martedì 16 luglio 2013

Love is love



«E se Cristo è risorto, vive. E se è vivo, è presente. E se è presente, allora non sono da solo a vivere la mia vita, ma c’è lui a portare la croce insieme a me».
(Andrea Torquato Giovanoli, Nella carne, col sangue)
di Luisella Saro
«Love is love». Slogan all’ultima moda, nell’accezione obamiana, sentimental-zuccherosa, che giustifica e rende lecito ogni desiderio.
Ma sentite un po’ questa storia. Ciascuno pensi quel che vuole, io dico la mia. O «love is love» è questa roba qui: «nella carne, col sangue», o è merce contraffatta, buona per un giro di stagione.
Solo poche righe, nella quarta di copertina, avvicinano al contenuto del libro di cui parlerò. «In questo stralcio di vita narrata l’autore racconta il cammino che lo ha portato dall’incredulità alla fede, attraverso l’esperienza del matrimonio e della paternità, nel dolore per la perdita di tre figli fino al raggiungimento di una profonda consapevolezza: d’essere un uomo comune che si sente speciale perché amato da Dio».
E’ questo che mi ha colpito del libro Nella carne, col sangue, dell’autore milanese Andrea Torquato Giovanoli: tutto, di lui, riassunto in cinque righe. L’esperienza della vita e della morte, della gioia e del dolore; e poi innamoramento e amore, figliolanza e paternità, incredulità e fede… Tutto.
Il libro è così. Un uomo che per 115 pagine apre le porte del cuore e racconta che la vita è cammino, e come e quanto si può imparare dagli ostacoli (ma lo capisci solo dopo: quando cerchi di vedere la trama e l’ordito della tua storia personale e familiare).
Non voglio scendere nei dettagli: il libro si legge d’un fiato, e il lettore si sente di casa da subito. Chi vorrà accostarsi a questo testo (che non è un romanzo, è una testimonianza) incontrerà la storia umanissima del protagonista, che dopo le ritrosie iniziali – che sono le nostre – accetta pian piano il suo essere “creatura”, e cioè costantemente creato. Lascia che sia un Altro a prendere l’iniziativa; solo allora gusta la libertà vera. E scopre che è possibile «non vivere più solo da uomini, schiavi di una contingenza drammatica e priva di senso, ma di vivere già da Dio, sperimentando, nella carne e col sangue, come le situazioni umane normalmente considerate disgraziate possono essere in verità, se vissute alla luce della rivelazione del Dio incarnato, crocifisso e risorto, cagione di quella perfetta letizia di cui parlava San Francesco al suo confratello Leone, accogliendo, con un atto di libera adesione della propria volontà a quella divina, la vera pace del cuore che solo l’Onnipotente può concedere e che consente ai martiri di andare incontro alla morte col sorriso». Questo gli permette di accogliere la vita (e la morte) di tre figli, nella certezza che «il solo esistere è garanzia di essere amati, pensati con cura immensa istante per istante, fin da prima del tempo e con destinazione l’eternità». E ci ricorda che noi genitori siamo solo “procreatori”, perché il Padre è Lui. «Perché io sono chiamato a vivere in comunione con Dio la Sua genitorialità su ogni uomo – scrive – e ciò mi è ultimamente d’opportunità per comprendere appieno la mia figliolanza a Lui».
Altro che “autodeterminazione”! Finito di leggere, si comprende il senso della copertina, disegnata dallo stesso autore. Padre e figlio (ma si scorgono solo le loro braccia) si tengono per mano. Un chiodo trafigge le carni, e le unisce in un legame che è destinato a durare per l’eternità.
Perché è vero: “Love is Love”. Ma solo se Amore ha la lettera maiuscola

