venerdì 23 agosto 2013

La natura del tempo nella scienza e nell'esperienza umana


Interrogare la Scienza e cercare il significato per restituire l’uomo a se stesso: questo è stato lo scopo dell’incontro al Meeting del prof. Marco Bersanelli, ponendo la domanda sulla natura del tempo, nell’accezione di variabile fisica e di  categoria esistenziale.
All’incontro del Meeting di Rimini hanno partecipato: Paul Davies, Direttore del Beyond Center for Fundamental Concepts in Science e Co-Direttore del Cosmology Initiative presso l’Arizona State University; José Ignacio Latorre, Professore di Fisica Teoretica al Dipartimento di Ingegneria Chimica e dei Materiali all’Università di Barcellona e Visiting Professor presso il Center for Quantum Technologies dell’Università Nazionale di Singapore. Ha introdotto il convegno Marco Bersanelli, Docente di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano.
Ospiti della Ricerca Scientifica Mondiale, gli scienziati Paul Davies e Josè Ignacio Latorre, per approfondire la questione fondamentale dell’esperienza umana: la natura del tempo.
Davies, fisico teorico, cosmologo e astrobiologo oltre che scrittore, ha  introdotto il tempo come variabile che rappresenta una direzione preferenziale dei fenomeni  fisici: portare il sistema da uno stato di maggiore ordine ad uno di maggiore disordine, nonostante nelle equazioni la simmetria rispetto al tempo sia un fatto banale.
Tuttavia, da  cosmologo, Davies si è chiesto: “perché l’Universo è cominciato col bing bang ? Quale era il suo stato di maggiore ordine? E ha proposto la sua  ipotesi: forse l’Universo non è quello che pensiamo, ma una piccola parte di un Universo più grande, anzi di unmultiverso, in cui sono avvenuti tanti big bang. Ogni tempo può andare asimmetricamente nella sua direzione, ma globalmente il sistema è eterno.
Infatti in Italia quattro anni fa un terremoto ha distrutto numerosi edifici all’Aquila. La Fisica descrive fenomeni fisici come questi, dicendo che questi sistemi passano da uno stato di “Ordine a disordine”, attraverso il secondo principio della termodinamica . Riferisce lo studioso: provate a pensare di vedere di nuovo la terra tremare, e i mattoni risollevarsi e riconoscerete gli edifici crollati. Questa assurdità mostra come il tempo possegga una direzione precisa.
Latorre, professore di Fisica, ha iniziato parlando del Sistema GPS, che è basato su orologi atomici e quindi sulla meccanica quantistica. La precisione di questo sistema arriverà tra qualche anno a pochi miliardesimi di miliardesimi di secondo, che si traduce in una precisione nella localizzazione spaziale di meno di un micron. Così sarà possibile  compiere, con macchine controllate da questi sistemi, operazioni chirurgiche adesso indispensabili.
La riflessione sul tema del determinismo della Fisica, ossia sul fatto che la Fisica pre-quantistica riteneva di poter prevedere il comportamento futuro di ogni oggetto fisico, avendone nota la posizione e la velocità di un certo istante di tempo.
Ma tali meraviglie convivono con il principio di indeterminazione: “ La causalità è conservata – afferma - anche se la meccanica quantistica introduce una intrinseca indeterminazione dovuta allo stesso atto del misurare. Indeterminazione ma non libero arbitrio, e non è detto che la meccanica quantistica sia la teoria definitiva”.
Ci sarà mai una teoria scientifica per l’esperienza umana per la coscienza e il libero arbitrio? “Non lo so”, ha concluso lo scienziato.
È toccato a Bersanelli tirare le fila degli eccezionali interventi, e lo ha fatto ricordando,  l’unicità dell’esperienza umana: “Ciò che appare ovvio, come il tempo, è fonte di domande sempre nuove che si rivolgono all’interno del mondo scientifico, ma anche al di fuori”.
Ha concluso Bersanelli: “Ottant’anni di vita di un uomo cosa sono di fronte ai 14 miliardi  dell’Universo?”. Eppure che ne sarebbe di tutto questo senza un punto che ne abbia conoscenza ? Che sarebbe il tempo senza significato?
M. Amoroso

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Dalla saggezza di Buddha alla follia di Cristo

Al Meeting di Rimini la testimonianza della dissidente cambogiana Claire Ly


Claire Ly è una cambogiana convertita al cattolicesimo dal buddismo, dopo essere sfuggita alla tragedia del genocidio degli khmer rossi. Durante la dittatura di Pol Pot (1975-1979), in cui fu sterminato un quarto della popolazione cambogiana, anche Ly, ai tempi giovane professoressa di filosofia, ha visto morire molti dei suoi familiari più stretti.
Il suo pensiero fu: “perché proprio a me?”. Ma il dolore per l’offesa subita, l’ha portata a una profonda trasformazione personale che l’ha convinta ad abbracciare il cristianesimo, l’unica religione davvero in grado di dare un senso anche alle tragedie più immani: l’amore come unica risposta possibile alla sofferenza.
La testimonianza della dissidente cambogiana è stata resa ieri pomeriggio in un incontro al Meeting di Rimini, moderato dal direttore di Tracce, Davide Perillo.
A margine della conferenza, Claire Ly ha raccontato alcuni risvolti drammatici e, al tempo stesso, luminosi, della propria storia personale.
Nella tragedia del genocidio in Cambogia, quale ritiene sia stato il suo momento più drammatico?
Claire Ly: Il momento più drammatico è stato quando ho perso tutto, sono stata portata alla risaia, ho perso tutti i miei punti di riferimento, ho perso i miei amici e la mia vita aveva acquisito un altro senso. Quando si perdono i punti di riferimento non sappiamo più chi siamo: la perdita dell’identità è la perdita più difficile.
Quali sono state le tappe del suo avvicinamento al cristianesimo dal buddismo?
Claire Ly: Nella mia prima tappa presi a insultare quotidianamente il Dio degli occidentali, ritenendo l’Occidente sostanzialmente responsabile della mia tragedia. Fino al giorno in cui nella risaia calò un silenzio che, per la prima volta mi ha fatto percepire che il mio dolore era anche quello degli altri.
La seconda tappa si è compiuta nel 1980, quando ero ormai in Francia come rifugiata politica: iniziai a leggere il Vangelo e scoprii che Gesù Cristo era un mendicante come me. Questo mi ha dato molto coraggio.
La terza e definitiva tappa è stata la scoperta dell’eucaristia. Fissai lo sguardo sull’ostia e sentii la chiamata di Dio, in ginocchio davanti alla mia debolezza di donna. In quel momento ho detto: ‘sì, voglio essere discepola di Gesù’. Il 1983 è stato l’anno del mio battesimo.
Lei ha dichiarato di essere stata conquistata dal cristianesimo per l’idea di un Dio che si abbassa e soffre con noi. Condivide questo punto di vista ancora oggi?
Claire Ly: Non sono stata io a scegliere il cristianesimo, è Gesù Cristo che mi ha chiamata. L’unica cosa che ho fatto è stata rispondere alla chiamata di Gesù Cristo. Il punto più forte della nostra religione è questo Dio che è venuto a incontrarci. La nostra fede cristiana è fondata sull’Incarnazione, su Dio che si è fatto uomo: è questo che fa la specificità della religione cristiana ma tanti cristiani hanno dimenticato questo fatto.
È riuscita a perdonare chi li ha fatto del male?
Claire Ly: Si fa molta fatica a perdonare gli khmer rossi! Partirò da un fatto vissuto con mia figlia: andammo sul luogo dove i miei fratelli, mio padre e mio marito erano stati uccisi. Mia figlia non ha conosciuto suo padre: ero incinta di due mesi quando è successa la tragedia. Siamo state accompagnate su questo luogo da amici buddisti, che hanno recitato l’insegnamento di Buddha, dicendo che i fatti malvagi saranno puniti ma, al tempo stesso, bisogna che gli atti stessi si compiano. Io e mia figlia abbiamo recitato il Padre Nostro: “Padre perdonaci come abbiamo perdonato chi ci ha offeso”. E in quel momento ci siamo chieste se avevamo perdonato i khmer rossi: la nostra risposta fu no. Come abbiamo potuto dire no, essendo discepole di Gesù Cristo e visto che il perdono è il cuore della vita cristiana? Allora ho detto a mia figlia che dovevamo guardare Gesù sulla croce. Lui non ha detto: “Io li perdono” ma ha detto: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Io e mia figlia ci siamo allora rivolte al Padre e abbiamo detto: “Padre, eccoci, siamo donne deboli, siamo incapaci di perdonare i khmer rossi ma li mettiamo nelle Tue mani”. Offriamo quindi le nostre debolezze e i nostri persecutori nelle mani del Padre, perché pensiamo che ogni crimine contro l’umanità è un crimine contro Gesù Cristo. Per me il perdono è un dono di Dio, un dono che va al di là di me stessa. Quindi devo accogliere il perdono di Dio, prima di perdonare gli altri. Il perdono è una grazia che bisogna accogliere non è un mio bene che posso distribuire a chiunque. Bisogna prima riceverlo dal nostro Dio.
Lei ha abbracciato la fede cattolica in Europa, tuttavia l’Europa sta abbandonando la sua identità cristiana. Lei che tipo di testimonianza offre, dinnanzi a questa Europa e questa Francia secolarizzate?
Claire Ly: Non credo che la Francia stia abbandonando la fede cristiana. Quello che non c’è più in Francia è la “religione sociologica”, secondo la quale, io vado in Chiesa perché tutti ci vanno. I francesi stanno vivendo una fede come adesione a Gesù Cristo: questo fatto ci fa uscire dalla religione sociologica, andando verso la religione di massa. Cristo ci ha chiamati ad essere il “sale della terra”. Allora, quando uno si occupa di cucina, mette il sale per dare gusto: se se ne mette troppo, però, non si può più mangiare. Dunque, i cristiani sono il sale, devono rialzare il gusto della società.
Ho tenuto varie conferenze in Francia, incontrando molte persone che vivono la fede in modo sincero, magari non vanno a messa tutte le domeniche ma il Vangelo c’è e loro provano ad amarsi con la Buona Novella. La Chiesa francese è chiamata ad essere il sale della società francese: bisogna che essa accetti l’idea di non poter più governare, perché il nostro è un Dio debole, non è più un Dio onnipotente, è un Dio che accompagna come fa Gesù sulla strada di Emmaus. La vocazione cristiana è essere compagni di strada, non di andare dall’altro e forzarlo a credere come se stessi. Bisogna ci sia un cammino per costruire l’uomo vero e qui l’umanesimo francese ha qualcosa da dirci: è un po’ quello che ha fatto Benedetto XVI con il Cortile dei Gentili.
L. Marcolivio

