martedì 27 agosto 2013

Siria, la soluzione è non violenta



Il  tweet di Papa Francesco: "Lasciamo entrare Gesù nella nostra vita, uscendo dagli egoismi, dalle indifferenze e dalle chiusure verso gli altri" (27 agosto 2013)

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Mentre l’avvio dell’ispezione dell’Onu sul presunto uso di armi chimiche in Siria viene segnato da spari, per fortuna senza vittime, di cecchini non identificabili, i toni si fanno sempre più drastici. Così che l’azione delle Nazioni Unite appare sottoposta a una sorta di fuoco incrociato, reale e diplomatico. 
Infatti diversi attori internazionali sembrano ormai considerare l’ispezione non più determinante, sebbene il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, abbia dichiarato che già sono stati recuperati «elementi di grande valore». Ban Ki-moon è tornato oggi a chiedere ai belligeranti libero accesso per gli ispettori. Poco prima il ministro degli Esteri siriano, Walid al Muallim, aveva sostenuto che l’azione degli ispettori è stata ostacolata oggi dai gruppi ribelli in contrasto fra loro.
L’intervento armato di alcuni Paesi si profila così come una possibilità concreta. Forte preoccupazione per una simile deriva del già drammatico conflitto siriano viene espressa da alcuni Governi, oltre che dalla società civile e dalle comunità religiose. Sembra ormai declinare, però, anche il residuo impegno a organizzare la già più volte rinviata conferenza di pace, la cosiddetta Ginevra 2, per la quale si erano spesi congiuntamente Stati Uniti e Russia. Il dipartimento di Stato di Washington ha annullato il previsto incontro di domani all’Aja con i russi motivando la decisione con «le consultazioni in corso per trovare una risposta appropriata dopo l’attacco con armi chimiche in Siria, il 21 agosto», quello appunto sul quale sta indagando l’Onu. Il vice ministro degli Esteri russo, Ghennadi Gatilov, ha espresso rammarico per la decisione, definita incresciosa e unilaterale, ricordando che «l’elaborazione dei parametri per la soluzione politica in Siria sarebbe molto utile proprio ora in cui su questo Paese incombe un’azione militare».
In precedenza, il segretario di Stato, John Kerry, aveva dichiarato che a Washington non hanno dubbi sul fatto che il presidente siriano Bashar Al Assad sia responsabile di un attacco con gas nervino alla periferia di Damasco il 21 agosto. Kerry ha parlato di «offesa per il mondo» aggiungendo che il presidente Barack Obama sta valutando risposte. La stampa statunitense parla di un attacco aereo — definito limitato, come sempre si fa in questi casi — contro basi militari siriane, che dovrebbe anche svolgere una funzione deterrente, mantenendo però gli Stati Uniti estranei alla guerra civile in Siria. 
Sebbene fonti della Casa Bianca abbiano specificato che nessuna decisione è stata presa, «The Washington Post» dà l’attacco per certo e ne fa ormai una questione di tempi. Questi dipenderebbero da tre fattori: il completamento del rapporto dell’intelligence che gli Stati Uniti porterebbero come prova della colpevolezza del Governo siriano, le consultazioni con il Congresso e con gli alleati, il modo per intervenire in assenza di una decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove è prevedibile il veto della Russia e forse della Cina. I giuristi dell’Amministrazione statunitense starebbero infatti esaminando una possibile giustificazione legale sulla base della violazione del divieto internazionale dell’uso o di una richiesta di assistenza da parte di uno Stato vicino, come la Turchia. 
Il Governo di Ankara è tra quelli certi dell’uso di armi chimiche da parte dell’esercito siriano e pronti a partecipare a un intervento anche senza l’avallo dell’Onu. Su questa linea, secondo commenti di fonti diplomatiche dopo un colloquio telefonico durato quaranta minuti tra Obama e il premier britannico David Cameron, sarebbe orientato anche il Governo di Londra. 
La Russia continua ad ammonire sulle conseguenze «estremamente gravi» di un simile sviluppo. Per il ministro degli esteri, Serghei Lavrov, sarebbe una «grossolana violazione» del diritto internazionale, mentre il presidente Vladimir Putin, anch’egli in una telefonata con Cameron, ha ribadito che «non ci sono prove che l’attacco del 21 agosto sia stato opera delle forze di Assad». Anche per il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, un attacco alla Siria avrebbe «gravi conseguenze in tutta la regione».
L'Osservatore Romano
*Riporto da "Avvenire" di oggi, 27 agosto.
Caro direttore
le notizie di terribili violenze provenienti dalla Siria, controverse nella loro dinamica e nella attribuzione, segnalano ancora una volta la drammatica urgenza di una soluzione politica. Le morti si sommano alle morti in una spirale devastante. L’amore per la vita e il desiderio di convivenza fondata sulla riconciliazione ( Mussalaha) spingono a insistere sulla forza politica della nonviolenza. L’incontro di Amman deve preparare le condizioni per un intervento autorevole e determinato delle Nazioni Unite, libero da logiche delle potenze interessate all’intervento militare, volto al cessate il fuoco e all’avvio della Conferenza di pace (Ginevra 2), il cui ritardo sta aggravando una situazione già pesantissima.
Ogni forma di intervento armato a sostegno dell’uno o dell’altro schieramento porterebbe alla catastrofe totale, renderebbe esplosiva un’ampia area euro–asiatica già instabile fino a rischi di una guerra (strisciante o molecolare) di portata mondiale. Non si può accettare che la soluzione di un conflitto avvenga con imprese armate che lo alimenterebbero e lo aggraverebbero in una spirale senza fine. Come ripete spesso papa Francesco, la strada da seguire non è l’intensificazione militare del conflitto armato, ma la «riconciliazione nella verità e nella giustizia» che può trovare attuazione nella progettata Conferenza di pace di Ginevra.
Occorre attuare una svolta politica nonviolenta. La nonviolenza è realistica. Non è mai un lasciar fare, tanto meno un lasciar uccidere, ma la pienezza di una politica attiva, determinata e costante. In Siria, come altrove, è mancata una politica di pace con mezzi di pace. Finora hanno parlato le armi, ma la contrapposizione armata si è rivelata suicida per i siriani e devastante per tutto il Medio Oriente e il Mediterraneo. Oggi è proprio l’ora di una soluzione politica robusta e articolata. Tra gli strumenti (non armati) di diritto internazionale rivolto alla «responsabilità di proteggere» i deboli è possibile indicare: il cessate il fuoco, un forte aiuto umanitario rivolto soprattutto ai bambini, il blocco del mercato delle armi, la salvaguardia dei diritti della persona, il rilascio dei prigionieri politici o dei sequestrati, la cooperazione economica, l’avvio di negoziati coinvolgenti le forze siriane (come il movimento Mussalaha) da tempo impegnate in iniziative politiche alternative sia al conflitto armato che a un intervento militare esterno.
Il nostro governo deve svolgere la sua parte sollecitando i negoziati che valorizzino gli esponenti della nonviolenza siriana.

