martedì 24 settembre 2013

Messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, (19 gennaio 2014)




Messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, (19 gennaio 2014): “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore

[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
“Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore” è il tema scelto dal Papa per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 19 gennaio 2014. Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Francesco ha preparato in vista di tale Giornata:
Cari fratelli e sorelle!
Le nostre società stanno sperimentando, come mai è avvenuto prima nella storia, processi di mutua interdipendenza e interazione a livello globale, che, se comprendono anche elementi problematici o negativi, hanno l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della famiglia umana, non solo negli aspetti economici, ma anche in quelli politici e culturali. Ogni persona, del resto, appartiene all’umanità e condivide la speranza di un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli. Da questa constatazione nasce il tema che ho scelto per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno: “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore”.
Tra i risultati dei mutamenti moderni, il crescente fenomeno della mobilità umana emerge come un “segno dei tempi”; così l’ha definito il Papa Benedetto XVI (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2006). Se da una parte, infatti, le migrazioni denunciano spesso carenze e lacune degli Stati e della Comunità internazionale, dall’altra rivelano anche l’aspirazione dell’umanità a vivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’accoglienza e l’ospitalità che permettano l’equa condivisione dei beni della terra, la tutela e la promozione della dignità e della centralità di ogni essere umano.
Dal punto di vista cristiano, anche nei fenomeni migratori, come in altre realtà umane, si verifica la tensione tra la bellezza della creazione, segnata dalla Grazia e dalla Redenzione, e il mistero del peccato. Alla solidarietà e all’accoglienza, ai gesti fraterni e di comprensione, si contrappongono il rifiuto, la discriminazione, i traffici dello sfruttamento, del dolore e della morte. A destare preoccupazione sono soprattutto le situazioni in cui la migrazione non è solo forzata, ma addirittura realizzata attraverso varie modalità di tratta delle persone e di riduzione in schiavitù. Il “lavoro schiavo” oggi è moneta corrente! Tuttavia, nonostante i problemi, i rischi e le difficoltà da affrontare, ciò che anima tanti migranti e rifugiati è il binomio fiducia e speranza; essi portano nel cuore il desiderio di un futuro migliore non solo per se stessi, ma anche per le proprie famiglie e per le persone care.
Che cosa comporta la creazione di un “mondo migliore”? Questa espressione non allude ingenuamente a concezioni astratte o a realtà irraggiungibili, ma orienta piuttosto alla ricerca di uno sviluppo autentico e integrale, a operare perché vi siano condizioni di vita dignitose per tutti, perché trovino giuste risposte le esigenze delle persone e delle famiglie, perché sia rispettata, custodita e coltivata la creazione che Dio ci ha donato. Il Venerabile Paolo VI descriveva con queste parole le aspirazioni degli uomini di oggi: «essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un’occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la dignità umana; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più» (Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 6).
Il nostro cuore desidera un “di più” che non è semplicemente un conoscere di più o un avere di più, ma è soprattutto un essere di più. Non si può ridurre lo sviluppo alla mera crescita economica, conseguita, spesso, senza guardare alle persone più deboli e indifese. Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene trascurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri (cfr Mt 25,31-46); se si è capaci di passare da una cultura dello scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza. Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere, ma soprattutto di essere di più. È impressionante il numero di persone che migra da un continente all’altro, così come di coloro che si spostano all’interno dei propri Paesi e delle proprie aree geografiche. I flussi migratori contemporanei costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi. In cammino con migranti e rifugiati, la Chiesa si impegna a comprendere le cause che sono alle origini delle migrazioni, ma anche a lavorare per superare gli effetti negativi e a valorizzare le ricadute positive sulle comunità di origine, di transito e di destinazione dei movimenti migratori.
Purtroppo, mentre incoraggiamo lo sviluppo verso un mondo migliore, non possiamo tacere lo scandalo della povertà nelle sue varie dimensioni. Violenza, sfruttamento, discriminazione, emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali, sia di individui che di collettività, sono alcuni dei principali elementi della povertà da superare. Molte volte proprio questi aspetti caratterizzano gli spostamenti migratori, legando migrazioni e povertà. In fuga da situazioni di miseria o di persecuzione verso migliori prospettive o per avere salva la vita, milioni di persone intraprendono il viaggio migratorio e, mentre sperano di trovare compimento alle attese, incontrano spesso diffidenza, chiusura ed esclusione e sono colpiti da altre sventure, spesso anche più gravi e che feriscono la loro dignità umana.
La realtà delle migrazioni, con le dimensioni che assume nella nostra epoca della globalizzazione, chiede di essere affrontata e gestita in modo nuovo, equo ed efficace, che esige anzitutto una cooperazione internazionale e uno spirito di profonda solidarietà e compassione. E’ importante la collaborazione ai vari livelli, con l’adozione corale degli strumenti normativi che tutelino e promuovano la persona umana. Papa Benedetto XVI ne ha tracciato le coordinate affermando che «tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati» (Lett. enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, 62). Lavorare insieme per un mondo migliore richiede il reciproco aiuto tra Paesi, con disponibilità e fiducia, senza sollevare barriere insormontabili. Una buona sinergia può essere di incoraggiamento ai governanti per affrontare gli squilibri socio-economici e una globalizzazione senza regole, che sono tra le cause di migrazioni in cui le persone sono più vittime che protagonisti. Nessun Paese può affrontare da solo le difficoltà connesse a questo fenomeno, che è così ampio da interessare ormai tutti i Continenti nel duplice movimento di immigrazione e di emigrazione.
E’ importante poi sottolineare come questa collaborazione inizi già con lo sforzo che ogni Paese dovrebbe fare per creare migliori condizioni economiche e sociali in patria, di modo che l’emigrazione non sia l’unica opzione per chi cerca pace, giustizia, sicurezza e pieno rispetto della dignità umana. Creare opportunità di lavoro nelle economie locali, eviterà inoltre la separazione delle famiglie e garantirà condizioni di stabilità e di serenità ai singoli e alle collettività.
