lunedì 8 luglio 2013

Quella vecchietta cieca



Di seguito l'editoriale firmato da monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, pubblicato sull'edizione di sabato 6 luglio del quotidiano Il Sole 24 Ore (pp. 1 e 13).
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La prima lettera enciclica di Papa Francesco, dedicata al tema della fede, s’intitola Lumen fidei, “la luce della fede” (datata 29 Giugno 2013). L’Enciclica è indirizzata “ai vescovi, ai presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici”. Colpisce nell’indicazione dei destinatari la mancanza di un’espressione che si trovava ad esempio nell’intestazione della Caritas in veritate di Benedetto XVI e in altre lettere (anche se non nella due precedenti encicliche del Papa emerito): “e a tutti gli uomini di buona volontà”. Quest’assenza non sta a indicare una chiusura nei confronti di coloro che non hanno il dono della fede, ma vuol evidenziare onestamente che un discorso sulla fede è comprensibile e fecondo solo se di essa si ha una qualche esperienza, in forma di vissuto credente o almeno di desiderio e di ricerca. Al tempo stesso, l’assenza indica il rispetto e la delicatezza che Papa Francesco mostra nei confronti di quanti non credono e ai quali la fede può essere solo proposta, mai imposta. A credere s’impara credendo, nell’esercizio pieno della libertà e nel rischio dell’amore! Il Dio della fede non è l’oggetto di una dimostrazione matematica o di una prova scientifica legata a ciò che si vede: nell’atto di credere, il “cogito ergo sum” di René Descartes - “penso, dunque sono” - cede il posto al “cogitor ergo sum” - “sono pensato, dunque sono” - e ancor più all’ “amor, ergo sum” - “ci sono, perché sono amato”. Quando si parla di fede bisogna capovolgere l’ordine consueto della ricerca: l’oggetto deve divenire soggetto e il soggetto deve accettare di lasciarsi interrogare, sfidare, turbare, dalla sovranità e dalla trascendenza dell’Oggetto puro (come lo chiamava il grande teologo evangelico Karl Barth), che è il Dio vivente.
La fede - esordisce l’Enciclica - è luce: “Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta” (n. 1). Non si tratta, dunque, di una luce di questo mondo, paragonabile al sole che illumina ogni cosa, ma non arriva a scrutare le profondità dei cuori e gli abissi misteriosi del reale: la luce della fede viene da altrove, dall’alto di Dio, che nel Suo Figlio incarnato è venuto a illuminare le nostre tenebre perché - raggiunti da questo “lumen” - gli uomini vedessero oltre il buio della morte e aprissero così il cuore alla speranza dell’eternità, non come vaga attesa, ma come sicura promessa. Per una simile luce si può vivere e morire, dando senso alle opere e ai giorni, mentre “per la fede nel sole non si è mai visto nessuno pronto a morire”, come affermava già un martire del II secolo, Giustino. Ad alcuni la luce della fede può sembrare un’illusione, una luce “consolatoria”: essa appagherebbe il desiderio profondo del cuore di spiegare in maniera pacificante il mistero della morte, l’insopportabile interruzione rappresentata dal suo silenzio senza ritorno. L’Enciclica richiama quest’obiezione e lo fa citando una delle voci più autorevoli del dramma dell’umanesimo ateo, Friederich Nietzsche, per il quale “il credere si opporrebbe al cercare” (n. 2). La vita umana verrebbe così privata di “novità e di avventura” e l’intelligenza condannata ad assopirsi in un tranquillizzante letargo. Sul filo di questo ragionamento, si deduceva che la ragione è chiamata a occupare ogni spazio del reale, mentre la fede sarebbe destinata a riservarsi soltanto le ombre, quei domini del vuoto e dell’irraggiungibile, cui il vero conoscere finisce col rinunciare: “La fede è stata intesa allora come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il cammino” (n. 3). La ragione si muoverebbe negli spazi luminosi dell’intelligibile, la fede su quelli numinosi dell’emozione, passando comunque attraverso la pietra d’inciampo dell’inevidenza. La parabola della modernità ha dimostrato che le cose non stanno così: “Poco a poco si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro; alla fine, esso resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto” (ib.). Come Benedetto XVI, così Papa Francesco non fa sconti alle presunzioni dell’ideologia moderna: ne richiama con lucidità le aporie; indica senza tentennamenti i “sentieri interrotti” di una pretesa - quella dei Lumi - che voleva dominare ogni cosa e ha anche raggiunto significative conquiste, ma che ha non di meno prodotto inaudite violenze, di cui il “secolo breve” - il Novecento “stretto” fra le due guerre mondiali e le crisi dei totalitarismi - è stato pieno.
