mercoledì 24 luglio 2013

Papa Francesco e i lebbrosi




Hospital São Francisco de Assis. Papa Francesco incontra un gruppo di ricoverati: "Abbiamo tutti bisogno di guardare l’altro con gli occhi di amore di Cristo, imparare ad abbracciare chi è nel bisogno, per esprimere vicinanza, affetto, amore"

[Text: Italiano, Português, Français, English, Español]
- "Ma abbracciare non è sufficiente. Tendiamo la mano a chi è in difficoltà, a chi è caduto nel buio della dipendenza, magari senza sapere come, e diciamogli: Puoi rialzarti, puoi risalire, è faticoso, ma è possibile se tu lo vuoi".
- "E vorrei ripetere a tutti voi che lottate contro la dipendenza chimica, a voi familiari che avete un compito non sempre facile: la Chiesa non è lontana dalle vostre fatiche, ma vi accompagna con affetto. Il Signore vi è vicino e vi tiene per mano".

Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio.
Caro Arcivescovo di Rio de Janeiro
e cari Fratelli nell'Episcopato,
Onorevoli Autorità,
Cari membri del Venerabile Terzo Ordine di San Francesco della Penitenza,
Cari medici, infermieri e altri operatori sanitari,
Cari giovani e familiari!
Buona sera!
Dio ha voluto che i miei passi, dopo il Santuario di Nostra Signora di Aparecida, si incamminassero verso un particolare santuario della sofferenza umana qual è l'Ospedale San Francesco di Assisi.
E’ ben nota la conversione del vostro Santo Patrono: il giovane Francesco abbandona ricchezze e comodità del mondo per farsi povero tra i poveri, capisce che non sono le cose, l’avere, gli idoli del mondo ad essere la vera ricchezza e a dare la vera gioia, ma è il seguire Cristo e il servire gli altri; ma forse è meno conosciuto il momento in cui tutto questo è diventato concreto nella sua vita: è quando ha abbracciato un lebbroso. Quel fratello sofferente, emarginato è stato «mediatore di luce [...] per San Francesco d'Assisi» (Lett. enc. Lumen fidei, 57), perché in ogni fratello e sorella in difficoltà noi abbracciamo la carne sofferente di Cristo. Oggi, in questo luogo di lotta contro la dipendenza chimica, vorrei abbracciare ciascuno e ciascuna di voi, voi che siete la carne di Cristo, e chiedere che Dio riempia di senso e di ferma speranza il vostro cammino, e anche il mio.
Abbracciare. Abbiamo tutti bisogno di imparare ad abbracciare chi è nel bisogno, come san Francesco. Ci sono tante situazioni in Brasile, nel mondo, che chiedono attenzione, cura, amore, come la lotta contro la dipendenza chimica. Spesso, invece, nelle nostre società ciò che prevale è l’egoismo. Quanti “mercanti di morte” che seguono la logica del potere e del denaro ad ogni costo! La piaga del narcotraffico, che favorisce la violenza e semina dolore e morte, richiede un atto di coraggio di tutta la società. Non è con la liberalizzazione dell'uso delle droghe, come si sta discutendo in varie parti dell’America Latina, che si potrà ridurre la diffusione e l’influenza della dipendenza chimica. E’ necessario affrontare i problemi che sono alla base del loro uso, promuovendo una maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita comune, accompagnando chi è in difficoltà e donando speranza nel futuro. Abbiamo tutti bisogno di guardare l’altro con gli occhi di amore di Cristo, imparare ad abbracciare chi è nel bisogno, per esprimere vicinanza, affetto, amore.