Infine, guardando alla realtà dei migranti e rifugiati, vi è un terzo elemento che vorrei evidenziare nel cammino di costruzione di un mondo migliore, ed è quello del superamento di pregiudizi e precomprensioni nel considerare le migrazioni. Non di rado, infatti, l’arrivo di migranti, profughi, richiedenti asilo e rifugiati suscita nelle popolazioni locali sospetti e ostilità. Nasce la paura che si producano sconvolgimenti nella sicurezza sociale, che si corra il rischio di perdere identità e cultura, che si alimenti la concorrenza sul mercato del lavoro o, addirittura, che si introducano nuovi fattori di criminalità. I mezzi di comunicazione sociale, in questo campo, hanno un ruolo di grande responsabilità: tocca a loro, infatti, smascherare stereotipi e offrire corrette informazioni, dove capiterà di denunciare l’errore di alcuni, ma anche di descrivere l’onestà, la rettitudine e la grandezza d’animo dei più. In questo, è necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” – ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore. Anche i mezzi di comunicazione sono chiamati ad entrare in questa “conversione di atteggiamenti” e a favorire questo cambio di comportamento verso i migranti e i rifugiati.
Penso a come anche la Santa Famiglia di Nazaret abbia vissuto l’esperienza del rifiuto all’inizio del suo cammino: Maria «diede alla luce il suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Anzi, Gesù, Maria e Giuseppe hanno sperimentato che cosa significhi lasciare la propria terra ed essere migranti: minacciati dalla sete di potere di Erode, furono costretti a fuggire e a rifugiarsi in Egitto (cfr Mt 2,13-14). Ma il cuore materno di Maria e il cuore premuroso di Giuseppe, Custode della Santa Famiglia, hanno conservato sempre la fiducia che Dio mai abbandona. Per la loro intercessione, sia sempre salda nel cuore del migrante e del rifugiato questa stessa certezza. La Chiesa, rispondendo al mandato di Cristo “Andate e fate discepoli tutti i popoli”, è chiamata ad essere il Popolo di Dio che abbraccia tutti i popoli, e porta a tutti i popoli l’annuncio del Vangelo, poiché nel volto di ogni persona è impresso il volto di Cristo! Qui si trova la radice più profonda della dignità dell’essere umano, da rispettare e tutelare sempre. Non sono tanto i criteri di efficienza, di produttività, di ceto sociale, di appartenenza etnica o religiosa quelli che fondano la dignità della persona, ma l’essere creati a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27) e, ancora di più, l’essere figli di Dio; ogni essere umano è figlio di Dio! In lui è impressa l’immagine di Cristo! Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo. Le migrazioni possono far nascere possibilità di nuova evangelizzazione, aprire spazi alla crescita di una nuova umanità, preannunciata nel mistero pasquale: una umanità per cui ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera.
Cari migranti e rifugiati! Non perdete la speranza che anche a voi sia riservato un futuro più sicuro, che sui vostri sentieri possiate incontrare una mano tesa, che vi sia dato di sperimentare la solidarietà fraterna e il calore dell’amicizia! A tutti voi e a coloro che dedicano la loro vita e le loro energie al vostro fianco assicuro la mia preghiera e imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 5 agosto 2013.
FRANCESCO
FRANCESE
“Migrants et réfugiés : vers un monde meilleur”
Chers frères et soeurs !
Nos sociétés font l’expérience, comme cela n’est jamais arrivé auparavant dans l’histoire, de processus d’interdépendance mutuelle et d’interaction au niveau mondial, qui, s’ils comprennent aussi des éléments problématiques ou négatifs, ont pour objectif d’améliorer les conditions de vie de la famille humaine, non seulement dans ses aspects économiques, mais aussi dans ses aspects politiques et culturels. Du reste, chaque personne appartient à l’humanité et partage l’espérance d’un avenir meilleur avec toute la famille des peuples. De cette constatation est né le thème que j’ai choisi pour la Journée mondiale du Migrant et du Réfugié de cette année : « Migrants et réfugiés : vers un monde meilleur ».
Parmi les résultats des mutations modernes, le phénomène croissant de la mobilité humaine émerge comme un « signe des temps » ; ainsi l’a défini le Pape Benoît XVI (cf. Message pour la Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié 2006). Si d’une part, en effet, les migrations trahissent souvent des carences et des lacunes des États et de la Communauté internationale, de l’autre elles révèlent aussi l’aspiration de l’humanité à vivre l’unité dans le respect des différences, l’accueil et l’hospitalité qui permettent le partage équitable des biens de la terre, la sauvegarde et la promotion de la dignité et de la centralité de tout être humain.
Du point de vue chrétien, aussi bien dans les phénomènes migratoires, que dans d’autres réalités humaines, se vérifie la tension entre la beauté de la création, marquée par la Grâce et la Rédemption, et le mystère du péché. À la solidarité et à l’accueil, aux gestes fraternels et de compréhension, s’opposent le refus, la discrimination, les trafics de l’exploitation, de la souffrance et de la mort. Ce sont surtout les situations où la migration n’est pas seulement forcée, mais même réalisée à travers diverses modalités de traite des personnes et de réduction en esclavage qui causent préoccupation. Le « travail d’esclave » est aujourd’hui monnaie courante ! Toutefois, malgré les problèmes, les risques et les difficultés à affronter, ce qui anime de nombreux migrants et réfugiés c’est le binôme confiance et espérance ; ils portent dans leur coeur le désir d’un avenir meilleur non seulement pour eux-mêmes, mais aussi pour leurs familles et pour les personnes qui leur sont chères.
Que comporte la création d’un « monde meilleur » ? Cette expression ne fait pas allusion naïvement à des conceptions abstraites ou à des réalités hors d’atteinte, mais oriente plutôt à la recherche d’un développement authentique et intégral, à travailler pour qu’il y ait des conditions de vie dignes pour tous, pour que les exigences des personnes et des familles trouvent de justes réponses, pour que la création que Dieu nous a donnée soit respectée, gardée et cultivée. Le Vénérable Paul VI décrivait avec ces mots les aspirations des hommes d’aujourd’hui : « être affranchis de la misère, trouver plus sûrement leur subsistance, la santé, un emploi stable ; participer davantage aux responsabilités, hors de toute oppression, à l’abri des situations qui offensent leur dignité d’hommes ; être plus instruits ; en un mot, faire, connaître, et avoir plus, pour être plus » (Lett. enc. Populorum progressio, 26 mars 1967, n. 6). Notre coeur désire un « plus » qui n’est pas seulement un connaître plus ou un avoir plus, mais qui est surtout un être plus. Le développement ne peut être réduit à la simple croissance économique, obtenue, souvent sans regarder aux personnes plus faibles et sans défense. Le monde peut progresser seulement si l’attention première est dirigée vers la personne ; si la promotion de la personne est intégrale, dans toutes ses dimensions, incluse la dimension spirituelle ; si personne n’est délaissé, y compris les pauvres, les malades, les prisonniers, les nécessiteux, les étrangers (cf. Mt 25, 31-46) ; si on est capable de passer d’une culture du rejet à une culture de la rencontre et de l’accueil.
