mercoledì 30 ottobre 2013

Esiste l'anima?

 



Di Maurizio Moscone, docente di Antropologia Teologica presso i Seminari Redemptoris Mater.

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 Esiste l'anima? (Prima parte)

Un percorso fenomenologico 


La cultura odierna si limita a constatare l'esistenza di una pluralità variegata di paradigmi antropologici, senza riuscire a sapere chi è veramente l'uomo


Ha ancora senso parlare oggi dell’anima umana, dopo tutto lo sviluppo delle neuroscienze, della psicoanalisi e soprattutto della filosofia odierna, che mette in discussione non soltanto qualsiasi riferimento a questo tema, ma la domanda stessa sull’essenza dell’uomo?
Infatti chiedersi “chi è l’uomo?” significa andare alla ricerca di un fondamento che permane identico, indipendentemente dalla sua collocazione nello spazio e nel tempo. La cultura odierna, per lo più, non si pone questa domanda nella sua radicalità e si limita a constatare l’esistenza di una pluralità variegata di paradigmi antropologici, senza riuscire a sapere  chi è veramente l’uomo.
Scrive in proposito Heidegger:
“Nessuna epoca ha avuto, come l’attuale, nozioni così svariate e numerose sull’uomo. […] E’ anche vero però che nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia l’uomo. Mai l’uomo ha assunto un aspetto così problematico come ai nostri giorni”[i].
Una via di accesso per la conoscenza dell’essere umano può essere rappresentata proprio dalla fenomenologia di Heidegger, il quale in Essere e Tempo ha elaborato un metodo filosofico applicabile ad ogni realtà.
In questa opera il filosofo ricerca il senso dell’essere, che, secondo lui, la metafisica ha  “obliato” affermando che il concetto di essere è “il più generale di tutti”, è “indefinibile” ed “ovvio”[ii], mentre per Heidegger è invece necessario “ripetere il problema dell'essere”[iii]perché “il senso dell'essere continua ad essere avvolto nell'oscurità”[iv].
Pertanto, il filosofo re-imposta la questione ontologica ponendosi il problema del senso dell’essere e della sua conoscibilità, ed elabora un methodos, un cammino, per guadagnare questo senso e questa conoscibilità.
E’ interessante sottolineare che l'indagine heideggeriana si muove sul piano puramente formale, in quanto essa, scrive il filosofo, “non caratterizza il che-cosa reale degli oggetti della ricerca filosofica, ma il suo come”[v]. Infatti ogni realtà, anche l’essere umano, può essere analizzata nel suo aspetto fenomenico (come fenomeno)quindi secondo una specifica modalità.
L’analisi del metodo fenomenologico di Heidegger, e il suo raffronto con quello del suo maestro Husserl, richiederebbe un trattazione a parte, ma è qui sufficiente evidenziare che Heidegger identifica, come vedremo subito, il concetto di fenomeno con quello di ente, e così facendo riabilita, di fatto e contrariamente alle sue intenzioni, l’ontologia classica e in particolare quella di San Tommaso d’Aquino.
Secondo l'indagine condotta da Heidegger, il fenomeno è, in senso originario, "ciò che si manifesta in se stesso". Scrive infatti il filosofo: "L'espressione greca fainomenon, a cui risale il termine «fenomeno», deriva dal verbo fainestai che significa manifestarsi; fainomenonsignifica quindi ciò che si manifesta, il manifestantesi, il manifesto; fainestai stesso è una forma media di faino, illuminare, porre in chiaro, ossia ciò in cui qualcosa può manifestarsi, rendersi visibile in se stesso. Bisogna dunque tener ben fermo il seguente significato dell'espressione «fenomeno»: ciò che si manifesta in se stesso, il manifesto. I fainomena, i «fenomeni», costituiscono dunque l'insieme di ciò che è alla luce del giorno o può essere portato in luce, ciò che i greci a volte identificavano senz'altro con ta onta (l'ente)"[vi].
I fenomeni sono enti e la legge fondamentale dell’ente in quanto ente, come insegnano Aristotele e San Tommaso, è il principio di non contraddizione, secondo il quale la stessa cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto.
Questo principio, secondo Heidegger (e anche secondo Nietzsche) ha un valore logico, ma non ontologico, cioè non è un principio intrinseco di ogni realtà, ma è  proprio la descrizione fenomenologica della realtà a mostrare che ogni ente in quanto ente  non è non ente: un foglio in quanto foglio non è non foglio, cioè non può esistere nell’ordine della realtà un foglio non foglio (per es. un foglio-penna), come non può esistere nell’ordine della idealità un cerchio non cerchio (per es. un cerchio quadrato).
Come vedremo, il rispetto del principio di non contraddizione consentirà di dimostrare l’esistenza dell’anima spirituale, perché i fenomeni rimandano a delle dimensioni che non sono immediatamente evidenti,  ma che “appaiono” sul fondamento di  “ciò che si manifesta in se stesso”: “è l’annunciarsi – scrive Heidegger – di qualcosa che non si manifesta sul fondamento di ciò che si manifesta”[vii].  
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NOTE
[i] M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Silva, Genova 1962, pp. 275-276.
[ii] Idem, Essere e tempo,  Longanesi, Milano 1976, p. 18. Il concetto di essere analizzato da Heidegger corrisponde a quello di ente elaborato da Suarez e non a quello di actus essendi.La sua critica alla metafisica non coinvolge quindi la scoperta originale di San Tommaso d’Aquino: l’essere inteso come atto, dinamismo, energhèia, distinto dall’ente, il quale è ciò che è in atto.
[iii] Ibidem, p. 19.
[iv] Ibidem.
[v]  Ibidem, p. 46.
[vi]  Ibidem, pp. 47- 48. 
[vii] Ibidem, p. 48.

