martedì 23 luglio 2013

Un papa semplice e profondo



L'episodio della valigia, portata personalmente sull'aereo, è solo l'ultimo esempio dei modi rivoluzionari di Francesco. Che riesce a comunicare con essenzialità e in modo efficace usando anima, corpo e mente
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Era in una città portuale della Turchia asiatica. A notte fonda aveva sentito risuonare in sogno una voce e gli era apparso un volto. Era un europeo che gli gridava: «Vieni in Macedonia e aiutaci!». Questa vicenda molto personale segnerà la storia dell'Occidente: il protagonista era Paolo di Tarso, e quel monito notturno lo spingerà a far approdare il cristianesimo, attraverso una serie di tappe, fino a Roma. Infatti, un'altra voce, quella dello stesso Cristo, lancerà successivamente all'Apostolo - allora in custodia cautelare nella Fortezza Antonia, sede del governatore romano a Gerusalemme - questo invito: «Coraggio! Come hai testimoniato qui su di me, così è necessario che tu mi dia testimonianza anche a Roma!».

CON TUTTE LE DEBITE differenze e distanze, mi piace applicare liberamente queste due scene notturne descritte negli Atti degli Apostoli, la seconda opera scritta dall'evangelista Luca, al papa «venuto dalla fine del mondo». Sì, la Chiesa europea e Roma stessa avevano bisogno della scossa di una simile presenza divenuta subito familiare, eppure così inattesa e sorprendente. Non voglio infliggere ai lettori de "l'Espresso" un altro ritratto di papa Francesco: ogni giorno, quando scorro i titoli della rassegna giornalistica della Sala stampa vaticana, mi imbatto in decine di articoli su di lui in tutte le lingue.

Vorrei solo proporre una considerazione su un lineamento capitale di quella figura, la voce, ossia il suo linguaggio. E' un'esperienza ormai nota a tutti: basta guardare le facce inquadrate casualmente dalla televisione quando lui parla, tra l'altro usando sempre una lingua oggi marginale com'è l'italiano. Nonostante le diversità etniche, tutti sono in tensione verso di lui e «comprendono ciascuno nella propria lingua», come accadeva a san Pietro a Gerusalemme il giorno di Pentecoste. La sua, infatti, è una comunicazione che adotta spontaneamente alcuni registri decisivi per l'incontro delle menti e dei cuori. 

Il primo è proprio quello della compattezza tra corpo, anima, mente, labbra e mani: la convinzione con cui papa Francesco comunica il suo messaggio non è "pubblicitaria", ma autentica e questo offre una carica straordinaria di incisività. Il pubblico televisivo odierno è smaliziato e sa discernere la passione sospetta, l'enfasi artificiosa. Papa Francesco coinvolge prima di tutto se stesso e così si rivolge agli altri, li avvolge e travolge le eventuali resistenze. Questa sua corporeità spirituale (l'ossimoro è giustificato) si manifesta poi in vari altri percorsi comunicativi.

Penso al suo uso della "coordinata" rispetto al ricorso alla più complessa costruzione con le "subordinate" che reggeva i discorsi di Benedetto XVI. Penso al metodo della ripetizione tematica (chi ormai non conosce le "periferie" a cui indirizza i fedeli, così spesso evocate?): essa non è mera reiterazione orizzontale, bensì approfondimento verticale. Penso poi all'uso, caro anche a Gesù, del simbolo: ad esempio, l'odore delle pecore, gli occhi della suora anziana che egli fissa e descrive nell'immensa platea dell'Aula Paolo VI, la corona di fiori galleggiante sul mare di Lampedusa, la croce di legno scheggiato impugnata come pastorale sempre in quell'evento isolano, sono vere e proprie parabole o messaggi in azione, alla maniera dei profeti biblici.

E ANCORA PENSO ALL'ADOZIONE del dialogo con interrogazione, sperimentato, ad esempio, coi bambini in gravi difficoltà personali e familiari del treno "Freccia argento", fatto entrare in Vaticano: io che l'accompagnavo potevo scoprire non solo il "divertimento" festoso dei piccoli, ma anche quello genuino di Francesco, placcato da questi ragazzi avidi di affetto a causa delle loro storie tragiche. Su tutto domina la semplicità dell'essenzialità. Al principio wittgensteiniano, secondo il quale «tutto quello che si può dire, si può dire chiaramente», si può forse associare, nel caso di papa Francesco, un detto inglese: "Vivere con semplicità e pensare con grandezza".
di Gianfranco Ravasi

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- Un papa «liberatore» (Leonardo Boff, il manifesto)