sabato 6 luglio 2013

XIV Domenica del Tempo Ordinario. Anno C



La missione della Chiesa è insita nella sua ragione d'essere, nel mondo e per il
mondo. L'annuncio evangelico di questa domenica ci riporta all'autanticità del
nostro essere Chiesa come comunità cristiana che non solo si ispira al Vangelo
ma è consapevole che, per la sua attualità, questo va vissuto totalmente anche
oggi. Ne va della sua freschezza e attualità.

Buona Domenica pb. Vito Valente.

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno C


MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 47,10-11
Ricordiamo, o Dio, la tua misericordia
in mezzo al tuo tempio.
Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode
si estende ai confini della terra;
di giustizia è piena la tua destra.
 
Colletta

O Dio, che nell'umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l'umanità della sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall'oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore...

 Oppure:
O Dio, che nella vocazione battesimale ci chiami ad essere pienamente disponibili all'annunzio del tuo regno, donaci il coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché rendiamo presente in ogni ambiente di vita la tua parola di amore e di pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Is 66, 10-14
Io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace. 

Dal libro del profeta Isaìa
Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l’amate.
Sfavillate con essa di gioia
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore:
«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi»


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 65
Acclamate Dio, voi tutti della terra. 
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!».

«A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.

Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.


Seconda Lettura
  Gal 6, 14-18
Porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

Canto al Vangelo 
  Col 3,15.16
Alleluia, alleluia.

La pace di Cristo regni nei vostri cuori;
la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza.

Alleluia.

  
  
Vangelo
  Lc 10, 1-12. 17-20. forma breve Lc 10,1-9
La vostra pace scenderà su di lui.

Dal vangelo secondo Luca[In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.
] Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

*

"Lo scandalo della Croce fa paura, perché si è dimenticato il Cielo che essa dischiude"

