venerdì 30 agosto 2013

L’inizio della spirale


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di Livio Podrecca*
La legge sulla omofobia è solo un tassello, il primo, di un preciso percorso normativo che, come in altri paesi, dovrà portare prima al riconoscimento legislativo delle unioni civili; quindi al matrimonio gay; infine alla disciplina delle adozioni da parte delle coppie omosessuali ed alla regolazione della cosiddetta maternità surrogata
Sembra una esagerazione? A giudicare dalle cronache non si direbbe. Certamente è un panorama surreale, da incubo. E se si guarda all’escalation che, su questi temi, si è prodotta in altri paesi europei (Francia ed Inghilterra, per esempio), ma anche ai modi in cui, qui da noi, la proposta di legge sulla omofobia viene portata avanti in Parlamento, i motivi di preoccupazione aumentano.
Certamente, in questo percorso quello della omofobia è un passaggio fondamentale, strategico, che prepara il terreno, le premesse culturali e giuridiche per tutti gli altri.
Per questo è importante opporsi alla approvazione di questa legge insidiosa, liberticida ed ideologica che, facendo leva, con tecnica ormai ampiamente collaudata, sul sentimentalismo pietista verso i poveri gay oggetto di discriminazione e violenza, introduce invece nell’ordinamento, surrettiziamente ed all’insaputa anche degli ingenui parlamentari che sono disposti per tali motivi a votarla, una vera rivoluzione antropologica, uno stravolgimento copernicano nella concezione dell’uomo e della sua natura finora recepita dal nostro ordinamento giuridico.
Già da parte di molti ci si è finalmente accorti della criminalizzazione delle opinioni che questa legge introdurrebbe, mentre l’omosessualità è un fenomeno dai contorni quanto meno controversi, sul quale è legittimo avere vedute e pareri diversi.
In base a tali convinzioni, però, deve essere anche possibile tenere condotte coerenti, e distinguere tra chi voglia liberamente adottare uno stile di vita omosessuale in relazione a situazioni ed istituti rispetto ai quali quest’ultimo sia ritenuto incompatibile o moralmente inaccettabile. Ciò non solo, per esempio, negando alle coppie gay l’accesso al matrimonio, istituto che ha senso solo per le coppie eterosessuali e rilievo sociale proprio in relazione alla funzione procreatrice (assente per natura nelle coppie gay, a meno di ritenere naturali le pratiche di maternità surrogata) che in esso si realizza. Ma anche escludendo tali coppie dalle adozioni, in considerazione del diritto dei minori ad avere un padre ed una madre; od opponendosi, p. es., a ché i propri figli siano soggetti ad attività formative, nella scuola ed in ogni altro ambito pubblico e privato, che intendano presentare l’omosessualità e l’identità di genere come normali atteggiamenti della sessualità, semplicemente alternative alla eterosessualità. Deve, in sostanza, essere possibile continuare a ritenere, pur senza giudizio sulle persone, l’omosessualità un problema, una anomalia verificatasi nello sviluppo psichico della persona, e le relative pratiche un oggettivo disordine morale, diseducativo e produttivo di effetti negativi per la società.
Con il progetto di legge Scalfarotto, così com’è attualmente congegnato, ciò non sarebbe più ammesso, né possibile, se non a rischio di denunce e sanzioni penali, e occorrerebbe per legge adeguarsi alla asserita normalità dell’omosessualismo, senza più possibilità di critica né delle conseguenti azioni oppositive.
