mercoledì 27 novembre 2013

«Donna, non piangere»


Durante la catechesi di questa mattina Papa Francesco ha detto: 

"Sempre mi ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?, perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente..."

Mi son ricordato del Vangelo (Lc. 7, 11-17) della resurrezione del figlio della vedova di Nain, che riporto sotto, con due testi (bellissimi!) di don Giussani a commento.
Buona lettura!

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Dal Vangelo secondo Luca 7,11-17
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. 
Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. 
Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: “Non piangere!”. E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Giovinetto, dico a te, alzati!”. Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. 
Ed egli lo diede alla madre. 
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: “Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo”. La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.


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Appunti dall’intervento conclusivo di Luigi Giussani agli Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e liberazione. Rimini, 5 maggio 2002


di Luigi Giussani
Quella sera Gesù fu interrotto, fermato nel suo cammino al villaggio cui era destinato, cui si era destinato, perché c’era un pianto altissimo di donna, con un grido di dolore che percuoteva il cuore di tutti i presenti, ma che percuoteva, che ha percosso innanzitutto il cuore di Cristo.
«Donna, non piangere!». Mai vista, mai conosciuta prima.
«Donna, non piangere!». Che sostegno poteva avere quella donna che ascoltava la parola che Gesù diceva a lei?
«Donna, non piangere!»: quando si rientra in casa, quando si va sul tram, quando si sale sul treno, quando si vede la coda delle automobili per le strade, quando si pensa a tutta la farragine di cose che interessano la vita di milioni e milioni di uomini, centinaia di milioni di uomini… Come è decisivo lo sguardo che un bambino o un grande «grande» avrebbero portato a quell’uomo, che veniva in capo a un gruppetto di amici e non aveva mai visto quella donna, ma si è fermato quando il suono, il riverbero del pianto è giunto fino a Lui! «Donna, non piangere!», come se nessuno la conoscesse, come se nessuno la riconoscesse più intensamente, più totalmente, più decisivamente di Lui!
«Donna, non piangere!». Quando vediamo – come vi ho detto prima – tutto il movimento del mondo, nel cui fiume, nei cui ruscelli tutti gli uomini si rendono presenti alla vita, rendono presente la vita a sé, l’incognita della fine non è altro che l’incognita del come si è giunti a questa novità, quella novità che fa trovare un uomo, fa incontrare un uomo mai visto che, di fronte al dolore della donna che vede per la prima volta, le dice: «Donna, non piangere!». «Donna, non piangere!».
«Donna, non piangere!»: questo è il cuore con cui noi siamo messi davanti allo sguardo e davanti alla tristezza, davanti al dolore di tutta la gente con cui entriamo in rapporto, per la strada o nel viaggio, nei nostri viaggi.
«Donna, non piangere!». Che cosa inimmaginabile è che Dio – “Dio”, Colui che fa tutto il mondo in questo momento –, vedendo e ascoltando l’uomo, possa dire: «Uomo, non piangere!», «Tu, non piangere!», «Non piangere, perché non è per la morte, ma per la vita che ti ho fatto! Io ti ho messo al mondo e ti ho messo in una compagnia grande di gente!».
Uomo, donna, ragazzo, ragazza, tu, voi, non piangete! Non piangete! C’è uno sguardo e un cuore che vi penetra fino nel midollo delle ossa e vi ama fin nel vostro destino, uno sguardo e un cuore che nessuno può fuorviare, nessuno può rendere incapace di dire quel che pensa e quel che sente, nessuno può rendere impotente!
«Gloria Dei vivens homo». La gloria di Dio, la grandezza di Colui che fa le stelle del cielo, che mette nel mare goccia a goccia tutto l’azzurro che lo definisce, è l’uomo che vive.
Non c’è nulla che possa sospendere quell’impeto immediato di amore, di attaccamento, di stima, di speranza. Perché è diventato speranza per ognuno che Lo ha visto, che ha sentito: «Donna, non piangere!», che ha udito Gesù dir così: «Donna, non piangere!».
Non c’è nulla che possa fermare la sicurezza di un destino misterioso e buono!
Noi siamo insieme dicendoci: «Tu, non t’ho mai visto, non so chi sei: non piangere!». Perché il pianto è il tuo destino, sembra essere il tuo destino inevitabile: «Uomo, non piangere!».
«Gloria Dei vivens homo»: la gloria di Dio – quella per cui sorregge il mondo, l’universo – è l’uomo che vive, ogni uomo che vive: l’uomo che vive, la donna che piange, la donna che sorride, il bambino, la donna che muore madre.
«Gloria Dei vivens homo». Noi vogliamo questo e nient’altro che questo, che la gloria di Dio sia palesata a tutto il mondo e tocchi tutti gli ambiti della terra: le foglie, tutte le foglie dei fiori e tutti i cuori degli uomini.
Non ci siamo mai visti, ma questo è ciò che vediamo tra noi, ciò che sentiamo tra noi.
Ciao! 