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Esiste l'anima? (Seconda parte)


“[…] un cavallo o un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese”.
Queste affermazioni di Jeremy Bentham, padre fondatore dell’utilitarismo moderno, sono contenute in An Introduction to the Principles of Morals and Legislation del 1789 e sono citate in gran parte delle pubblicazioni degli animalisti[i], i quali, come noto, dicono che non esistono differenze qualitative tra gli animali e gli esseri umani e accusano di “specismo” coloro che affermano la superiorità dei secondi nei confronti dei primi.
L’ideologia animalista sostiene che lo specismo, secondo il quale gli uomini valgono più degli animali, è analogo al razzismo.
Scrive in proposito Singer: 
“Il razzista viola il principio di uguaglianza attribuendo maggior peso agli interessi dei membri della sua razza qualora si verifichi un conflitto tra gli interessi di questi ultimi  e  quelli dei membri di un’altra razza. Il sessista viola il principio di uguglianza favorendo gli interessi del proprio sesso. Analogamente lo specista permette che gli interessi della sua specie prevalgano su interessi superiori dei membri di altre specie. Lo schema è lo stesso in ciascun caso”[ii].
L’ideologia animalista è diffusa più di quanto comunemente si creda, sia a livello mediatico che di opinione pubblica, ed è quindi opportuno interrogarsi se l’uomo sia o non sia un animale, e, nel caso sia un animale, se il suo essere si risolva totalmente nell’animalità.
Prima di analizzare nella loro fenomenicità le operazioni specificamente umane, è necessario chiedersi cosa significa il termine “anima”, da cui deriva la parola “animale”.
San Tommaso d’Aquino è molto chiaro nell’affermare che “l’anima è il principio della vita nei viventi che ci circondano: noi, infatti, chiamiamo viventi gli essere animati e gli esseri che non hanno vita li diciamo oggetti inanimati”[iii].
Gli oggetti inanimati sono i minerali, che, per quanto belli essi siano, come un diamante o un rubino, non posseggono la vita, ma cosa si intende con questo termine?
Il senso comune distingue i viventi dai non viventi per il fatto che i primi si muovono e i secondi no.
L’affermazione, pur essendo facilmente smentibile (anche gli astri si muovono), nasconde una verità: il vivente è un ente che è principio delle proprie attività immanenti, quindi che “si muove da se stesso”, come sostenevano Aristotele e San Tommaso.
Ogni vivente compie delle operazioni al proprio interno regolate da leggi naturali diverse da quelle presenti nel mondo inorganico.
Scrive in proposito Marcozzi:
“Le leggi che regolano il mondo vivente sono diverse e non di rado opposte a quelle del mondo inanimato. I non viventi tendono alla stasi, all’equilibrio, sono regolati dal principio della fisica e delle leggi dell’eqilibrio dinamico della chimica. La sostanza vivente mediante i complessi e meravigliosi fenomeni del metabolismo, tende continuamente  ad allontanarsi dall’equilibrio che segnerebbe la sua morte.
Ora, questo comportamento opposto dei due regni, questa inversione delle leggi fisico-chimiche, non può spiegarsi, se non ammettendo che il vivente abbia qualcosa che manca alla sostanza inanimata.
Questo qualcosa che ha il vivente […] non può venire dal mondo inorganico”[iv], per la semplice ragione che, come dicevano gli Scolastici, “nemo dat quod non habet”, nessuno dà ciò che non ha (e non può dare): dalla non-vita non può venire la vita.
La scienza constata con il suo metodo sperimentale che “omne vivum ex vivo”[v]: i viventi sono generati dai viventi, e la filosofia dimostra l’impossibilità ontologica che la vita provenga dalla non-vita.
Perché la scienza, pur conoscendo tutti gli elementi che costituiscono un essere vivente, con i suoi esperimenti non riesce a riprodurre un corpo vivente? Perché un corpo è vivente, solo se è presente in lui un’ “anima”, cioè un principio di vita che lo anima.
L’anima è il soffio vitale presente nel mondo vegetale e animale.
Aristotele e San Tommaso dicevano il vero quando affermavano che le piante e gli animali hanno un’ anima.
L’ ”anima vegetativa” delle piante è il fondamento sostanziale di tutte le sue operazioni vegetative: nutrizione, crescita e riproduzione. Queste operazioni sono superiori a quelle presenti nei corpi inorganici, quindi anche il loro principio è superiore.
Esiste quindi una gerarchia tra il regno minerale, vegetale e animale: il secondo è superiore al primo e il terzo al secondo.
Le piante e gli animali hanno in comune il principio vitale che Aristotele e San Tommaso chiamavano anima e che la filosofia scolastica considerava come la “forma sostanziale” del vivente.
Gli animali hanno questo nome per il fatto che hanno un’anima, l’ “anima sensitiva”; la quale è superiore a quella delle piante, perché compie, oltre alle attività vegetative di queste ultime (nutrizione, crescita, riproduzione), operazioni di carattere sensitivo.
Infatti l’animale, oltre a crescere e a nutrirsi, possiede organi di senso e, negli animali superiori, la facoltà di muoversi, l’istinto sessuale e di lotta.
L’essere umano appartiene alla famglia degli animali superiori, infatti si riscontrano fenomenologicamente in lui le stesse caratteristiche riscontrabili nelle scimmie, nei cani, etc.
Egli infatti è un vivente dotato di vita sensitiva, che si nutre, cresce, si riproduce, conosce tramite cinque sensi, possiede degli istinti sessuali e di conservazione come tutti gli animali.