Altra è la luce della fede: essa non è frutto di carne e di sangue, non nasce dalle nostre capacità o dai nostri bisogni. La fede non è proiezione del desiderio, arsura dell’anima che cerca di dissetarsi alla facile consolazione di un sogno. “La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro” (n. 4). La fede si genera nell’arco di fiamma di una vera alterità, nella relazione all’Altro che viene a noi, e non unicamente di qualcosa che diviene in noi. E che questo rapporto non sia illusione, ma lotta, consegna e umile abbandono alla Presenza reale e misteriosa del Dio che viene, sta a provarlo ogni autentica esperienza di fede, anche se è sempre necessario purificare e ravvivare la fede dei credenti, liberandola da ogni forma di vuota consolazione o di ingenua rassicurazione, per nutrirla alle sorgenti della rivelazione divina, che la Chiesa custodisce e trasmette. In questa luce, Papa Francesco rilegge anche il più grande evento ecclesiale del XX secolo, il Concilio Vaticano II, di cui abbiamo da poco celebrato il cinquantesimo anniversario dall’apertura: esso “è stato un Concilio sulla fede, in quanto ci ha invitato a rimettere al centro della nostra vita ecclesiale e personale il primato di Dio in Cristo… Il Concilio Vaticano II ha fatto brillare la fede all’interno dell’esperienza umana, percorrendo così le vie dell’uomo contemporaneo. In questo modo è apparso come la fede arricchisce l’esistenza umana in tutte le sue dimensioni” (n. 6). In questa chiave di lettura del magistero conciliare, il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” si riconosce in piena sintonia col suo Predecessore, e non esita a presentare le riflessioni stesse della sua Enciclica come frutto di un lavoro “a quattro mani”, nel quale ha ripreso ciò che Benedetto aveva iniziato e lo ha completato e integrato senza fatica, per una sorta di avvertita e profonda armonia intellettuale e spirituale.
È a partire da queste premesse che la lettera Lumen fidei sviluppa in maniera organica la riflessione sulla fede, percorrendo quattro tappe, altrettanti registri dell’unico messaggio che intende proporre: nel primo capitolo, intitolato “Abbiamo creduto all’amore” (cf 1 Gv4,16), il Vescovo di Roma fa una sorta di “storia della fede”, dalla chiamata rivolta ad Abramo e dall’inaudita novità del suo fidarsi perdutamente di Dio, anche di fronte alla richiesta di sacrificare il suo Isacco, alla fede di Israele, nutrita di ascolto e di speranza, fino alla pienezza della fede cristiana, nella sua valenza di salvezza ricevuta in dono, condivisa nella necessaria “forma ecclesiale”. Nel secondo capitolo - che ha come titolo “Se non crederete, non comprenderete” (cf. Is 7,9) - viene approfondito il rapporto fra fede, verità e amore, che vive di una conoscenza frutto di ascolto e di visione. In questa luce, il dialogo tra fede e ragione s’illumina di tutta la sua fecondità, e la fede non solo non esclude, ma suppone e alimenta la continua ricerca di Dio. Voce di questo pensiero della fede è in forma significativa la teologia, che si nutre della fede e a sua volta la nutre. Nel terzo capitolo - intitolato “Vi trasmetto quello che ho ricevuto” (cf. 1 Cor15,3) - Papa Francesco approfondisce la natura ecclesiale della fede, presentando la Chiesa come “ madre della nostra fede”, e soffermandosi sul rapporto fra i sacramenti, la preghiera, la vita morale e la fede. Infine, nel quarto capitolo - che ha come titolo una formula ispirata alla Lettera agli Ebrei: “Dio prepara per loro una città” (cf. Eb 11,16) - la riflessione è portata sulle “ricadute sociali” della fede, analizzando il rapporto fra fede e bene comune, fede e famiglia, fede e vita in società, fede e sofferenza. L’icona finale dell’Enciclica presenta Maria, donna della fede, non a caso salutata nel Vangelo come colei che è beata perché ha creduto (cf. Lc 1,45). Un impianto chiaro e lineare, quello della Lumen fidei, che merita di essere approfondito nei suoi snodi portanti. Un testo semplice e profondo, organico nel suo sviluppo e attento alla complessità degli aspetti dell’esperienza più ricca e umanizzante che si possa pensare: quella di credere nel Dio Amore, di giocare la vita con Lui e per Lui, sapendo che proprio così essa non è meno ma più bella, non meno, ma più umana, non meno, ma più autenticamente vissuta al servizio di tutti, per il bene di tutti, per la gloria dell’Eterno. Perché veramente, come insegnava Ireneo già nei primi secoli della fede cristiana, “gloria Dei vivens homo - vita autem hominis visio Dei”: “la gloria di Dio è l’uomo vivente - e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Adversus Haereses, IV, 20, 7). E Papa Francesco ne è così convinto, da non poter non proporre con amore e fiducia questo dono a tutti, luce e forza della sua intera vita e missione.