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Non piangere!

Giancarlo Giojelli
Incontri di Gesù
Il suo pianto era come quello di un bimbo abbandonato, il dolore per la perdita di suo figlio «era opposto alla speranza». Eppure Lui le disse quelle parole. E da quel momento Nain è per tutti un luogo caro, per quella compassione che Dio ha avuto per tutti noi

La gente intorno guardava e taceva. Si consumava una storia vecchia e dolorosa, che altre volte avevano visto, e che ogni uomo conosceva bene da sempre. Ma ogni volta era come la prima e ogni dolore era altrettanto nuovo e altrettanto lacerante. Il dolore di una donna, una madre. Una donna sola, vedova, che vedeva morire suo figlio. E non poteva farci nulla, e in quel momento non poteva nemmeno piangere, tratteneva le lacrime per non rendere ancor più terribile l’ultimo terribile attimo di vita del suo ragazzo. Poi avrebbe pianto, lo sapevano, e avrebbe pianto come solo una donna che vede morire il figlio può piangere, e nessuno può dirle: «Donna, non piangere!». Non si ricordava nella storia del villaggio, nella storia del popolo, nella storia dell’umanità che qualcuno avesse avuto quel coraggio, quella forza, quella capacità di sconfinata tenerezza. Quella capacità di commuoversi e quella misteriosa saggezza che nasce da Chi solo conosce il Mistero e lo guarda in faccia e sa di poter chiedere al Mistero ciò che vuole. Ma non era mai esistito nessuno così. Nessuno di loro lo aveva mai incontrato. E così assistevano impotenti agli ultimi inevitabili attimi di quell’ultima inevitabile agonia.

Vento da Nord«Mamma, comincia a fare un po’ freddino», le aveva detto il ragazzo, e si era stretto il cuore a quella povera donna. Il cielo in effetti era un po’ più scuro, carico di nuvole e il vento soffiava da Nord, da dove c’era il grande lago di Tiberiade e non era mai un buon segno, perché portava sempre pioggia e tempesta. Era la stagione del resto, la stagione in cui le ombre sono un po’ più lunghe e l’aria si rinfresca presto. E là, a Nain, il villaggio sulla strada che corre giù da Nazareth verso il Sud della Galilea, verso il monte Tabor, il tempo era stato davvero poco clemente, quell’anno, e il freddo aveva acuito la malattia di quel ragazzino che ormai era tutta la sua vita, dopo che un altro inverno si era portato via suo marito.

«Mamma, comincia a fare un po’ freddino» e il viso del ragazzo era come più scavato, più affilato. Erano giorni che mangiava poco, si diceva la mamma, ma non si illudeva, quei segni non erano belli e il cuore le si gonfiava e le si stringeva sempre più forte, ma non voleva darlo a vedere. Non voleva piangere, «Mamma…». Non voleva che la vedesse piangere. Era un ragazzo intelligente, e avrebbe capito, se non aveva già capito. Non era giusto, pensava, prima suo padre e adesso… Ma non voleva piangere. E pensava, la donna, a quel momento di festa e di gioia, quando suo marito l’aveva chiesta in sposa, e quel giorno del matrimonio, con tutta la luce e il colore e le danze e il paese che esultava intorno a loro e per loro. E poi era nato quel bimbo, e anche allora c’era luce e si era ballato e fatto festa per quel ragazzo che ora stringeva nella penombra che non era fredda, non era ancora gelida, ma cominciava a essere insopportabile per il suo cuore che diventava sempre più piccolo, un nocciolo duro di dolore.