Commento al Vangelo della XIV Domenica del Tempo Ordinario. Anno C



“Andare e annunciare”, la Chiesa è viva in questi due verbi: "Essa esiste per evangelizzare, per predicare e riconciliare i peccatori con Dio" (Paolo VI, Evangelii nuntiandi). E, dentro, un amore infinito a muovere gambe, labbra e cuore, l'amore più grande, annunciare l'amore, che ha un nome, è una persona, è Cristo Gesù. L'annuncio del Vangelo è sempre un'apparizione di Cristo risorto: ovunque giungano i suoi messaggeri si rinnova la Pasqua: "Pace a voi! Pace a questa casa", lo stesso annuncio che ha deposto il Cielo sulla terra.
"Egli è venuto ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini": nei suoi apostoli Egli "è venuto" e "viene" ogni giorno passando attraverso la porta sprangata dietro la quale si nasconde l'uomo di ogni tempo, alienato nel cinismo che cantava John Lennon in Imagine, la canzone che ha sedotto milioni di giovani: “Immagina che non esiste paradiso, è facile se provi”. Ma Cristo è venuto a sgretolare questo immaginare falso e distruttivo proprio annunciando la Pace, caparra di quel Paradiso che Lennon negava.
Come gli esploratori che, inviati da Mosè nella Terra di Canaan, tornarono con le primizie ivi raccolte, Gesù è tornato dal Paradiso portando il suo frutto più squisito, la Pace che fa dei due, di ogni Adamo ed Eva inesorabilmente separati dal veleno del peccato, una sola creazione nuova. Gli Apostoli gioirono nel vederlo di nuovo vivo; erano “figli della Pace”, e la Pace “discese su di loro”.
Il mondo ha cancellato dal suo orizzonte il peccato originale, e non sa più da dove prendere il male: esso sguscia via dai cuori, dalle menti, dalle mani, e domina e uccide. Occorre un miracolo, un segno, la testimonianza che non tutto finisce ingoiato dall'assurdo della morte e del male. Urge il Regno dei Cieli, qui ed ora, visibile, come un avvenimento autentico e gratuito, perché l'uomo smetta di costruirselo. E' necessario che la Chiesa annunci il Regno dei Cieli, incarnando come un sacramento di salvezza, l'irrompere di Dio nella storia dell'umanità. 
Ma anche oggi “sono pochi gli operai” che, liberi perché amati, si gettino nella “messe abbondante”. Non si crede più che il mondo sia una “messe” pronta per la mietitura perché si è dimenticato il potere del Seme caduto in terra e morto per non rimanere solo. Si parla tanto di inculturazione del Vangelo, spesso dimenticando l’amore che muove l'evangelizzazione.
Si ingabbia il Vangelo nelle trame delle diverse culture sino a gettarlo prono dinanzi alla dittatura del relativismo etico e morale dei tempi e delle mode; si pensa così di renderlo più commestibile e appetibile. Per paura del rifiuto e del fallimento si annacqua l’annuncio nel compromesso, come facciamo spesso nella nostra vita. Ciò che realmente ci preme è non fallire, è l'essere compresi, accettati. Lo scandalo della Croce fa paura, perché si è dimenticato il Cielo che essa dischiude.
Per questo Gesù invia gli apostoli come ambasciatori del Regno di Dio; ne hanno sperimentato la vita e l’amore, devono annunciarlo, non possono perdersi in “saluti” e convenevoli. Con loro nessuna sicurezza di quelle in uso al di là del muro che separa il Cielo dalla terra“Non passano di casa in casa” e non si legano strumentalmente a nessuno, perché non cercano la propria gloria, ma si sfiniscono perché nessuno vada perduto. “Accolti in una città, mangiano quello che è offerto” loro, anche il cibo avariato dalla menzogna del demonio, e non temono di “bere” anche il calice colmo dell’aceto amaro del peccato; “restano nella casa” dei “figli della pace”, ascoltando il dolore per “guarire i malati” con la misericordia e la stoltezza della predicazione; sanno, infatti, che solo la Parola del Vangelo ha il potere di sanare anche le situazioni più disperate.
Come i “discepoli” di Gesù - scelti alla stregua dei “settantadue anziani” che affiancarono Mosè nel governo di Israele - siamo inviati a giudicare le cause  che il demonio ha intentato contro chi ci è accanto, in famiglia come al lavoro, a scuola o tra gli amici. Siamo “mandati come pecore in mezzo ai lupi", discepoli dell’Agnello che ha sottratto alla pena di morte l’umanità offrendo se stesso al patibolo; nei “settantadue” la morte è stata vinta e, più ancora nel rifiuto e nella persecuzione, con loro si fa “vicino il Regno di Dio”; esso è preparato anche per i nemici della Croce di Cristo, gli abitanti delle “Sodoma” che rifiutano e uccidono gli stranieri messaggeri di una vita diversa e senza peccato; liberi e senza paura, siamo inviati ad amarli nella verità, “scuotendo la polvere” di corruzione e vanità calpestata per raggiungerli, rivelando sin dove si spinge lo zelo di Dio per la pecora perduta.
Per noi è la gioia incorruttibile che nasce dalla certezza del “Cielo”, dove “i nostri nomi”, le nostre persone, sono custodite come lettere d’oro “scritte” dal sangue di Cristo. Non ci basta vedere “Satana cadere dal cielo” dove si è assiso usurpando il posto di Dio. Non è il “potere” smarrito dai progenitori di “camminare sopra” il serpente antico a rallegrarci; ogni giorno sperimentiamo che “nulla può danneggiarci”: tutto questo è la nostra missione, non il destino che ci attende. Niente orgoglio e presunzione, i discepoli dell’umile Servo sperano il Cielo, e, con Lui, camminano ogni giorno verso la “ricompensa”, la pienezza della gioia che non tramonta.
Japicca

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"E' aggrappandoci a Cristo che troviamo la pace di Dio"

