sabato 6 luglio 2013

Lo tsunami antropologico e il verduraio



Come diceva una mia amica qualche giorno fa: “Da noi la legge sui matrimoni gay ancora non c’è, ma è come se ci fosse”. Ed è vero: la pressione mediatica è fortissima: siamo circondati.
Peggio. Siamo letteralmente sovrastati da un battage mediatico che vorrebbe convincerci tutti che in Italia, buoni ultimi, siamo tanto arretrati ma comunque è solo questione di tempo: fra poco, finalmente, l’amore trionferà. Nel senso che anche noi avremo i matrimoni gay.
E poco importa che la Corte Costituzionale abbia stabilito che in Italia per una legge di questo genere è necessario cambiare prima la costituzione. La soluzione è già pronta, ed è la via tedesca: si mette su un’altra cosa, un’altra istituzione – per esempio si fa una legge sulle unioni di fatto – e poi si dice che tutto quello che vale per il matrimonio – diritti, doveri e prerogative – vale anche per questa nuova istituzione.
Semplice, no?
Intanto il mainstream ci propina un ritornello ossessivo che recita così:
1.     Gli omosessuali sono discriminati e comunque a rischio discriminazione. Bisogna fare una legge che punisca severamente chi li vessa e fa loro violenza (e quindi serve una legge sull’omofobia, cioè un nuovo reato, non un’aggravante).
2.     Gli omosessuali sono discriminati perché amano diversamente, bisogna fare una legge che consenta di dire che il loro amore è lo stesso di quello legittimamente ammesso finora, quello fra persone di sesso diverso (e quindi serve una legge che consenta loro di sposarsi, per dimostrare che il loro amore è diverso ma uguale)
3.     Gli omosessuali sono discriminati,  e lo saranno sempre finchè si penserà che il loro amore diverso non sia adatto a crescere bambini (e quindi serve una legge che permetta loro di procurarsene, di bambini, per dimostrare che il loro amore è diverso ma uguale)
Inutile far sommessamente notare che se si istituiscono nuovi reati per discriminazioni e/o violenze contro omosessuali, allora bisognerebbe farlo per esempio anche per discriminazioni e/o violenze contro anziani, disabili e obesi, tanto per fare alcuni esempi. Ci sarà sempre qualcuno discriminato per cui non esiste un reato per chi lo discrimina.
Inutile far sommessamente notare che non è questione di amore – la qual cosa è fatto privato di cui non si sente la necessità che lo stato se ne occupi - ma di istituzione del matrimonio, e di poter far figli naturalmente, e non di procurarsi bambini in altro modo (con improbabili mix di gameti venduti e uteri affittati, per  esempio, profumatamente pagati in cliniche e laboratori di primo, secondo o terzo mondo a seconda delle disponibilità).
Inutile far sommessamente notare che i bambini hanno diritto ad avere padre e madre, possibilmente gli stessi che li hanno generati.
Inutile, perché la tempesta perfetta è arrivata. Ma quel che più preoccupa è la stanca rassegnazione di certi ambienti, specie cattolici, oramai convinti che tutta la partita sia irrimediabilmente perduta, e che dire tutto questo è, appunto, oramai inutile. Ambienti e persone che corrono il rischio di gettare la spugna e interessarsi di altro, in nome di una “testimonianza” tanto nobile negli intenti quanto falsa nella sostanza.
Perché testimonianza non significa vivere facendosi sostanzialmente gli affari propri, evitando accuratamente di giudicare quel che accade e prendere di conseguenza posizione pubblica, con la scusa di “tornare all’essenziale”. Un essenziale inutilmente vissuto nel privato (e quindi chissà quanto essenziale, alla fine).
La testimonianza è quella del verduraio di Vaclav Havel, che inizia a dire la verità, pubblicamente, nella sua vita quotidiana, togliendo dalla vetrina del suo negozio il cartello con su scritto “proletari di tutto il mondo, unitevi!”, sottraendosi cioè al comune obbligo di aderire all’ideologia totalitaria imperante.
Una semplice verità, ma dichiarata, vissuta e “agìta” pubblicamente, rischiando la pelle.
La nostra prima resistenza allo tsunami antropologico che ci sta investendo, e al quale non sappiamo chi sopravviverà, è dire la verità, ma dirla pubblicamente, ognuno là dove è.
Non dobbiamo aspettare che altri la dicano, per incominciare a parlare. Che ognuno cominci a rischiare di suo.
Che i cattolici non aspettino nuove parole dalla Chiesa: il magistero ha già dato tanto, con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che ci hanno lasciato in eredità, per esempio, l’Evangelium Vitae e la formulazione dei principi non negoziabili. Non ci basta?
Che i laici non aspettino nuovi filosofi o intellettuali: le nostre biblioteche abbondano di capolavori di ogni tempo e latitudine che inneggiano alla differenza fra uomini e donne, e al loro matrimonio fecondo.
Che ognuno faccia la sua parte di riconoscimento pubblico della verità. Per esempio, che ognuno di noi è nato da un uomo e da una donna; per esempio che due maschi o da due femmine non possono fare figli, casomai se li possono comprare al nuovo mercato della provetta; per esempio che il matrimonio può essere solo fra un uomo e una donna; per esempio che una legge sull’omofobia, specie in questi tempi, serve solo per imporre il pensiero unico. Per esempio, che essenziale dell’umanità è l’essere sessuata: sia che si pensi che siamo creati da Qualcuno o venuti fuori dal caso, sempre maschi e femmine siamo, in quanto umani, e non omo ed eterosessuali.
Che ognuno di noi sia un verduraio, e tolga dalla vetrina il nuovo cartello del politicamente corretto: “omosessuali di tutto il mondo sposatevi”.
Sarà così che si ritroverà il nuovo popolo resistente. Il nuovo popolo cristiano, insieme a uomini e donne di buona volontà.
Eccoci. Eccomi. Io ci sono. E voi?
"Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni", esclamò Frodo.
"Anch'io", annuì Gandalf " come d'altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato".