giovedì 31 ottobre 2013

Credere, amare e sperare. La Chiesa nel cammino della storia.



 Questione di stile (di vita)

Pubblichiamo stralci dell’introduzione dell’arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione al suo libro La Chiesa nel cammino della storia. Credere, amare, sperare (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2013, pagine 152, euro 14).
(Rino Fisichella) Sant’Agostino parte dall’espressione del Salmo: «Salvaci, Signore, nostro Dio, e radunaci dalle nazioni, perché possiamo lodare il tuo santo nome e allietarci della tua lode» (105, 47), per esprimere l’esigenza dei cristiani di doversi distinguere dai pagani in forza del loro stile di vita. Da alcuni anni ormai ritengo che la vera sfida che si pone dinanzi alla Chiesa sia quella di prendere sul serio lo stile di vita dei credenti.
Negli ultimi saggi che ho pubblicato sono ritornato più volte su questo tema. In Nel mondo da credenti e in Identità dissolta ho espresso più volte l’idea che siamo dinanzi a un neopaganesimo che provoca non poco la fede dei credenti. Nell’ultimo libro su La nuova evangelizzazione ho ribadito che lo stile di vita dei cristiani diventa un criterio fondamentale per giudicare la nostra credibilità nel mondo di oggi. (...) Se viviamo come i pagani, vano è l’annuncio che facciamo di Gesù Cristo morto e risorto. Proprio questa convinzione e certezza della fede che ci rende testimoni della risurrezione dovrebbe far considerare in maniera decisiva il nostro stile di vita.
Credere, amare e sperare sono condivisi con tutta l’umanità, come sant’Agostino ha ben espresso. Senza questa dimensione basilare verrebbe meno la possibilità per l’uomo di comprendere se stesso all’interno del creato. Eppure, proprio questa triade può divenire il presupposto per comunicare in maniera efficace e feconda la novità del cristianesimo. Il contenuto del nostro credere, amare e sperare indica la differenza tra chi è credente e chi non lo è. Questo stile di vita del battezzato, rinato a nuova vita, esprime la sua figliolanza con Dio e la sua peculiare presenza nel mondo. La fede, la carità e la speranza non solo plasmano in modo differente l’esistenza, ma le permettono di essere riconosciuta come una vita nuova donata da Gesù Cristo nel mistero della sua morte e risurrezione.
Questa vita, comunque, si esprime nella storia. L’incarnazione di Dio è l’evento che ha permesso alla storia di assumere in sé il divino per dare un corso differente a se stessa e agli uomini in essa. L’incarnazione è però anche accoglienza della storia nella carne del Figlio di Dio. Questo fatto segna la vita della Chiesa che cammina nella storia e con la storia. Impossibile sfuggire a questa dimensione senza tradire l’originalità del cristianesimo e insieme la sua condizione drammatica. Questi duemila anni possono mostrare con facilità le reciproche determinazioni, comprensioni, incomprensioni e tradimenti. Quando manca l’equilibrio necessario, accade che il prevalere dell’una sull’altra crei una forma di disorientamento che attenta perfino lo stesso progresso di entrambe. La Chiesa vive nella storia, si accompagna a essa, ma non può pretendere di prescinderne. Ha la vocazione di mostrare alla storia che esiste la via della trascendenza e del superamento costante dei suoi limiti. Eppure, anche questo ruolo è segnato inevitabilmente dallo spirito espresso dalla storia. Per questo accade che la Chiesa, malgré elle, si deve adattare alle mutevoli condizioni della storia, rischiando non poche volte di perdere la sua vocazione. E successo, infatti, che in diversi momenti essa si sia adagiata sulle lusinghe, perdendo la forza della novità che porta con sé. Il suo compito, tuttavia, è quello di fare storia, di incidere nella sua vita, perché possa riconoscere la perenne novità germinata in essa nel giorno di Natale. In questi anni di profondi cambiamenti riflettere su questo tema può essere un positivo contributo per porre un’ulteriore tessera nel mosaico che si deve costruire insieme.
La storia, quindi, impone di vivere intensamente gli eventi che porta con sé e che sono frutto della reciproca determinazione. (...) Le pagine che seguiranno sono un invito a riprendere con forza la convinzione di annunciare Cristo morto e risorto, per restituire speranza a un uomo confuso, disorientato e senza futuro.
L'Osservatore Romano