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NOTE
[i] Vedi, ad esempio, P. Singer, Etica Pratica, Liguori, Napoli 1989, p. 56.
[ii] Idem, Liberazione Animale, Net Edizioni, Milano 2003, p. 24.
[iii] San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I,  LXXV, 1.
[iv] V. Marcozzi, Le origini dell’uomo, A.V.E., Roma 1944, II ed., p. 46.
[v] Soprattutto Pasteur  ha dimostrato l’inesistenza della generazione spontanea con  i suoi  esperimenti sui batteri.

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Esiste l'anima? (Terza parte)

L'uomo è un primate (aveva ragione Darwin?

L’uomo è un “mammifero dell’ordine Primati, famiglia Ominidi, genere Homo”. Così è scritto alla voce ”uomo”, nell’autorevole  Enciclopedia Italiana on line.
Se l’uomo è un primate, ha senso chiedersi se Darwin aveva ragione nell’affermare la sua discendenza dalle scimmie.
Il darwinismo può venire considerato un “paradigma”, nel significato attribuito a questo termine dal Kuhn: “Con tale termine – scrive l’epistemologo - voglio indicare conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerche”[i].
Il paradigma evolutivo darwiniano è oggi ampiamente diffuso dai manuali scolastici, che presentano spesso la teoria di Darwin non come un’ipotesi scientifica ma come una verità assoluta; è quindi opportuno interrogarsi sul valore epistemologico di questa teoria.
L’Origine della specie del 1859 è la prima opera in cui vengono presentate le nuove scoperte riguardanti il processo di evoluzione della flora, della fauna e della stessa umanità.
Nel libro vengono affermati i seguenti capisaldi della teoria di Darwin:
Nel mondo biologico esiste una “lotta per l’esistenza”, per cui sono “selezionati” dalla natura gli individui che si adattano meglio all’ambiente, mutando alcuni caratteri che trasmettono ai loro eredi, rendendo così possibile l’evoluzione.Le mutazioni sono casuali, non esiste quindi nessuna finalità nella natura.Tutti gli esseri organici che hanno vissuto sulla terra, compresi gli uomini, sono derivati da una singola forma primordiale.L’evoluzione biologica è una forma di progresso, in cui si assiste al passaggio da forme di vita meno idonee ad altre più idonee alla sopravvivenza.L’intero processo evolutivo è di carattere puramente materiale.Le scimmie antropomorfe sono gli antenati dell’uomo, e non ci sono differenze qualitative, “salti ontologici”, tra le scimmie e gli esseri umani.
La prima edizione dell’Origine della specie fu esaurita in un giorno e suscitò molte polemiche sia in ambito scientifico che teologico, poiché veniva negato il “fissismo” delle specie, sostenuto dai biologi del tempo, e la tesi creazionista.
Il fissismo è una teoria elaborata da Linneo nel Settecento che, in continuità con quanto sostenuto da Aristotele e interpretando letteralmente il libro del Genesi, affermava che le specie viventi, vegetali e animali, sono immutabili. Secondo questa teoria è quindi impossibile la graduale trasformazione da specie più elementari a specie più complesse, come sosteneva Darwin.
La teologia cristiana afferma che il mondo è creato da Dio, è regolato da leggi da Lui volute,  e, in particolare, che l’uomo, immagine di Dio, è uno spirito incarnato, ontologicamente differente da qualsiasi animale.  
Gaspari afferma giustamente che l’evoluzionismo darwiniano “sconvolse la tradizionale visione del mondo, l’ordine dell’universo, la finalità dei fenomeni biologici, cioè tutti fatti che erano interpretati, in base all’antica tradizione, come l’espressione di un disegno, di una volontà superiore. […]  Darwin  propose una spiegazione della realtà naturale fondata su un processo materialistico, autoreferenziale e autosussistente che, in un certo senso, poteva fare a meno di Dio. Un punto di vista che piacque moltissimo a tutti coloro che volevano dimostrare quanto la Chiesa fosse arretrata e come il mondo funzionasse con regole diverse da quelle espresse dai teologi”[ii].
In effetti, la teoria darwiniana piacque a tutti quelli intellettuali che sulla scia di Hegel consideravano la storia come un processo evolutivo che progredisce di bene in meglio, ai filosofi positivisti, seguaci di Comte, il quale affermava l’inevitabilità del progresso e lo sviluppo dell’umanità dallo stadio teologico a quello metafisico e a quello scientifico.
È da rilevare che Marx apprezzava molto il pensiero di Darwin, al punto di volergli dedicare il I libro del Capitale, perché trovava delle analogie tra il suo materialismo dialettico, in base al quale l’essenza dell’uomo è storica, quindi si sviluppa nel tempo, e la teoria evolutiva. Un altro contemporaneo di Darwin il cui pensiero è molto vicino al suo è Spencer; il quale sosteneva che l’evoluzione è “il fondo di ogni progresso” ed è presente in tutti i campi: nella biologia, nella società, nella cultura, ecc.
Come si vede la teoria di Darwin si inserisce in un contesto culturale evoluzionista e la sua specificità consiste nell’essere una teoria biologica, di carattere scientifico e, in quanto scientifica, deve essere valutata sul piano epistemologico.
Una teoria empirica, come quella darwiniana, per essere scientifica deve essere falsificabile, cioè controllabile fattualmente; infatti, il criterio di demarcazione tra una teoria scientifica e una non scientifica, è, come afferma Popper, la sua falsificabilità.
La teoria evoluzionista è falsificabile? Cioè sono da essa estraibili delle conseguenze che possono essere controllate empiricamente?
Sì, il controllo è possibile, ma, come vedremo, da tale controllo risulta che la teoria non ha avuto alcuna conferma nella realtà per i motivi che seguono.
Non si è mai osservato il passaggio da una specie all’altra
Gli organismi viventi oggi esistenti sono morfologicamente completi e ognuno è distinto dall’altro e non si osservano organismi che evolvono in altre forme di vita.