Condivido l’orrore e la speranza che lei esprime, caro amico. Interamente. Conosco esperienze straordinarie di negoziati di pace e di riconciliazione condotti fuori dalle sedi consuete e coronati dal successo. Ma non conosco un “cessate il fuoco”, uno solo, che negli ultimi decenni su un fronte ferocemente in movimento si sia realizzato senza l’ausilio di una forza d’interposizione (tra i belligeranti) e di controllo (su di essi) promossa dalle Nazioni Unite e accettata (per amore o per forza) da tutte le parti in causa.
Con Papa Francesco, anch’io non mi rassegno all’idea che l’alternativa sia solo tra guerra e paralisi, e constato amaramente che sino a oggi, in Siria, abbiamo avuto l’una e l’altra: guerra stragista tra il regime di Assad e i suoi oppositori egemonizzati dalle formazioni jihadiste (e anti–cristiane), paralisi a livello di iniziative internazionali orientate ad avviare il dialogo e ristabilire la pace. Gli attori e i fattori del conflitto in sede regionale e su scala più ampia sono diversi e ben riconoscibili. E ben individuate sono anche le forze che alimentano la deriva fondamentalista nell’area. Ma è evidente che, ancora una volta, particolarmente serie risultano le miopie e le responsabilità di quelle potenze occidentali – Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia in prima linea – che hanno puntato a cavalcare la tigre della “ribellione” anti–baathista e che oggi sono più che mai tentate dall’azione militare diretta. Responsabilità e miopie pari a quelle delle altre due potenze armate di diritto di “veto” – Russia e Cina – che a loro volta pensano soprattutto alle proprie aree di influenza e tolgono sistematicamente incisività all’azione dell’Onu.
L’unico segno di speranza è la povera, fragile eppure meravigliosamente tenace spinta delle donne e degli uomini siriani di Mussalaha, un’esperienza non solo una proposta che, nel pieno della guerra, contraddicendola, è animata “dal basso” da nostri fratelli e sorelle di fede ma che coinvolge anche personalità di altre minoranze religiose e della maggioranza islamica. È una traccia viva e preziosa. Che indica un cammino non facile né scontato. Il rebus siriano resta infatti apparentemente insolubile, come annotava domenica sulle nostre pagine, Andrea Lavazza. E tale resterà, evolvendo in una guerra ancora peggiore, se non si “costringerà” (e ci si può riuscire, senza bombardamenti missilistici e aerei) il governo di Damasco ad aprire un negoziato degno di questo nome sul futuro del Paese.
Ora che nuovi strazianti culmini di atrocità sono stati toccati, i potenti del mondo ascoltino l’appello di Papa Francesco. E così i «fratelli» siriani. Se poi questa nostra Italia in tutt’altre (e non tutte essenziali) faccende affancendata sapesse esprimere un ruolo positivo e propositivo e non solo “scudiero” sarebbe una gran bella svolta...(mt)

Sergio Paronetto - Vicepresidente di Pax Christi Italia