giovedì 26 settembre 2013

"Quando gli elefanti combattono è sempre l'erba a rimanere schiacciata." (Proverbio africano)




Quando Dio o chi per lui cucì le teste degli italiani, gli si deve essere aggrovigliato il filo. Complicato immaginare una legge più semplice di quella che persegue certi reati abietti contro le donne. Sembra fatta apposta per mettere tutti d’accordo, dal momento che neanche il maschilista più bitorzoluto avrebbe il coraggio di votare contro. La conversione del decreto entro sessanta giorni si presentava dunque come una passeggiata e tale sarebbe stata in qualunque parlamento che non annoverasse le nostre crape giulive. Cosa è successo, invece? Che i deputati dei vari gruppi hanno inzeppato il testo di emendamenti. Quattrocentoquattordici. Mancano tre settimane alla scadenza e poiché per pigiare quattrocentoquattordici volte tutti i pulsanti di Camera e Senato (perché poi c’è anche il Senato) bisognerebbe assoldare una tribù di millepiedi, esiste il rischio concreto che il decreto precipiti nel buco nero in cui da queste parti vengono sistematicamente tumulate le buone intenzioni.  

Vi starete chiedendo come un gruppo di adulti - si presume - normodotati possa complicare la cosa più semplice del mondo. Semplicissimo: basta sentirsi molto furbi. E approfittare di una legge circonfusa di santità per infilare tra le sue pieghe qualsiasi faccenda che altrimenti non si riuscirebbe a far passare. E così al decreto sulle donne sono spuntate le protesi: il codicillo sulle province, il comma sulla protezione civile, la parentesi sui vigili del fuoco. Aveva ragione Flaiano quando scriveva che in Italia la linea più breve fra due punti è l’arabesco. Il guaio è che nel frattempo i punti sono diventati quattrocentoquattordici. 
M. Gramellini