Ma abbracciare non è sufficiente. Tendiamo la mano a chi è in difficoltà, a chi è caduto nel buio della dipendenza, magari senza sapere come, e diciamogli: Puoi rialzarti, puoi risalire, è faticoso, ma è possibile se tu lo vuoi. Cari amici, vorrei dire a ciascuno di voi, ma soprattutto a tanti altri che non hanno avuto il coraggio di intraprendere il vostro cammino: Sei protagonista della salita; questa è la condizione indispensabile! Troverai la mano tesa di chi ti vuole aiutare, ma nessuno può fare la salita al tuo posto. Ma non siete mai soli! La Chiesa e tante persone vi sono vicine. Guardate con fiducia davanti a voi, la vostra è una traversata lunga e faticosa, ma guardate avanti, c’è «un futuro certo, che si colloca in una prospettiva diversa rispetto alle proposte illusorie degli idoli del mondo, ma che dona nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano» (Lett. enc. Lumen fidei, 57).  A tutti voi vorrei ripetere: non lasciatevi rubare la speranza! Ma vorrei dire anche: non rubiamo la speranza, anzi diventiamo tutti portatori di speranza!
Nel Vangelo leggiamo la parabola del Buon Samaritano, che parla di un uomo assalito dai briganti e lasciato quasi morto ai bordi della strada. La gente passa, guarda e non si ferma, continua indifferente il cammino: non è affare suo! (...) Solo un samaritano, uno sconosciuto, vede, si ferma, lo solleva, gli tende la mano e lo cura (cfr Lc 10, 29-35). Cari amici, credo che qui, in questo Ospedale,  si faccia concreta la parabola del Buon Samaritano. Qui non c’è l’indifferenza, ma l’attenzione, non c’è il disinteresse, ma l’amore. L'Associazione San Francesco e la Rete di Trattamento della Dipendenza Chimica insegnano a chinarsi su chi è in difficoltà perché in lui vede il volto di Cristo, perché in lui è la carne di Cristo che soffre. Grazie a tutto il personale del servizio medico e ausiliare qui impegnato; il vostro servizio è prezioso, fatelo sempre con amore; è un servizio fatto a Cristo presente nei fratelli: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40), ci dice Gesù.
E vorrei ripetere a tutti voi che lottate contro la dipendenza chimica, a voi familiari che avete un compito non sempre facile: la Chiesa non è lontana dalle vostre fatiche, ma vi accompagna con affetto. Il Signore vi è vicino e vi tiene per mano. Guardate a Lui nei momenti più duri e vi darà consolazione e speranza. E confidate anche nell’amore materno di Maria sua Madre. Questa mattina, al Santuario di Aparecida, ho affidato ciascuno di voi al suo cuore. Dove c’è una croce da portare, lì accanto a noi c’è sempre Lei, la Madre. Vi lascio nelle sue mani, mentre con affetto benedico tutti. Grazie!

*

Rio de Janeiro - 24.07.2013. Ospedale "São Francisco de Assis na Providência" Saluto dell’Arcivescovo di Rio de Janeiro, Dom Orani João Tempesta   

Santità, caro Papa Francesco,
Amati fratelli nell’Episcopato,
Stimati dipendenti dell’Ospedale São Francisco e professionisti che qui lavorate, 

carissimi membri della famiglia francescana qui presenti, 
Autorità civili e militari,
Santo Popolo di Dio!
“Illuminate da Cristo, la sofferenza, l’ingiustizia e la croce ci sfidano a vivere come Chiesa samaritana” (cfr. Lc10, 25-37), ricordando che “l’evangelizzazione va sempre unita alla promozione umana e all’autentica liberazione cristiana” (Documento di Aparecida, n. 26).
Queste parole del Documento di Aparecida diventano realtà nelle attività quotidiane di questo ospedale, che è indubbiamente un’opera di misericordia e di promozione della dignità di ogni donna e di ogni uomo.

La provvidenza di Dio ha voluto, Santità, che il suo primo impegno con il popolo delle GMG qui a Rio de Janeiro fosse quello di benedire un’attività di accoglienza e di recupero di giovani tossicodipendenti, che sarà un segno dei frutti dell’evangelizzazione e dell’amore per i fratelli e le sorelle che soffrono.
Qui si concentrano varie attività di prevenzione, recupero e reinserimento dei tossicodipendenti. Sono molte le iniziative che vi si realizzano, ricordando l’impegno della madre Chiesa verso i suoi figli che soffrono. Il nostro Vicariato per la Carità Sociale e la comunità religiosa di questo ospedale si sono riuniti con tutti i gruppi che si dedicano al recupero per organizzare un lavoro in rete, dove ci si possa avvalere dei doni di ogni persona.
