martedì 2 luglio 2013

Martedì della XII settimana del Tempo Ordinario


E in questa vita, la tempesta è quasi continua, 
e la vostra barca sempre sul punto di affondare. 
Tuttavia, non dimenticatevi, io sono qui; 
con me, questa barca è insommergibile! 
Diffidate di tutto, e soprattutto di voi stessi, 
però abbiate in me una fiducia totale 
che scacci ogni inquietudine.

Charles de Foucauld

Mt 8, 23-27

In quel tempo, essendo Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.
Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!».
Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?». Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.


Il commento


La vita è una traversata sul mare, immagine della morte. In ebraico "passare"  si dice HBR, da cui deriva “ebreo”, i fratelli maggiori, sul cui “passare” siamo stati innestati: “l’evangelista desidera che risuoni nelle orecchie dei discepoli il nome di “ebreo”. Desidera che i suoi ascoltatori abbiano l’intelligenza dell’indispensabile coesione della loro vita. Essi debbono attraversare fisicamente, concretamente, il mare. Simultaneamente dovranno forgiare la loro tenuta spirituale per andare avanti. Dire spirituale significa dire il loro respiro del vento di Dio. Qui appunto, c’è tutto: il vento, il mare, il pericolo, le onde marine, la tempesta di vento… Allora l’evangelista forma in greco un verbo nuovo, “diegeiro”, per dire svegliare. Impossibile da tradurre letteralmente, questo verbo ha l’accento ebraico di “passare”. Dunque, i discepoli che sono nella barca di Gesù lo svegliano… Lo chiamano…. E quando si sarà “svegliato sarà passato di là”, e tutte le cose si saranno placate, quando ci sarà la calma, l’evento non finirà lì. La “traversata” continuerà con la domanda di Gesù, alla maniera della Torah…”Dove sei?”. Gesù dirà: “Uomini di poca fede, perché avete paura?”, Come dire: “ Ebrei, dove siete? Avete dimenticato di sentire il vostro nome? Avete dimenticato il vostro nome, la vostra vita?” ( M. Vidal, “Un ebreo chiamato Gesù”).

La stessa domanda che oggi prorompe nella nostra vita: “Perché avete paura?”. Perché siamo senza fede? La barca, che è anche la nostra vita, è percorsa da "tempeste violente". In greco si trova “grande sisma”, lo stesso vocabolo usato nei racconti della passione: "Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: « Davvero costui era Figlio di Dio! »" (Mt. 27, 50-54). Le scosse che spesso sconvolgono la nostra vita sono dunque il segno della sua morte; come un orologio, tutte le volte che urtano violentemente il nostro cammino, gli eventi e le persone della nostra storia ci annunciano il suo "compimento". 

Ma noi abbiamo "paura", ci sentiamo "perduti", perché siamo ancora schiavi, viviamo come i pagani preoccupati del domani, della sorte che ci attende. Non abbiamo fede perché non siamo figli. Non siamo fratelli del Figlio che dorme, come un bimbo che riposa divezzato in braccio a sua madre, l’anima placata e acquietata anche nella valle oscura. Pretendiamo e il nostro cuore si leva con superbia dinanzi alla vita. L'orgoglio è sempre il più grande nemico della fede, come la superbia è la madre di ogni concupiscenza. Hanno preso possesso del nostro cuore, proiettandolo in un domani che non ci appartiene, e ci fanno fuggire con disprezzo l’oggi che non sopportiamo. L’oggi dove riposa il Signore. Le onde? I tumulti? Il terremoto? Sono tutti segni del suo amore. Per questo abbiamo bisogno di entrare nella barca come il popolo di Israele ha dovuto camminare nel deserto, per conoscere quello che vi era nel suo cuore e convertirsi, aprendosi alla fede adulta. 

Le lusinghe del demonio, infatti, come le sirene che sussurravano nelle orecchie di Ulisse, ci insinuano istante dopo istante il dubbio figlio della menzogna che ha rapito mente e cuore dei progenitori e di Israele: la morte ci spaventa, "siamo perduti", e Lui dorme. E’ con noi, ma dorme. Quante volte, proprio quando si fa più furioso il vento delle avversità e delle prove, ci sentiamo soli, abbandonati. Siamo nella barca con Lui, andiamo in Chiesa, preghiamo, ma è come se Gesù non ci fosse. Non risponde. Nessuna consolazione. La notte oscura dell’Innominato, le angosce che ci atterriscono. La solitudine. Il nulla. La Croce che tutto relativizza, che sembra togliere ogni speranza. La nostra esperienza di oggi, qualunque sia, il mare o il deserto, l’odore di morte che ci atterrisce. 