Necessità della documentazione fossile
La teoria darwiniana, essendo smentita dall’osservazione degli organismi attualmente viventi, necessita di essere confermata dalla documentazione fossile, perché, se mancasse questa conferma, si dovrebbe affermare la comparsa improvvisa di interi gruppi di specie e  crollerebbe, conseguentemente, l’ intera teoria dell’evoluzione.
Darwin era consapevole di questo rischio quando scrisse: “Se molte specie […] fossero realmente apparse improvvisamente, questo fatto sarebbe fatale alla teoria dell’evoluzione”[iii].
Il problema che si pone relativamente alla possibilità che la teoria evolutiva venga confermata, riguarda la quantità di fossili reperibili per tale scopo.
A tale quesito rispondono due ricercatori, Carrington e Kier, affermando: “Nei musei di tutto il mondo ci sono cento milioni di fossili, tutti catalogati e identificati”[iv]. “Con l’aiuto dei fossili i paleontologi possono oggi darci un eccellente quadro della vita nelle ere passate”[v].
Se Darwin avesse ragione, si dovrebbero trovare alcuni fossili con organi in via di sviluppo: rettili che stavano evolvendo in uccelli,  animali con bocche che si stavano trasformando in becchi e cose del genere.
Invece niente di tutto questo: i fossili ritrovati testimoniano che i rettili sono rettili, le bocche sono bocche e via di seguito.
La documentazione fossile smentisce la teoria dell’evoluzione. E’ scritto in proposito nel Bulletin del Field Museum of Natural History di Chicago: “La teoria darwiniana è sempre stata intimamente legata alla documentazione fossile, e probabilmente la maggioranza delle persone pensa che i fossili siano uno dei cardini delle interpretazioni darwiniane della storia della vita. Purtroppo non è esattamente così. […] La documentazione geologica, allora come oggi, non rivela una precisa catena graduale indicante una lenta e progressiva evoluzione”[vi].
3.     I Fossili dicono che la vita è sorta all’improvviso
I fossili ritrovati attestano che non si riscontrano passaggi graduali da individui non viventi ad altri viventi, perché la vita è come “esplosa” all’improvviso, causata da un atto creativo.
Scrive in proposito lo zoologo Coffin: “Se l’ipotesi dell’evoluzione graduale dal semplice al complesso è esatta, si dovrebbero poter trovare gli antenati di queste creature viventi improvvisamente apparse nel Cambriano; ma non sono stati trovati, e gli scienziati ammettono che ci sono scarse speranze di trovarli in futuro. Stando esclusivamente ai fatti, sulla base di ciò che effettivamente si trova nella terra, la teoria più idonea è quella di un improvviso atto creativo che abbia dato origine alle principali forme di vita”[vii].
Riporto, qui di seguito, considerazioni analoghe di studiosi che hanno affrontato scientificamente il problema dell’origine della vita e il valore della teoria darwiniana.
De Brienne: “Le creature viventi trovate negli strati risalenti al periodo Cambriano risultano emerse tutte all'improvviso e contemporaneamente: nelle testimonianze fossili non vi si trovano antenati preesistenti da cui possano essere derivate. Già all'inizio del Cambriano si incontrano fossili di 500 specie diverse appartenenti a sette sottotipi diversi. Vi sono sia crostacei che spugne, oltre a vermi, echini e meduse. Le differenze tra i sottotipi erano già tanto nette da restare ancora tali ai nostri giorni”[viii].
Monastersky: "Mezzo miliardo di anni fa apparvero improvvisamente le ragguardevoli forme di animali complessi che oggi vediamo. Questo momento, al principio del periodo Cambriano, all'incirca 550 milioni di anni fa, segna l'esplosione evolutiva che riempì i mari delle prime creature complesse. Gli ampi phyla animali odierni erano già presenti nei primi anni del Cambriano ed erano distinti tra loro quanto lo sono oggi”[ix]. 
Marcozzi: “Vediamo ora cosa ci dicono i resti fossili dei periodi successivi al Precambriano relativamente al fiorire ed allo svilupparsi delle varie forme di vita sulla terra.
Una prima grande stranezza deriva dal fatto che il Cambriano (500-550 milioni di anni fa) poté assistere alla comparsa di nuovi phyla e classi ad una velocità eccezionale, praticamente di colpo ed inoltre contemporaneamente per un gran numero di essi”[x].
Per concludere questa prima parte della analisi della teoria di Darwin, si deve concordare, con quanto afferma D’Arcy Thompson: “L’evoluzione darwiniana non ci ha spiegato in che modo gli uccelli discendono dai rettili, i mammiferi dai primi quadrupedi, i quadrupedi dai pesci, o i vertebrati dagli invertebrati […] e andare in cerca di anelli di congiunzione per colmare le lacune significa cercare invano, per sempre”[xi].
È inoltre necessario riconoscere, come afferma Sagan, che “i reperti fossili potrebbero conciliarsi con l’idea di un Grande Progettista”[xii].
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[i] T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969, p.29.
[ii] A. Gaspari, Da Malthus al razzismo verde. La vera storia del movimento per il controllo delle nascite, XXI Secolo,  Milano 2000, p.  78.
[iii] C. Darwin, L’origine delle specie, Boringhieri,  Milano 1959,  p. 351. 
[iv] P. Kier, Relazione, in “New Scientist”, 15 gennaio 1981, p. 129.
[v]  R. Carrington, Guida alla storia della Terra, Bompiani, Torino 1958, p.57.
[vi] Gennaio 1979, Vol. 50, n. 1, pp. 22- 23.
[vii] H. CoffinRelazionein  Liberty”, settembre-ottobre 1975, p. 12.
[viii] D. R. de Brienne, Per finirla con l'evoluzionismo, Il Minotauro, Frascati 2003, p. 89.
[ix] R. Monastersky, Mysteries of the Orient, in “ Discover”, April 1993, p. 40. 
[x] V. Marcozzi, Alla Ricerca dei nostri predecessori, EP 1990, p. 17.
[xi] W. D'Arcy Thompson. Crescita e forma,  a cura di J. T. Bonner, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 360.
[xii] C. Sagan, Cosmo, Mondadori,  Milano 1981, p. 29.

