martedì 16 luglio 2013

Quelle ragazze deliziosamente imperfette


L'Osservatore Romano: La crisi di Miss Italia, concorso di bellezza diventato un misero carrozzone. 


(Lucetta Scaraffia) Parlare male del concorso di Miss Italia, oggi, è come sparare sulla Croce Rossa. Se bene ha fatto Annamaria Tarantola a cancellarlo dal palinsesto della Rai, ritenendolo non idoneo al servizio pubblico, dobbiamo anche ricordare che negli ultimi anni gli ascolti erano crollati: di ragazze in costumi da bagno, ormai, ne vediamo a tutte le ore e su tutti i canali. 
Oggi al concorso si presentano ragazze più o meno pesantemente ritoccate dalla chirurgia estetica, già da anni in cerca di un quarto d’ora di celebrità, che talvolta sventolano improbabili lauree o interessi culturali assolutamente inutili quanto improbabili. E il loro avvenire, anche in caso di vittoria, non è certo roseo: le aspettano una serie di comparsate pubblicitarie per un anno, e poi l’oblìo, a meno che non riescano a riciclarsi come veline. Le ragazze più sveglie, e altrettanto belle, cercano di farsi strada per altre vie, essendo quella ormai chiaramente poco fruttuosa. 
Ma il concorso di Miss Italia non è sempre stato questo povero carrozzone: negli anni del dopoguerra, è stato un’occasione per molte ragazze, dalla bellezza rigorosamente naturale, quindi deliziosamente imperfetta, di origini umili e vestite senza tante pretese — gli sponsor non erano ancora in auge — di farsi conoscere e spesso iniziare carriere importanti, o almeno fare un buon matrimonio. Il cinema italiano era agli inizi, i registi alla ricerca di attrici, e di lì sono nate le star italiane più celebri ancora oggi: basti citare, per fare solo qualche nome, Sofia Loren e Lucia Bosé. Nessuna di loro vantava interessi culturali, se mai qualche ricetta di cucina imparata dalla mamma che stava lì dietro neanche tanto nascosta, non si sa se per vegliare sulla loro condotta o per consigliare oculate relazioni. Di fidanzati neppure l’ombra, perché dovevano diventare le “fidanzate d’Italia”. Prosperose in un momento in cui gran parte del Paese faceva ancora la fame, promettevano un futuro migliore per tutti, con il loro sorriso e la loro raggiante speranza. 
Allora più che criticare Miss Italia, è giusto lasciarla cadere nell’oblio che oggi merita, e magari invece denunciare altre forme di manipolazione dell’immagine femminile, come il pesante ricorso alla chirurgia estetica anche da parte di giovanissime che rincorrono una perfezione non umana pensando così di “realizzarsi” in qualche modo.
L'Osservatore Romano, 17 luglio 2013.