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Semeraro: dalla fede 
una nuova architettura
dei rapporti umani
Ha fra la mani la prima enciclica di Francesco, Lumen fidei. E, quando monsignor Marcello Semeraro arriva al paragrafo in cui papa Bergoglio spiega di aver assunto il «prezioso lavoro» di Benedetto XVI, il vescovo di Albano torna all’abbraccio dello scorso 23 marzo fra Francesco e il Papa emerito a Castel Gandolfo di cui è stato uno dei pochissimi testimoni, da buon «padrone di casa» della diocesi che ospita le Ville Pontificie. «Ecco, in quell’occasione, Francesco disse a Benedetto XVI: "Siamo fratelli". Proprio la "fraternità in Cristo" di cui papa Bergoglio parla nell’enciclica può essere la chiave di lettura di questa straordinaria collaborazione che il testo offre», spiega monsignor Semeraro che preside la Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Cei e che è il segretario del gruppo di otto cardinali consiglieri del Papa per studiare un progetto di revisione della Curia romana.

Francesco scrive di aver aggiunto «alcuni ulteriori contributi» alla bozza elaborata dal suo predecessore. Come interpretare tutto ciò?
Sotto un profilo anzitutto teologico, direi. Nel documento c’è l’esplicito rimando alla missione del successore di Pietro che «ieri, oggi, e domani» è chiamato a confermare i fratelli. È in questa prima prospettiva che si legge un’enciclica, ossia nella continuità e coerenza del magistero petrino. Poi c’è anche l’umile franchezza di chi manifesta pubblicamente la sua gratitudine a colui che aveva «quasi completato una prima stesura».

«Lumen fidei» afferma che «la fede si conosce in quanto legata all’amore». Ma non va considerata qualcosa «che consola e riscalda».
In un passaggio l’enciclica avverte che l’amore «non si può ridurre a un sentimento che va e viene». L’amore mira all’unione delle persone. È la stessa incommensurabile dignità della persona che esige la stabilità degli affetti e il fondamento dell’amore sulla verità. Perché stupirsi dell’affermazione che l’amore dona conoscenza? Forse che una madre e un padre non conoscono il figlio più e meglio di quanto dica un suo, pur molto dettagliato, curriculum vitae? C’è una pluralità di forme conoscitive, in circolarità fra loro. Ciò vale anche per l’azione ecclesiale.

Il Papa sottolinea che il credente «non è arrogante» e che «la verità lo fa umile».
San Beda, da cui Francesco ha desunto il suo motto episcopale, parla dell’humilitas fidei, quell’umiltà che rende beati i «poveri in spirito». La fede è umile perché è sempre «pellegrina», come in Maria alla sequela del suo Figlio. La verità rende umili, ricorda il Papa, poiché chi la ricerca scopre ogni giorno che non siamo noi a possederla, ma è la verità che ci abbraccia. Chi cerca Dio si accosta ogni giorno al <+corsivo>Deus semper maior<+tondo>, per usare un’espressione familiare ai gesuiti. Benedetto XVI ci ha ricordato che la fede non va presupposta, bensì proposta. Francesco aggiunge che essa non va imposta.

Nell’enciclica si legge che fuori della Chiesa «la fede perde la sua misura», che «la fede non è un fatto privato» e che è «impossibile credere da soli». Come vivere allora la «comunione concreta dei credenti»?