Non è quindi vero che con questa legge si vogliono solo reprimere le discriminazioni ingiuste e gli atteggiamenti violenti e di incitamento all’odio nei confronti dei gay (condotte, peraltro, già punite dalla legge penale).
Se passa la legge (così come è ora formulata) sarà, infatti, vietata e punita, ogni e qualsiasi forma di discriminazione, cioè ogni distinzione, ogni ritenuta diversità di trattamento delle persone che pratichino l’omosessualità che sia operata per ragioni, cosiddette, di omofobia o di transfobia, neologismi di incerto contenuto e portata che ben potrebbero sintetizzarsi nella semplice contrarietà morale e di principio verso tali pratiche o verso il mondo gay e LGBT.
Ciò ancorché tali convincimenti si concretino in condotte pacifiche e rispettose, nell’esercizio delle libertà di opinione, di insegnamento, di religione, e nel diritto – dovere di educare i figli, senza poter distinguere tra una discriminazione (meglio: distinzione) giusta ed una ingiusta, né poter entrare nel merito delle ragioni da cui la diversità di trattamento (ammesso che possa ritenersi tale) in ragione della pratica omosessuale sia derivata o addirittura imposta.
Così, infatti, avviene con la legge Reale Mancino in tema di discriminazione razziale; basta un manifesto contro i campi nomadi, o la richiesta all’immigrato, da parte di un Comune, di un certificato in più, rispetto agli altri cittadini, per accedere a determinati servizi, per aversi discriminazione vietata.
E’ davvero sconcertante vedere come l’ideologia di gender, per la quale il sesso non è un dato biologico, ma il prodotto di una cultura e l’effetto di una scelta personale, stia dilagando nei programmi e nella azione politica degli stati occidentali e della Unione Europea.
La deriva etica che ne scaturisce pone le basi per una radicale distruzione della società.
Anche sul piano religioso e della fede, infatti, l’ideologia di gender vuole simbolicamente distruggere il corpo, creato da Dio maschio e femmina, cioè sessuato, e l’ordine della famiglia che su di esso è imperniato. Con il corpo sessuato, si vuole anche cancellare e distruggere l’immagine di Dio che il Creatore ha posto in esso. La differenza sessuale è, infatti, il motore del dinamismo d’amore che scaturisce dalla diversità tra l’uomo e la donna, e, simbolicamente, tra lo Sposo, Cristo, e la Sposa, la Chiesa, secondo il paradigma sponsale che Dio stesso ha posto come immagine del suo amore per l’uomo. Un amore oblativo e fecondo. L’omosessualità, al contrario (come è stato autorevolmente detto), si basa sulla negazione della differenza sessuale; le relative pratiche scaturiscono da una sterile spinta narcisistica, che la società non ha nessun interesse a sostenere ed incentivare.
Di fronte a queste inquietanti prospettive, c’è da chiedersi come si possa pensare di mettersi in pace la coscienza con logiche falsamente tolleranti e buoniste. Se non ci si batte, anche quel fantasma scioccamente deformato di libertà relativista che alcuni hanno in mente, per cui non si devono imporre le proprie idee agli altri (confondendo, così, la libertà di opinione con la difesa dei fondamenti della nostra società), potrebbe infatti avere vita breve. Saranno gli altri ad imporci le loro; anzi, lo stanno già facendo.
Presidente Unione Giuristi Cattolici Italiani –  Piacenza