Migrants et réfugiés ne sont pas des pions sur l’échiquier de l’humanité. Il s’agit d’enfants, de femmes et d’hommes qui abandonnent ou sont contraints d’abandonner leurs maisons pour diverses raisons, et qui partagent le même désir légitime de connaître, d’avoir mais surtout d’être plus. Le nombre de personnes qui émigrent d’un continent à l’autre, de même que celui de ceux qui se déplacent à l’intérieur de leurs propres pays et de leurs propres aires géographiques, est impressionnant. Les flux migratoires contemporains constituent le plus vaste mouvement de personnes, sinon de peuples, de tous les temps. En marche avec les migrants et les réfugiés, l’Église s’engage à comprendre les causes qui sont aux origines des migrations, mais aussi à travailler pour dépasser les effets négatifs et à valoriser les retombées positives sur les communautés d’origine, de transit et de destination des mouvements migratoires. Malheureusement, alors que nous encourageons le développement vers un monde meilleur, nous ne pouvons pas taire le scandale de la pauvreté dans ses diverses dimensions. Violence, exploitation, discrimination, marginalisation, approches restrictives aux libertés fondamentales, aussi bien des individus que des collectivités, sont quelques-uns des principaux éléments de la pauvreté à vaincre. Bien des fois justement ces aspects caractérisent les déplacements migratoires, liant migrations et pauvreté. Fuyant des situations de misère ou de persécution vers des perspectives meilleures, ou pour avoir la vie sauve, des millions de personnes entreprennent le voyage migratoire et, alors qu’elles espèrent trouver la réalisation de leurs attentes, elles rencontrent souvent méfiance, fermeture et exclusion et sont frappées par d’autres malheurs, souvent encore plus graves et qui blessent leur dignité humaine.
La réalité des migrations, avec les dimensions qu’elle présente en notre époque de la mondialisation, demande à être affrontée et gérée d’une manière nouvelle, équitable et efficace, qui exige avant tout une coopération internationale et un esprit de profonde solidarité et de compassion. La collaboration aux différents niveaux est importante, avec l’adoption, par tous, des instruments normatifs qui protègent et promeuvent la personne humaine. Le Pape Benoît XVI en a tracé les lignes en affirmant qu’« une telle politique doit être développée en partant d’une étroite collaboration entre les pays d’origine des migrants et les pays où ils se rendent; elle doit s’accompagner de normes internationales adéquates, capables d’harmoniser les divers ordres législatifs, dans le but de sauvegarder les exigences et les droits des personnes et des familles émigrées et, en même temps, ceux des sociétés où arrivent ces mêmes émigrés » (Lett. enc. Caritas in veritate, 29 juin 2009, n. 62). Travailler ensemble pour un monde meilleur réclame une aide réciproque entre pays, avec disponibilité et confiance, sans élever de barrières insurmontables. Une bonne synergie peut encourager les gouvernants pour affronter les déséquilibres socioéconomiques et une mondialisation sans règles, qui font partie des causes des migrations dans lesquelles les personnes sont plus victimes que protagonistes. Aucun pays ne peut affronter seul les difficultés liées à ce phénomène, qui est si vaste qu’il concerne désormais tous les continents dans le double mouvement d’immigration et d’émigration. Il est important, ensuite, de souligner comment cette collaboration commence déjà par l’effort que chaque pays devrait faire pour créer de meilleures conditions économiques et sociales chez lui, de sorte que l’émigration ne soit pas l’unique option pour celui qui cherche paix, justice, sécurité, et plein respect de la dignité humaine. Créer des possibilités d’embauche dans les économies locales, évitera en outre la séparation des familles, et garantira les conditions de stabilité et de sérénité, à chacun et aux collectivités.
Enfin, regardant la réalité des migrants et des réfugiés, il y a un troisième élément que je voudrais mettre en évidence sur le chemin de la construction d’un monde meilleur ; c’est celui du dépassement des préjugés et des incompréhensions dans la manière dont on considère les migrations. Souvent, en effet, l’arrivée de migrants, de personnes déplacées, de demandeurs d’asile et de réfugiés suscite chez les populations locales suspicion et hostilité. La peur nait qu’il se produise des bouleversements dans la sécurité de la société, que soit couru le risque de perdre l’identité et la culture, que s’alimente la concurrence sur le marché du travail, ou même, que soient introduits de nouveaux facteurs de criminalité. Les moyens de communication sociale, en ce domaine ont une grande responsabilité : il leur revient, en effet, de démasquer les stéréotypes et d’offrir des informations correctes où il arrivera de dénoncer l’erreur de certains, mais aussi de décrire l’honnêteté, la rectitude et la grandeur d’âme du plus grand nombre. En cela, un changement d’attitude envers les migrants et les réfugiés est nécessaire de la part de tous ; le passage d’une attitude de défense et de peur, de désintérêt ou de marginalisation – qui, en fin de compte, correspond à la « culture du rejet » – à une attitude qui ait comme base la « culture de la rencontre », seule capable de construire un monde plus juste et fraternel, un monde meilleur. Les moyens de communication, eux aussi, sont appelés à entrer dans cette « conversion des attitudes » et à favoriser ce changement de comportement envers les migrants et les réfugiés. Je pense aussi à la manière dont la Sainte Famille de Nazareth a vécu l’expérience du refus au début de sa route : Marie « mit au monde son fils premier né ; elle l’emmaillota et le coucha dans une mangeoire, car il n’y avait pas de place pour eux dans la salle commune » (Lc 2,7). Plus encore, Jésus, Marie et Joseph ont fait l’expérience de ce que signifie laisser sa propre terre et être migrants : menacés par la soif de pouvoir d’Hérode, ils ont été contraints de fuir et de se réfugier en Égypte (cf. Mt 2, 13-14). Mais le coeur maternel de Marie et le coeur prévenant de Joseph, Gardien de la Sainte Famille, ont toujours gardé la confiance que Dieu ne les abandonnerait jamais. Par leur intercession, que cette même certitude soit toujours ferme, dans le coeur du migrant et du réfugié.