In questo luogo di costante testimonianza del Vangelo attraverso la traduzione della fede in opere, ho l’immensa gioia di accogliere Vostra Santità per l’inaugurazione del Polo di Attenzione Integrale alla Salute Mentale, PAI, come noi lo chiamiamo. Questo centro può assistere settanta tossicodipendenti nelle fasi critiche. Dovrà diventare un punto di riferimento e di tirocinio. È un aiuto in più nel campo del recupero.
Come il nostro Padre misericordioso, questo spazio vuole accogliere quanti hanno bisogno di attenzione e di cure speciali dopo aver sprecato la propria giovinezza in gioie poi diventate delusioni. Vuole essere un sostegno per le tante iniziative esistenti. La realtà delle droghe ferisce migliaia di giovani, quindi sappiamo che questo lavoro è solo una goccia nell’oceano.
Alle comunità religiose e a tutti i professionisti che si trovano qui, che qui lavorano, ai rappresentanti delle diverse strutture di recupero, della pastorale della sobrietà e di tante iniziative: grazie perché accogliete Cristo sofferente in ognuno di questi giovani, grazie perché siete, per loro, il riflesso dell’amore paterno e materno di Dio per ognuno di noi. Possa l’ospedale São Francisco rinnovare la sua dedizione e la sua abnegazione per trovare la gioia perfetta nel servizio quotidiano!
Tutti sappiamo quanto è importante offrire ai giovani un’eredità sociale della Giornata Mondiale della Gioventù.
È un frutto che esisteva già e che ora, con il lavoro in rete, sarà ancora più fecondo. Questa eredità, che ha potuto contare sulla collaborazione della Conferenza episcopale italiana e che potrà avvalersi della cooperazione governativa per il suo funzionamento, resterà come un segnale per il futuro. È così ancora più evidente che i principali frutti della Giornata sono quelli nati nel cuore di ogni giovane, toccato dall’incontro personale con Cristo, che rivoluziona il suo modo di affrontare la vita, di relazionarsi con Dio, con se stesso e con gli altri. Preghiamo per tutte le migliaia di giovani qui presenti in questi giorni, affinché questo incontro personale con Cristo insieme a lei, Santità, possa avere un riflesso sul bene di tutta la società.
Papa Francesco, so che il suo cuore è rivolto ai più bisognosi e qui ci sono gruppi, pastorali, enti, persone, centri di recupero, un ospedale, che si sono uniti per dedicarsi insieme al recupero dei tossicodipendenti, con la specificità cristiana che tutto fa a motivo della sua fede in Cristo Gesù. Nel contemplare i diversi volti delle persone sofferenti, il discepolo missionario scorge in ognuno il volto del suo Signore (cfr. Documento di Aparecida, nn. 32, 65 e 402). È un bel segnale che la GMG di Rio de Janeiro lascerà ai posteri.
Santità, invoco la sua benedizione per questa opera, per questi fratelli che qui lavorano e per quanti verranno recuperati attraverso questa rete. Al Signore, nostro Dio, ogni gloria perché ci ha permesso di giungere fin qui e ci sostiene per il futuro!

*

PORTOGHESE
Senhor Arcebispo do Rio de Janeiro,
Amados Irmãos no Episcopado
Distintas Autoridades,
Queridos membros da Venerável Ordem Terceira de São Francisco da Penitência,
Prezado médicos, enfermeiros e demais profissionais de saúde,
Amados jovens e familiares!