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torta lesbica

Usa, obbligo di fotografare un matrimonio lesbico
di Massimo Introvigne

Dall’estero continuano a piovere esempi di come funzionino davvero – e non nel mondo della propaganda spicciola dei loro promotori – le leggi sull’omofobia. L’ultimo caso, gravissimo, arriva dagli Stati Uniti, un Paese di cui molti pensano che l’intransigente e tradizionale difesa della libertà di esprimere qualunque opinione lo protegga dalle follie anti-omofobia che si sono manifestate altrove. Ma non è così. Gli Stati Uniti, è vero, sono affezionatissimi alla libertà di opinione, e i loro tribunali hanno affermato che in America si può esprimere pubblicamente più o meno qualunque idea: ci si può dichiarare nazisti, fondare logge del Ku Klux Klan, insultare Gesù Cristo o auspicare che la Corea del Nord occupi gli USA e li trasformi in una colonia stalinista. Tutto in nome del famoso Primo Emendamento della Costituzione, che assicura la più ampia libertà di espressione.
Ma ora sembra esserci una sola opinione che non può essere espressa liberamente, quella «omofoba» o contraria al matrimonio omosessuale. Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza resa il 22 agosto scorso dalla Corte Suprema del New Mexico nel caso Elane Photography contro Vanessa Willock: una decisione che assesta un colpo decisivo alla libertà di espressione e mostra il furore ideologico con cui sono applicate le leggi contro l’omofobia. Il New Mexico ha una vecchia legge contro il razzismo che vieta agli esercizi pubblici di rifiutare di servire clienti in ragione del colore della loro pelle. Più recentemente – esattamente come si vuole fare in Italia estendendo la legge Mancino – le norme sono state estese ai casi di omofobia, transfobia e avversione alle persone bisessuali. Si tratta solo di colpire baristi che rifiutano un drink agli omosessuali? No, come dimostra il caso Elane Photography.
La Elane Photography è un’agenzia fotografica di qualità, che realizza fotografie artistiche che sono poi rielaborate, stampate e presentate anche su siti Internet accessibili solo ai suoi clienti. Queste fotografie sono scattate, tra l’altro, in occasione di matrimoni. La sua titolare è una nota fotografa, Elaine Huguenin. Avvicinata da due lesbiche per un servizio fotografico sul loro matrimonio, la Huguenin rispose che – in ragione delle sue convinzioni religiose e politiche – preferisce non fotografare matrimoni omosessuali, festeggiamenti ed effusioni tra persone dello stesso sesso. Una delle lesbiche, la signora Vanessa Willock, ha denunciato l’agenzia in base alla legge sull’omofobia, e i tribunali in tre gradi – primo grado, appello e ora Corte Suprema – hanno dato ragione alla Willock. L’agenzia d’ora in poi dovrà fotografare matrimoni omosessuali o chiudere i battenti.
Storie di ordinaria ideologia, ma le lunghe motivazioni della Corte Suprema vanno oltre quanto è stato deciso in altri casi. Precisano che le disposizioni sull’omofobia prevalgono non solo sulla libertà religiosa – come hanno denunciato i vescovi cattolici americani, su questo punto purtroppo c’è ormai tutta una serie di sentenze, comprese un paio della Corte Suprema federale – ma anche su quello che sembrerebbe un pilastro del diritto degli Stati Uniti, la libertà di espressione. E perfino sulla libertà artistica. «La signora Huguenin ha capito male la legge», scrivono letteralmente i giudici: di fronte alle leggi sull’omofobia, non c’è nessuna esenzione o protezione per l’espressione artistica. Un grande artista non potrebbe rifiutarsi – se offre normalmente servizi di ritratti a pagamento – di ritrarre due omosessuali che si baciano con la motivazione che è contrario all’omosessualità in ragione delle sue convinzioni religiose o filosofiche.
La povera fotografa aveva obiettato che, ragionando così, un artista afro-americano avrebbe potuto essere obbligato a ritrarre una cerimonia dei razzisti del Ku Klux Klan. Esempio sbagliato, rispondono i giudici. Non esiste una legge che protegga i razzisti. Però, spiega la Corte Suprema, «l’esempio sarebbe appropriato se i ruoli fossero rovesciati»: dal momento che la legge – che non protegge i razzisti – protegge invece le minoranze etniche, i giudici affermano che «un fotografo membro del Ku Klux Klan sarebbe costretto» a ritrarre una manifestazione di attivisti afro-americani e perfino a rappresentare tale manifestazione «in una luce positiva». Se ne ricava anche che una fotografa lesbica può rifiutarsi di ritrarre un matrimonio fra un uomo e una donna, affermando che le fa schifo – perché i non omosessuali non sono una categoria protetta – mentre una fotografa cristiana non può rifiutarsi di mettere la sua professionalità al servizio di un matrimonio lesbico, perché gli omosessuali rientrano tra le categorie protette dalla legge anti-discriminazione.
I vescovi cattolici degli Stati Uniti avevano ragione. Le leggi imposte dalla lobby gay stanno trasformando l’affermazione americana secondo cui gli Stati Uniti sono il Paese del mondo che protegge più scrupolosamente la libertà religiosa in una farsa. E lo stesso vale per la libertà di espressione, anche artistica. Con tanti saluti al Primo Emendamento della Costituzione. Ma con un chiaro messaggio al mondo sul potenziale totalitario ed eversivo delle leggi contro l’omofobia.