mercoledì 10 luglio 2013

Può un cattolico riconoscere i “diritti delle coppie gay”?

no nozze gay


 Si fa strada, anche nel mondo cattolico, una pericolosa convinzione: quella secondo cui il  riconoscimento giuridico delle convivenze omosessuali sarebbe l’unico rimedio per evitare il “matrimonio gay” che avanza. «No alle nozze gay, sì al riconoscimento dei diritti per le coppie di fatto e omosessuali», è la parola d’ordine di chi vorrebbe organizzare una linea di resistenza  fondata sul fallimentare principio del “cedere per non perdere”.
Non si tratta solo di un colossale errore strategico, ma anche, e soprattutto, di un grave errore morale. La morale non solo cattolica, ma naturale, ha infatti il suo cardine nel principio secondo cui bisogna fare il bene ed evitare il male: bonum faciendum et malum vitandum. Questo principio primo è immediatamente evidente all’uomo, in ogni tempo e luogo, e non ammette interpretazioni o compromessi. Postulando l’esistenza del bene e del male, esso presuppone l’esistenza di un ordine oggettivo e immutabile di verità morali che l’uomo scopre innanzitutto nel proprio cuore, perché esso è una legge naturale, incisa «sulle tavole del cuore umano col dito stesso del Creatore» (Rm. 2, 14-15).
Dal principio secondo cui bisogna fare il bene ed evitare il male scaturisce una conseguenza necessaria: non è mai lecito a nessuno, e in nessuna sfera, né privata né pubblica, fare il male. Il male, che è la violazione della legge morale, può essere in casi eccezionali tollerato, ma mai positivamente compiuto. Ciò significa che nessuna circostanza e nessuna buona intenzione potranno mai trasformare un atto intrinsecamente cattivo in un atto umano buono o indifferente. Mai e poi mai si può compiere un male, seppur minimo, e quali che siano le pur nobili motivazioni.
Il sistema morale del “proporzionalismo”, oggi in voga,  rifiuta l’idea di princìpi assoluti in campo morale e ammette la possibilità di compiere il “minor male” possibile in una situazione particolare, per ottenere un bene proporzionalmente maggiore. Questa teoria è stata condannata da Giovanni Paolo II nella enciclica Veritatis Splendor, che ribadisce l’esistenza di “assoluti morali”, aventi un loro contenuto, immutabile e incondizionato. «La ponderazione dei beni e dei mali, prevedibili in conseguenza di un’azione, – spiega il Papa -non è un metodo adeguato per determinare se la scelta di quel comportamento concreto è (…) moralmente buona o cattiva, lecita o illecita» (n. 77).
Il retto criterio del giudizio morale, infatti, è quello che valuta un atto come “buono” o “cattivo” secondo che rispetti o violi la legge naturale e divina, considerandolo innanzitutto in sé e per sé, ossia nell’oggetto, nelle circostanze e nelle conseguenze sue proprie. Invece il criterio proporzionalista è relativistico, perché valuta un atto come “migliore” o “peggiore” secondo che migliori o peggiori una situazione data. La Congregazione per la Dottrina della Fede, nella Nota del 21 dicembre 2010 a proposito della banalizzazione della sessualità, riferendosi a chi interpretava alcune parole di Benedetto XVI nel suo libro Luce del mondo, ricorrendo alla teoria del cosiddetto “male minore”, dichiarò che «questa teoria, è suscettibile di interpretazioni fuorvianti di matrice proporzionalista», condannate dalla Veritatis Splendor, perché «un’azione che è un male per il suo oggetto, anche se un male minore, non può essere lecitamente voluta». Ciò è cogente sia sul piano della condotta personale che su quello del comportamento pubblico.
I parlamentari cattolici possono essere impossibilitati a realizzare in concreto il massimo bene, ma non possono mai promuovere una legge in sé ingiusta, quale che ne sia la motivazione. Se si accetta il principio che il male minore possa essere compiuto per ottenere un bene maggiore, i cattolici potrebbero promuovere l’aborto terapeutico, per evitare quello selettivo, la fecondazione artificiale omologa per evitare l’eterologa, le unioni civili per evitare il matrimonio omosessuale. Ma, così facendo, crollerebbe la morale intera, perché, di male minore, in male minore, ogni arbitrio potrebbe essere pretestuosamente permesso.
