sabato 6 luglio 2013

Sabato della XIII settimana del Tempo Ordinario


Uomini che hanno in sé un desiderio così possente 
che supera la loro natura, 
ed essi bramano e desiderano più di quanto 
all’uomo sia consono aspirare, 
questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; 
Egli stesso ha inviato ai loro occhi 
un raggio ardente della sua bellezza. 
L’ampiezza della ferita rivela già 
quale sia lo strale e l’intensità del desiderio 
lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo.

N. Cabasilas

Mt 9, 14-17 

In quel tempo, si accostarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore. Né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si mette vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano».


Il Commento

I discepoli di Gesù non digiunano come gli altri, ma per amore e in libertà. Il digiuno cristiano non è solo una pratica religiosa in vista di una purificazione. Il digiuno dei discepoli di Gesù è memoria. E' inginocchiarsi dinanzi al Crocifisso e implorare il suo ritorno. E' una condizione essenziale dell'esistenza, digiunare è vivere in pienezza la vita terrena, che è già e non ancora. Lo Sposo è con noi, ma, contemporaneamente, non è qui, perché la pienezza è riservata al Cielo. La terra è un cammino, passi che si susseguono verso la meta, mentre il desiderio di pienezza si acuisce all'avvicinarsi del traguardo. 


Le nostre nozze con il Signore sono indissolubili, eppure vi sono giorni nei quali lo sposo ci è tolto. Allora la nostra vita si addentra nel mistero di una compiutezza pregustata ma non ancora completamente assaporata. E' il mistero della Chiesa, sposa e vedova allo stesso tempo, che esplode di gioia intorno alla mensa eucaristica, ma che digiuna e prega nell'attesa del compimento. Per lo Sposo getta ogni avere, gli spiccioli che ha per vivere; per Lui digiuna, perché Lui è la sua vita: “la vera vedova mette la sua speranza nel Signore, e persevera notte e giorno nella preghiera e nell’orazione”” (1 Tm 5, 5). La Chiesa vive del memoriale del suo Signore, l'eucarestia, presenza viva del suo Sposo amatissimo; nel mezzo del banchetto pasquale rinnovato ogni settimana erompe in un grido di nostalgia e speranza: maranathà, vieni, ritorna Signore Gesù. Il digiuno è il nostro maranathà, le lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; è l'attesa fatta preghiera che implora lo Sposo perché torni presto per portarci con Lui, verso il posto che ha preparato per noi. Presentando il calice nell’ultima cena, Gesù ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,25). Dopo quella cena lo Sposo sarà "tolto" e i discepoli dovranno digiunare nell’attesa del suo ritorno e dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello » (Ap 19,9). Il nostro digiuno partecipa così a quello di Gesù. E' una promessa, un appuntamento d'amore, la speranza di bere con Lui il vino nuovo del Regno di Dio.

Per questo il morire è meglio del vivere e chi ha conosciuto Cristo desidera ardentemente il Cielo. "Muoio perchè non muoio" diceva Santa Teresa d'Avila, e non era disprezzo della vita. Anzi, più si vive intensamente la vita più si desidera addormentarsi per risvegliarsi in CieloPiù la vita è perduta per amore, più forte è l'ansia d'un amore perfetto e definitivo: “Uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all’uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l’intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo” (N. Kabasilas). Feriti dal dardo d'amore del loro Sposo i figli delle nozze vivono un'attesa di pienezza che nulla può colmare.

Il digiuno è dunque la condizione del cristiano. Le sofferenze, la precarietà, le malattie, i fallimenti, le proprie debolezze sono il digiuno d'ogni giorno. Per questo, quando più intensa è l'esperienza della sofferenza e la presenza assoluta dello Sposo è questione di vita o di morte, quando siamo incastrati sul legno della Croce, è naturale digiunare. Non mangiare, non fumare, non parlare, non è così solo una pratica ascetica per ingrassare l'uomo vecchio che fa anche della religione qualcosa di carnale. Digiunare è un'esigenza, un grido dalla Croce, l'eco stesso delle parole del Signore Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, Sposo mio perchè mi hai abbandonato?". Il digiuno sono le lacrime che sperano il suo amore. E' questa l'ascesi, l'ascesa al trono di misericordia che sappiamo non deludere mai. 

Digiunare è lasciare che la verità prenda il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni. La fame che il digiuno suscita è la verità, la nostra realtà, nella quale il Corpo benedetto e risorto del Signore è l'unico vero cibo capace di saziarci. Digiunare è spogliarci in attesa d'essere una sola carne redenta con il nostro Sposo, nell'ansia del santo e castissimo amplesso, quell'amore eterno per il quale siamo stati creati. E' la novita' della vita nuova, di un rapporto nuovo con Dio, non più basato sul timore ma sull'amore. Un "abito nuovo", una nuova forma di vita. Un "vino nuovo", una festa e un'allegria nuove che scaturiscono dall'amore. 

Digiunare in ogni relazione, a casa, al lavoro, nei rapporti d'amore, ovunque, significa non chiedere agli altri quella pienezza che non possono darci; digiunare dalla comprensione, dall'accoglienza, dalle parole quando divengono ingombranti ed inutili, germe di polemica e litigi sterili; digiunare dall'affetto che la nostra carne reclama, guardando e vivendo ogni relazione nell'orizzonte del Cielo, nella consapevolezza che sulla terra la debolezza della carne ci fa vedove cui è stato sottratto lo sposo: quando l'altro si fa ostile e non corrisponde a quanto desidereremmo, o quando ci stringe la tentazione di appropriarcene attraverso la sessualità, il digiuno è l'unica via, la verità sulla nostra e l'altrui vita, il perimetro dell'incompiutezza che ci fa vigili, prudenti, casti e sobri. 

Anche se felicemente sposati, siamo vedove, il nostro vero Sposo non è qui, ci precede in Galilea, in un costante pi in là che ci fa uscire da noi stessi per donarci senza riserve nell'attesa della pienezza che solo in Lui potremo trovare. Le persone che ci sono accanto, anche quelle a cui abbiamo consegnato la nostra vita sacramentalmente, sono immagine e presenza di Cristo, ma circoscritte nei limiti della carne. Digiunare è avere e fare memoria di questa realtà. Per questo, il digiuno è amore all'altro, così come è, nel rispetto, pazienza e misericordia. Digiunare è la radice di ogni rapporto vissuto nell'autenticità e nella libertà, segnato dal già e non ancora, la nostalgia struggente di chi cerca Cristo, unico e vero Sposo capace di rispondere pienamente ad ogni desiderio. Digiunare è la sapienza che ci slega dalle catene affettive che scambiano il Creatore con la creatura, per vivere ogni momento della nostra esistenza con la pace e la misura, la libertà e la moderazione che non fa di ogni relazione un assoluto, ma che in tutto attende, dal Cielo, il compimento. E' questo "l'abito nuovo" dei figli di Dio, il "vino nuovo" della sposa di Cristo.