Il richiamo all’ecclesialità della fede è un punto fondamentale. La fede è sempre un atto pienamente personale ma il suo grembo e il suo spazio sono ecclesiali. La fede si riceve e si trasmette: è la dinamica su cui specialmente il terzo capitolo si sofferma. Tutta la vita della Chiesa si svolge nella ricerca del «noi» e nella crescita dentro il «noi». Nelle nostre comunità ciò vuol dire una pastorale integrata e lo sviluppo degli spazi di partecipazione.

Il Papa indica quattro elementi per la trasmissione della fede: i Sacramenti, il Credo, la preghiera, il Decalogo. Come possono essere bussole del nostro quotidiano?
Francesco dice che «riassumono il tesoro di memoria che la Chiesa trasmette». Il tema, come può desumersi da altri suoi interventi, gli è molto caro perché non si tratta solo di avere un orientamento, ma un’identità, ossia consapevolezza di una storia, di relazioni... La fede stessa è «atto di memoria», scrive, il Papa. Una memoria non legata al passato, ma che guarda alla speranza: memoria futuri, la definisce la Lettera.

Nell’ultimo capitolo si mette in risalto il ruolo della famiglia. E si esorta alla «sinergia tra la Chiesa e la famiglia».
L’enciclica usa questa espressione quando tratta della pastorale battesimale. Qui la sinergia tra la famiglia e la più ampia comunità parrocchiale è importantissima. I passi successivi illustrano come la fede illumini la vita della famiglia. Ogni cristiano battezzato, d’altra parte, nasce sempre nella sua famiglia e nel grembo della Chiesa.

Francesco tiene a ribadire che «la fede non allontana dal mondo». In quale modo i credenti sono chiamati a illuminare la città dell’uomo?
Dalla fede in un «Dio affidabile», scrive il Papa, nasce una nuova «affidabilità», ossia una forma nuova e creativa di vivere insieme. È la profezia che dobbiamo anticipare nelle nostre comunità non con la pretesa di essere la città ideale, ma con l’umiltà di chi, alla luce della Parola di Dio, cerca e realizza una nuova architettura dei rapporti umani.

Giacomo Gambassi (Avvenire)

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Prospettive nell'ottica della "Lumen Fidei" di Papa Francesco


«Semina nella nostra fede la gioia del Risorto» (Lumen fidei 59)
“Mistero della fede”! Con questa espressione in ogni Eucaristia l’assemblea è provocata a rinnovare – professandoli – gli elementi essenziali della propria fede, ricevuta e da trasmettere nel tempo. Un “anno della fede” può costituire di fatto un’occasione per cogliere alcuni ulteriori aspetti di un itinerario che avvolge e coinvolge chiunque si ponga al seguito del Maestro.
È un itinerario, quello della fede, che non termina mai; un itinerario però che incontra come suo sostegno due realtà essenziali nella vita della Chiesa: i sacramenti e l’anno liturgico. Se isacramenti infatti sono i segni della fede, i segni che permettono una crescita nell’itinerario di fede e che accompagnano il credente lungo il suo percorso vitale, dalla nascita alla morte, l’anno liturgico costituisce il perenne anno della fede, in quanto permette la celebrazione rinnovata e sempre viva del mistero di Cristo.
Dopo la celebrazione del Grande Giubileo dell’anno Duemila, che ha coinvolto la Chiesa in tutte le sue fibre e organizzazioni, si sono succeduti altri “anni”: quello dell’Eucaristia, di san Paolo, del sacerdozio… e ora la Chiesa sta vivendo quello della fede (2012-2013). L’occasione è contingente; mentre l’obiettivo rinvia ai grandi valori che danno senso alla vitalità della Chiesa. L’occasione contingente è costituita dal 50° del Vaticano II e dal 20° del Catechismo della Chiesa Cattolica; ma è l’obiettivo che chiama in causa l’educatore. Gli anniversari sono fugaci quanto lo scorrere del tempo; è il loro contenuto, invece, che costituisce il termine di confronto perché anche da tali appuntamenti si rinvigorisca l’itinerario di fede e di vita costituito dall’anno liturgico.