En répondant au mandat du Christ « Allez, et de toutes les nations faites des disciples », l’Église est appelée à être le Peuple de Dieu qui embrasse tous les peuples, et qui porte à tous les peuples l’annonce de l’Évangile, puisque, sur le visage de toute personne est imprimé le visage du Christ ! Là se trouve la racine la plus profonde de la dignité de l’être humain, qui est toujours à respecter et à protéger. Ce ne sont pas tant les critères d’efficacité, de productivité, de classe sociale, d’appartenance ethnique ou religieuse qui fondent la dignité de la personne, mais le fait d’être créés à l’image et à la ressemblance de Dieu (cf. Gn 1, 26-27), et plus encore le fait d’être enfants de Dieu ; tout être humain est enfant de Dieu ! L’image du Christ est imprimée en lui ! Il s’agit alors de voir, nous d’abord et d’aider ensuite les autres à voir dans le migrant et dans le réfugié, non pas seulement un problème à affronter, mais un frère et une soeur à accueillir, à respecter et à aimer, une occasion que la Providence nous offre pour contribuer à la construction d’une société plus juste, une démocratie plus accomplie, un pays plus solidaire, un monde plus fraternel et une communauté chrétienne plus ouverte, selon l’Évangile. Les migrations peuvent faire naître la possibilité d’une nouvelle évangélisation, ouvrir des espaces à la croissance d’une nouvelle humanité, annoncée par avance dans le mystère pascal : une humanité pour laquelle toute terre étrangère est une patrie et toute patrie est une terre étrangère. Chers migrants et réfugiés ! Ne perdez pas l’espérance qu’à vous aussi est réservé un avenir plus assuré, que sur vos sentiers vous pourrez trouver une main tendue, qu’il vous sera donné de faire l’expérience de la solidarité fraternelle et la chaleur de l’amitié ! À vous tous et à ceux qui consacrent leur vie et leurs énergies à vos côtés, je vous assure de ma prière et je vous donne de tout coeur la Bénédiction apostolique.
Du Vatican, le 5 août 2013.
FRANÇOIS
INGLESE
“Migrants and Refugees: Towards a Better World”
Dear Brothers and Sisters,
Our societies are experiencing, in an unprecedented way, processes of mutual interdependence and interaction on the global level. While not lacking problematic or negative elements, these processes are aimed at improving the living conditions of the human family, not only economically, but politically and culturally as well. Each individual is a part of humanity and, with the entire family of peoples, shares the hope of a better future. This consideration inspired the theme I have chosen for the World Day of Migrants and Refugees this year: Migrants and Refugees: Towards a Better World.
In our changing world, the growing phenomenon of human mobility emerges, to use the words of Pope Benedict XVI, as a “sign of the times” (cf. Message for the 2006 World Day of Migrants and Refugees). While it is true that migrations often reveal failures and shortcomings on the part of States and the international community, they also point to the aspiration of humanity to enjoy a unity marked by respect for differences, by attitudes of acceptance and hospitality which enable an equitable sharing of the world’s goods, and by the protection and the advancement of the dignity and centrality of each human being.
From the Christian standpoint, the reality of migration, like other human realities, points to the tension between the beauty of creation, marked by Grace and the Redemption, and the mystery of sin. Solidarity, acceptance, and signs of fraternity and understanding exist side by side with rejection, discrimination, trafficking and exploitation, suffering and death. Particularly disturbing are those situations where migration is not only involuntary, but actually set in motion by various forms of human trafficking and enslavement. Nowadays, “slave labour” is common coin! Yet despite the problems, risks and difficulties to be faced, great numbers of migrants and refugees continue to be inspired by confidence and hope; in their hearts they long for a better future, not only for themselves but for their families and those closest to them.
What is involved in the creation of “a better world”? The expression does not allude naively to abstract notions or unattainable ideals; rather, it aims at an authentic and integral development, at efforts to provide dignified living conditions for everyone, at finding just responses to the needs of individuals and families, and at ensuring that God’s gift of creation is respected, safeguarded and cultivated. The Venerable Paul VI described the aspirations of people today in this way: “to secure a sure food supply, cures for diseases and steady employment… to exercise greater personal resonsibility; to do more, to learn more, and have more, in order to be more” (Populorum Progressio, 6).
Our hearts do desire something “more”. Beyond greater knowledge or possessions, they want to “be” more. Development cannot be reduced to economic growth alone, often attained without a thought for the poor and the vulnerable. A better world will come about only if attention is first paid to individuals; if human promotion is integral, taking account of every dimension of the person, including the spiritual; if no one is neglected, including the poor, the sick, prisoners, the needy and the stranger (cf. Mt 25:31-46); if we can prove capable of leaving behind a throwaway culture and embracing one of encounter and acceptance. Migrants and refugees are not pawns on the chessboard of humanity. They are children, women and men who leave or who are forced to leave their homes for various reasons, who share a legitimate desire for knowing and having, but above all for being more. The sheer number of people migrating from one continent to another, or shifting places within their own countries and geographical areas, is striking. Contemporary movements of migration represent the largest movement of individuals, if not of peoples, in history. As the Church accompanies migrants and refugees on their journey, she seeks to understand the causes of migration, but she also works to overcome its negative effects, and to maximize its positive influence on the communities of origin, transit and destination.
While encouraging the development of a better world, we cannot remain silent about the scandal of poverty in its various forms. Violence, exploitation, discrimination, marginalization, restrictive approaches to fundamental freedoms, whether of individuals or of groups: these are some of the chief elements of poverty which need to be overcome. Often these are precisely the elements which mark migratory movements, thus linking migration to poverty. Fleeing from situations of extreme poverty or persecution in the hope of a better future, or simply to save their own lives, millions of persons choose to migrate. Despite their hopes and expectations, they often encounter mistrust, rejection and exclusion, to say nothing of tragedies and disasters which offend their human dignity.
The reality of migration, given its new dimensions in our age of globalization, needs to be approached and managed in a new, equitable and effective manner; more than anything, this calls for international cooperation and a spirit of profound solidarity and compassion. Cooperation at different levels is critical, including the broad adoption of policies and rules aimed at protecting and promoting the human person. Pope Benedict XVI sketched the parameters of such policies, stating that they “should set out from close collaboration between the migrants’ countries of origin and their countries of destination; they should be accompanied by adequate international norms able to coordinate different legislative systems with a view to safeguarding the needs and rights of individual migrants and their families, and at the same time, those of the host countries” (Caritas in Veritate, 62). Working together for a better world requires that countries help one another, in a spirit of willingness and trust, without raising insurmountable barriers. A good synergy can be a source of encouragement to government leaders as they confront socioeconomic imbalances and an unregulated globalization, which are among some of the causes of migration movements in which individuals are more victims than protagonists. No country can singlehandedly face the difficulties associated with this phenomenon, which is now so widespread that it affects every continent in the twofold movement of immigration and emigration.