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Incontrare Cristo... nella Grande Mela

Al Meeting di Rimini due storie di conversione: un ebreo e un sikh conquistati dal carisma di don Giussani

Sullo sfondo della Grande Mela avvengono storie straordinarie. Come quelle di Jonathan Fields e Anujeet Sareen che stamattina, al Meeting di Rimini, hanno raccontato le loro rispettive conversioni al cristianesimo.
L’incontro è avvenuto nell’ambito del ciclo Cosa ridesta l’umano: la pienezza dell’umanità porta inevitabilmente alla scoperta di Dio. Per entrambi i protagonisti della conferenza, ciò è avvenuto nel carisma specifico di don Giussani e di Comunione e Liberazione.
Entrambe le testimonianze confermano come le crisi esistenziali, umane ma anche sociali o economiche, possono davvero essere delle formidabili ridestatrici dell’umano.
Jonathan Fields faceva parte di quella ben nota élite ebraica newyorkese in grado di giocare sempre un ruolo di primo piano nel destino della città e del mondo.
Musicista e insegnante, Jonathan fin da giovane soffre di un disturbo bipolare che lo porta a spiccatissimi sbalzi d’umore, con grandi entusiasmi e rovinosi crolli psicologici.
Un giorno, poi, Jonathan incontra un gruppo di giovani di Comunione e Liberazione che lo inducono a cambiare vita: vende le sue due chitarre e decide di visitare San Pietro a Roma, dove sviluppa una particolare devozione per il rosario.
Di ritorno in America, visitando un monastero in Arizona, arriva sul punto di farsi frate ma i genitori, sospettosi, decidono farlo seguire da un detective privato…
La vita di Jonathan continua ad essere un saliscendi di slanci mistici ed esaurimenti nervosi. Frequenta per qualche tempo uno psicanalista che gli suggerisce di trovarsi nuovi amici, ma lui, sul momento non comprende quell’affermazione.
Il terapeuta in realtà lo sta indirizzando da un gruppo di preghiera nella cattedrale di San Patrizio, dove apprenderà nuove cose sulla spiritualità di don Giussani.
La vita ricomincia a sorridere a Jonathan: “Ho ripreso a lavorare – ha raccontato al pubblico del Meeting – ad abbracciare i miei colleghi e, in quel periodo, ho anche incontrato la mia attuale moglie, da cui oggi ho tre figli”.
La conversione è un vero ciclone nella vita di Fields che si autodefinisce un “San Paolo” dei nostri giorni. Racconta di come il cambiamento avesse lasciato attoniti i suoi genitori, scettici sulla conversione religiosa ma, alla fine, lieti della ritrovata serenità del figlio.
“Anche se continuano a non credere in Dio – ha detto Fields – anche loro vedono nel movimento una base per una nuova civiltà umana”.
Per Jonathan Fields, che – retaggio della gioventù ebraica – è sempre stato roso dall’inquietudine della ricerca del Messia, è arrivato il dono dell’incontro con Lui.
Finalmente sereno, dopo gli anni delle altalene vertiginose tra gioia e depressione, Fields continua a fare quello che ha sempre amato nella vita: comporre e insegnare musica. E intravede nei suoi figli, la sua stessa sana inquietudine religiosa.
Anujeet Sareen è anch’egli newyorkese ma di origine indiana e in famiglia è stato educato alla religione sikh, ai cui principi si ribella durante l’adolescenza. Per i maschi sikh è consuetudine farsi crescere i capelli, che al momento del passaggio alla vita adulta, vengono raccolti nel tradizionale turbante.
Cosa fa invece Anujeet a sedici anni? Va dal barbiere e si taglia la lunga chioma, con grande sconcerto del padre che non gli rivolge la parola per settimane.
La svolta nella vita di Anujeet è l’incontro con la futura moglie Tara (che gli ha dato otto figli) di religione cattolica, che per anni accompagna a messa e durante gli incontri catechetici: nutre già un profondo rispetto per il cristianesimo ma ancora non lo sente del tutto suo.
La chiave di volta per Sareen è l’impatto con Il senso religioso di don Giussani, “un libro che capii aveva a che fare con il mio lavoro”. Anujeet, che fino a quel momento aveva pregato Dio (ma non il Dio cristiano) soprattutto per la sua famiglia, comprende che il cristianesimo è una realtà integrale e “materiale” e abbraccia ogni ambito dell’esistenza.
Diventato manager di un’azienda finanziaria a Boston, Anujeet attraversa mille tempeste lavorative: dal crollo delle borse asiatiche, alla fine degli anni ’90, alle crisi dei mercati a seguito dell’11 settembre 2001, fino alla grande crisi economica del 2008-2009, con tutti i fallimenti bancari e finanziari che ha comportato.
È in queste circostanze che Anujeet prende l’abitudine di pregare pubblicamente nei corridoi dell’ufficio, offrendo così una fulgida testimonianza ai suoi colleghi.
In conclusione della conferenza, Sareen ha menzionato un episodio che lo ha profondamente e piacevolmente sorpreso: la conversione – o meglio – il riavvicinamento alla Chiesa Cattolica del suo amico Brian, che se ne era allontanato dopo gli scandali della pedofilia nella diocesi di Boston.
“Brian mi ha detto che, grazie a me è tornato cattolico – ha raccontato Anujeet – davvero non mi aspettavo che mi avrebbe detto questo”. Ciò è avvenuto dopo che Sareen ha fatto conoscere all’amico il carisma di CL; unendosi al canto e alla preghiera di un gruppo di ciellini fervorosi, Brian ha detto all’amico: “Questa è la Chiesa di Cristo, non è la mia vecchia Chiesa”.
L. Marcolivio