Un battito di cigliaNon doveva piangere e guardava a occhi asciutti il viso, il naso più fine del suo bambino, e la pelle della fronte più lucida e tesa, quasi trasparente. Le era sembrato di ritrovarselo tra le braccia come quando era piccolo, e aveva voglia di coccolarlo ancora un poco, almeno un poco, ed era così sola ora e faceva davvero freddo, sempre più freddo e le pareva di non sentire nessuna emozione. Le lacrime erano come chiuse da una diga dietro le palpebre e sarebbe bastato un battito di ciglia per far esplodere l’urlo e la disperazione. Ma in quel momento c’era solo l’Ombra che diventava più presente e quell’Ombra portava un gran freddo nella casa. E quel freddo era la sensazione più fisica del suo dolore. «Mamma…». Aveva ragione, faceva davvero freddo, “freddino” aveva detto il ragazzo con un filo di voce come a non spaventare la sua mamma, a proteggerla da quel dolore che non voleva darle e lei gli aveva accarezzato la fronte e quella diga che sentiva tra le palpebre e gli occhi aveva d’improvviso ceduto.

Lacrime amareIl pianto era arrivato così, e dicevano che il pianto consolava, e le lacrime salate come il mare avrebbero spazzato via il suo dolore, lo avrebbero lavato a poco a poco, quelle lacrime salate che le ricordavano il sapore di tanti momenti, di gioia e di dolore. Ma non era vero. Nessun pianto era come questo. Era come il pianto del bimbo abbandonato, che non spera che qualcuno venga, che Qualcuno venga a consolarlo. E c’era un sapore diverso in quelle lacrime e un dolore diverso, molto più amaro e irrefrenabile e senza consolazione e nulla avrebbe lavato via nulla. Come il mare si dilatava il suo dolore e il cuore era sempre più piccolo, e non poteva trattenere il figlio a cui aveva dato la vita, tenerlo con sé, abbracciarlo, riscaldare quel freddo che, ora sì, era gelido, e c’era quell’Ombra, che ora ricopriva l’anima e il volto. E nessuno tra quelli che erano entrati nella stanza, osava parlare, osava dire qualcosa. Osava dire “quella cosa”. Chi poteva dire a quella donna: «Non piangere»? Chi? C’era qualcuno sulla faccia della terra che avrebbe potuto pronunciare quelle parole, o soltanto osare pensarle? Che piangesse invece, si sfogasse, si esaurisse nel suo dolore. Era questo il destino pronunciato per lei e tante come lei da secoli. Partorire con dolore e con dolore portare la vita. E il pianto era l’unico sfogo. Come si poteva dire: «Non piangere»? Poi l’avevano accompagnata fuori. L’avevano accompagnata lungo gli stretti sentieri dei campi che portavano al cimitero. Erano appena usciti dal villaggio, dove la strada lasciava le ultime case, la porta del villaggio; la chiamavano e qualcuno si ricordò il luogo e il momento, perché i luoghi sono importanti e si fissano nella memoria quando accade qualcosa di davvero straordinario. Piangeva forte la donna, «per lei il dolore era in quel momento opposto alla speranza», dice don Giussani raccontando quel momento (da Si può vivere così?, pp. 199-200). Quel momento in cui accade qualcosa: il corteo funebre incrocia una gran folla e tra la folla c’erano i discepoli e quell’uomo di cui tanti parlavano, quel Gesù di Nazareth così attento a tutto e a tutti da chinarsi sui fiori e descriverne la veste, da parlare con bontà e delicatezza persino del sole e della pioggia. E soprattutto dell’uomo: diceva che ogni capello del capo era contato, e l’attenzione che rivolgeva a tutti era colma di compassione sterminata, di cordialità senza riserva. Così dicevano di Lui. E Lui è lì, davanti alla donna che nessuno osa consolare. Dice quello che nessuno può immaginare: «Donna non piangere!».

