mercoledì 28 agosto 2013

Cercatori di una patria lontana



La fede e il dialogo con i non credenti. 

Di seguito uno stralcio del discorso con cui l’arcivescovo di Chieti-Vasto apre a Bressanone, il 29 agosto, il congresso internazionale «Dio in questione: il linguaggio religioso e i linguaggi del mondo».
*
(Bruno Forte) L’uomo è un cercatore di senso, qualcuno che anela alla parola che vinca il silenzio della morte e dia valore alle opere e ai giorni, offrendo dignità e bellezza alla vita. Perciò la condizione dell’essere umano è quella del pellegrino. L’uomo non è qualcuno che sia arrivato alla meta, è piuttosto un cercatore della patria lontana, che si lascia interrogare e sedurre dall’ultimo orizzonte, che chiama: come scriveva Rahner, un «uditore della Parola».
Se l’uomo è per sua natura un pellegrino verso la vita, un mendicante del cielo, la tentazione mortale, che potrà assalirlo, sarà quella di fermare il cammino, di sentirsi arrivato, non più esule in questo mondo, ma possessore, dominatore di un oggi che vorrebbe fermare la verità del cammino. «L’esilio vero d’Israele in Egitto fu che gli Ebrei avevano imparato a sopportarlo». L’esilio non comincia quando si lascia la patria, ma quando non c’è più nel cuore la struggente nostalgia della patria. Martin Heidegger, parlando della «notte del mondo» nella quale ci troviamo, dice che la malattia dell’uomo moderno è l’assenza di patria, e che il dramma della nostra epoca non è la mancanza di Dio, ma il fatto che gli uomini non soffrano più di questa mancanza, e perciò non avvertano più il bisogno di superare l’infinito dolore della morte, considerando esilio e non patria il presente.
L’illusione di sentirsi arrivati, il pretendersi sazi, compiuti nella propria vicenda, questa è la malattia mortale. Si sarà prigionieri di essa quando il cuore non vivrà più l’inquietudine e la passione del domandare, il desiderio del trovare, per poter ancora e nuovamente domandare e cercare.
Questo vale anche per la via di Dio: pure nell’esperienza dell’incontro con lui la grande tentazione è quella di fermare la vita. Lutero, ispirandosi a san Bernardo, dice: «Sulla via di Dio non può darsi sosta, perfino l’indugio è peccato». Quando non si ha più il desiderio di cercare, quando ci si ferma, allora ci si allontana da Dio. È questo il senso più profondo della legge della Croce.
Il cristiano annuncia un verbum Crucis, una parola scandalosa, che lo inquieta sempre, perché sa bene che la grande scelta è fra il crocifiggere le proprie attese sulla croce di Cristo o il crocifiggere Cristo sulla croce delle proprie attese.
Nella Leggenda del Grande Inquisitore Dostoevskij racconta come sulla piazza di Siviglia, dove ardono i roghi degli eretici, un uomo venga trovato a guardare in silenzio la scena aberrante di quei supplizi. Portato davanti al Cardinale Inquisitore, ne ascolta in silenzio le domande ed è il suo silenzio che fa capire al vecchio custode della fede che quell’uomo è il Cristo. La reazione dell’Inquisitore è dura: «Sei Tu, sei Tu? Non rispondere, taci. E che potresti dire? So troppo bene quel che puoi dire. Del resto, non hai il diritto di aggiungere nulla a quello che Tu già dicesti una volta. Perché sei venuto a disturbarci? Sei venuto infatti a disturbarci». La scena si conclude con il bacio con cui Cristo saluta il vecchio Inquisitore.
Il senso di questa pagina si coglie quando si comprende che l’Inquisitore crede di compiere il più grande degli atti d’amore. Togliendo agli uomini la libertà, egli pensa di renderli felici, perché li solleva dal peso di dover continuamente cercare e scegliere. L’uomo è in cerca di un simile padrone. L’Inquisitore ama “troppo” gli uomini per dare loro la libertà!
Cristo smentisce la presunta verità di questo ragionamento: egli è libero e chiama alla libertà. Egli sa che anche se la libertà ha un prezzo grande, vale sempre la pena di essere vissuta. L’uomo acquietato dall’assenza di libertà sarà forse apparentemente felice, ma non sarà più uomo, perché essere e volersi umani vuol dire riconoscersi chiamati alla libertà, anche se questa chiamata ha un prezzo alto: la Croce. La Croce è il vangelo della libertà! È questo il messaggio che Dostoevskij ha voluto trasmettere: colui che si sente padrone della verità, colui per il quale la verità non è più Qualcuno da cui essere posseduto, ma qualcosa da possedere, quest’uomo ha ucciso in sé non solo Dio, ma la stessa dignità del suo essere umano.
La condizione umana è una condizione esodale: l’uomo è in esodo, in quanto è chiamato permanentemente a uscire da sé, a interrogarsi, a essere in cerca di una patria. Martin Lutero avrebbe detto sul letto di morte: Wir sind Bettler: hoc est verum! (“Siamo dei poveri mendicanti, questa è la verità”). Sono parole pronunciate alla sera della vita, quando si è sulla soglia del mistero e tutto si vede nella verità che non mente.
In realtà, però, è proprio della condizione umana stare ogni istante su questa soglia. Lo esprimono intensamente questi versi di Margherita Guidacci: «Come onde la tua riva tocchiamo, / ogni istante è confine tra l’incontro e l’addio. / Dal nostro mare in te fuggire, nel nostro mare fuggirti: / non altro è di noi labili il destino. / Né tregua mai ci è data, anche se amore / od altra arcana ansia più lontano ci spinse / sulle tue sabbie, in vista delle torri / della superba tua città. Ché ancora / indietro ci trascina il nostro peso / nel mutevole abisso – / Siamo di nuovo desiderio e lamento.
L'Osservatore Romano