Omelia a cura della Congregazione per il Clero 


Seguendo l’itinerario della vita pubblica di Cristo, iniziato già domenica scorsa, la Chiesa ci propone nell'odierna pagina evangelica una realtà che è anche una urgenza: l’istituzione missionaria, di cui Gesù si fa carico, per poter portare la buona novella a tutti i popoli.
I testi liturgici presentano questo tema in tutti i suoi aspetti: le missioni come impegno della Chiesa, come responsabilità di coloro ai quali è affidato tale mandato, come responsabilità di coloro ai quali è rivolto l’annuncio.
In poche parole possiamo affermare che la Chiesa tutta è chiamata da Cristo ad essere missionaria.
Gesù aveva scelto i dodici Apostoli in quanto, essendo a lui più vicini, avrebbero dovuto essere i suoi più diretti collaboratori nella predicazione del Vangelo; in seguito sembra quasi che il Signore abbia voluto organizzare ancor meglio il ministero della Parola, per cui si è preoccupato di scegliere e radunare altri settantadue discepoli da inviare due a due avanti a sé, in ogni città, paese e luogo dove stava per recarsi.
Ci troviamo, per così dire, davanti ad un gruppo considerevole di annunciatori della Parola, quasi un piccolo esercito, almeno per quel tempo, che avrebbe dovuto conquistare pacificamente i vari popoli al Regno di Dio.
Ma Gesù sembra sottolineare che, mentre stava per dare inizio alla sua opera evangelizzatrice, quel  drappello in realtà era piuttosto piccolo per poter raggiungere tutti i popoli. E lo fa affermando: “la messe è abbondante, ma sono pochi quelli che vi lavorano".
Infatti, la messe sono tutti gli uomini, l’umanità intera, e Dio vuole che il suo dono sia senza riserve e cioè venga destinato a tutti, e per tutti ci sia la possibilità della salvezza, pervenendo alla conoscenza della verità, di accogliere la misericordia e l’amore di Dio.
Per raggiungere questa meta, Gesù si serve di uomini, chiama dei collaboratori, invia gli annunciatori del messaggio, i ministri della sua Parola che salva.
Nella sua infinita sapienza ed onnipotenza, il Signore avrebbe ben potuto utilizzare altri mezzi, ma ha preferito offrire il dono della salvezza ad ogni uomo coinvolgendo l’uomo stesso nel movimento di diffusione e di espansione del Vangelo.
Il problema della evangelizzazione e della nuova rievangelizzazione è, per la Chiesa, assolutamente prioritario, e mentre il tempo scorre diventa sempre più urgente e più attuale, in quanto i valori cristiani si vanno affievolendo, quando non spegnendo, nelle coscienze degli uomini; il senso religioso, naturale e spontaneo, educato e reso adulto nel contesto della fede cristiana si va perdendo evaporando nel contesto di una atmosfera generale diffusa mediaticamente.
Il Vangelo dovrebbe di nuovo essere annunciato e riscoperto per procedere ad un’evangelizzazione in cui tutti i cristiani si devono sentire coinvolti, e non solo coloro che partono per Paesi lontani, ma anche coloro che, rimanendo nelle proprie città, debbono avvertire l’urgenza della coerente professione della propria identità e del dare ragione della propria fede.
Importante, quindi, è che l’annuncio del Regno sia credibile e la testimonianza sia convincente, perché offerta non solo a parole ma con le opere. E per essere credibili occorre essere credenti!
È un impegno, questo, che richiede coraggio in quanto occorre essere liberi, liberi per poter affrontare le difficoltà di andare contro corrente. Coraggio di chi sa di poter contare su Gesù, come quei primi inviati che, pur essendo inesperti e sprovveduti, credettero e partirono.
Era Lui il pensiero dominante mentre andavano sussurrandone in cuore il nome, ad ogni incontro. E la loro sorpresa fu grande quando, invece della ferocia dei lupi, sperimentarono la sottomissione dei demoni.
La potenza di Cristo operava prodigi attraverso coloro che non pensavano di esserne capaci. Quindi il discepolo del Signore può annunciare il Vangelo a condizione di avere una fede solida in Colui che lo ha mandato. Solo la fede autentica ottiene la vittoria nell'opera missionaria.
È quanto San Paolo afferma nella seconda lettura, riponendo nella Croce di Cristo tutta la sua fiducia. Per mezzo della Croce di Cristo il mondo è stato vinto e la morte e la resurrezione di Gesù dimostrano che la logica che il  mondo segue, e sulla quale fonda la speranza del successo, è ormai superata. Ciò che conta è essere raggiunto e rinnovato da Cristo per diventare nuova creatura.
Infatti, è aggrappandoci a Cristo che troviamo la pace di Dio e la sua misericordia.
Di questa pace si fa promotore il gioioso annuncio di Isaia nella prima lettura, descrivendo la gioia che inonderà la nuova Gerusalemme allorquando Dio, come tenera madre, si prenderà cura dei suoi abitanti ritornati ormai dalle dure esperienze dell’esilio. È evidente nel brano di Isaia il concetto che la pace, aspirazione suprema dell’umanità, è dono di Dio prima che conquista faticosa dell’uomo. Essa non può essere raggiunta stabilmente se Dio stesso non ne costituisce il fondamento. Chi annuncia il Vangelo è sicuramente un messaggero di questa pace.