Un estraneo«Si sarà sorpresa - commentò un giorno don Giussani leggendo questo passo -: un estraneo che fa un passo, le tocca una spalla dicendole: “Donna, non piangere”», «cercando di infonderle così, come una scossa, almeno una sorpresa. (…) Incominciando, così, a ricondurla a prendere considerazione di sé. Lei, dopo quell’avvertimento si sarà sentita come stranita; avrà sospeso un istante le sue grida e in quell’istante Gesù le resuscita il figlio» (da Si può vivere così?, pp. 199-200).

Don Giussani racconta di aver contemplato tante volte questo episodio, e con lui vien da dire a Gesù: «Fa’ prima quello che hai fatto dopo qualche minuto. Restituiscile il figlio vivo, e dopo potrai dirle: “Donna, non piangere”. E invece no. Gesù abbandona gli apostoli, fa un passo avanti e dice: “Donna, non piangere!”. (…) È più miracolo questo: “Donna, non piangere!”, che neanche la risurrezione stessa del figlio. La fede ci fa partecipare a questo amore senza confine all’uomo, all’altro» (da L’io, il potere, le opere, pp. 142-144). Tanto che in quel momento, vicino alla porta di Nain, tra quella gente attonita si compiono due eventi inimmaginabili. Tre parole pronunciate da Chi solo poteva pronunciarle. Da Chi solo poteva dare speranza al dolore apparentemente senza speranza, il dolore che vince tutto, che non ha nessuna attesa di risposta. È un Dio che ama davvero: «Un Dio glaciale, di cristallo freddo, opererebbe tranquillamente la resurrezione come opera la creazione», don Giussani si commuove di fronte a questo Dio commosso: «Sarebbe stato più dignitoso, quasi, per Dio… anzi, senza quasi; sarebbe stato più dignitoso per Dio dire: “Alzati!” e restituirlo a sua madre. Dire “Donna, non piangere!” è come cedere qualche cosa. Cede, è come cedere: è un uomo, è un uomo… Dio è un uomo, è più uomo dell’uomo: si chiama compassione, la gratuità di Dio è piena di compassione» (da Si può (veramente?!) vivere così?, pp. 487-489).

Giovanotto, alzatiPoi quello che accadde è quello che in fondo ci si aspetta - in fondo, in modo inconfessato, ma inevitabile -. Qualcosa di gratuito, di imprevedibile ma a questo punto atteso. I portatori si fermano, Gesù si accosta alla bara, parla al ragazzo. «Dico a te, giovanotto, alzati», e il morto si leva e incomincia a parlare. E Gesù lo consegna alla madre. E tutti glorificano Cristo e annunciano che è sorto un grande profeta .

Ma è strano, davvero strano, che prima del miracolo si ricordano quelle parole, come si ricordano le lacrime di Gesù davanti al sepolcro di Lazzaro.

C’è soltanto una chiesetta francescana oggi a Nain e il villaggio è interamente musulmano. Ci sono le tracce del cimitero dove veniva portato il ragazzo, e non sappiamo cosa sia accaduto poi di quella donna e di quel ragazzo, e cosa si siano detti dopo, ma certo l’Ombra non c’era più e splendeva il sole e non c’era più quel terribile freddo: e ricordiamo il posto e sappiamo che in ebraico Nain vuol dire “grazioso”, e doveva essere un luogo bello e pieno di grazia quel paesino davvero piccolo e ignorato dal mondo che è rimasto così nella storia. È il luogo dove Colui che ha fatto ogni cosa ha dato un senso e una speranza al dolore e al pianto. E mentre gli altri guardavano in silenzio lo strazio di quella donna o se ne allontanavano, nascondendo con il pudore l’intollerabile lacerazione che quelle lacrime facevano echeggiare nell’ animo, quell’Uomo ha detto ciò che ognuno vuol sentirsi dire, vuol veramente sentirsi dire, ogni attimo. «Non piangere». Perché il pianto non è il destino, non è il destino inevitabile. Ed era arrivato Qualcuno che poteva dire «Non piangere», che dice «Non piangere» e lo ripete ogni giorno. E Nain è per tutti da allora un luogo caro e prezioso per quella attenzione che Dio ha avuto per tutti noi, e per quella madre, per quella vedova. di Giancarlo Giojelli
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