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Le clarisse di Castel Gandolfo rivivono i momenti dell’incontro con il Pontefice. Dove si prega per il Papa e per la Chiesa
Mentre è in pieno corso la visita di Papa Francesco a Castel Gandolfo, nella tarda mattinata del 14 luglio ci raggiunge improvvisamente una telefonata: una voce amica ci dice di tenerci pronte perché, probabilmente, prima di recarsi dalla Comunità dei Padri Gesuiti, come da programma, il Santo Padre passerà dal nostro monastero per un saluto. La notizia desta in noi stupore, gioia e meraviglia. In pochi istanti, comprendiamo che quella segreta speranza custodita in silenzio nel cuore di ogni sorella, nei giorni scorsi, ora sta per divenire realtà. Non abbiamo letteralmente il tempo di fare nulla, se non abbandonarci a quel profondo senso di gratitudine e gioia che ci sale da dentro; gratitudine che si fa preghiera, lode, attesa e disponibilità ad accogliere il gesto di estrema delicatezza di un Dio che sempre ci sorprende.
È vero che il Signore prepara i suoi doni, ma è anche vero che ogni dono di Dio è sempre qualcosa di imprevedibilmente inatteso che ci coglie impreparati e chiede solo di poterci sorprendere. È questo Dio, «il nostro Donatore, il Padre delle misericordie» — per usare un’espressione cara alla nostra Madre santa Chiara — che oggi viene a visitarci nella persona di Papa Francesco.
Con una gioia profonda, difficilmente traducibile in parole, vediamo per la prima volta la sua figura varcare la soglia del nostro giardino, scendere la rampa di scale e venire in mezzo a noi, che gli andiamo incontro lungo il viale dei glicini e lo circondiamo, come figlie attorno al loro padre.
Le prime parole che ci rivolge nel salutarci esprimono la sua gioia nel vedere la nostra fraternità, più numerosa e giovane di quanto si aspettasse. Nel salutarlo, non possiamo fare a meno di notare la sua cordiale umanità e affabilità di modi, come anche i gesti di particolare tenerezza che riserva per le sorelle più deboli e anziane. Qualcuna dirà più tardi: «Si vede che ti vuole incontrare, ti guarda proprio negli occhi». Poi, andando dritto al cuore della questione, così esordisce: «Sono venuto qui, perché so che voi pregate per me!».
Basterebbe questa sola frase a racchiudere il senso di tutto l’incontro, svoltosi all’insegna del legame che unisce la nostra vita alla sua: un vincolo spirituale tanto più profondo quanto più nascosto in Dio, che trova nella preghiera e nel silenzio dell’offerta quotidiana il modo più autentico per esprimersi. Il legame che unisce la nostra Fraternità alla persona del Papa ha origini antiche. Infatti, la fondazione del monastero risale al 1631, in concomitanza con l’arrivo dei Papi a Castel Gandolfo. Ha goduto perciò, nel corso dei secoli, della particolare vicinanza e costante visita dei diversi Pontefici che si sono succeduti sulla Cattedra di Pietro.
Lungo il percorso del nostro corridoio, Papa Francesco si trattiene in preghiera silenziosa davanti alla lapide che testimonia un punto nevralgico di storia, dolorosa e insieme luminosa, della nostra comunità, colpita duramente durante la seconda guerra mondiale. All’inizio della guerra, la nostra Fraternità raccolse l’invito di Pio XII, che chiedeva a tutti i consacrati nella vita religiosa di offrire la loro vita per implorare da Dio la pace nel mondo, sconvolto dalla tragedia della guerra. Le sorelle si fecero carico dell’invito del Papa e, con voto, si offrirono vittime per la pace. Il 1° febbraio 1944, un terribile bombardamento rase al suolo gran parte del monastero, provocando la morte di quindici sorelle, le più giovani. Se ne aggiunsero altre tre pochi giorni dopo. Tra le sorelle superstiti si trovava Maria Chiara Damato, ora venerabile serva di Dio, di cui è in corso la causa di beatificazione, la quale era certa di non morire in quell’occasione perché, diceva, «mi attendono altre sofferenze».
Dopo questo momento di raccoglimento, giunti davanti alla Sala Capitolare, Papa Francesco entra ma non va a sedersi; rimane lì in piedi, vicino la porta, aspettando e accompagnando con la mano ogni sorella finché siano entrate tutte, come un Pastore fa con il suo “piccolo gregge”. A questo punto con un gesto simpatico e affettuoso, che lascia tutti sorpresi (anche noi…), chiude la porta, lasciando nel corridoio il suo seguito, dicendo di volersi fermare da solo con la comunità. Con lui si crea subito un clima di confidenza e familiarità, tanto che ci sembra sia qui con noi da sempre. Quanto ci consegna in questo momento rimane custodito nel cuore di ogni sorella, perché è veramente con il cuore che lui ci sta parlando. Nell’intimità di questo piccolo squarcio di fraternità, in Capitolo con il Papa (!), ci esprime innanzitutto la sua gratitudine per quanto facciamo per la Chiesa e la stima per la nostra vita contemplativa, «vita di preghiera e di penitenza». Facendosi voce di tutte le sorelle, la Madre gli assicura: «non solo la preghiera, ma anche l’offerta della vita» e lui: «La Chiesa ha bisogno di questo, di martiri, perché la prima evangelizzazione si fa in ginocchio». Ci consegna ciò che più di ogni altra cosa gli sta a cuore: la vita della Chiesa, la carità fraterna che ci fa operatori di pace, la continua vigilanza nella vita spirituale. Ci parla come un padre amorevole che nutre e si prende cura dei suoi figli. Lo fa quasi in punta di piedi. Chiede anche a noi, nel silenzio di queste mura monastiche, quanto il 13 marzo, quattro mesi fa, chiedeva a tutti in piazza San Pietro: «Pregate per me».
Insieme a tanta gioia, avvertiamo la grande responsabilità per la missione che Papa Francesco ci consegna, che ci fa sentire cuore pulsante della Chiesa che batte all’unisono con il cuore di Cristo nella persona del Santo Padre, facendo nostri i suoi stessi sentimenti e rendendoci partecipi delle sue gioie e delle sue sofferenze. Nel momento in cui ci benedice, percepiamo sulla nostra Fraternità la benedizione di quel Dio che, attraverso di lui, si prende cura di «questo piccolo gregge che il Signore e Padre generò nella sua santa Chiesa proprio per imitare la povertà e l’umiltà del suo Figlio diletto e della gloriosa Vergine, sua Madre» (Santa Chiara). Sgorga dal nostro cuore il più vivo rendimento di grazie per il dono di Papa Francesco, che non smette di sorprenderci con l’inedito di Dio. A Lui la gloria e l’honore et onne benedizione.
L'Osservatore Romano, 17 luglio 2013.

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L'Osservatore Romano
«Condanno con forza lo stupro di gruppo subito da questa giovane suora. Questa violenza è terrorismo fisico ed emotivo contro le nostre donne e contro l’umanità, uno dei peggiori crimini possibili»: sono queste le severe parole di commento del cardinale arcivescovo di Bombay, Oswald Gracias, in merito all’aggressione subita nei giorni scorsi da una giovane suora nello Stato dell’Orissa, in India.