Non manca chi, per giustificare il principio del male minore in campo politico, si riferisce ad una frase di Giovanni Paolo II, nella Evangelium Vitae, secondo la quale «potrebbe essere lecito offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge (abortista) diminuendone gli effetti negativi» (n. 74). Ma questo passo non può che essere interpretato in coerenza con laVeritatis Splendor e con il Magistero morale della Chiesa, il quale insegna che si può tollerare un male, rinunciando a reprimerlo; si può perfino regolare un male, nel senso di ridurne la libertà e il campo di azione; ma non si può permettere o regolare un male autorizzandolo, perché questo significherebbe approvarlo rendendosene complici (cfr. Ramon Garcia de Haro, La vita cristiana, Ares, Milano 1995).
Il Papa, in quel passo, non dice che al cattolico è lecito proporre una legge cattiva, ma che gli è lecito intervenire su una legge, in via di elaborazione parlamentare, modificandola mediante emendamenti meramente abrogativi o restrittivi di disposizioni permissive ed immorali. Si tratta, in questo caso, di emendamenti che impediscono che alcune proposte  normative, ottengano forza di legge. Va però precisato che, nel nostro ordinamento giuridico, la legge va votata non solo articolo per articolo, ma, alla fine, anche nel suo complesso, in segno di approvazione globale.
Pertanto, al parlamentare cattolico non sarebbe comunque mai consentito di dare il proprio voto finale positivo ad una legge che autorizzi azioni immorali, anche se tale legge risulti anche dall’approvazione dei suoi emendamenti. Egli infatti non può assumersi, in nessun caso ed in nessun modo, la responsabilità globale di un testo finale che autorizzi, ad esempio, pratiche abortive, anche solo in casi rari ed estremi. Ciò significa che egli potrà correggere la proposta di legge mediante emendamenti correttivi; ma non potrà approvarne il testo finale, se vi permangono disposizioni.
Per essere moralmente proponibile da un parlamentare cattolico, una legge deve avere una propria integritas: deve essere cioè totalmente giusta, nel senso che nessuna delle sue disposizioni contraddica la Legge naturale e divina. Ma se una legge contiene anche una sola disposizione intrinsecamente e oggettivamente immorale, essa è una “non-legge”. Un parlamentare cattolico non potrà in nessun caso votarla nel suo complesso, pena l’assunzione della responsabilità morale e giuridica dell’intero testo. «Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu»non si stanca di ripetere san Tommaso d’Aquino (Summa Theologica,  I-II, q. 71, a. 5, ad 2; II-II, q. 79, a. 3, ad 4).
In Italia esponenti del centro-destra e del centro-sinistra stanno trovando una “larga intesa” sulla riesumazione dei DICO(“Diritti e doveri delle persone stabilmente  conviventi”), il disegno di legge sul riconoscimento giuridico dei rapporti di convivenza presentato dal governo Prodi, nel febbraio 2007. Allora il progetto non andò in porto per l’opposizione dei cattolici. Oggi invece anche alcune personalità del mondo cattolico considerano il riconoscimento delle unioni omosessuali di fatto come un “male minore”, che si potrebbe compiere per evitare il “male maggiore” del “matrimonio gay”.
Ma dal punto di vista morale, il riconoscimento legale delle unioni omosessuali è altrettanto grave che la loro equiparazione legale al matrimonio. Per questo la Congregazione per la dottrina della Fede nel documento su progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali del 3 giugno 2003, approvato dal papa Giovanni Paolo II, stabilisce che «il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali».
Votare una legge del genere significa rendersi complici di un male che non viene certo cancellato dalla pretesa “riduzione del danno”. Se ci fossero in Parlamento due leggi, una che legalizza il matrimonio omosessuale e l’altra che riconosce i diritti delle coppie omosessuali, pur non equiparandoli al matrimonio, i cattolici non potrebbero votare la seconda legge, perché “meno cattiva” della prima, e se passasse la peggiore, la responsabilità sarebbe solo di chi l’avesse firmata. Come immaginare che un cattolico possa approvare una legge che protegge giuridicamente uno di quei «peccati che gridano verso il Cielo»come «il peccato dei sodomiti»(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1867)? (Roberto de Mattei)

