mercoledì 23 ottobre 2013

Oltre la radice dell'indifferenza

Miniatura

Unione europea e immigrati: le parole forti del Papa e quelle fragili della cultura e della politica

José Maria Gil Tamayo - Sir Europa (Spagna)

Le tragedie degli immigrati nel Mediterraneo, un mare che fino a prova contraria è europeo, continuano a interrogare la cultura, la società e la politica dell'Ue e dei 28 Paesi membri. La domanda si è fatta fortissima dal 3 ottobre scorso, quando, nel "mare della morte", sono annegati quasi 400 immigrati di fronte all'isola di Lampedusa.
L'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha calcolato che circa 7.800 immigrati e richiedenti asilo hanno raggiunto le coste italiane nei soli primi sei mesi del 2013. Ma secondo l'Ufficio internazionale delle migrazioni, dal 1993 a oggi nel Mediterraneo hanno perso la vita più di 25mila persone. Spagna, Malta, Cipro, Grecia, Croazia, Italia: quasi tutta l'Europa meridionale viene raggiunta da imbarcazioni cariche di uomini, donne e bambini che scappano da Paesi ridotti alla fame, in preda a conflitti o sottoposti a violazione dei diritti umani. Il resto del vecchio continente sembra ancora distante dall'immane tragedia e l'Unione europea, almeno per ora, non riesce a offrire risposte risolutive.
"Mi viene solo la parola vergogna, è una vergogna": queste le parole di Papa Francesco nell'apprendere la notizia del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre. Poco tempo prima, l'8 luglio, il Papa - arrivato per sua ferma volontà sull'isola - aveva celebrato la messa su uno dei barconi della speranza diventati presto barconi della disperazione. Bussando alla coscienza del mondo, a quella dei cittadini europei e delle istituzioni nazionali ed europee, Papa Francesco aveva levato il suo monito contro quella "globalizzazione dell'indifferenza" che coinvolge anche l'Europa.
Indifferenza di fronte ai volti di coloro che vivono in Paesi poveri e di coloro che cercano migliori condizioni di vita nelle società sviluppate.
Indifferenza di fronte ai volti di coloro che hanno trovato la morte nel tentativo di raggiungere le coste europee.
Indifferenza di fronte ai molti altri volti delle persone che fuggite dalle guerre, dalla fame, dalla miseria o dallo sfruttamento si sono visti traditi da quanti, anche nel vecchio continente, si proclamano fratelli di tutti gli uomini, soprattutto di quelli più poveri.
È nel materialismo, ha detto il Pontefice, la radice dell'indifferenza. E ha denunciato quella "cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza".
Come può l'Unione europea non sentirsi chiamata in causa proprio sul suo fondamento che è la solidarietà? Come può non rendersi conto che se questo fondamento cede sotto il peso dell'indifferenza crolla anche la "casa comune"? Come può il Nord dell'Europa sottrarsi a una responsabilità comune di fronte alla tragedia che avviene in un mare europeo del Sud?
Potrebbe sembrare un appello fuori luogo, ma tocca soprattutto ai cittadini europei, alla pubblica opinione europea svegliare e sorreggere le istituzioni nazionali e comunitarie perché alle domande angosciate che vengono dal Mediterraneo si diano risposte di speranza e di giustizia.
A questo obiettivo continua a offrire il suo contributo specifico la Chiesa. "Noi, come Chiesa - ha detto Papa Francesco - ricordiamo che curando le ferite dei rifugiati, degli sfollati e delle vittime dei traffici mettiamo in pratica il comandamento della carità che Gesù ci ha lasciato, quando si è identificato con lo straniero, con chi soffre, con tutte le vittime innocenti di violenze e sfruttamento. Le nostre Comunità cristiane siano veramente luoghi di accoglienza, di ascolto, di comunione!".
Si tratta di diffondere sempre più quella cultura dell'accoglienza che in modo esemplare viene vissuta da molte persone, organizzazioni cristiane, umanitarie e dagli stessi abitanti di Lampedusa. Si tratta di una nuova versione delle antiche opere di misericordia che concorrono a dare più spessore umano e spirituale alla solidarietà e ne fanno una parola e un impegno comprensibili a chi crede e a chi non crede. Così si può rompere la crosta dell'indifferenza dei benestanti che rende vecchio questo nostro continente e così si può chiedere alla politica di cambiare il passo perché l'Europa possa ancora scrivere pagine di speranza per se stessa e per chi, percosso e umiliato, bussa alla sua porta.

