sabato 28 settembre 2013

La Chiesa non dimentica i suoi figli martiri




Presieduta dal cardinale Amato in Croazia la beatificazione di Miroslav Bulešić. 

«La festa della pace sulla guerra, della fraternità sulla divisione, del perdono sull’odio, della carità divina sulla malvagità umana»: questo il senso della beatificazione di don Miroslav Bulešić, sacerdote e martire croato, così come la definisce il cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, nell’omelia durante il rito che presiede oggi, sabato 28 settembre, a Poreč-Pula, in Croazia, a nome del Papa.
«È un messaggio positivo, evangelico, profondamente divino — aggiunge riferendosi ancora alla celebrazione — che muove i nostri cuori a fare solo il bene. Don Miroslav ha praticato alla lettera la parola di Gesù: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Don Miroslav considerava tutti amici e nessuno nemico. La sua è una testimonianza di carità: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. La beatificazione odierna è un segno della grazia divina alla Chiesa universale e alla vostra diocesi di Poreč-Pula e aggiunge nuovo splendore alla meravigliosa testimonianza della vostra fede in Cristo Gesù».
Riferendosi poi alla vita del beato Bulešić, il porporato ricorda che è stato «un autentico eroe della Chiesa in Croazia», oggetto di una violenta persecuzione negli anni Quaranta. Secondo diversi documenti furono barbaramente trucidati ben 434 sacerdoti (tra secolari e regolari) e altri 24 morirono per le torture e gli stenti subiti durante le disumane condizioni delle carceri. «Fu — commenta il cardinale — un vero e proprio massacro. Fu sterminato il 17 per cento del clero croato di allora. Inoltre, furono uccisi 73 seminaristi, 22 fratelli laici di varie congregazioni religiose e 30 suore».
Tra le tante vittime il porporato cita il cardinale Alojzije Stepinac, oggi beato: «Coraggioso difensore della libertà religiosa nella vostra patria — dice — fu arrestato, incarcerato e costretto al domicilio coatto a Krašić, sua città natale, dove nel 1960 si spense come martire per una malattia contratta in carcere. La Chiesa nostra madre non dimentica il coraggio e la fortezza di questi suoi figli e li ricorda con venerazione e gratitudine».
Dopo il ricordo del martirio subito dal sacerdote, il cardinale ne descrive le alte qualità spirituali e il suo zelo pastorale. «Dalle numerose testimonianze di persone degne di fede risulta — afferma — che don Miro era consapevole della propria missione nei confronti dei fedeli. Oltre alla celebrazione della messa e alla predicazione, si dedicava con entusiasmo e zelo alla catechesi dei bambini, all’educazione dei giovani, alla formazione degli adulti, al miglioramento del canto liturgico, all’ascolto delle confessioni, alla recita del santo rosario, alla promozione delle devozioni ai sacri cuori di Gesù e di Maria. Tutto ciò incontrava il plauso dei parrocchiani, ma attirava anche l’odio da parte di coloro che si sentivano colpiti dai suoi richiami alla vita buona del Vangelo».
Con la fine della seconda guerra mondiale «fu messa in atto nella vostra terra — aggiunge rivolgendosi ai presenti — una capillare e spietata persecuzione contro la Chiesa»: sacerdoti e fedeli venivano insultati, il Vangelo deriso. «Don Miro — ricorda il porporato — denunciava con coraggio alle autorità civili i numerosi episodi di intolleranza religiosa» e per questo subiva minacce di morte alle quali rispondeva dicendo: «Se mi uccidono, mi uccideranno per la fede e per Dio!». L’amore ai poveri era una caratteristica del nuovo beato, così come lo era la devozione al Papa. «La propaganda anticattolica — ricorda ancora il cardinale Amato — colpiva anche il Papa. Don Miro, che a Roma aveva più volte incontrato con commozione Papa Pio XII, nella festa degli apostoli Pietro e Paolo del 1945 tenne un’omelia nella quale professava il suo attaccamento alla Santa Sede e al Sommo Pontefice. Diceva che, come la Chiesa è madre di tutti i popoli, così il Papa, successore dell’apostolo Pietro, è padre di tutti i battezzati di qualsiasi lingua e nazione».
Quanto al suo messaggio, il cardinale sostiene che «don Miroslav era un uomo di fede, che educava piccoli e grandi a vivere di fede e che oggi invita tutti a conservare come pietra preziosa la nostra fede per non disperderci nel mondo fatuo delle ideologie effimere». E infine — dice rivolgendosi ai confratelli sacerdoti — «il nostro beato lancia la profezia della carità come anima del sacro ministero. Egli invita voi, cari presbiteri, a essere come lui testimoni della carità senza fine del Cuore di Gesù, accogliendo tutti con amore, con rispetto, con misericordia».
«La beatificazione odierna — conclude — è quindi un evento di pace, di fraternità, di amicizia, di carità».
L'Osservatore Romano