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L'Europa pensa al dopo 2015
Una tassa europea per promuovere i gay
di Tommaso Scandroglio

Gli obiettivi del millennio sono otto punti programmatici che tutti i 191 stati membri dell’ONU si sono impegnati a realizzare entro il 2015. Dato che questa data si avvicina e l’Unione Europea si è accorta che tali obiettivi sono ben lungi dall’essere stati raggiunti, ecco che si guarda già al dopo 2015 e si stilano le linee operative future per tutti i paesi europei.  Il 5 giugno scorso a tal proposito è stato approvato il “Report sugli obiettivi di sviluppo del millennio – definizione del quadro post-2015” elaborato dalla Commissione sviluppo del Parlamento europeo. Nella genericità e quindi fumosità di questo documento di 38 pagine si possono intravvedere sicuramente aspetti positivi in merito alla lotta alla povertà e alla discriminazione, nonché riguardo alla tutela dei diritti fondamentali per i cittadini europei. Ma se poi si gratta un po’ via la vernice dorata che è stata stesa sopra questi principi si scopre cose intende l’Unione europea per “povertà”, “discriminazione” e “diritti fondamentali”.
Ad esempio “l’eliminazione della povertà – si legge nel report - è una multi-lotta: la definizione [di povertà] dovrebbe essere ampliata invece di essere ristretta al solo problema dell’accesso ad una certa soglia monetaria”. E infatti la povertà secondo la Commissione sviluppo interessa anche la discriminazione di genere. La prova viene dal fatto che sotto il paragrafo “L’eliminazione della povertà” si può leggere: “si incoraggiano politiche di integrazione della parità di genere orientate alla crescita […] e di includere la parità di genere in tutte le politiche, programmi e le strategie dell’UE. […] Deve essere data particolare attenzione alla formazione di uomini e donne su questioni attinenti al genere nella scolarizzazione primaria, per cambiare gradualmente atteggiamenti e stereotipi sociali”.

Insomma il povero rimarrà tale se non si inchina all’ideologia gender. Non solo: per chi siede a Strasburgo il vero povero è colui che non può ricorrere ad aborto e contraccezione. Infatti sempre nel paragrafo dedicato alla povertà la Commissione “invita l’UE a difendere con forza il diritto ad un più alto standard di salute, compresa la salute sessuale e riproduttiva […] anche fornendo pianificazione familiare volontaria, aborti sicuri e contraccettivi”. Insomma un tempo se eri povero ti tiravano le pietre, ora i preservativi. Per paradosso forse era meglio prima.
Quindi la UE sciorina soluzioni sulla povertà ma mira a ben altro. E’ un po’ come la lima che i parenti dei carcerati cercavano di nascondere nelle arance quando andavano a trovarli. Io ti parlo di povertà ed intanto ti sdogano il pensiero gay e l’aborto.
In Europa sono davvero ossessionati da aborto e omosessualità. Infatti questi due temi potevano benissimo essere ricompresi – così come lo sono in molti altri documenti dell’UE – nell’obiettivo del millennio “Promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne” e in quello “Migliorare la salute materna”. Però l’occasione fa l’uomo gay e abortista e così chi sta nella sala dei bottoni in Europa - affinchè il verbo abortista e quello omosessualità non manchino nelle agende anche di coloro che si occupano di povertà -  ha pensato bene di mettere a punto un’innovativa ricetta per non morire più di fame nei paesi in via di sviluppo: aderire al credo gay e all’aborto.
Che la questione omosessuale sia cruciale per la soddisfazione degli obiettivi del millennio trova poi conferma in molti altri passaggi di questo documento. Ad esempio nel paragrafo “Approccio fondato sui diritti umani” si preme di ricordare che una “particolare attenzione” deve essere rivolta verso le “persone LGBT” e che occorre “vietare la discriminazione” basata, tra gli altri motivi, sull’ “orientamento sessuale [e] identità di genere”. Ovviamente non può mancare un Grande Fratello Europeo che tutto scruta e tutti punisce. Nel paragrafo “Meccanismi di monitoraggio e indicatori” così si stabilisce: “L’UE, le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali devono adottare una combinazione appropriata di indicatori quantitativi e qualitativi. Un meccanismo multidimensionale dovrebbe valutare e prendere in considerazione le questioni rilevanti quali […] l’uguaglianza di genere”. Un metro comune per la discriminazione omosessuale, per evitare di discriminare tra loro con punizioni diverse gli eterosessuali dissenzienti e riottosi. Questa è la vera uguaglianza.
L’omino della strada si domanderà: “Tutti questi progetti ed iniziative, costeranno. E chi paga tutto questo?”. Che scoperta: il signor Pantalone siamo tutti noi. Infatti al punto 69 del documento si spiega che gli obiettivi del millennio saranno raggiunti grazie al prelievo dello 0,7% del PIL nazionale di tutti i paesi membri e grazie ad una tassa sulle transazioni finanziarie. Lo 0,7% del PIL italiano corrisponde a più di 10milardi di euro. Tanti sono i soldi che il popolo italico dovrà forse sborsare per promuovere, tra le altre cose, aborto, contraccezione e omosessualità. Una tassa per demolire i principi non negoziabili.
Se questo prelievo non bastasse il report della Commissione sviluppo tranquillizza gli animi: al punto 68 rende noto che altri quattrini dovrebbero venire da “partenariati pubblico-privati”. Un modo per far entrare dalla porta principale le lobby abortiste e omosessualiste le quali a fronte di qualche emolumento chiederanno come merce di scambio ¬ – tiriamo ad indovinare - “nozze” gay per tutti, indottrinamento “gender” sin dalla tenera età e aborto post-natale.