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innamorati mano nella mano

Il successo planetario del libro della sociologa israeliana Eva Illouz «Perché l'amore fa soffrire» ha spinto molti altri intellettuali a interrogarsi sulla crisi dell'amore dopo il Sessantotto, e le case editrici ci hanno costruito sopra una piccola industria. Sempre su queste colonne abbiamo parlato dell'intelligente risposta alla Illouz di un filosofo coreano che insegna in Germania, Byung-Chul Han, nel suo libro «Eros in agonia». Non poteva mancare la voce dell'archistar della sociologia, il polacco Zygmunt Bauman, di cui il Mulino ha appena tradotto «Gli usi postmoderni del sesso», mentre in inglese è uscita una nuova edizione del suo classico «Amore liquido».
La nozione di Bauman di «società liquida» fu citata anche da Benedetto XVI. È una società dove non ci sono più relazioni solide, stabili, ma tutto è effimero e tutto si cambia. La maggioranza cambia lavoro, casa, città più e più volte nella vita, e perfino nel calcio i giocatori «bandiera» che passano tutta la carriera nella stessa squadra sono una specie in via di estinzione. Le statistiche ci dicono che in Occidente più della metà delle persone cambia anche marito o moglie, non perché resta vedovo ma perché divorzia. Quanto ai molti che non si sposano - la maggioranza in diversi Paesi - cambiano compagno e compagna ancora più spesso. Anche l'amore è diventato «liquido», sostiene Bauman: «perché dovrei continuare a tenermi lo stesso partner quando ho già cambiato tre telefonini?». «Ciò che prima era considerata eresia del libertinismo, piuttosto che disturbo sessuale o perversione, ora diventa la norma culturale con l'autosufficienza dell'erotismo, ovvero con la libertà di cercare il piacere sessuale fine a se stesso».
Anche Bauman, come Eva Illouz, fa risalire la rivoluzione nei rapporti amorosi al Sessantotto, e in genere agli anni 1960 e al consumismo, cui le ideologie sessantottine hanno fatto un grande favore eliminando i freni morali alla pandemia del consumo. Così il rapporto amoroso diventa «quello tipico fra clienti e servizi, consumatori e merci». Non c'entra la prostituzione ma un modo di vivere le persone e l'amore come viviamo le cose: nessuno, nota Bauman, giura fedeltà all'automobile, al computer o alle azioni che ha comprato in borsa. Questo avviene, naturalmente, perché quello che chiamiamo «amore» si è ridotto al rapporto sessuale. L'amore di per sé non sarebbe «liquido»: richiederebbe per esistere un rapporto permanente e stabile, nella buona e nella cattiva sorte, una disponibilità a vivere insieme anche i momenti difficili e dolorosi. L'amore «liquido», ridotto a soddisfazione sessuale con una spruzzata di sentimento, invece è per sua natura effimero: so che lo cambierò, come l'automobile, quando troverò un modello migliore o quando comincerà a perdere colpi.
Liberazione? Bauman teme di essere accusato di moralismo e, da buon sociologo, non propone giudizi di valore. Fa notare però i costi enormi, a fronte dei presunti benefici, che l'amore «liquido» porta con sé. La Illouz ha ragione, le donne patiscono il nuovo «amore» più degli uomini, ma il femminismo ha creato una certa reciprocità. Posso sentirmi molto libero se posso trattare il partner come un cellulare, da cambiare appena ne trovo uno migliore. Ma so che il partner mi tratta nello stesso modo. Di qui una continua insicurezza, che travolge anche il sesso: se la mia performance non è ottimale, so già che la mia compagna o compagno mi rottamerà e si rivolgerà altrove. Le statistiche sui divorzi mostrano che neppure il matrimonio vince l'insicurezza. Altro che libertà sessuale...
Due postille meritano di essere aggiunte. La prima è che in una recente intervista Bauman ha suggerito che il Sesamo della sicurezza si aprirebbe con la parola magica di un amore fedele, stabile e non legato alla soddisfazione e alla prestazione. Ma dubita che questo sia ancora possibile oggi. La seconda postilla è che in «Amore liquido» Bauman sostiene che, sapendo che il mio partner mi tratta come un oggetto di consumo e potrò essere rottamato in qualunque momento, fino a ieri dovevo guardare in cagnesco come potenziali concorrenti solo le persone del mio stesso sesso. Oggi non è più così: il mio partner è esposto a un bombardamento di messaggi che lo o la persuadono che va sperimentata anche l'omosessualità e tutti diventano dunque mie concorrenti, senza distinzione di sesso. I media ripetono a tutti quello che, parlando di omosessualità, in una famosa intervista il giornalista gay Signorini disse a Berlusconi: «Tu non sai cosa ti perdi». Se poi - lo aggiungo io, non Bauman - dicessi alla persona con cui divido la vita, citandole il Catechismo della Chiesa Cattolica, che le relazioni omosessuali sono oggettivamente disordinate e  il disordine non dà mai la vera felicità, dovrei stare bene attento a no farmi sentire da nessuno. Le leggi sull'omofobia incombono.
Introvigne