In questa linea, pertanto, possiamo articolare una riflessione attorno a cinque passaggi. Il 29 giugno 2013, nella solennità degli apostoli Pietro e Paolo, papa Francesco ha firmato l’EnciclicaLumen fidei (= LF). Dopo aver precisato alcuni aspetti del documento (I), si accenna al fatto che la liturgia è celebrazione della fede (II), e si evidenzia il ruolo pedagogico che essa svolge (III); un ruolo che affonda radici ed elabora contenuti nella celebrazione del memoriale (IV) per realizzare – anche attraverso la dimensione dell’esemplarità – il traguardo della divinizzazione (V). Nella stessa prospettiva, pertanto, la celebrazione della fede divienemagistra omnium credentium: se è tale, quali conseguenze ne derivano?
Lasciamoci provocare, anzitutto, dalla notissima composizione del Trilussa (Carlo Alberto Salustri, Roma 1871-1950) che invita ad una riflessione più profonda di quanto non possiamo immaginare a prima vista o ad primo ascolto:
Quella vecchietta cieca, che incontraila notte che me spersi in mezzo ar bosco,me disse: - Se la strada nun la sai,te ciaccompagno io, ché la conosco -.Se ciai la forza de venimme appresso,de tanto in tanto te darò 'na voce,fino là in fonno, dove c'è un cipresso,fino là in cima, dove c'è la Croce…Io risposi: - Sarà … ma trovo stranoche me possa guidà chi nun ce vede … -.La cieca allora me pijò la manoe sospirò: - Cammina! - Era la Fede.
1. «La luce della fede è quella di un Volto in cui si vede il Padre»
È un’espressione ardita, ma veritiera, quella che leggiamo in LF 30. Il contesto del cap. II dell’Enciclica, a partire da Isaia 7,9 – “Se non crederete, non comprenderete” – invita il lettore a riflettere, tra l’altro, sulla fede come ascolto e visione, prima di sviluppare la riflessione sul tema fede e ragione, fede e ricerca di Dio, fede e teologia, ecc.
«Per il quarto Vangelo, credere è ascoltare e, allo stesso tempo, vedere…». Ascolto e visione dunque sono due aspetti che si compenetrano nell’atto di fede perché attraverso il Cristo, Volto del Padre, il cammino al seguito del Maestro possa essere realizzato sempre più in pienezza, ma nell’ascolto di una Parola di vita e nell’ottica di segni quali sono quelli che costituiscono l’orizzonte sacramentale della fede stessa (come già evidenziava Giovanni Paolo II in Fides et ratio 13 e come ricordato in LF 32).
Infatti, nell’incontro «con il Dio della Parola… la luce diventa la luce di una parola, perché è la luce di un Volto personale, una luce che, illuminandoci, ci chiama e vuole riflettersi nel nostro volto per risplendere dal di dentro di noi» (LF 33). Da qui, allora, la comprensione di quanto leggiamo nel cap. III – “Vi trasmetto quello che ho ricevuto” (cf 1 Cor 15,3) –, insieme ad alcune sfide sollecitate dal cap. IV – “Dio prepara per loro una città” (cf Eb 11,16) –: fede e bene comune, fede e famiglia, fede e vita di società, fede e sofferenza.
L’insieme delle prospettive che l’Enciclica evidenzia costituiscono pertanto un invito concreto ad agire nel quotidiano, ma sempre alla luce di quanto donato nel mistero della vita attraverso la Parola e i sacramenti. Prezioso, al riguardo, il contenuto di LF 55, là dove si è invitati a cogliere “una luce per la vita in società” con due particolari sottolineature:
«Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata».
«La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama».
Nella linea di tutti i precedenti convegni sul “Volto dei Volti” possiamo affermare che l’Enciclica offre ancora una volta un’occasione unica di invito a contemplare il Volto di Cristo nei tanti segni che la vita presenta, e soprattutto a contribuire al diffondersi della sua luce perché «tutte le verità che si credono dicono il mistero della nuova vita della fede come cammino di comunione con il Dio vivente» (LF 45).
2. La liturgia “celebrazione della fede”
All’inizio della seconda parte del Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo un titolo emblematico: “La liturgia opera della Ss.ma Trinità”. L’affermazione risulta quanto mai importante per ricordare che l’azione liturgica è opera della Trinità, finalizzata a quel progressivo inserimento del fedele nel mistero trinitario, costituito dal traguardo della divinizzazione.