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foto lefigaro.fr
foto lefigaro.fr

I Veilleurs restano in piedi

Martedì sera, Place Vendôme una trentina di Veilleurs Debout appresa la notizia del rilascio di Nicolas (condanna a quattro mesi di reclusione commutata a 3000 euro di multa - nda) stappano una bottiglia e mangiano una fetta di torta per poi tornare al proprio posto:  ”La libertà per Nicolas dovrebbe essere un fatto normale, noi restiamo per tutte le altre ingiustizie” dice Timothy studente.
Di fronte al Ministero della Giustizia, presidiato da agenti in borghese e da due furgoni della polizia, ripetono, citando Montesquieu, che “un’ingiustizia a uno è una minaccia contro tutti”.  Sybil, infermiera racconta che è stata arrestata 16 volte durante le manifestazioni contro la legge Taubira dove portava anche il kit di pronto soccorso per medicare i manifestanti. Tim aggiunge: “stavo riprendendo un manifestante picchiato dagli agenti, mi hanno fermato e costretto a cancellare tutte le foto anche quelle delle vacanze” Blandine, studentessa, è agguerrita: “è accaduto a Nicolas, ma potrebbe capitare al mio fratello maggiore, o a chiunque di noi …”
Immersa nelle poesie di Baudelaire e invece Caroline “Questo è il culmine di una scandalosa repressione con metodi molto vicini a quelli dei regimi totalitari”. Amareggiato l’insegnante con i capelli brizzolati: “mai pensato di vedere cose così nel mio paese! “
Sylvain, disoccupato di 42 anni ha iniziato la sua protesta in piedi  solo per mostrare solidarietà  per Nicolas ma poi ha cominciato a nutrire un senso di un rancore verso il governo. Come Alain, 72 anni, “apolitico e aconfessionale” che è venuto apposta da  Compiègne ”per difendere tutte le libertà”.  Cyril, un medico si è mobilitato subito dopo aver sentito la notizia della condanna a Nicolas in TV,  “mi spaventano sono fascisti, e sono ancora più arrabbiato perché ho votato Hollande … “.
Veilleurs Debout di fronte al Grande Oriente di Francia
Veilleurs Debout di fronte al Grande Oriente di Francia
Spilla rossa sul petto con scritto “prigioniero politico”  Jean-Pierre,  tornerà di tanto in tanto per manifestare contro la legge Taubira. ”Nicolas ha risvegliato i giovani nella loro lotta per la difesa della famiglia”, dice con soddisfazione.   L’aria spavalda con i suoi 12 anni, Paul ha appena lasciato Place Vendôme,  è molto orgoglioso di essere un Veilleurs Debout (Sentinella in piedi)  al fianco della sorella. “Nicolas è il primo, ma non sarà l’ultimo. Eravamo lì per Nicolas ma c’è dell’ altro: noi siamodebout, vogliamo che la Francia sia debout“.
interviste tratte da LeFigaro.fr