martedì 26 novembre 2013

Papa Francesco: «Così si fa una predica»


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Ben 18 pagine della nuova esortazione apostolica sull'evangelizzazione sono dedicate all'omelia e alla sua preparazione: per Francesco è parte integrante dell'annuncio, punto fondamentale nel rapporto tra clero e fedeli

ANDREA TORNIELLI

«Chiunque voglia predicare, prima dev’essere disposto a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nella sua esistenza concreta». Ruotano attorno a questa affermazione le diciotto pagine dell'esortazione apostolica «Evangelii gaudium» dedicate all'omelia della messa domenicale e alla sua preparazione. Uno spazio considerevole, che attesta la preoccupazione del Papa per il «ministero» della predicazione, parte integrante dell'annuncio cristiano e della celebrazione eucaristica: «Mi soffermerò particolarmente, e persino con una certa meticolosità, sull’omelia e la sua preparazione, perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie. L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un pastore con il suo popolo».

Non si può dimenticare che proprio le omelie, e le omelie quotidiane della messa di Santa Marta, rappresentano una delle novità più significative del pontificato: prediche brevi, efficaci, semplici, immaginifiche, che anche la gente più semplice comprende. Anche se non sono scritte, quelle omelie del magistero «giorno per giorno», sono il frutto di una lunga meditazione mattutina sulle Letture, che Francesco compie svegliandosi prima dell'alba.

Francesco ricorda che la predica durante la messa «non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo», che «l’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione» e dunque «deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione», per non danneggiare «l'armonia» tra le varie parti della messa. Il Papa invita il predicatore a parlare «come una madre che parla a suo figlio», «mediante la vicinanza cordiale» di chi predica, «il calore del suo tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti». Spiega che «la predicazione puramente moralista o indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi, riducono questa comunicazione tra i cuori che si dà nell’omelia». Nell’omelia infatti «la verità si accompagna alla bellezza e al bene. Non si tratta di verità astratte o di freddi sillogismi, perché si comunica anche la bellezza delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene».

Chi predica deve trasmettere «la sintesi del messaggio evangelico», non «idee o valori slegati. Dove sta la tua sintesi, lì sta il tuo cuore. La differenza tra far luce sulla sintesi e far luce su idee slegate tra loro è la stessa che c’è tra la noia e l’ardore del cuore. Il predicatore ha la bellissima e difficile missione di unire i cuori che si amano: quello del Signore e quelli del suo popolo».

Venendo più nel concreto della preparazione dell'omelia, Francesco chiede che a questo si dedichi «un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione e creatività pastorale», nonostante le tante incombenze che gravano su un parroco: «Un predicatore che non si prepara non è “spirituale”, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto».

Bisogna «prestare tutta l’attenzione al testo biblico, che dev’essere il fondamento della predicazione»; la Parola va venerata e studiata «con la massima attenzione e con un santo timore di manipolarla», occorre pazienza e «abbandonare ogni ansietà». La preparazione della predicazione «richiede amore. Si dedica un tempo gratuito e senza fretta unicamente alle cose o alle persone che si amano; e qui si tratta di amare Dio che ha voluto parlare».

È poi importante cogliere il messaggio centrale del testo. «Se un testo è stato scritto per consolare, non dovrebbe essere utilizzato per correggere errori; se è stato scritto per esortare, non dovrebbe essere utilizzato per istruire; se è stato scritto per insegnare qualcosa su Dio, non dovrebbe essere utilizzato per spiegare diverse idee teologiche; se è stato scritto per motivare la lode o il compito missionario, non utilizziamolo per informare circa le ultime notizie». Inoltre, bisogna saper presentare il testo in piena armonia con tutto il messaggio cristiano, pur senza «indebolire l’accento proprio e specifico del testo che si deve predicare».

«Chiunque voglia predicare, prima dev’essere disposto a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nella sua esistenza concreta. In questo modo, la predicazione consisterà in quell’attività tanto intensa e feconda che è "comunicare agli altri ciò che uno ha contemplato"», come scriveva sanTommaso. Dio vuole utilizzare i predicatori «come esseri vivi, liberi e creativi, che si lasciano penetrare dalla sua Parola prima di trasmetterla; il suo messaggio deve passare realmente attraverso il predicatore, ma non solo attraverso la ragione, ma prendendo possesso di tutto il suo essere».

Francesco parla poi dell'importanza della «lectio divina», la lettura spirituale di un testo a partire dal suo significato letterale, per non far «dire al testo quello che conviene, quello che serve per confermare le proprie decisioni, quello che si adatta ai propri schemi mentali. Questo, in definitiva, sarebbe utilizzare qualcosa di sacro a proprio vantaggio e trasferire tale confusione al popolo di Dio». Per far questo, bisogna che il sacerdote si domandi: «Signore, che cosa dice a me questo testo? Che cosa vuoi cambiare della mia vita con questo messaggio? Che cosa mi dà fastidio in questo testo? Perché questo non mi interessa?», oppure: «Che cosa mi piace, che cosa mi stimola in questa Parola? Che cosa mi attrae? Perché mi attrae?». Evitando anche la tentazione «molto comune» di «pensare quello che il testo dice agli altri, per evitare di applicarlo alla propria vita».


Chi predica «deve anche porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo». Deve collegare «il messaggio del testo biblico con una situazione umana», con qualcosa che le persone vivono. «Questa preoccupazione non risponde a un atteggiamento opportunista o diplomatico, ma è profondamente religiosa e pastorale». Non occorre «offrire cronache dell’attualità per suscitare interesse: per questo ci sono già i programmi televisivi», ma è comunque «possibile prendere le mosse da qualche fatto affinché la Parola possa risuonare con forza nel suo invito alla conversione, all’adorazione, ad atteggiamenti concreti di fraternità e di servizio».

Oltre al contenuto, è importante anche il modo di trasmetterlo. «Alcuni credono di poter essere buoni predicatori - scrive il Papa - perché sanno quello che devono dire, però trascurano il come, il modo concreto di sviluppare una predicazione. Si arrabbiano quando gli altri non li ascoltano o non li apprezzano, ma forse non si sono impegnati a cercare il modo adeguato di presentare il messaggio».

Per rendere più ricca e attraente un'omelia, Francesco suggerisce di «imparare ad usare immagini, vale a dire a parlare con immagini». E il linguaggio deve essere semplice: «Dev’essere il linguaggio che i destinatari comprendono per non correre il rischio di parlare a vuoto. Frequentemente accade che i predicatori si servono di parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio comune delle persone che li ascoltano». Per poter parlare alle persone «si deve ascoltare molto», bisogna «condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione». Bergoglio spiega poi che semplicità e chiarezza non sono la stessa cosa, e che si può parlar semplice come linguaggio, ma  non essere chiari per mancanza di ordine, di logica, di unità tematica.

Il linguaggio poi deve essere «positivo»: «Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso».

Sacerdoti e predicatori hanno dunque a disposizione un dettagliato vademecum per preparare l'omelia. E hanno soprattutto nel Papa un esempio quotidiano a cui fare riferimento.

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“Le Monde” - Rassegna "Fine settimana"
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