*

A discepoli di Cristo è affidato il mondo

Lectio Divina di monsignor Francesco Follo.

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi ai lettori di Zenit la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XIV.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C. 
Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
A discepoli di Cristo è affidato il mondo, perché vi portino la pace e l’amore che condivide il pane e la verità.
1) Il realismo è il contrario del pessimismo.
A chi Gesù affida il compito di portare la lieta parola di pace al mondo che l’aspetta?A quelli che come San Pietro, oggi come allora, Gli dicono: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio” (come ci ricorda il brano evangelico del rito ambrosiano: Gv 6, 68-69).
La nostra comune esperienza è che gli esseri umani hanno una spinta di attrazione verso il bene, verso cose alte, verso l’eccellenza (ad esempio nel lavoro, negli studi, nello sport, nella letteratura ecc.). San Paolo scrisse ai Filippesi: “Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4.8).
Ma la cosa più alta a cui noi esseri umani aspiriamo è l’amore. La Beata Madre Teresa di Calcutta era così certa che la “cosa più alta” per cui siamo stati creati fosse l’amore (= cioè l’ “amare e essere amati” che divenne Missionaria della Carità. Questa Beata non faceva altro che riproporre con le sue parole e la sua vita l’invito di Cristo di essere missionari della verità e della carità, lieti perché il nostro nome è scritto nel cuore di Dio (cfr la frase finale del brano evangelico proposto oggi dal rito romano : Lc 10, 20).
Purtroppo, a questa spinta verso l’alto si oppone la controspinta del nostro peccato che ci distoglie dalla vocazione di essere amati e di portare questo amore vero alla messe (moisson) del mondo, che anela risollevarsi e vivere nella pace stabile, duratura e serena.
Il mondo, oggi, cerca pace più che libertà e non c’è pace sicura che dentro l’amore di Cristo, il cui giogo è dolce e soave. A chi pensa che Cristo sia il profeta dei deboli, i discepoli di ieri e di oggi portano un Vangelo che rende i calpestati più alti dei re. A chi sostiene che la Sua è una religione di malati e di moribondi, noi dobbiamo mostrare che Gesù guarisce gli infermi e risuscita i “dormienti”. A chi dice che Lui è contro la vita, noi annunciamo che Lui vince la morte. Il Figlio di Dio non è il Dio della tristezza e esorta i suoi a essere lieti e promette un eterno banchetto di gioia ai suoi amici.
2) Occorre sapere1 l’amore.
Nell’odierno brano evangelico romano Cristo invita a pregare perché il Padre mandi operai alla messe che è pronta, matura. E di Gesà possiamo dire tutto ma non che non fosse realista: Lui non era certamente né un illuso, né un deluso: guardava il mondo in modo divino. Ma per essere suoi discepoli non basta questa sguardo positivo. Per essere suoi discepoli che vanno nella case e nelle periferie del mondo (come ama ripetere spesso Papa Francesco) è necessario che noi sappiamo che cosa è l’amore, in modo da poter distinguere il vero amore dal falso amore. E’ necessario sapere come ognuno di noi sa amare nelle circostanze della propria vita – nel qui ed ora della nostra ordinaria vita quotidiana.