Quis Deus que meus passos, depois do Santuário de Nossa Senhora Aparecida, se dirigissem para um particular santuário do sofrimento humano, que é o Hospital São Francisco de Assis. É bem conhecida a conversão do Santo Patrono de vocês: o jovem Francisco abandona riquezas e comodidades do mundo para fazer-se pobre no meio dos pobres, entende que não são as coisas, o ter, os ídolos do mundo a verdadeira riqueza e que estes não dão a verdadeira alegria, mas sim seguir a Cristo e servir aos demais; mas talvez seja menos conhecido o momento em que tudo isto se tornou concreto na sua vida: foi quando abraçou um leproso. Aquele irmão sofredor foi «mediador de luz (…) para São Francisco de Assis» (Carta enc. Lumen fidei, 57), porque, em cada irmão e irmã em dificuldade, nós abraçamos a carne sofredora de Cristo. Hoje, neste lugar de luta contra a dependência química, quero abraçar a cada um e cada uma de vocês - vocês que são a carne de Cristo – e pedir a Deus que encha de sentido e de esperança segura o caminho de vocês e também o meu.
Abraçar. Precisamos todos de aprender a abraçar quem passa necessidade, como São Francisco. Há tantas situações no Brasil e no mundo que reclamam atenção, cuidado, amor, como a luta contra a dependência química. Frequentemente, porém, nas nossas sociedades, o que prevalece é o egoísmo. São tantos os “mercadores de morte” que seguem a lógica do poder e do dinheiro a todo o custo! A chaga do tráfico de drogas, que favorece a violência e que semeia a dor e a morte, exige da inteira sociedade um ato de coragem. Não é deixando livre o uso das drogas, como se discute em várias partes da América Latina, que se conseguirá reduzir a difusão e a influência da dependência química. É necessário enfrentar os problemas que estão na raiz do uso das drogas, promovendo uma maior justiça, educando os jovens para os valores que constroem a vida comum, acompanhando quem está em dificuldade e dando esperança no futuro. Precisamos todos de olhar o outro com os olhos de amor de Cristo, aprender a abraçar quem passa necessidade, para expressar solidariedade, afeto e amor.
Mas abraçar não é suficiente. Estendamos a mão a quem vive em dificuldade, a quem caiu na escuridão da dependência, talvez sem saber como, e digamos-lhe: Você pode se levantar, pode subir; é exigente, mas é possível se você o quiser. Queridos amigos, queria dizer a cada um de vocês, mas sobretudo a tantas outras pessoas que ainda não tiveram a coragem de empreender o mesmo caminho de vocês: Você é o protagonista da subida; esta é a condição imprescindível! Você encontrará a mão estendida de quem quer lhe ajudar, mas ninguém pode fazer a subida no seu lugar. Mas vocês nunca estão sozinhos! A Igreja e muitas pessoas estão solidárias com vocês. Olhem para frente com confiança; a travessia é longa e cansativa, mas olhem para frente, existe «um futuro certo, que se coloca numa perspectiva diferente relativamente às propostas ilusórias dos ídolos do mundo, mas que dá novo impulso e nova força à vida de todos os dias» (Carta Encícl. Lumen fidei, 57). A vocês todos quero repetir: Não deixem que lhes roubem a esperança! Mas digo também: Não roubemos a esperança, pelo contrário, tornemo-nos todos portadores de esperança!
No Evangelho, lemos a parábola do Bom Samaritano, que fala de um homem atacado por assaltantes e deixado quase morto ao lado da estrada. As pessoas passam, olham, mas não param; indiferentes seguem o seu caminho: não é problema delas! Somente um samaritano, um desconhecido, olha, para, levanta-o, estende-lhe a mão e cuida dele (cf. Lc 10, 29-35). Queridos amigos, penso que aqui, neste Hospital, se concretiza a parábola do Bom Samaritano. Aqui não há indiferença, mas solicitude. Não há desinteresse, mas amor. A Associação São Francisco e a Rede de Tratamento da Dependência Química ensinam a se debruçar sobre quem passa por dificuldades porque veem nestas pessoas a face de Cristo, porque nelas está a carne de Cristo que sofre. Obrigado a todo pessoal do serviço médico e auxiliar aqui empenhado! O serviço de vocês é precioso! Realizem-no sempre com amor; é um serviço feito a Cristo presente nos irmãos: «Todas as vezes que fizestes isso a um destes mais pequenos, que são meus irmãos, foi a mim que o fizestes» (Mt 25, 40), diz-nos Jesus.