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Esiste l'anima? (Quarta parte)

Darwin: le somiglianze tra l'uomo e la scimmia

La paleontologia, tramite la documentazione fossile, smentisce la teoria di Darwin e la genetica, da Mendel in poi, afferma che i caratteri ereditari di ogni specie si trasmettono da individuo a individuo in modo fisso e prestabilito, fornendo un’ulteriore prova dell’inconsistenza scientifica dell’evoluzionismo darwiniano.
La domanda che sorge spontanea, se si analizza con onestà intellettuale l’opera di Darwin, è la seguente: “Com’è possibile che la teoria di questo biologo, pur essendo smentita dalla realtà fattuale, sia accettata come verità assoluta e non sia messa in discussione da tantissime persone, giovani e adulte?”.
La risposta è forse semplice: “Molti parlano di Darwin ma pochi hanno letto i suoi testi”.
I mass media presentano l’evoluzionismo darwiniano come una verità indiscutibile e soprattutto i manuali scolastici, dalle scuole elementari in poi, presentano questa teoria come se avesse la stessa dignità scientifica del sistema copernicano o della legge di gravità di Newton.
In effetti, leggendo i suoi libri, si resta perplessi nel costatare che le sue tesi si basano su una serie interminabile di osservazioni minuziose (a volte di seconda mano) di fenomeni molto particolari, dalla quale Darwin trae delle considerazioni alquanto discutibili che proverebbero la somiglianza degli esseri umani con le scimmie.
A titolo di esempio riporto le motivazioni addotte dal biologo per spiegare la comparsa della barba nei maschi e la mancanza di peli nelle femmine.
Scrive: “Per quel che la complessità dell’argomento ci permette di capire, sembra che i nostri progenitori affini alle scimmie abbiano acquisito la barba come ornamento per affascinare e attirare le femmine e l’abbiano trasmessa solo alla prole di sesso maschile. Evidentemente le femmine ebbero per prime il corpo privo di pelo, anche qui come ornamento sessuale; ma esse trasmisero questo carattere quasi allo stesso modo a entrambi i sessi. Non è improbabile che le femmine furono modificate in altro modo allo stesso scopo e con gli stessi mezzi; infatti le donne hanno voci più dolci e sono divenute di aspetto più piacevole”[i].
Un altro esempio riguarda la presenza di muscoli nella fronte degli esseri umani e delle scimmie.
Scrive: “Poche persone possiedono la capacità di contrarre i muscoli superficiali del cranio, muscoli che sono in una condizione variabile e parzialmente rudimentale. A. de Candolle mi ha raccontato un curioso esempio a proposito della lunga persistenza e ereditarietà di questo potere, così come del suo insolito sviluppo. Egli conosce una famiglia, un membro della quale, l’attuale capo, poteva, da giovane, lanciare parecchi libri pesanti dalla testa col semplice movimento della pelle del cranio, vincendo scommesse con questo esercizio. Il padre, lo zio, il nonno e i tre figli possiedono lo stesso potere allo stesso insolito livello. La famiglia otto generazioni fa si era divisa in due rami, cosicché il capo del ramo di cui si è parlato sopra è cugino in settimo grado del capo dell’altro ramo. Questo lontano cugino risiede in un’altra zona della Francia; essendogli stato chiesto se possedeva la stessa capacità, immediatamente mostrò il suo potere. Questo caso è una valida dimostrazione di quanto possa essere persistente la trasmissione di una facoltà assolutamente fuori uso, probabilmente ereditata dai nostri genitori semiumani [sic]; infatti molte scimmie hanno, e frequentemente usano, il potere di muovere ampiamente su e giù la pelle del cranio”[ii].
Un altro elemento che proverebbe l’affinità tra l’uomo e la scimmia sarebbe una particolare conformazione del lobo dell’orecchio.
Scrive: “E’ stato appurato che solo l’orecchio dell’uomo è dotato di un lobo; ma se ne trova un rudimento nel gorilla, e secondo il prof. Preyer, spesso è assente nel negro.
Il celebre scultore Woolner mi ha reso nota una piccola caratteristica dell’orecchio esterno, che egli ha osservato spesso sia nell’uomo sia nella donna, e di cui ha compreso a pieno il significato. La sua attenzione fu per la prima volta richiamata sull’argomento mentre stava lavorando a una statua di Puck, cui aveva attribuito orecchie aguzze. Fu così indotto a esaminare le orecchie di varie scimmie, e infine più attentamente quelle umane. La peculiarità consiste in una piccola punta smussata che sporge sul margine ripiegato internamente o elice. Quando è presente, è sviluppata sin dalla nascita, e secondo il prof. Ludwig Meyer più frequentemente nell’uomo che nella donna. Woolner ha fatto un modello esatto di questa posizione e mi ha mandato il seguente disegno [nel testo è raffigurato un orecchio umano]. Le punte non solo sporgono all’interno verso il centro dell’orecchio, ma spesso un po’ oltre il piano, in modo da essere visibili quando la testa è osservata frontalmente o da dietro. Variano per la dimensione e talora per la posizione, trovandosi sia un po’ più giù che un po’ più su, e a volte si riscontrano in un orecchio e non nell’altro. Non si limitano alla specie umana, perché ho osservato un caso in una scimmia ragno […] nel nostro giardino zoologico; e il dott. E. Ray Lankester mi fa sapere di un scimpanzé in quello di Amburgo.[…]”[iii].
L’eventuale constatazione di affinità morfologiche e fisiologiche tra l’uomo e la scimmia non prova l’origine dell’uno dall’altra, né si può affermare che la differenza tra i due dipenda unicamente dal fatto  che il cervello umano è più voluminoso di quelle scimmiesco, come sostiene Darwin. Infatti, il biologo condivideva le teorie della frenologia (detta anche cranioscopia)[iv]una pseudo-scienza fondata da Gall, secondo la quale l’intelligenza dipende dalla grandezza del cervello[v].
Darwin nella sua autobiografia, riferendo un episodio della sua vita, testimonia questa sua credenza. Scrive infatti: “Scoprii, sia pure inconsciamente e insensibilmente, che il piacere di osservare e ragionare era molto maggiore di quello di essere brillante o di fare dello sport. E’ probabilmente che il mio cervello si sia sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio: lo dimostra un’osservazione di mio padre, che era l’uomo più acuto che abbia mai conosciuto, fondamentalmente scettico e ben lontano dal credere nella frenologia; la prima volta che mi vide, si volse alle mie sorelle ed esclamò: “Guardate, gli è cambiata la forma della testa””[vi].
Leggendo i testi scritti da Darwin, ci si rende conto che il suo pensiero non è geniale come comunemente si crede e che la sua teoria è molto discutibile. Ciò non significa mettere in dubbio la teoria dell’evoluzione in quanto tale, ma la sua formulazione darwiniana. Infatti, è da rilevare che teorie evolutive elaborate da discipline diverse tra loro hanno comportato un ampliamento della conoscenza scientifica.
La teoria di Darwin, oltre ad essere carente sul piano scientifico, è impossibilitata a rendere ragione del fatto che l’essere umano compie delle operazioni di carattere spirituale, la cui causa non può essere materiale e sono segno, come vedremo, di un “salto ontologico” nel mondo della natura.