Naturalmente ogni definizione è incompleta quando parliamo dell’amore, e c’è sempre qualcosa in più che si può dire al riguardo. Ma comprendiamo meglio l’amore e lo impariamo di più quando lo incontriamo. Madre Teresa di Calcutta, missionaria della carità e della pace, insegna: “L’amore non è parlare, l’amore è vivere. Si può parlare di amore tutto il giorno e non amare nemmeno una volta.” Avendo avuto il dono di incontrala abbastanza spesso posso testimoniare del suo amore e del suo esempio. Una volta le fu chiesto in un’intervista: “Potrebbe dirci che cosa è in verità l’amore ?” Madre Teresa rispose prontamente: “Amare è dare. Dio ha tanto amato il mondo da dare Suo Figlio. Gesù ha tanto amato il mondo, ha tanto amato te, ha tanto amato me da dare la Sua vita per noi. Ed Egli vuole che noi amiamo come Lui ha amato. E così ora anche noi dobbiamo dare fino a che fa male. L’amore autentico è un dare, e dare fino a che fa male.”. Ed una volta fecei questa domanda ad una semplice suore di Madre Teresa: “Suora è vero che, come la Madre, fate tutto per amore?”, e questa suora girò con semplicità il palmo della mano destra verso l’alto perdire con un umile gesto: “E’ ovvio”. E con la bocca aggiunse: “E’ naturale” ed riprese il suo “apostolato” sbucciando le patate per la mensa dei poveri.
Il Beato Giovanni Paolo II, che –secondo me- è come un fratello spirituale di Madre Teresa2, parlava della “legge del dono” iscritta nella nostra natura umana: la realizzazione umana e la felicità si raggiungono vivendo questa “legge” come egli si espresse, “essere dando sé stessi”.
E’ un paradosso insito nella nostra vita, se noi ci rivolgiamo a Dio e agli altri (il nostro prossimo) allora il frutto è la nostra realizzazione e felicità; ma se noi ci focalizziamo sulla nostra felicità e realizzazione (in modo egoistico, “prima io”) allora non raggiungeremo mai né felicità né autorealizzazione.
Madre Teresa espresse ciò in modo eccellente: “L’amore è una via a senso unico. Allontana da se stessi verso l’altro. L’amore è il dono finale di sé stessi all’altro. Quando smettiamo di dare, smettiamo di amare, quando smettiamo di amare smettiamo di crescere, e solo crescendo otteniamo una realizzazione personale. Se non amiamo, non ci apriremo mai ad accogliere la vita di Dio. E’ con l’amore che incontriamo Dio.”
La pratica della carità (quindi l’attività apostolica, missionaria), è alla portata di ogni cristiano in qualsiasi stato di vita si trovi. E’ la vocazione sacerdotale, “pastorale” di ogni cristiano. Ognuno di noi ha la missione di essere un portatore dell’amore di Dio. La Beata Madre Teresa di Calcutta diceva: “Oggi Dio ama così tanto il mondo da dare te, da dare me per amare il mondo, per essere il suo amore, la sua compassione. È un pensiero bellissimo – ed una convinzione che tu ed io possiamo essere quell’amore e quella compassione.” In modo significativo, Madre Teresa fece notare che coloro che hanno maggiore fame e sete di Dio e del Suo amore, e coloro ai quali dobbiamo di più ... sono proprio quelli più vicini a noi. “Come possiamo amare Gesù nel mondo oggi? AmandoLo in mio marito, in mia moglie, nei miei bambini, i miei vicini, i poveri”. Infatti, sono proprio coloro con cui viviamo che ne hanno più bisogno. Poi il cerchio aperto del nostro amore a Dio ed ai familiari accoglie tutti gli altri, che Dio ci dona come prossimo.
Chi vive in modo particolare questo “cerchio aperto” dell’amore di Dio, sono le Vergini consacrate. Il “titolo” di vergine più che un’integrità fisica esprime la pienezza del dono a Dio (cfr Rito di consacrazione delle Vergini, Congedo, N°36 = il Vescovo dice: Che Dio nostro Padre vi conservi sempre nell’amore della verginità che ha messo nel vostro cuore). Esse non hanno niente di proprio. Non hanno un figlio nella carne. Esse non esistono che donandosi e per donarsi. Con la loro vita dimostrano che è possibile vivere una vita liberata dalla fatalità dell’istinto e diventano come la Madonna ostensori e tabernacoli di Cristo.