E quero repetir a todos vocês que lutam contra a dependência química, a vocês familiares que têm uma tarefa que nem sempre é fácil: a Igreja não está longe dos esforços que vocês fazem, Ela lhes acompanha com carinho. O Senhor está ao lado de vocês e lhes conduz pela mão. Olhem para Ele nos momentos mais duros e Ele lhes dará consolação e esperança. E confiem também no amor materno de Maria, sua Mãe. Esta manhã, no Santuário da Aparecida, confiei cada um de vocês ao seu coração. Onde tivermos uma cruz para carregar, ao nosso lado sempre está Ela, nossa Mãe. Deixo-lhes em suas mãos, enquanto, afetuosamente, a todos abençôo.
FRANCESE
Cher Archevêque de Rio de Janeiro, et chers frères dans l’Épiscopat,
Autorités présentes,
Chers membres du Vénérable Tiers Ordre de saint François de la Pénitence,
Chers médecins, infirmiers et autres agents de santé,
Chers jeunes et chers proches,
Dieu a voulu que mes pas, après le Sanctuaire de Nossa Senhra Aparecida, me conduisent à ce sanctuaire particulier de la souffrance humaine qu’est l’Hôpital saint François d’Assise. La conversion de votre saint Patron est bien connue : le jeune François abandonne richesses et confort du monde pour se faire pauvre parmi les pauvres ; il comprend que ce ne sont pas les choses, l’avoir, les idoles du monde qui sont la vraie richesse et qui donnent la vraie joie, mais le fait de suivre le Christ et de servir les autres. Peut-être le moment où tout cela devient concret dans sa vie est moins connu : quand il embrasse un lépreux. Ce frère souffrant, exclu, a été « médiateur de la lumière (…) pour saint François d’Assise » (Lettre enc. Lumen fidei, n. 57), parce que, en chaque frère et sœur en difficulté, nous embrassons la chair souffrante du Christ. Aujourd’hui, en ce lieu de lutte contre la dépendance chimique, je voudrais embrasser chacun et chacune d’entre vous, vous qui êtes la chair du Christ, et demander que Dieu remplisse de sens et de ferme espérance votre chemin, et aussi le mien.
Embrasser. Nous avons tous besoin d’apprendre à embrasser celui qui est dans le besoin, comme saint François. Il y a tant de situations au Brésil, et dans le monde, qui demandent attention, soin, amour, comme la lutte contre la dépendance chimique. Souvent, en revanche, dans nos sociétés prévaut l’égoïsme. Combien de « marchands de mort » suivent la logique du pouvoir et de l’argent à n’importe quel prix ! La plaie du narcotrafic, qui favorise la violence et sème douleur et mort, requiert un acte de courage de toute la société. Ce n’est pas avec la libéralisation de l’usage des drogues, comme on en discute en divers lieux d’Amérique Latine, que l’on pourra réduire la diffusion et l’influence de la dépendance chimique. Il est nécessaire d’affronter les problèmes qui sont à la base de leur utilisation, en promouvant une plus grande justice, en éduquant les jeunes aux valeurs qui construisent la vie commune, en accompagnant celui qui est en difficulté, et en donnant espérance dans l’avenir. Nous avons tous besoin de regarder l’autre avec le regard d’amour du Christ, d’apprendre à embrasser celui qui est dans le besoin, afin de lui exprimer proximité, affection, amour.
Mais embrasser n’est pas suffisant. Tendons la main à celui qui est en difficulté, à celui qui est tombé dans l’obscurité de la dépendance, peut-être sans savoir comment, et disons-lui : tu peux te relever, tu peux refaire surface, cela demande un effort, mais c’est possible si tu le veux. Chers amis, je voudrais dire à chacun d’entre vous, mais surtout à tant d’autres qui n’ont pas eu le courage d’entreprendre votre cheminement : tu as le premier rôle dans ton relèvement ; voilà la condition indispensable ! Tu trouveras la main tendue de qui voudra bien t’aider, mais personne ne peut remonter à ta place. Mais vous n’êtes jamais seuls ! L’Église et beaucoup de personnes vous sont proches. Regardez avec confiance devant vous. Votre trajet est long et pénible, mais regardez devant, il y a « un avenir certain, qui se situe dans une perspective différente des propositions illusoires des idoles du monde, mais qui donne un nouvel élan et de nouvelles forces à la vie quotidienne » (Lettre enc. Lumen fidei, n. 57). À vous tous je voudrais redire : ne vous laissez pas voler l’espérance ! Mais je voudrais dire aussi : ne volons pas l’espérance, mais devenons tous des porteurs d’espérance !