It must also be emphasized that such cooperation begins with the efforts of each country to create better economic and social conditions at home, so that emigration will not be the only option left for those who seek peace, justice, security and full respect of their human dignity. The creation of opportunities for employment in the local economies will also avoid the separation of families and ensure that individuals and groups enjoy conditions of stability and serenity.
Finally, in considering the situation of migrants and refugees, I would point to yet another element in building a better world, namely, the elimination of prejudices and presuppositions in the approach to migration. Not infrequently, the arrival of migrants, displaced persons, asylum seekers and refugees gives rise to suspicion and hostility. There is a fear that society will become less secure, that identity and culture will be lost, that competition for jobs will become stiffer and even that criminal activity will increase. The communications media have a role of great responsibility in this regard: it is up to them, in fact, to break down stereotypes and to offer correct information in reporting the errors of a few as well as the honesty, rectitude and goodness of the majority. A change of attitude towards migrants and refugees is needed on the part of everyone, moving away from attitudes of defensiveness and fear, indifference and marginalization – all typical of a throwaway culture – towards attitudes based on a culture of encounter, the only culture capable of building a better, more just and fraternal world. The communications media are themselves called to embrace this “conversion of attitudes” and to promote this change in the way migrants and refugees are treated.
I think of how even the Holy Family of Nazareth experienced initial rejection: Mary “gave birth to her firstborn son, and wrapped him in swaddling cloths, and laid him in a manger, because there was no place for them in the inn” (Lk 2:7). Jesus, Mary and Joseph knew what it meant to leave their own country and become migrants: threatened by Herod’s lust for power, they were forced to take flight and seek refuge in Egypt (cf. Mt 2:13-14). But the maternal heart of Mary and the compassionate heart of Joseph, the Protector of the Holy Family, never doubted that God would always be with them. Through their intercession, may that same firm certainty dwell in the heart of every migrant and refugee.
The Church, responding to Christ’s command to “go and make disciples of all nations”, is called to be the People of God which embraces all peoples and brings to them the proclamation of the Gospel, for the face of each person bears the mark of the face of Christ! Here we find the deepest foundation of the dignity of the human person, which must always be respected and safeguarded. It is less the criteria of efficiency, productivity, social class, or ethnic or religious belonging which ground that personal dignity, so much as the fact of being created in God’s own image and likeness (cf. Gen 1:26-27) and, even more so, being children of God. Every human being is a child of God! He or she bears the image of Christ! We ourselves need to see, and then to enable others to see, that migrants and refugees do not only represent a problem to be solved, but are brothers and sisters to be welcomed, respected and loved. They are an occasion that Providence gives us to help build a more just society, a more perfect democracy, a more united country, a more fraternal world and a more open and evangelical Christian community. Migration can offer possibilities for a new evangelization, open vistas for the growth of a new humanity foreshadowed in the paschal mystery: a humanity for which every foreign country is a homeland and every homeland is a foreign country.
Dear migrants and refugees! Never lose the hope that you too are facing a more secure future, that on your journey you will encounter an outstretched hand, and that you can experience fraternal solidarity and the warmth of friendship! To all of you, and to those who have devoted their lives and their efforts to helping you, I give the assurance of my prayers and I cordially impart my Apostolic Blessing.
From the Vatican, 5 August 2013
FRANCIS
SPAGNOLO
“Emigrantes y refugiados: hacia un mundo mejor”
Queridos hermanos y hermanas:
Nuestras sociedades están experimentando, como nunca antes había sucedido en la historia, procesos de mutua interdependencia e interacción a nivel global, que, si bien es verdad que comportan elementos problemáticos o negativos, tienen el objetivo de mejorar las condiciones de vida de la familia humana, no sólo en el aspecto económico, sino también en el político y cultural. Toda persona pertenece a la humanidad y comparte con la entera familia de los pueblos la esperanza de un futuro mejor. De esta constatación nace el tema que he elegido para la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado de este año: Emigrantes y refugiados: hacia un mundo mejor.
Entre los resultados de los cambios modernos, el creciente fenómeno de la movilidad humana emerge como un “signo de los tiempos”; así lo ha definido el Papa Benedicto XVI (cf. Mensaje para la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado 2006). Si, por un lado, las migraciones ponen de manifiesto frecuentemente las carencias y lagunas de los estados y de la comunidad internacional, por otro, revelan también las aspiraciones de la humanidad de vivir la unidad en el respeto de las diferencias, la acogida y la hospitalidad que hacen posible la equitativa distribución de los bienes de la tierra, la tutela y la promoción de la dignidad y la centralidad de todo ser humano.
Desde el punto de vista cristiano, también en los fenómenos migratorios, al igual que en otras realidades humanas, se verifica la tensión entre la belleza de la creación, marcada por la gracia y la redención, y el misterio del pecado. El rechazo, la discriminación y el tráfico de la explotación, el dolor y la muerte se contraponen a la solidaridad y la acogida, a los gestos de fraternidad y de comprensión. Despiertan una gran preocupación sobre todo las situaciones en las que la migración no es sólo forzada, sino que se realiza incluso a través de varias modalidades de trata de personas y de reducción a la esclavitud. El “trabajo esclavo” es hoy moneda corriente. Sin embargo, y a pesar de los problemas, los riesgos y las dificultades que se deben afrontar, lo que anima a tantos emigrantes y refugiados es el binomio confianza y esperanza; ellos llevan en el corazón el deseo de un futuro mejor, no sólo para ellos, sino también para sus familias y personas queridas.
¿Qué supone la creación de un “mundo mejor”? Esta expresión no alude ingenuamente a concepciones abstractas o a realidades inalcanzables, sino que orienta más bien a buscar un desarrollo auténtico e integral, a trabajar para que haya condiciones de vida dignas para todos, para que sea respetada, custodiada y cultivada la creación que Dios nos ha entregado. El venerable Pablo VI describía con estas palabras las aspiraciones de los hombres de hoy: «Verse libres de la miseria, hallar con más seguridad la propia subsistencia, la salud, una ocupación estable; participar todavía más en las responsabilidades, fuera de toda opresión y al abrigo de situaciones que ofenden su dignidad de hombres; ser más instruidos; en una palabra, hacer, conocer y tener más para ser más» (Cart. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 6). Nuestro corazón desea “algo más”, que no es simplemente un conocer más o tener más, sino que es sobre todo un ser más. No se puede reducir el desarrollo al mero crecimiento económico, obtenido con frecuencia sin tener en cuenta a las personas más débiles e indefensas. El mundo sólo puede mejorar si la atención primaria está dirigida a la persona, si la promoción de la persona es integral, en todas sus dimensiones, incluida la espiritual; si no se abandona a nadie, comprendidos los pobres, los enfermos, los presos, los necesitados, los forasteros (cf. Mt 25,31- 46); si somos capaces de pasar de una cultura del rechazo a una cultura del encuentro y de la acogida.
