giovedì 26 settembre 2013

Porte aperte nel Sol levante



Intervista con il vescovo giapponese Dominic Ryōji Miyahara.

(Cristian Martini Grimaldi) La porta della chiesa è aperta, così quella dell’ufficio della cancelleria accanto. Anche il portone della casa che ospita il vescovo è aperto. Chissà se è una pratica abituale o se, con grande zelo, hanno semplicemente seguito il consiglio che Papa Francesco ha dato ai parroci romani solo qualche settimana fa, quando disse: lasciate aperte le porte della Chiese, allora la gente entrerà! Noi entriamo.
Siamo all’interno dell’abitazione del vescovo Dominic Ryoji Miyahara. L’anno scorso, a ottobre, Miyahara si trovava a Roma per il sinodo dei vescovi, dove ha incontrato Benedetto XVI. Oggi, una bella foto di Papa Francesco che saluta la folla campeggia nella sala d’attesa.
Nato a Hiroshima nel 1955, Miyahara è stato nominato vescovo di Oita nel 2000, e nel 2008 è divenuto vescovo di Fukuoka, la più grande prefettura del Kyushu. In tutto il Giappone ci sono tre arcidiocesi e tredici diocesi: per avere un termine di paragone, in Italia con meno della metà degli abitanti, tra diocesi e arcidiocesi, ce ne sono oltre duecento. In tutta la prefettura di Fukuoka i battezzati sono trentamila su cinque milioni di abitanti.
«È vero, in Giappone non ci sono molti cattolici, siamo circa lo 0,4 per cento, però abbiamo una grande influenza sulla comunità» dice con convinzione il vescovo che mi siede di fronte mentre una segretaria ci serve del caffè freddo on the rocks. «Ad esempio abbiamo molte scuole, anche se la maggior parte dei nostri studenti non sono battezzati. Però apprendono gli insegnamenti del Vangelo, incontrano missionari, sono a contatto con suore, insomma familiarizzano con i pensieri e i valori del cristianesimo. Certo, la differenza con l’Italia è netta, in termini numerici. Ma noi qui diciamo che in Europa ci sono molti battezzati ma pochi fedeli. Al contrario in Giappone abbiamo pochi battezzati ma molti credenti. Quantomeno se li paragoniamo al numero dei battezzati. Una situazione un po’ paradossale se vuole. Qui di fronte, ad esempio, c’è una scuola cattolica missionaria, con circa duemila studenti».

In Giappone il cristianesimo è stato perseguitato per oltre duecento anni. Quale ripercussione ha avuto lo stigma di «religione illegale» sulla professione di fede cattolica oggi?
La persecuzione ininterrotta e duratura dei cristiani per duecentocinquant’anni è un caso unico nella storia. Anche sotto l’impero romano i cristiani erano perseguitati, ma c’erano sempre degli intervalli in cui veniva adottata una politica di tolleranza, delle pause dove la pressione sui cristiani si allentava. Qui, invece, non c’è stata interruzione, e sebbene non ci fossero preti per officiare i battesimi, i cristiani sono sopravvissuti per tutto questo tempo in clandestinità. Le preghiere e le liturgie sono passate da una generazione all’altra oralmente. Eppure, nonostante oggi i cristiani possano professare apertamente la propria fede, resta ancora una certa mentalità diffusa che risente di quell’oscuro passato, magari anche solo a livello inconscio, per cui un cristiano di solito è guardato con sospetto.
Può fare un esempio?
Durante le elezioni politiche, se il candidato è cristiano, c’è come un’aura di scetticismo, impalpabile ma reale, che lo circonda. Non ci si fida, non per qualche motivo legato alla particolare personalità del candidato, ma perché esiste una certa atmosfera di negatività verso i cristiani, perché appunto per due secoli fu una religione bandita, e questo retaggio culturale diventa un pregiudizio quasi involontario nella mentalità contemporanea. Un po’, immagino, come in America nei confronti delle persone di colore: anche dopo la conquista dei diritti civili, non significa che queste minoranze etniche venissero immediatamente liberate dai pregiudizi che gravavano su di loro. La memoria storica è un’eredità molto forte e purtroppo non si elimina con un tratto di penna. Un giapponese che magari conosce solo parzialmente la storia, è tentato a pensare che se per duecentocinquant’anni il cristianesimo era illegale allora significa che c’era una buona ragione. E questa mentalità è difficile da sconfiggere.
Esistono altre peculiarità, nella mentalità giapponese contemporanea, secondo lei riconducibili ai secoli di persecuzione?
I giapponesi solitamente sono reticenti nel parlare di religione nella vita quotidiana, anche tra amici, vogliono sempre nascondere la loro identità religiosità.
Quale misure pensa che la Chiesa giapponese debba adottare per sfatare questi pregiudizi?
Quando Giovanni Paolo II venne in Giappone, nel lontano 1981, mi sono immediatamente accorto che qualcosa stava cambiando nella mentalità locale. Piano piano l’atmosfera di negatività di cui le parlavo si andava rarefacendo perché moltissime persone vedevano nel Papa un santo vero, un profeta della sua epoca. E questo me lo sono sentito dire da molti, molte persone laiche intendo, quella visita fece molto bene ai giapponesi, non solo ai cristiani. Oggi, in parte, quella ventata di positività si è un po’ perduta con l’arrivo delle nuove generazioni. Ecco perché io inviterei Papa Francesco. E lo inviterei proprio qui a Fukuoka. Certo, Nagasaki ha il doppio dei cristiani di Fukuoka, ma molti meno abitanti, in questa prefettura vivono cinque milioni di persone. Per usare le parole del Papa, qui le pecorelle smarrite sono molte di più. E, in fondo, è proprio qui nel Kyushu che i missionari hanno cominciato la loro opera di evangelizzazione, poi estesa a tutto il Paese, e qui ci sono molti siti sacri per i cristiani. Sono i luoghi dove si custodisce la memoria dei martiri vittime delle persecuzioni. [Il vescovo si alza e mi indica dei fogli appesi alla parete]
Questi sono dei documenti, scoperti solo nel 2004, appartenenti a due diversi templi qui a Fukuoka. Sono stati scritti da monaci buddisti alla fine del Settecento, e contengono la denuncia, alle autorità di allora, della presenza di due coppie di cristiani che continuavano a praticare la loro fede di nascosto.
Una delazione?
I monaci dovevano certificare che chi giungeva al tempio non fosse cristiano. Probabilmente a queste due coppie venne ordinato di calpestare delle immagini sacre, quelle di Gesù o della Madonna: un rifiuto corrispondeva automaticamente a un’autodenuncia. Non si sa nulla sul destino che toccò a queste due coppie. Ma a quel tempo i kakure kirishitan, cioè i “cristiani nascosti”, venivano portati a Nagasaki e lì venivano decapitati. [Il vescovo guarda di nuovo l’anno sui due fogli e fa una pausa di qualche secondo, poi riprende a parlare] Era la primavera del 1795 quando questi quattro vennero scoperti. Ci sarebbero voluti almeno altri settant’anni prima che i missionari giungessero di nuovo da queste parti e che i cristiani potessero finalmente tornare a recitare apertamente il Padre nostro.
L'Osservatore Romano