Accostare e vivere la liturgia come celebrazione della fede implica rinnovare la consapevolezza del ruolo e del significato di tutto ciò che ruota attorno alla liturgia stessa. Dai sacramenti ai sacramentali, dall’anno liturgico alla pietà popolare, dalla lectio divina (che dovrebbe sempre scaturire e ricondurre all’azione liturgica) alle diverse forme di preghiera personale e comunitaria… è tutto un insieme di elementi che costituiscono o che preparano o accompagnano la celebrazione della fede quale si attua in maniera vertice nell’Eucaristia.
«Per trasmettere tale pienezza [della fede] esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i Sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa. In essi si comunica una memoria incarnata, legata ai luoghi e ai tempi della vita, associata a tutti i sensi; in essi la persona è coinvolta, in quanto membro di un soggetto vivo, in un tessuto di relazioni comunitarie. Per questo, se è vero che i Sacramenti sono i Sacramenti della fede, si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale. Il risveglio della fede passa per il risveglio di un nuovo senso sacramentale della vita dell’uomo e dell’esistenza cristiana, mostrando come il visibile e il materiale si aprono verso il mistero dell’eterno» (LF 40).
Educare alla fede celebrata implica un insieme di percorsi che chiamano in causa sia chi deve svolgere il ruolo della ministerialità e sia chi partecipa. Il cammino educativo implica l’accostamento dei diversi linguaggi con cui si manifesta e si realizza lo stesso momento sacramentale. Un cammino lungo e impegnativo che non termina mai. La coincidenza di un anno della fede può costituire pertanto un'occasione privilegiata per riannodare quei percorsi formativi che pur da punti di partenza diversi, sono chiamati a convergere verso quest’unico e decisivo incontro con la Ss.ma Trinità quale si attua nell’azione liturgica.
Ricordare e far comprendere che la liturgia è “celebrazione della fede” implica mantenersi in quel dinamismo costante che spinge l’educatore a non ritenersi mai un arrivato, ma a sentirsi sempre in cammino. Per questo si riconferma la definizione dell’anno liturgico come autentico e perenne anno della fede; un “tempo perenne” che – per opera dello Spirito – ha la capacità di mantenere «uniti tra di loro tutti i tempi» e rendere i fedeli «contemporanei di Gesù» (LF 38).
3. La Liturgia… “maestra”?
Un’antica fonte liturgica definisce, tra l’altro, la fides come magistra omnium credentium. L’espressione è stata qui ripresa per richiamare anche il fatto che tale “magistero” si attua nell’azione liturgica; infatti è nel momento liturgico che la fides è celebrata in quanto la fede «ha una struttura sacramentale» (LF 40); è nella celebrazione che la fides si fa sostegno e nutrimento attraverso la Parola e i santi segni; è nei sacramenti che «si comunica una memoria incarnata, legata ai luoghi e ai tempi della vita, associata a tutti i sensi» (LF 40);è nei linguaggi cultuali che la fidessi esplica e si alimenta «mostrando come il visibile e il materiale si aprono verso il mistero dell’eterno» (LF 40); è nella partecipazione dei fideles che la fidestrova un’attualizzazione concreta nella condivisione di scelte di vita all’interno dell’unico movimento di grazia…
Potremmo continuare in questa linea per cogliere la missione della celebrazione della fede, e insieme per verificare le modalità con cui si attua tale impegno nel tempo e nel contesto delle diverse comunità e situazioni di vita.
Da tutto questo emergono almeno quattro aspetti che costituiscono, a loro volta, una linea di azione entro cui l’educatore si ritrova, e attraverso cui l’operatore pastorale cerca di far incontrare il mistero di Dio con il mistero del cuore umano: la liturgia educa alla fede, fa vivere la fede, contribuisce a sviluppare la fede aprendo relazioni sempre nuove:
– Che la liturgia educhi alla fede è un dato di fatto. Nel momento in cui si attua una celebrazione, tutto il contenuto è espressione del mistero della fede, secondo lo specifico momento che sta vivendo il singolo e la communitas. Ma perché la liturgia educhi alla fede è necessario che tutti i suoi linguaggi siano attivati in modo che la loro comprensione permetta un’esperienza sempre più piena del mistero di cui sono veicolo ed esplicitazione.
– Nel momento in cui la liturgia educa a scelte e ad atteggiamenti di fede si realizza anche un vivere la fede. I segni e i simboli che strutturano i vari linguaggi costituiscono il passaggio obbligato perché quel segno sia espressione di una vita nella fede.