Dans l’Évangile nous lisons la parabole du Bon Samaritain qui parle d’un homme assailli par des brigands et laissé comme mort sur le bord de la route. Les gens passent, regardent et ne s’arrêtent pas, ils continuent, indifférents, leur route : ce n’est pas leur affaire ! Seul un samaritain, un inconnu, le voit, s’arrête, le soulage, lui tend la main et le soigne (Cf. Lc 10, 29-35). Chers amis, je crois qu’ici, dans cet hôpital, la parabole du Bon Samaritain se fait concrète. Ici, ce n’est pas l’indifférence, mais l’attention ; ce n’est pas le désintérêt, mais l’amour. L’Association saint François et le Réseau de traitement de la dépendance chimique enseignent à se pencher sur celui qui est en difficulté parce qu’il voit en lui le visage du Christ, parce qu’en lui c’est la chair du Christ qui souffre. Merci à tout le personnel de service médical et auxiliaire qui travaille ici ; votre service est précieux, faites-le toujours avec amour ; c’est un service rendu au Christ présent dans les frères : « chaque fois que vous l’avez fait à l’un de ces petits qui sont mes frères, c’est à moi que vous l’avez fait » (Mt 25, 40), nous dit Jésus.
Et je voudrais redire à vous tous qui luttez contre la dépendance chimique, à vous proches qui avez une tâche pas toujours facile : l’Église n’est pas loin de vos peines, mais elle vous accompagne avec affection. Le Seigneur est proche et vous tient par la main. Regardez–le dans les moments plus difficiles et il vous donnera consolation et espérance. Remettez-vous à l’amour maternel de Marie, sa Mère. Ce matin, au sanctuaire d’Aparecida, j’ai confié chacun de vous à son cœur. Là où il y a une croix à porter, là, tout près de nous, il y a toujours Marie, notre Mère. Vous laissant entre ses mains, avec affection je vous bénis tous.
INGLESE
Dear Archbishop Tempesta, brother Bishops,
Distinguished Authorities,
Members of the Venerable Third Order of Saint Francis of Penance,
Doctors, Nurses, and Health Care Workers,
Dear Young People and Family Members,
God has willed that my journey, after the Shrine of Our Lady of Aparecida, should take me to a particular shrine of human suffering – the Saint Francis of Assisi Hospital.  The conversion of your patron saint is well known: the young Francis abandoned the riches and comfort of the world in order to become a poor man among the poor.  He understood that true joy and riches do not come from the idols of this world – material things and the possession of them – but are to be found only in following Christ and serving others.  Less well known, perhaps, is the moment when this understanding took concrete form in his own life.  It was when Francis embraced a leper.  This brother, suffering and an outcast, was the “mediator of light ... for Saint Francis of Assisi” (Lumen Fidei, 57), because in every suffering brother and sister that we embrace, we embrace the suffering Body of Christ.  Today, in this place where people struggle with drug addiction, I wish to embrace each and every one of you, who are the flesh of Christ, and to ask God to renew your journey, and also mine, with purpose and steadfast hope.
To embrace – we all have to learn to embrace the one in need, as Saint Francis did.  There are so many situations in Brazil, and throughout the world, that require attention, care and love, like the fight against chemical dependency.  Often, instead, it is selfishness that prevails in our society.  How many “dealers of death” there are that follow the logic of power and money at any cost!  The scourge of drug-trafficking, that favours violence and sows the seeds of suffering and death, requires of society as a whole an act of courage.  A reduction in the spread and influence of drug addiction will not be achieved by a liberalization of drug use, as is currently being proposed in various parts of Latin America.  Rather, it is necessary to confront the problems underlying the use of these drugs, by promoting greater justice, educating young people in the values that build up life in society, accompanying those in difficulty and giving them hope for the future.  We all need to look upon one another with the loving eyes of Christ, and to learn to embrace those in need, in order to show our closeness, affection and love.