E' quando siamo chiamati all’esperienza della notte oscura, descritta magistralmente da San Giovanni della Croce. La notte della mortificazione, della liberazione dai “desideri” e dagli “appetiti”. E’ Lui che ci ha spinti a salire sulla barca, Lui ci ha attirato a sé con il suo amore e la sua misericordia. Ci ha messi in cammino, con noi ha iniziato la traversata. E ora dorme. Come lo Sposo del Cantico dei Cantici, ha bussato alle nostra porta, ci ha fatti alzare nella notte, ma, quando abbiamo aperto, quando abbiamo deciso di convertirci e di accoglierlo, è scomparso, si è nascosto. Ed eccoci nudi come la sposa, destati dal torpore d’una vita assuefatta alla grigia routine d’ogni giorno, obbligati a cercarlo, a svegliarlo, per non morire. Come quando invece di andare da Lazzaro ammalato e in fin di vita, Gesù s’è fermato ancora due giorni dove si trovava, quasi aspettando che l’amico morisse. E quando infatti Lazzaro si “addormenta” Gesù dice ai Suoi discepoli di essere felice per loro di non essere stato dall’amico, “affinchè potessero credere”. 

Come accadde agli apostoli dinanzi alla Croce e alla morte del loro Maestro, spesso dimentichiamo le parole di Gesù che ci hanno annunciato il mistero della sua Pasqua, e, senza memoria, di fronte al mare in tempesta, la vita perde ogni senso. Per questo, al culmine della celebrazione dell'eucaristia, la Chiesa professa la sua fede che vince il mondo: "annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell'attesa della tua venuta". Di fronte al corpo e al sangue del Signore offerti per la salvezza di ogni uomo, come a Gesù che "dorme" nella barca, la Chiesa si stringe sulla roccia nella sua fede millenaria, più forte dei peccati e dell'incredulità: essa sa che proprio il sonno di Gesù è la chiave capace di "spezzare le rocce" che ci tengono imprigionati nella schiavitù del peccato, e "aprire i sepolcri" per farci "risuscitare" nell'amore.  A differenza del mondo che la sfugge e cerca di esorcizzarla in ogni modo, la Chiesa annuncia la morte del suo Signore, perchè, come gli apostoli sulla barca, proprio nel mezzo della tempesta, ha riconosciuto Dio in quell'Uomo adagiato sul legno della Croce.   

La nostra vita è una traversata verso il Cielo, imbarcati nella Chiesa, crocifissi con Cristo in mezzo alle tempeste delle tentazioni, delle sofferenze, dei fallimenti. La nostra vita “passa”, attraversa questo mondo a cui non apparteniamo e per il quale siamo stranieri e pellegrini, nella certezza della sua resurrezione che ci fa attendere il suo ritorno. Lo abbiamo visto "levarsi" vittorioso sulla natura ferita dal peccato, sulle malattie e i rovesci economici, quando il matrimonio faceva acqua e non sapevamo come rimetterlo in rotta, quando i giudizi e le invidie ci impedivano di avvicinarci al fratello, lasciandoci impauriti come Giacobbe davanti a Esaù. Siamo passati nella notte dell'angoscia per quello che sarebbe capitato, per le parole che ci saremmo detti, per le sofferenze che si sarebbero aggiunte. Ci siamo immersi nel guado dello Jabbok, "avvicinandoci" a Dio e lottando con Lui per "svegliarlo", affinché la morte non ci ghermisse; nella notte di ogni speranza abbiamo sperimentato la nostra debolezza; e, all'alba, siamo risorti nella benedizione di un nome nuovo, di una vita nuova appoggiata al suo potere: proprio la ferita infertaci dal Signore ci ha spalancato la porta del sepolcro, ed era il segno della sua Croce, la sua morte che ci ha accolto per fiaccare e vincere l'orgoglio antico e figlio del principe di questo mondo. Senza la notte non si può attendere l'alba, perché il peccato ha stordito la nostra anima e solo uno schiaffo ben assestato e un'ondata d'acqua fredda può risvegliarla alla fede, alla speranza e alla carità.  

Per questo le parole che Gesù usa per placare il mare sono le stesse impiegate nei racconti degli esorcismi, e, nella versione greca della Settanta, coincidono con quelle di Yahwé che, con l’onnipotenza della sua parola, prosciuga le acque del Mar Rosso (Cfr. Nota a Mt. 8, 26 de “La Bibbia. Nuovissima Versione dai Testi Originali”). Ogni giorno, di fronte alla tempesta, siamo chiamati a scendere al fondo di noi stessi dove incontrare la nostra morte, sino all’ultimo gradino della piscina battesimale; e qui annegare l’uomo vecchio nella morte di Cristo, addormentandoci con Lui per risorgere con Lui. Questa è la fede, quella che si nutre di mortificazioni, che circoncide il cuore e la mente, che taglia le membra di scandalo: la fede adulta gestata nella notte oscura, dove sono crocifissi carne e mondo. La fede battesimale per donarci la quale il Signore si è addormentato nel sepolcro dei nostri peccati per fare della barca che ci accoglie il luogo dove possiamo addormentiamoci con Lui, segno autentico e credibile della sua vittoria per il mondo e chi ci è accanto.