– E se la liturgia, di conseguenza, è assunta come magistra, allora in tutto questo si compie un autentico incremento della stessa fides. Ecco perché la celebrazione iterata e permanente dei santi misteri costituisce la costante esperienza della comunità di fede; ecco il motivo per cui l’anno liturgico ogni volta ripropone gli stessi misteri per sorreggere il cammino del credente lungo il suo itinerario nel tempo e nella storia.
– «Chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo “io” si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita»: l’espressione di LF 39 offre un ulteriore elemento all’orizzonte che il cammino di fede offre, e riconferma quanto asserito proprio in apertura dello stesso n. 39: «È impossibile credere da soli».
4. Dal memoriale all’esemplarità
La celebrazione permanente del mistero della fede, nella molteplicità della sue espressioni costituisce la ricchezza perenne della Chiesa. E lungo il tempo le comunità cristiane hanno saputo integrare la celebrazione dei sacramenti e dell’anno liturgico con altri elementi che si manifestano soprattutto nelle variegate forme della pietà popolare. Nel loro insieme tutte queste realtà scaturiscono dal mistero celebrato e a questo devono ricondurre, dal momento che la liturgia permane come perenne culmen et fons.
Un aspetto che costituisce la base per una inculturazione della fede è costituito dall’esemplarità che la stessa liturgia attua e rilancia.
Nell’insieme dell’anno liturgico si celebrano i misteri della salvezza; al centro è il mistero di Cristo e della Vergine Maria. Ma accanto a questo si pone un’ampia schiera di martiri e di santi che, sia singolarmente che nel loro insieme, costituiscono una pagina davvero unica di “inculturazione” della fede nella singola esistenza del martire, del santo o del beato.
Nell’anno liturgico si presenta al fedele lo scorrere di tante figure che hanno aderito a Cristo; ciascuna è un’autentica “inculturazione” del mistero della fede. Accostare pertanto questa galleria di personaggi costituisce un invito pressante per l’educatore a conoscere ciò che il libro liturgico mette a disposizione.
È in questa linea che nella comunità cristiana deve tornare al centro l’uso e il ruolo del Martirologio Romano (si pensi alle varie figure di santità ricordate nella stessa Enciclica!). La ricchezza dei suoi contenuti, unitamente a quanto racchiuso nelle “Premesse”, può costituire un alimento prezioso per contestualizzare in ogni giorno la molteplicità di forme con cui la fides di tanti fratelli e sorelle è stata testimoniata in tutti i continenti.
Speculare al Martirologio, ovviamente, si pone sia il Messale che la Liturgia delle Ore con la ricchezza biblica propria dei Lezionari. Far interagire quanto racchiuso in questi libri liturgici secondo lo scorrere del Calendario generale e i Calendari particolari – pensiamo ai “calendari propri” delle Famiglie religiose – costituisce la valorizzazione di un segreto che permette di cogliere la perenne e quotidiana novitas della celebrazione memoriale; una novitas che si riflette nelle figure che il Calendario ripropone e che sono “celebrate” perché l’esemplarità sia di sostegno nell’itinerario di fede e di vita.
Se la celebrazione dell’Eucaristia costituisce il centro della vita di fede, non di meno l’incontro con il mistero di Cristo attraverso le tante figure presenti nel Calendario offre la filigrana che permette di cogliere la molteplicità di ricchezza spirituale racchiusa nello stesso mistero e insieme incoraggiare altri, in ogni tempo, a trasformare in vita quanto accolto nell’annuncio e nella celebrazione della fede.
5. Dall’esemplarità alla divinizzazione
Scorrendo le varie lettere di san Paolo incontriamo almeno venti termini che iniziano con syn-cum: dal termine con-sofferente (Rm 8,17) fino a con-corporale (Ef 3,6) passando attraverso ilcon-risuscitato (Ef 2,6), co-edificato (Ef 3,22), ecc. possiamo constatare lo sforzo che l’Apostolo ha saputo attivare per far comprendere il senso e il bisogno di un progressivo inserimento del cristiano nel mistero di Cristo.
Quello che la teologia sintetizza in Occidente con il termine “cristificazione” l’Oriente lo rilancia attraverso il termine “divinizzazione”. Al di là delle prospettive teologiche e dei relativi linguaggi, identico è l’obiettivo: realizzare cioè quella conformazione sempre più piena del fedele al mistero di Cristo quale può essere espresso nel termine sympsykos (unanime, Fil 2,2).