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NOTE
[i] C. Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, in Idem, L’evoluzione, Introduzione di G. Montalenti, Newton Compton, Roma 1994, p. 965.
[ii] Ibidem, p.544.
[iii] Ibidem, pp. 543-544.
[iv] Darwin era talmente convinto della validità della frenologia che, in un periodo della sua vita, pensava di avere la vocazione al sacerdozio a causa della conformazione del suo cranio. E’ scritto  nella sua autobiografia: “Se si deve credere ai frenologi, ero sotto un certo aspetto adattissimo a fare il prete. Pochi anni fa, i segretari di una società tedesca di psicologia mi chiesero insistentemente per lettera una fotografia; e qualche tempo dopo ricevetti gli atti di una delle loro riunioni, da cui risultava che la forma del mio cranio era stata argomento di pubblico dibattito, e uno degli oratori aveva dichiarato che avevo il bernoccolo sacerdotale tanto sviluppato da bastare per dieci preti.
Deciso che sarei stato un ecclesiastico si rese necessario che mi recassi in una Università inglese per acquistare un titolo […]” (C. Darwin, Autobiografia, a cura di F. Darwin, prefazione di L. Pavolini, in Idem, L’evoluzione, cit., p. 991-992).
[v] Darwin, basandosi sugli studi della frenologia, sosteneva che gli uomini sono più intelligenti delle donne, i bianchi più intelligenti dei neri, gli Irlandesi inferiori agli altri Europei ecc. a motivo del cervello più o meno voluminoso. Sulla base di queste considerazioni, alcuni autori hanno ravvisato  nel pensiero del biologo dei caratteri razzisti che sarebbero all’origine del “darwinismo sociale”.
Scrive in proposito Gaspari: ” Secondo alcuni autori […] l'orrore conosciuto come "darwinismo sociale", sarebbe da attribuire ai suoi seguaci piuttosto che a Darwin. Darwin ha scritto nel libro L'origine dell'Uomo nell'edizione pubblicata da Editori Riuniti nel 1983, e siamo rimasti inorriditi. In un capitoletto intitolato “Selezione naturale operante nelle nazioni civili”, Darwin spiega perché l'uomo civilizzato ha uno svantaggio rispetto al selvaggio, e scrive: “Fra i selvaggi i deboli di corpo e di mente vengono presto eliminati; e quelli che sopravvivono godono in genere di un ottimo stato di salute. D'altra parte, noi uomini civili cerchiamo con ogni mezzo di ostacolare il processo di eliminazione; costruiamo ricoveri per gli incapaci, per gli storpi e per i malati […]. Dobbiamo perciò sopportare gli effetti indubbiamente deleteri della sopravvivenza dei deboli e della propagazione della loro stirpe” (pp.176-77). Abbiamo capito bene? Aiutare i deboli, curare i malati, vaccinare salvare migliaia di persone non è un “effetto deleterio" per l'evoluzione della specie? Ma l'autore inglese non ha dubbi, per favorire la selezione naturale in cui il debole deve essere soppresso a favore del più forte, ha scritto: "Il progresso del benessere del genere umano è un problema difficile da risolvere; quelli che non possono evitare una grande povertà per i loro figli dovrebbero astenersi dal matrimonio, perché la povertà non è soltanto un gran male, ma tende ad aumentare perché provoca l'avventatezza del matrimonio” (p.256). Capito? Per Darwin se sei povero e debole non dovresti avere diritto a sposarti. In conclusione c'è da chiedersi, ma i grandi estimatori dell'autore inglese, coloro che stanno riempiendo saggi, riviste e libri su Darwin, hanno mai letto quello che ha scritto?" (A. Gaspari, Ma l'avete mai letto Darwin?, "Ragionpolitica" , 2 marzo 2009. Rivista on-line).
[vi] C. Darwin, Autobiografia, cit., p. 999.

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Esiste l'anima ? (Quinta e ultima parte)