La virtù della castità non è per loro una disciplina che le rende padrone di se stesse. non soltanto una verginità fisica, ma una verginità anche spirituale che rifiuta ogni pensiero, ricordo e affetto che non sia per lui; tutto l'essere nostro si consuma in un atto di amore che ci unisce al nostro Sposo divino. E non solo la purezza, non solo la semplicità, ma anche l'umiltà; infatti, vivendo nella luce divina, avviene quello che avviene quando a mezzogiorno si vogliono guardare le stelle, e non si vedono più. E così io nella luce di Dio non mi vedo più, ho perso me stesso, non sono più nulla: egli solo è, lui solo l'Amato!
Questa virtù ha un volto, quello di Cristo che radioso le illumina e, tramite loro illumina il mondo.
Sono evangelizzatrici scelte non in base all’apparenza ma in base al cuore: “Dio non guarda ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam 16,7). Preghiamo il Signore che ci aiuti a “sapere” l’amore come lo insegnava S. Bernardo di Chiaravalle: "La misura di amare Dio è di amarlo senza misura", e a "innalzare l’amore del prossimo al valore di perfetta giustizia, la cui condizione è di amarlo puramente in Dio".
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LETTURA PATRISTICA
Testo di San Gregorio Nazianzeno (quarto secolo) in cui si mostra che tutti possono seguire Cristo e annunciare il suo Vangelo
Discorso 45, 23-24 ; PG 36, 654 C - 655 D    
“Diveniamo partecipi della Legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in modo completo e non limitato e imperfetto, in forma duratura e non precaria e temporanea. Facciamo nostra capitale adottiva non la Gerusalemme terrena, ma la metropoli celeste, non quella che viene calpestata dagli eserciti, ma quella acclamata dagli angeli. Sacrifichiamo non giovenchi né agnelli con corna e unghie, che appartengono più alla morte che alla vita, mancando d’intelligenza. Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull’altare celeste insieme ai cori degli angeli. Otrepassiamo il primo velo del tempio,  accostiamoci al secondo e penetriamo nel “Santo dei santi”. E più ancora, offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre attività. Facciamo come le parole stesse ci suggeriscono. Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze di Cristo, cioè la sua passione. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono infatti i suoi chiodi, benché duri. Siamo pronti a patire con Cristo e per Cristo, piuttosto che desiderare le allegre compagnie mondane.
Se sei Simone di Cirene, prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro appeso alla croce, fa’ come il buon ladrone e riconosci onestamente il tuo Dio... Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l’espiazione del mondo. Se sei Nicodemo, il notturne adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito. E se sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime. Fa’ di vedere per prima la pietra rovesciata, va’ incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.”
*
NOTE
Sàpere in latino ha due significati: quello di “conoscere” e quello di “gustare”.
2 A questo riguardo si pensi alle molte coppie sante di fratelli e sorelle nello Spirito, per esempio: San Benedetto da Norcia e Santa Scolastica, Sant’Ambrogio e Santa Marcellina, San Pacomio e Santa Maria, San Francesco d’Assisi e Santa Chiara, San Giovanni della Croce e Santa Teresa D’Avila, San Francesco di Sales e Santa Giovanna Francesca di Chantal, ecc.