Emigrantes y refugiados no son peones sobre el tablero de la humanidad. Se trata de niños, mujeres y hombres que abandonan o son obligados a abandonar sus casas por muchas razones, que comparten el mismo deseo legítimo de conocer, de tener, pero sobre todo de ser “algo más”. Es impresionante el número de personas que emigra de un continente a otro, así como de aquellos que se desplazan dentro de sus propios países y de las propias zonas geográficas. Los flujos migratorios contemporáneos constituyen el más vasto movimiento de personas, incluso de pueblos, de todos los tiempos. La Iglesia, en camino con los emigrantes y los refugiados, se compromete a comprender las causas de las migraciones, pero también a trabajar para superar sus efectos negativos y valorizar los positivos en las comunidades de origen, tránsito y destino de los movimientos migratorios.
Al mismo tiempo que animamos el progreso hacia un mundo mejor, no podemos dejar de denunciar por desgracia el escándalo de la pobreza en sus diversas dimensiones. Violencia, explotación, discriminación, marginación, planteamientos restrictivos de las libertades fundamentales, tanto de los individuos como de los colectivos, son algunos de los principales elementos de pobreza que se deben superar. Precisamente estos aspectos caracterizan muchas veces los movimientos migratorios, unen migración y pobreza. Para huir de situaciones de miseria o de persecución, buscando mejores posibilidades o salvar su vida, millones de personas comienzan un viaje migratorio y, mientras esperan cumplir sus expectativas, encuentran frecuentemente desconfianza, cerrazón y exclusión, y son golpeados por otras desventuras, con frecuencia muy graves y que hieren su dignidad humana.
La realidad de las migraciones, con las dimensiones que alcanza en nuestra época de globalización, pide ser afrontada y gestionada de un modo nuevo, equitativo y eficaz, que exige en primer lugar una cooperación internacional y un espíritu de profunda solidaridad y compasión. Es importante la colaboración a varios niveles, con la adopción, por parte de todos, de los instrumentos normativos que tutelen y promuevan a la persona humana. El Papa Benedicto XVI trazó las coordenadas afirmando que: «Esta política hay que desarrollarla partiendo de una estrecha colaboración entre los países de procedencia y de destino de los emigrantes; ha de ir acompañada de adecuadas normativas internacionales capaces de armonizar los diversos ordenamientos legislativos, con vistas a salvaguardar las exigencias y los derechos de las personas y de las familias emigrantes, así como las de las sociedades de destino» (Cart. enc. Caritas in veritate, 19 junio 2009, 62). Trabajar juntos por un mundo mejor exige la ayuda recíproca entre los países, con disponibilidad y confianza, sin levantar barreras infranqueables. Una buena sinergia animará a los gobernantes a afrontar los desequilibrios socioeconómicos y la globalización sin reglas, que están entre las causas de las migraciones, en las que las personas no son tanto protagonistas como víctimas. Ningún país puede afrontar por sí solo las dificultades unidas a este fenómeno que, siendo tan amplio, afecta en este momento a todos los continentes en el doble movimiento de inmigración y emigración.
Es importante subrayar además cómo esta colaboración comienza ya con el esfuerzo que cada país debería hacer para crear mejores condiciones económicas y sociales en su patria, de modo que la emigración no sea la única opción para quien busca paz, justicia, seguridad y pleno respeto de la dignidad humana. Crear oportunidades de trabajo en las economías locales, evitará también la separación de las familias y garantizará condiciones de estabilidad y serenidad para los individuos y las colectividades.
Por último, mirando a la realidad de los emigrantes y refugiados, quisiera subrayar un tercer elemento en la construcción de un mundo mejor, y es el de la superación de los prejuicios y preconcepciones en la evaluación de las migraciones. De hecho, la llegada de emigrantes, de prófugos, de los que piden asilo o de refugiados, suscita en las poblaciones locales con frecuencia sospechas y hostilidad. Nace el miedo de que se produzcan convulsiones en la paz social, que se corra el riesgo de perder la identidad o cultura, que se alimente la competencia en el mercado laboral o, incluso, que se introduzcan nuevos factores de criminalidad. Los medios de comunicación social, en este campo, tienen un papel de gran responsabilidad: a ellos compete, en efecto, desenmascarar estereotipos y ofrecer informaciones correctas, en las que habrá que denunciar los errores de algunos, pero también describir la honestidad, rectitud y grandeza de ánimo de la mayoría. En esto se necesita por parte de todos un cambio de actitud hacia los inmigrantes y los refugiados, el paso de una actitud defensiva y recelosa, de desinterés o de marginación –que, al final, corresponde a la “cultura del rechazo”- a una actitud que ponga como fundamento la “cultura del encuentro”, la única capaz de construir un mundo más justo y fraterno, un mundo mejor. También los medios de comunicación están llamados a entrar en esta “conversión de las actitudes” y a favorecer este cambio de comportamiento hacia los emigrantes y refugiados.
Pienso también en cómo la Sagrada Familia de Nazaret ha tenido que vivir la experiencia del rechazo al inicio de su camino: María «dio a luz a su hijo primogénito, lo envolvió en pañales y lo recostó en un pesebre, porque no había sitio para ellos en la posada» (Lc 2,7). Es más, Jesús, María y José han experimentado lo que significa dejar su propia tierra y ser emigrantes: amenazados por el poder de Herodes, fueron obligados a huir y a refugiarse en Egipto (cf. Mt 2,13-14). Pero el corazón materno de María y el corazón atento de José, Custodio de la Sagrada Familia, han conservado siempre la confianza en que Dios nunca les abandonará. Que por su intercesión, esta misma certeza esté siempre firme en el corazón del emigrante y el refugiado. La Iglesia, respondiendo al mandato de Cristo «Id y haced discípulos a todos los pueblos», está llamada a ser el Pueblo de Dios que abraza a todos los pueblos, y lleva a todos los pueblos el anuncio del Evangelio, porque en el rostro de cada persona está impreso el rostro de Cristo. Aquí se encuentra la raíz más profunda de la dignidad del ser humano, que debe ser respetada y tutelada siempre. El fundamento de la dignidad de la persona no está en los criterios de eficiencia, de productividad, de clase social, de pertenencia a una etnia o grupo religioso, sino en el ser creados a imagen y semejanza de Dios (cf. Gn 1,26-27) y, más aún, en el ser hijos de Dios; cada ser humano es hijo de Dios. En él está impresa la imagen de Cristo. Se trata, entonces, de que nosotros seamos los primeros en verlo y así podamos ayudar a los otros a ver en el emigrante y en el refugiado no sólo un problema que debe ser afrontado, sino un hermano y una hermana que deben ser acogidos, respetados y amados, una ocasión que la Providencia nos ofrece para contribuir a la construcción de una sociedad más justa, una democracia más plena, un país más solidario, un mundo más fraterno y una comunidad cristiana más abierta, de acuerdo con el Evangelio. Las migraciones pueden dar lugar a posibilidades de nueva evangelización, a abrir espacios para que crezca una nueva humanidad, preanunciada en el misterio pascual, una humanidad para la cual cada tierra extranjera es patria y cada patria es tierra extranjera. Queridos emigrantes y refugiados. No perdáis la esperanza de que también para vosotros está reservado un futuro más seguro, que en vuestras sendas podáis encontrar una mano tendida, que podáis experimentar la solidaridad fraterna y el calor de la amistad. A todos vosotros y a aquellos que gastan sus vidas y sus energías a vuestro lado os aseguro mi oración y os imparto de corazón la Bendición Apostólica.