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Come parla Jorge Mario Bergoglio. Quell’invito a “pescar” con uno sguardo nuovo

Anticipiamo — nella traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún — un articolo che viene pubblicato giovedì 24 ottobre sul sito di Alver Metalli «Terre d’America». L’autore è un giornalista, già alunno di Bergoglio quando questi insegnava Letteratura e Psicologia a Santa Fe negli anni 1964 e 1965.
(Jorge Milia) Nella sua visita a Papa Francesco dello scorso 18 marzo la presidente della Repubblica Argentina Cristina Fernández de Kirchner ricevette dalle mani del suo connazionale un esemplare del Documento conclusivo del quinto Consiglio Episcopale Latinoamericano e del Caribe (Celam) riunitosi a maggio del 2007 ad Aparecida, in Brasile. Al momento di consegnare il testo alla signora Kirchner Papa Francesco pronunciò una frase che non passò inosservata agli ispanofoni: Para que vaya pescando lo que piensan los obispos. Una traduzione letterale in italiano suonerebbe: «Affinché intanto lei possa pescare quello che pensano i vescovi». Sottinteso, ci saranno altre occasioni per parlarne. Lavorando un po’ più sulla forma la traduzione potrebbe suonare così: affinché nel frattempo lei possa incominciare a “cogliere”, ad “estrarre” dal documento — non a caso costituito da punti numerati dall’1 al 554 — quello che è il pensiero dei vescovi del suo proprio Paese. Sottinteso: così, quando arriverà il momento, potrà parlarne nel merito.
Gli argentini, specialmente quelli di Buenos Aires, los porteños, hanno capito subito cosa intendesse dire il Papa loro connazionale. Come al solito, Bergoglio faceva propria una espressione gergale corrente nel parlare comune, “pescare nel”, “pescare dal”, “pescare tra”, e la trasfigurava.
L’immagine del pescare, nel lunfardo (slang) di Buenos Aires si usa con un senso più ampio di quello racchiuso nell’azione designata dal verbo in quanto tale. Vuol dire cogliere, capire, venire a sapere: la pescaste? (“l’hai capito? Ci sei arrivato? Ti è chiaro adesso? Hai realizzato finalmente?”). Pescar una idea vuol dire averla già tirata fuori completamente, portata a galla, trascinata in superficie, esposta alla luce rischiaratrice fino in fondo.
Le parole del cardinale Bergoglio sono sempre state parole chiare e nette sulla realtà argentina. Mai ostili. Sempre impregnate di doloroso realismo. Come quando ha segnalato la crescente povertà, partendo dall’osservazione della realtà delle parrocchie a cui si dirigevano quotidianamente stuoli di bisognosi, o come quando ha parlato dell’emarginazione perdurante di settori della società davanti. Così la frase che il Papa ha rivolto alla Presidente Cristina racchiude tutto un trattato di alta diplomazia e simpatia. Una espressione comunissima assurge a invito e ammonimento cordiale, sintesi di suono, forma e significati stratificatesi nel tempo e nel popolo.
Tra l’altro non ha detto solo «per cogliere», ha detto «per incominciare a cogliere». Vale a dire: Per incominciare a capirci; perché l’esperienza della Chiesa ha da dire cose che vale la pena ascoltare.
Quello che Papa Francesco ha deposto nelle mani della presidente con l’umile aggiunta che era anche «quello che pensano i vescovi» è un concretissimo progetto di Chiesa (ma vale anche per gli Stati) che — ora che tocca a lui governare la barca di Pietro — sta implementando sotto gli occhi di tutti. E che i governanti, latinoamericani e non, dovrebbero imparare a “pescare” anche per i propri popoli.
L'Osservatore Romano