo punto, il Papa apre un’ampia riflessione sul “dialogo tra fede e ragione”, sulla verità nel mondo di oggi, in cui essa viene spesso ridotta ad “autenticità soggettiva”, perché la verità comune fa paura, viene identificata con l’imposizione intransigente dei totalitarismi. Invece, se la verità è quella dell’amore di Dio, allora non si impone con la violenza, non schiaccia il singolo. Per questo, la fede non è intransigente, il credente non è arrogante. Al contrario, la verità rende umili e porta alla convivenza ed al rispetto dell’altro. Ne deriva che la fede porta al dialogo in tutti i campi: in quello della scienza, perché risveglia il senso critico e allarga gli orizzonti della ragione, invitando a guardare con meraviglia il Creato; nel confronto interreligioso, in cui il cristianesimo offre il proprio contributo; nel dialogo con i non credenti che non cessano di cercare, i quali “cercano di agire come se Dio esistesse”, perché “Dio è luminoso e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore sincero”. “Chi si mette in cammino per praticare il bene – sottolinea il Papa – si avvicina già a Dio”. Infine, la LF parla della teologia ed afferma che essa è impossibile senza la fede, poiché Dio non ne è un semplice “oggetto”, ma è Soggetto che si fa conoscere. La teologia è partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso; ne consegue che essa deve porsi al servizio della fede dei cristiani e che il Magistero ecclesiale non è un limite alla libertà teologica, bensì un suo elemento costitutivo perché esso assicura il contatto con la fonte originaria, con la Parola di Cristo. 

Il terzo capitolo (n. 37- 49): Vi trasmetto quello che ho ricevuto (1 Cor 15,3). Tutto il capitolo è incentrato sull’importanza dell’evangelizzazione: chi si è aperto all’amore di Dio, non può tenere questo dono per sé, scrive il Papa. La luce di Gesù brilla sul volto dei cristiani e così si diffonde, si trasmette nella forma del contatto, come una fiamma che si accende dall’altra, e passa di generazione in generazione, attraverso la catena ininterrotta dei testimoni della fede. Ciò comporta il legame tra fede e memoria perché l’amore di Dio mantiene uniti tutti i tempi e ci rende contemporanei a Gesù. Inoltre, diventa “impossibile credere da soli”, perché la fede non è “un’opzione individuale”, ma apre l’io al “noi” ed avviene sempre “all’interno della comunione della Chiesa”. Per questo, come nella Trinità, “chi crede non è mai solo”: perché scopre che gli spazi del suo ‘io’ si allargano e generano nuove relazioni che arricchiscono la vita. 
C’è, però, “un mezzo speciale” con cui la fede può trasmettersi: sono i Sacramenti, in cui si comunica “una memoria incarnata”. Il Papa cita innanzitutto il Battesimo – sia dei bambini sia degli adulti, nella forma del catecumenato - che ci ricorda che la fede non è opera dell’individuo isolato, un atto che si può compiere da soli, bensì deve essere ricevuta, in comunione ecclesiale. “Nessuno battezza se stesso”, spiega la LF. Inoltre, poiché il bambino battezzando non può confessare la fede da solo, ma deve essere sostenuto dai genitori e dai padrini, ne deriva “l’importanza della sinergia tra la Chiesa e la famiglia nella trasmissione della fede”. In secondo luogo, l’Enciclica cita l’Eucaristia, “nutrimento prezioso della fede”, “atto di memoria, attualizzazione del mistero” e che “conduce dal mondo visibile verso l’invisibile”, insegnandoci a vedere la profondità del reale. Il Papa ricorda poi la confessione della fede, il Credo, in cui il credente non solo confessa la fede, ma si vede coinvolto nella verità che confessa; la preghiera, il Padre Nostro, con cui il cristiano incomincia a vedere con gli occhi di Cristo; il Decalogo, inteso non come “un insieme di precetti negativi”, ma come “insieme di indicazioni concrete” per entrare in dialogo con Dio, “lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia”, “cammino della gratitudine” verso la pienezza della comunione con Dio. Infine, il Papa sottolinea che la fede è una perché uno è “il Dio conosciuto e confessato”, perché si rivolge all’unico Signore, ci dona “l’unità di visione”, ed “è condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo corpo e un solo Spirito”. Dato, dunque, che la fede è una sola, allora deve essere confessata in tutta la sua purezza e integrità: “l’unità della fede è l’unità della Chiesa”; togliere qualcosa alla fede è togliere qualcosa alla verità della comunione. Inoltre, poiché l’unità della fede è quella di un organismo vivente, essa può assimilare in sé tutto ciò che trova, dimostrando di essere universale, cattolica, capace di illuminare e portare alla sua migliore espressione tutto il cosmo e tutta la storia. Tale unità è garantita dalla successione apostolica. 