To embrace someone is not enough, however.  We must hold the hand of the one in need, of the one who has fallen into the darkness of dependency perhaps without even knowing how, and we must say to him or her:  You can get up, you can stand up.  It is difficult, but it is possible if you want to.  Dear friends, I wish to say to each of you, but especially to all those others who have not had the courage to embark on our journey: You have to want to stand up; this is the indispensible condition!  You will find an outstretched hand ready to help you, but no one is able to stand up in your place.  But you are never alone!  The Church and so many people are close to you.  Look ahead with confidence.  Yours is a long and difficult journey, but look ahead, there is “a sure future, set against a different horizon with regard to the illusory enticements of the idols of this world, yet granting new momentum and strength to our daily lives” (Lumen Fidei, 57).  To all of you, I repeat: Do not let yourselves be robbed of hope!  And not only that, but I say to us all: let us not rob others of hope, let us become bearers of hope!
In the Gospel, we read the parable of the Good Samaritan, that speaks of a man assaulted by robbers and left half dead at the side of the road.  People pass by him and look at him.  But they do not stop, they just continue on their journey, indifferent to him: it is none of their business!  Only a Samaritan, a stranger, sees him, stops, lifts him up, takes him by the hand, and cares for him (cf. Lk 10:29-35).  Dear friends, I believe that here, in this hospital, the parable of the Good Samaritan is made tangible.  Here there is no indifference, but concern.  There is no apathy, but love.  The Saint Francis Association and the Network for the Treatment of Drug Addiction show how to reach out to those in difficulty because in them we see the face of Christ, because in these persons, the flesh of Christ suffers.  Thanks are due to all the medical professionals and their associates who work here.  Your service is precious; undertake it always with love.  It is a service given to Christ present in our brothers and sisters.  As Jesus says to us: “As you did it to one of the least of these my brethren, you did it to me” (Mt 25:40).    
And I wish to repeat to all of you who struggle against drug addiction, and to those family members who share in your difficulties: the Church is not distant from your troubles, but accompanies you with affection.  The Lord is near you and he takes you by the hand.  Look to him in your most difficult moments and he will give you consolation and hope.  And trust in the maternal love of his Mother Mary.  This morning, in the Shrine of Aparecida, I entrusted each of you to her heart.  Where there is a cross to carry, she, our Mother, is always there with us.  I leave you in her hands, while with great affection I bless all of you.
SPAGNOLO
Querido Arzobispo de Rio de Janeiro
y queridos hermanos en el episcopado;
Honorables Autoridades,
Estimados miembros de la Venerable Orden Tercera de San Francisco de la Penitencia,
Queridos médicos, enfermeros y demás agentes sanitarios,
Queridos jóvenes y familiares
Dios ha querido que, después del Santuario de Nuestra Señora de Aparecida, mis pasos se encaminaran hacia un santuario particular del sufrimiento humano, como es el Hospital San Francisco de Asís. Es bien conocida la conversión de su santo Patrón: el joven Francisco abandona las riquezas y comodidades del mundo para hacerse pobre entre los pobres; se da cuenta de que la verdadera riqueza y lo que da la auténtica alegría no son las cosas, el tener, los ídolos del mundo, sino el seguir a Cristo y servir a los demás; pero quizás es menos conocido el momento en que todo esto se hizo concreto en su vida: fue cuando abrazó a un leproso. Aquel hermano que sufría, marginado, era «mediador de la luz (...) para san Francisco de Asís» (cf. Carta enc. Lumen fidei, 57), porque en cada hermano y hermana en dificultad abrazamos la carne de Cristo que sufre. Hoy, en este lugar de lucha contra la dependencia química, quisiera abrazar a cada uno y cada una de ustedes que son la carne de Cristo, y pedir que Dios colme de sentido y firme esperanza su camino, y también el mío.
