giovedì 29 agosto 2013

Storia di Sara che aspetta Tobia (che arriverà senz'altro...)


Family clip art
di Sara T.
Mi chiamo Sara e questo è un pezzo della mia storia.
Sebbene abbia superato i trent’anni, non sono ancora andata in moglie a nessuno, perché il demonio Asmodeo ha ucciso tutti i sette uomini a cui ero promessa sposa. Mi sono così rivolta al mio Signore, so che la mia preghiera è stata accolta dal mio Dio e ora sono in attesa di una Sua risposta.Il desiderio di incontrare mio marito e costruire la nostra famiglia l’ho avuto da sempre, ma, anche se non si è ancora realizzato, ho fiducia nel mio Signore, credo che questa Sua promessa ancora incompiuta faccia parte del progetto che ha su di me e Lo benedico perché in questi anni di attesa mi ha plasmata come un vaso e mi ha resa più forte, rendendo più forte il mio legame con Lui. Sto aspettando mio marito Tobia, ma in questi lunghi anni, il Signore mi ha permesso di incontrare un altro Sposo, il primo, Colui che è stato da sempre accanto a me e che resterà con me per sempre, anche quando Tobia arriverà. È Gesù lo Sposo che dà forza, gioia e speranza alla mia vita.
L’anno scorso una delle mie migliori amiche, Anna, che i quarant’anni li ha superati da un po’, resta incinta di Samuele, la sua storia non è delle più facili e suo figlio nascerà e crescerà senza un padre. Durante la gravidanza, Anna mi chiama e mi dice: “Sara, sono preoccupata per mio figlio, perché sono sola e mi chiedo cosa sarà di lui se mi dovesse succedere qualcosa. Ho bisogno di sapere che ci sarà qualcuno a occuparsi di lui se io non potessi più farlo e la prima persona a cui ho pensato sei stata tu, so che lo educheresti con i valori in cui credo anch’io e che lo ameresti come se fosse tuo”. Anna mi chiede di considerare la possibilità di essere tutore legale di Samuele, così che, se a lei dovesse accadere qualcosa, sarei io a crescere il bambino.
La mia reazione istintiva è stata di una grande commozione per questo suo gesto di fiducia e di amicizia, ma mi sono presa del tempo per pensarci e per pregarci su. Di quel periodo ricordo le mie lunghe camminate, i confronti con gli amici più fidati ed eletti miei consiglieri, le preghiere, il documentarmi su cosa prevedesse la legge italiana, chi è un tutore, cosa deve fare.
Non avevo dubbi sul mio volere accettare questo ruolo né sul sentirmi pronta a dire di sì nei confronti di Samuele a cui già volevo bene. I miei dubbi erano legati al fatto che Tobia non era ancora arrivato. Ricordo il mio pugno chiuso forte per la rabbia di non trovarmi in quella posizione ideale per poter dire già di sì. E se, malauguratamente, fosse stato necessario prendere in custodia il bambino, trovandomi ancora da sola? Di fronte a questa piccola vita già segnata dall’assenza di un padre e immaginandola senza una madre, che diritto avevo io di decidere per lui che gli bastavo? Che diritto avevo di stabilire che gli era sufficiente una “zia”, negandogli la possibilità di crescere in una famiglia completa, con un papà, una mamma e magari dei fratelli? Cos’era il coraggio, in questo caso? Accogliere con me Samuele o lasciarlo andare? Occuparmi personalmente di lui come desideravo e come desiderava sua madre o cercare per lui qualcosa di più bello di quello che potevo offrirgli io da sola? Cos’era l’amore?
E alla fine la scelta. Ho detto ad Anna che avrei accettato, ma ad una condizione. Se mai fosse stato necessario occuparmi un giorno di suo figlio, l’avrei preso con me solo se avessi potuto assicurargli  anche un padre, solo se fossi stata sposata. In caso contrario, gli sarei stata sempre accanto, sempre, ma avrei esercitato la mia funzione di tutore legale, così come contemplato dalle legge, assicurandomi di persona che lo Stato lo affidasse a una famiglia che si prendesse cura di lui, amandolo senza fargli mancare niente. Io lo avrei seguito a distanza. È stata una scelta difficile, ma ho il cuore in pace perché credo di aver preso la decisione più giusta per lui. E Anna ha capito.
Perché ho voluto raccontare questa storia? Sto seguendo quello che sta accadendo in Italia sulla legge contro l’omofobia e la rivendicazione delle coppie gay del diritto al matrimonio e all’adozione. Comprendo profondamente chi desidera costruire una famiglia. Posso capire cosa significa avere questo desiderio e la frustrazione che si prova nel vederlo ostacolato, impedito. Ma credo che nessun desiderio possa e debba tradursi in una pretesa. Non esiste il diritto ad essere genitori, essere genitori è un dono gratuito. Esiste solo il diritto dei bambini a vivere in una famiglia che, nella differenza, nella ricchezza e nella complementarietà di quanto hanno da offrire una madre e un padre, possano crescere in maniera armonica, equilibrata, sicura, nell’abbraccio accogliente di lei e nello sguardo in avanti di lui. Servono entrambe le cose e gli uomini e le donne, per loro natura, sanno darle e dosarle in maniera diversa.
Una canzone di Fiorella Mannoia dice “non c’è figlio che non sia mio figlio”. Lo credo anch’io, nel senso che se ti senti chiamato ad essere padre o madre lo sei in qualche modo per tutti i figli, anche per quelli degli altri, vuoi il bene di tutti. Un bene che devi essere disposto a mettere prima dei tuoi desideri.
Anche un single, come un gay, potrebbe reclamare il diritto tout court all’adozione (la legge italiana attualmente la prevede per i single solo in casi particolari) ma, in quanto single, non rivendicherei mai niente di simile e non mi sento discriminata per questo, anzi. Credo che lo sforzo che la legge dovrebbe fare sia piuttosto quello di promuovere e agevolare la strada perché le coppie etero e sposate, disposte ad adottare dei bambini, possano avere degli iter burocratici più semplici. Questa è la mia opinione come cittadina italiana e come “madre di tutti i figli”.
Quanto a me, continuo ad aspettare Tobia, consapevole che la prova che ho vissuto in quest’ultimo anno mi ha aiutata a crescere nell’amore, un amore che a volte può essere sinonimo di rinuncia, ma che poi si trasforma in gioia. Un amore che, in quanto tale, è l’esatto contrario del possesso.