Il quarto capitolo (n. 50-60): Dio prepara per loro una città (Eb 11,16) Questo capitolo spiega il legame tra la fede e il bene comune, che porta alla formazione di un luogo in cui l’uomo può abitare insieme agli altri. La fede, che nasce dall’amore di Dio, rende saldi i vincoli fra gli uomini e si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. Ecco perché essa non allontana dal mondo e non è estranea all’impegno concreto dell’uomo contemporaneo. Anzi: senza l’amore affidabile di Dio, l’unità tra gli uomini sarebbe fondata solo sull’utilità, sull’interesse o sulla paura. La fede, invece, coglie il fondamento ultimo dei rapporti umani, il loro destino definitivo in Dio, e li pone a servizio del bene comune. La fede “è un bene per tutti, un bene comune”; non serve a costruire unicamente l’aldilà, ma aiuta a edificare le nostre società, così che camminino verso un futuro di speranza. 

L’Enciclica si sofferma, poi, sugli ambiti illuminati dalla fede: innanzitutto, la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna. Essa nasce dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale e, fondata sull’amore in Cristo, promette “un amore che sia per sempre” e riconosce l’amore creatore che porta a generare figli. Poi, i giovani: qui il Papa cita le Giornate Mondiali della Gioventù, in cui i giovani mostrano “la gioia della fede” e l’impegno a viverla in modo saldo e generoso. “I giovani hanno il desiderio di una vita grande – scrive il Pontefice –. L’incontro con Cristo dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”. E ancora, in tutti i rapporti sociali: rendendoci figli di Dio, infatti, la fede dona un nuovo significato alla fraternità universale tra gli uomini, che non è mera uguaglianza, bensì esperienza della paternità di Dio, comprensione della dignità unica della singola persona. Un ulteriore ambito è quello della natura: la fede ci aiuta a rispettarla, a “trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità o sul profitto, ma che considerino il creato come un dono”; ci insegna ad individuare forme giuste di governo, in cui l’autorità viene da Dio ed è a servizio del bene comune; ci offre la possibilità del perdono che porta a superare i conflitti. “Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno”, scrive il Papa, e se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, perderemo la fiducia tra noi e saremo uniti solo dalla paura. Per questo che non dobbiamo vergognarci di confessare pubblicamente Dio, in quanto la fede illumina il vivere sociale. Altro ambito illuminato dalla fede è quello della sofferenza e della morte: il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare affidamento alle mani di Dio che mai ci abbandona e così essere “tappa di crescita della fede”. All’uomo che soffre Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua presenza che accompagna, che apre un varco di luce nelle tenebre. In questo senso, la fede è congiunta alla speranza. E qui il Papa lancia un appello: “Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino”. 

Conclusione (n. 58-60): Beata colei che ha creduto (Lc 1,45) Alla fine della LF, il Papa invita a guardare a Maria, “icona perfetta” della fede, perché, in quanto Madre di Gesù, ha concepito “fede e gioia”. A Lei innalza la sua preghiera il Pontefice affinché aiuti la fede dell’uomo, ci ricordi che chi crede non è mai solo e ci insegni a guardare con gli occhi di Gesù. 
Radio Vaticana 


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[Text: Italiano, Français, English]
Alle ore 11 di questa mattina nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la conferenza stampa di presentazione dell'Enciclica di Papa Francesco "Lumen fidei". Intervengono: l’Em.mo Card. Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione dei Vescovi; S.E. Mons. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; S.E. Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ne pubblichiamo di seguito gli interventi: (...)