Abrazar. Todos hemos de aprender a abrazar a los necesitados, como San Francisco. Hay muchas situaciones en Brasil, en el mundo, que necesitan atención, cuidado, amor, como la lucha contra la dependencia química. Sin embargo, lo que prevalece con frecuencia en nuestra sociedad es el egoísmo. ¡Cuántos «mercaderes de muerte» que siguen la lógica del poder y el dinero a toda costa! La plaga del narcotráfico, que favorece la violencia y siembra dolor y muerte, requiere un acto de valor de toda la sociedad. No es la liberalización del consumo de drogas, como se está discutiendo en varias partes de América Latina, lo que podrá reducir la propagación y la influencia de la dependencia química. Es preciso afrontar los problemas que están a la base de su uso, promoviendo una mayor justicia, educando a los jóvenes en los valores que construyen la vida común, acompañando a los necesitados y dando esperanza en el futuro. Todos tenemos necesidad  de mirar al otro con los ojos de amor de Cristo, aprender a abrazar a aquellos que están en necesidad, para expresar cercanía, afecto, amor.
Pero abrazar no es suficiente. Tendamos la mano a quien se encuentra en dificultad,  al que ha caído en el abismo de la dependencia, tal vez sin saber cómo, y decirle: «Puedes levantarte, puedes remontar; te costará, pero puedes conseguirlo si de verdad lo quieres».
Queridos amigos, yo diría a cada uno de ustedes, pero especialmente a tantos otros que no han tenido el valor de emprender el mismo camino: «Tú eres el protagonista de la subida, ésta es la condición indispensable. Encontrarás la mano tendida de quien te quiere ayudar, pero nadie puede subir por ti». Pero nunca están solos. La Iglesia y muchas personas están con ustedes. Miren con confianza hacia delante, su travesía es larga y fatigosa, pero miren adelante, hay «un futuro cierto, que se sitúa en una perspectiva diversa de las propuestas ilusorias de los ídolos del mundo, pero que da un impulso y una fuerza nueva para vivir cada día» (Carta enc. Lumen fidei, 57). Quisiera repetirles a todos ustedes: No se dejen robar la esperanza. Pero también quiero decir: No robemos la esperanza, más aún, hagámonos todos portadores de esperanza.
En el Evangelio leemos la parábola del Buen Samaritano, que habla de un hombre asaltado por bandidos y abandonado medio muerto al borde del camino. La gente pasa, mira y no se para, continúa indiferente el camino: no es asunto suyo. Sólo un samaritano, un desconocido, ve, se detiene, lo levanta, le tiende la mano y lo cura (cf. Lc 10, 29-35). Queridos amigos, creo que aquí, en este hospital, se hace concreta la parábola del Buen Samaritano. Aquí no existe indiferencia, sino atención, no hay desinterés, sino amor. La Asociación San Francisco y la Red de Tratamiento de Dependencia Química enseñan a inclinarse sobre quien está dificultad, porque en él ve el rostro de Cristo, porque él es la carne de Cristo que sufre. Muchas gracias a todo el personal del servicio médico y auxiliar que trabaja aquí; su servicio es valioso, háganlo siempre con amor; es un servicio que se hace a Cristo, presente en el prójimo: «Cada vez que lo hicieron con el más pequeño de mis hermanos, lo hicieron conmigo» (Mt 25,40), nos dice Jesús.
Y quisiera repetir a todos los que luchan contra la dependencia química, a los familiares que tienen un cometido no siempre fácil: la Iglesia no es ajena a sus fatigas, sino que los acompaña con afecto. El Señor está cerca de ustedes y los toma de la mano. Vuelvan los ojos a él en los momentos más duros y les dará consuelo y esperanza. Y confíen también en el amor materno de María, su Madre. Esta mañana, en el santuario de Aparecida, he encomendado a cada uno de ustedes a su corazón. Donde hay una cruz que llevar, allí está siempre ella, nuestra Madre, a nuestro lado. Los dejo en sus manos, mientras les bendigo a todos con afecto.