In questo percorso si attua il traguardo della progressiva identificazione al Cristo; e tutto ciò attraverso la prolungata esperienza dei santi misteri che realizzano la celebrazione della fede secondo i ritmi del tempo e secondo le stagioni della vita del fedele.
Cogliere questo dato di fatto è lasciarsi prendere da un dinamismo che ha proprio nell’azione liturgica il segreto per vivere il perenne anno della fede o il momento della fede in vista del compimento pieno nel regno di Dio.
Educare a questa visione è il segreto per cogliere tutta la infinita ricchezza che la celebrazione della fede di fatto racchiude nella molteplicità delle sue forme ed espressioni. Ma è anche far sì che si attivino strategie adeguate perché l’itinerario formativo possa essere condotto con una metodologia attenta ai contenuti e rispettosa dei dinamismi di crescita dei destinatari.
6. La porta della fede è sempre aperta!
La metafora della porta esprime con forza sia l’atto del suo attraversamento, e sia ciò entro cui immette. La porta della fede è sempre aperta, a motivo dell’itinerario costante da attuare; ma è sempre aperta perché il mistero al cui interno essa immette è tale da richiedere un percorso costante… È una porta dunque, ma non sulla falsariga della porta comune che si apre e si chiude, come la porta santa; al contrario, la metafora denota il fatto che il cammino di fede è come una porta continuamente da varcare nella certezza che «la luce della fede è quella di un Volto in cui si vede il Padre» (LF 30, e primo sottotitolo).
Da qui, in conclusione, il dato di fatto costituito dall’azione liturgica. Essa può essere contemplata e soprattutto celebrata e vissuta come il momento-soglia che immette continuamente nel mistero. In questa ottica, allora, anche un anno della fede può identificarsi in quella «vecchietta cieca» che invita però a camminare sulle vie del mondo; ma costituisce pure un richiamo all’itinerario permanente che con tutte le sue implicanze teoriche e pratiche permette di cogliere il senso di quella porta fidei che – sempre aperta – ha bisogno di essere costantemente varcata per cogliere la pienezza del Mistero attraverso la guida e il sostegno dei santi misteri, perché «con la fede noi possiamo toccarlo e ricevere la potenza della sua grazia» (LF 31), e anche perché i cristiani «confessano l’amore concreto e potente di Dio, che opera veramente nella storia e ne determina il destino finale, amore che si è fatto incontrabile, che si è rivelato in pienezza nella Passione, Morte e Risurrezione di Cristo» (LF 17).
Indicazioni bibliografiche essenziali
I primi documenti da tenere in attenta considerazione sono i libri liturgici; essi contengono il linguaggio della fede espressa attraverso i testi che la Chiesa usa per celebrare il mysterium fidei. In editio typica o in edizione in lingua nazionale, il libro liturgico – a cominciare dal Lezionario – costituisce il punto di partenza per comprendere il rapporto tra fides et actio. In questa linea si pongono i periodici – come ad esempio la Rivista Liturgica in Italia (www.rivistaliturgica.it) – che hanno elaborato studi per far conoscere le ricchezze racchiuse nel libro liturgico.
Altri strumenti preziosi sono costituiti dai Dizionari che in ambito liturgico hanno arricchito l’orizzonte della formazione offrendo materiali preziosi per una riflessione attenta a tutto il mondo della liturgia (si pensi, ad esempio, al Dizionario di Liturgia, San Paolo, Milano 2001, con le tracce di approfondimento di varie tematiche) o della omiletica (si pensi al Dizionario di Omiletica, Ldc-Velar, Torino-Bergamo 2002 [edito anche in Brasile nel 2010, e di prossima edizione adattata in lingua polacca]) e a numerose altre opere che presentano le ricchezze dell’anno liturgico e della liturgia delle Ore o dei singoli sacramenti e sacramentali.
In ordine alla celebrazione della fede per una vita in Cristo è da tener presente anche la pietà popolare come occasione di incontro tra culto e cultura nello specifico dei singoli luoghi ma anche come occasione di educazione alla liturgia, come indicato in Sacrosanctum, Concilium 13. In questa linea la conoscenza e l’applicazione dei principi del Direttorio su pietà popolare e liturgia (Lev, Città del Vaticano 2002) risulterà quanto mai preziosa per favorire tutto ciò che comporta la divinizzazione del fedele in Cristo.
M. Sodi

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