Gli animali non parlano

Secondo Darwin, come abbiamo visto precedentemente, la natura seleziona gli individui che si adattano meglio all’ambiente, avendo ereditato nel processo evolutivo delle mutazioni biologiche vantaggiose nella lotta per la sopravvivenza. Non si comprende però quale vantaggio avrebbe ottenuto la specie umana in questo processo evolutivo, poiché, come scrive Coggi : « Se ben guardiamo, sembra quasi di dover dire che l’uomo è in un certo senso un animale mal riuscito. La sua vista è cattiva, neppure paragonabile, ad esempio, a quella di un’aquila. L’olfatto è molto scadente. Non si può neppure lontanamente paragonarlo a quello dei cani, per esempio ! L’udito dell’uomo poi non è un gran che. Il nostro gatto ci batte senza la minima difficoltà. L’uomo poi non ha difese naturali : non ha la  corazza delle tartarughe, non ha gli artigli. La forza fisica dell’uomo non è molta. L’uomo non può né correre né nuotare velocemente ; l’uomo poi non ha un rivestimento naturale per difendersi dal freddo, e può morire di freddo e di caldo più facilmente di tanti altri animali. L’uomo non può immergersi nelle profondità delle acque come i pesci ; non può librarsi nelle altezze come gli ucceli del cielo. Parlando dunque dal punto di vista puramente biologico si dovrebbe dire che l’uomo non ha diritto all’esistenza : dovrebbe essere scomparso già da lungo tempo per lasciare posto ad altri animali più dotati dal punto di vista biologico»[i].
Invece, secondo Darwin, la specie umana si è affermata e ha dominato le altre perché ha ereditato delle variazioni biologiche utili per l’adattamento all’ambiente, le quali sono le caratteristiche specifiche dell’uomo: « Lo sviluppo intellettuale, le facoltà morali, la religione stessa»[ii].
Secondo lo studioso della natura, tutte le attività tradizionalmente denominate « spirituali » hanno un’origine biologica. Scrive in proposito Bréhier :
« Per il darwinismo, applicato alle funzioni mentali, morali e sociali, la nozione di uomo si trasforma ; i problemi di genesi e di origine, che prima erano […] rigettate in un al di là metafisico o religioso più o meno oscuro, sembrano dei problemi suscettibili di una soluzione positiva, almeno di principio ; le cause che hanno originato queste funzioni non sono differenti da quelle che noi vediamo agire sotto i nostri occhi, ed è sufficiente di immaginarle agenti durante un tempo abbastanza lungo  e accumulando i loro effetti per esplicitare le forme più complesse. Inoltre, ed è un cambiamento ancora più importante, queste funzioni non sembrano avere senso in se stesse, ma relativamente al loro ruolo di adattamento in un dato ambiente ; si conferisce allo spirito tutto intero un significato biologico»[iii]. 
Secondo Darwin la biologia  può spiegare l’origine e il funzionamento di tutte le attività umane, perché l’uomo è soltanto un animale più sviluppato della scimmia. Le differenze tra l’uomo e la scimmia sono di carattere quantitativo e non qualitativo ; ad esempio, per quanto riguarda il linguaggio, quello umano, a differenza dello scimmiesco, è  articolato ed è capace di associare suoni e idee.
Darwin afferma a riguardo :
“Tuttavia il linguaggio articolato è particolare all’uo­mo; ma questo adopera in comune con gli animali a lui in­feriori grida inarticolate per esprimere il suo desiderio aiutandosi con i gesti e con i movimenti dei muscoli del volto. Ciò specialmente segue per i sentimenti più sempli­ci e vivaci, che hanno scarso rapporto con la nostra più alta intelligenza. Le nostre grida di dolore, di timore, di sorpresa, di rabbia, unitamente alle azioni appropriate, e il mormorio di una madre al suo diletto bambino, sono più espressivi che qualunque parola. Non è il solo potere di articolare che distingue l’uomo dagli altri animali, perché come tutti sanno, i pappagalli riescono a parlare; ma è la sua grande facoltà di poter riunire suoni definiti con definite idee; e questo ovviamente dipende dallo sviluppo delle facoltà mentali”[iv].