Vaticano, 5 de agosto de 2013.
FRANCISCO
PORTOGHESE
“Migrantes e refugiados: rumo a um mundo melhor”
Queridos irmãos e irmãs!
As nossas sociedades estão enfrentando, como nunca antes na história, processos de interdependência mútua e interação em um nível global, que, mesmo incluindo elementos problemáticos ou negativos, se destinam a melhorar as condições de vida da família humana, não só nos aspectos econômicos, mas também nos aspectos políticos e culturais. Cada pessoa, afinal, pertence à humanidade e partilha a esperança de um futuro melhor com toda a família dos povos. A partir dessa constatação, nasce o tema que escolhi para o Dia Mundial dos Migrantes e Refugiados deste ano: “Os migrantes e refugiados: rumo a um mundo melhor”.
Entre os resultados das mudanças modernas, o fenômeno crescente da mobilidade humana emerge como um “sinal dos tempos”, como o definiu o Papa Bento XVI (cf. Mensagem para o Dia Mundial do migrante e do refugiado de 2006). Se por um lado, as migrações muitas vezes denunciam fragilidades e lacunas nos Estados e na Comunidade internacional, por outro, revelam a aspiração da humanidade de viver a unidade, no respeito às diferenças; de viver o acolhimento e a hospitalidade, que permitem a partilha equitativa dos bens da terra; de viver a proteção e a promoção da dignidade humana e da centralidade de cada ser humano.
Do ponto de vista cristão, como em outras realidades humanas também nos fenômenos migratórios se observa a tensão entre a beleza da criação, marcada pela Graça e pela Redenção, e o mistério do pecado. A solidariedade e o acolhimento, os gestos fraternos e de compreensão, veem-se contrapostos à rejeição, discriminação, aos tráficos de exploração, de dor e de morte. Um motivo de preocupação são, principalmente, as situações em que a migração não só é forçada, mas também realizada através de várias modalidades de tráfico humano e de escravidão. O “trabalho escravo” é hoje uma moeda corrente! No entanto, apesar dos problemas, dos riscos e das dificuldades que devem ser enfrentados, aquilo que anima muitos migrantes e refugiados é o binômio confiança e esperança: eles trazem em seus corações o desejo de um futuro melhor não só para si mesmos, mas também para as suas famílias e para os entes queridos.
O que significa a criação de um “mundo melhor”? Esta expressão não se refere ingenuamente a conceitos abstratos ou a realidades inatingíveis, mas se dirige à busca de um desenvolvimento autêntico e integral, para poder agir de tal modo que haja condições de vida digna para todos, para que se encontrem respostas justas às necessidades dos indivíduos e das famílias, para que seja respeitada, preservada e cultivada a criação que Deus nos deu. O Venerável Papa Paulo VI descrevia com estas palavras as aspirações dos homens de hoje: «ser liberado da pobreza, ter garantido de um modo seguro o próprio sustento, a saúde, o emprego estável, ter uma maior participação nas responsabilidades, fora de qualquer opressão e ao protegido de condições que ofendem a dignidade humana; poder desfrutar de uma educação melhor; em uma palavra, fazer conhecer e ter mais, para ser mais "(Encíclica Populorum Progressio, 26 de março de 1967, n. 6).
O nosso coração quer um “mais” que não seja simplesmente conhecer mais ou ter mais, mas que seja essencialmente um ser mais. Não se pode reduzir o desenvolvimento a um mero crescimento econômico, alcançado, muitas vezes, sem tem em conta os mais fracos e indefesos. O mundo só pode melhorar se a atenção é dirigida, em primeiro lugar, à pessoa; se a promoção da pessoa é integral, em todas as suas dimensões, inclusive a espiritual; se não se deixa ninguém de lado, incluindo os pobres, os doentes, os encarcerados, os necessitados, os estrangeiros (cf. Mt 25, 31-46); caso se passe de uma cultura do descartável para uma cultura do encontro e do acolhimento.
Os migrantes e refugiados não são peões no tabuleiro de xadrez da humanidade. Trata-se de crianças, mulheres e homens que deixam ou são forçados a abandonar suas casas por vários motivos, que compartilham o mesmo desejo legítimo de conhecer, de ter, mas, acima de tudo, de ser mais. É impressionante o número de pessoas que migram de um continente para outro, bem como aqueles que se deslocam dentro de seus próprios países e áreas geográficas. Os fluxos migratórios contemporâneos são o maior movimento de pessoas, se não de povos, de todos os tempos. No caminho, ao lado dos migrantes e refugiados, a Igreja se esforça para compreender as causas que estão na origem das migrações, mas também se esforça no trabalho para superar os efeitos negativos e aumentar os impactos positivos nas comunidades de origem, de trânsito e de destino dos fluxos migratórios.
Infelizmente, enquanto incentivamos o desenvolvimento em vista de um mundo melhor, não podemos silenciar o escândalo da pobreza nas suas várias dimensões. Violência, exploração, discriminação, marginalização, abordagens restritivas às liberdades fundamentais, tanto para o indivíduo quanto para grupos, são alguns dos principais elementos da pobreza que devem ser superados. Muitas vezes, são justamente esses aspectos que caracterizam os movimentos migratórios, ligando migração e pobreza. Fugindo de situações de miséria ou de perseguição em vista de melhores perspectivas ou para salvar a sua vida, milhões de pessoas embarcam no caminho da migração e, enquanto esperam encontrar a satisfação das expectativas, muitas vezes o que encontram é suspeita, fechamento e exclusão; quando não são golpeados por outros infortúnios, muitas vezes, mais graves e que ferem a sua dignidade humana.
A realidade das migrações, com as dimensões que assume na nossa época de globalização, precisa ser tratada e gerida de uma maneira nova, justa e eficaz, o que exige, acima de tudo, uma cooperação internacional e um espírito de profunda solidariedade e compaixão. É importante a colaboração em vários níveis, com a adoção unânime de instrumentos de regulamentação para proteger e promover a pessoa humana. O Papa Bento XVI nos traçou as coordenadas, afirmando que «esta política há de ser desenvolvida a partir de uma estreita colaboração entre os países donde partem os emigrantes e os países de chegada; há de ser acompanhada por adequadas normativas internacionais capazes de harmonizar os diversos sistemas legislativos, na perspectiva de salvaguardar as exigências e os direitos das pessoas e das famílias emigradas e, ao mesmo tempo, os das sociedades de chegada dos próprios emigrantes» (Carta Encíclica Caritas in veritate, 19 de Junho de 2009, 62). Trabalhar juntos por um mundo melhor requer a ajuda mútua entre os países, com abertura e confiança, sem levantar barreiras intransponíveis. Uma boa sinergia pode ser um incentivo para os governantes enfrentarem os desequilíbrios socioeconômicos e uma globalização sem regras, que se encontram entre as causas das migrações em que as pessoas são mais vítimas do que protagonistas. Nenhum país pode enfrentar sozinho as dificuldades associadas a esse fenômeno que, sendo tão amplo, já afeta todos os Continentes com o seu duplo movimento de imigração e emigração.
É também importante ressaltar como essa colaboração já começa com o esforço que cada país deveria fazer para criar melhores condições econômicas e sociais no seu próprio território, para que a emigração não seja a única opção para aqueles que buscam a paz, a justiça, a segurança e o pleno respeito da dignidade humana. Criar oportunidades de emprego nas economias locais impediria, para além do mais, a separação das famílias e garantiria condições de estabilidade e de serenidade para os indivíduos e comunidades.
Finalmente, olhando para a realidade dos migrantes e refugiados, há um terceiro elemento que eu gostaria de destacar neste caminho de construção de um mundo melhor: a superação de preconceitos e de pré-compreensões, ao considerar a migração. De fato, não é raro que a chegada de migrantes, prófugos, requerentes de asilo e refugiados desperte desconfiança e hostilidade nas populações locais. Surge o medo que se produzam perturbações na segurança social, que se corra o risco de perder a identidade e a cultura, que se alimente a concorrência no mercado de trabalho ou, ainda, que se introduzam novos fatores de criminalidade. Os meios de comunicação social, neste campo, têm um papel de grande responsabilidade: cabe a eles, de fato, desmascarar estereótipos e fornecer informações corretas, o que significará denunciar o erro de alguns, mas também descrever a honestidade, a retidão e a magnanimidade da maioria. Para isso, é preciso que todos mudem a atitude em relação aos migrantes e refugiados; é necessário passar de uma atitude de defesa e de medo, de desinteresse ou de marginalização - que, no final, corresponde precisamente à “cultura do descartável” – para uma atitude que tem por base a “cultura do encontro”, a única capaz de construir um mundo mais justo e fraterno, um mundo melhor. Os meios de comunicação também são chamados a entrar nesta “conversão de atitudes” e a incentivar esta mudança de comportamento em relação aos imigrantes e refugiados. Penso como também a Sagrada Família de Nazaré teve que viver a experiência de rejeição no início do seu caminho: Maria «deu à luz o seu filho primogênito, envolveu-o em faixas e deitou-o numa manjedoura, porque não havia lugar na hospedaria» (Lc 2,7). Além disso, Jesus, Maria e José experimentaram o que significa deixar sua terra natal e ser migrantes: ameaçados pela sede de poder de Herodes, foram forçados a fugir e buscar refúgio no Egito (cf. Mt 2,13-14). Mas o coração materno de Maria e o coração zeloso de José, Protetor da Sagrada Família, sempre mantiveram a confiança de que Deus nunca abandona. Pela intercessão deles possa ser sempre firme no coração do migrante e do refugiado esta mesma certeza.
A Igreja, respondendo ao mandato de Cristo: «Ide e fazei discípulos entre todos as nações», é chamada a ser o Povo de Deus que abraça todos os povos, e leva a todos os povos o anúncio do Evangelho, pois no rosto de cada pessoa está estampado o rosto de Cristo! Eis a raiz mais profunda da dignidade do ser humano que deve ser sempre respeitada e protegida. Não são os critérios de eficiência, produtividade, de classe social, de pertença étnica ou religiosa que fundamentam a dignidade da pessoa, mas sim o fato de ser criado à imagem e semelhança de Deus (cf. Gn 1,26-27), e, ainda mais, o fato de ser filhos de Deus; todo ser humano é um filho de Deus! Nele está impressa a imagem de Cristo! Trata-se, então, de o vermos, nós, em primeiro lugar, e de ajudar os outros a verem no migrante e no refugiado não só um problema para lidar, mas um irmão e uma irmã a serem acolhidos, respeitados e amados; trata-se de uma oportunidade que a Providência nos oferece para contribuir na construção de uma sociedade mais justa, de uma democracia mais completa, de um país mais inclusivo, de um mundo mais fraterno e de uma comunidade cristã mais aberta, de acordo com o Evangelho. As migrações podem criar possibilidades para a nova evangelização; abrir espaços para o crescimento de uma nova humanidade, preanunciada no mistério pascal: uma humanidade em que toda terra estrangeira é uma pátria, e em que toda pátria é uma terra estrangeira.
Queridos migrantes e refugiados! Não percais a esperança de que também a vós está reservado um futuro mais seguro; Que possais encontrar em vossos caminhos uma mão estendida; que vos seja permitido experimentar a solidariedade fraterna e o calor da amizade! Para todos vós e para aqueles que dedicam suas vidas e suas energias ao vosso lado eu prometo a minha oração e concedo de coração a minha Bênção Apostólica.
Cidade do Vaticano, 05 de agosto de 2013.

FRANCISCO

*

Conferenza stampa per la presentazione del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (19 gennaio 2014). Interventi 

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (19 gennaio 2014) sul tema: “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore”. (...)