Secondo Darwin i pappagalli possono parlare, ma ciò è assolutamente impossibile perché la parola è espressione di un concetto e il linguaggio animale non può essere di carattere concettuale.
La parola, come insegna la linguistica di de Saussure, è un « significante » (immagine acustica) che rimanda a un « significato » (concetto). Il linguaggio umano è un insieme di « segni », i quali sono il nesso tra significante e significato.
Ad esempio le parole the tablela table, il tavolo sono tre significanti diversi tra loro, ma che rimandano allo stesso significato : un mobile con una forma e un materiale specifico e adibito a usi diversi.
Questo significato o concetto non può essere conosciuto dall’animale, il quale può soltanto percepire dei suoni e può anche ripeterli, come nel caso del pappagallo, ma non può comprendere e comunicare il significato o il concetto delle parole.
San Tommaso utilizzava un metodo fenomenologico ante litteram per analizzare la psicologia umana e lo stesso metodo si può applicare alla psicologia animale, analizzando i comportamenti esterni per risalire da questi alle operazioni psichiche soggiacenti che li provocano.
Per quanto riguarda il linguaggio, i comportamenti degli animali non evidenziano in alcun modo che essi comprendano il significato delle parole. Ammettendo per ipotesi che le scimmie abbiano lo stesso apparato acustico umano, esse  potrebbero, ad esempio, udire i suoni  delle parole pronunciate da un filosofo o da un politico, ma senza capire il significato delle parole e poterlo poi riferire.
Tutti i comportamenti animali manifestano una matrice di carattere materialistico e, nel caso degli animali superiori,  essi associano suoni a immagini : un cane dal suono di una voce può riconoscere la presenza del suo padrone e dal tono della voce che deve smettere di correre ecc.
I significati o concetti delle cose sono svincolati dalla materia e per questo motivo non possono essere conosciuti dagli animali, i quali né possono comprendere le parole né possono parlare, perché la parola, come abbiamo visto, è un significante che rimanda a un significto o concetto, il quale è immateriale.
Il concetto in quanto tale è « concepito » dalla mente umana ed è diverso sia dalle sensazioni che dalle immagini ed è caratterzzato dalla immaterialità, infatti esso prescinde dalle condizione dello spazio e del tempo, cioè dalle condizioni di tutto ciò che è materiale.
Un concetto, una volta che viene formulato, è indipendente da ogni coordinata spazio-temporale e ha quindi valore universale : definito il concetto di uomo, esso di applica a ogni individuo della specie umana da Adamo fino all’ultimo individuo umano che abiterà la terra.
La differenza del concetto o idea dalle immagini, presenti anche negli animali superiori, èqualitativa. Il concetto non è un’immagine sbiadita perché è assolutamente distinto dall’immagine, anche se è accompagnato da immagini.
Per chiarire la differenza tra immagine e concetto gli scolastici medioevali facevano l’esempio del miriagono, cioè di un poligono di dieci mila lati, e dicevano giustamente che è impossibile immaginarlo, mentre il concetto è chiaro e distinto.
La concettualizzazione è una capacità specificamente umana non presente negli animali, la quale, insieme ad altre attività che analizzeremo, è di carattere non materiale ma spirituale.

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NOTE
[i] R. Coggi, Dio creatore, gli angeli e l’uomo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2002, p.161.
[ii] E. Bréhier, Histoire de la philosophie. La philosophie moderne, T. II,  Félix Alcan, Paris 1932, p.612. 
[iii] Ibidem. La traduzione è mia.
[iv] C. Darwin, L’origine dell’uomo, A. Barion, Sesto San Giovanni (Milano) 1926, p. 61. Ho preferito fare riferimento a questa edizione invece che a quella (Newton Compton) utilizzata nelle altre citazioni, perché la traduzione di questo brano mi sembra più fedele all’originale. Cfr. C. Darwin, L’origine dell’uomo, cit., Newton Compton,  pp. 593-594.