lunedì 23 dicembre 2013

IL SILENZIO DI NATALE SUI PERSEGUITATI




dal Corriere della Sera, di oggi,  23/12/2013
di Andrea Riccardi


Non è un bel Natale per tanti cristiani. Per loro, talvolta, trovarsi insieme a pregare è un rischio. A Peshawar in Pakistan, a settembre, fuori dalla chiesa anglicana  hanno ucciso 81 cristiani dopo il culto. I cristiani pachistani - meno del 2% su 180 milioni - festeggiano un Natale inquieto.

L'anno scorso ha registrato eventi tragici, tra cui la distruzione di un'area cristiana da parte di musulmani scatenati contro una piccola disabile cattolica accusata di blasfemia. Qualche musulmano ha difeso i cristiani, ma è un tempo incerto. In Nord Nigeria, a prevalenza islamica, il terrorismo di Boko Haram minaccia le chiese cristiane oltre a vari obiettivi civili (e comincia a rapire le ragazze cristiane). Anche qui il Natale sarà trepidante. Accade spesso ai cristiani nel mondo musulmano. Non sempre. In Egitto (i cristiani sono meno del 10%) il Natale è festa nazionale. Quest'anno sarà migliore per i copti, che lo celebrano nella grande cattedrale al Cairo i17 gennaio con il patriarca Tawadros. Si sentono più sereni con la caduta dei Fratelli musulmani. Ma il futuro non è chiaro. Forse la piccola comunità, cristiana in Iran (100.000 persone su quasi 70 milioni) festeggia più speranzosa il Natale con il nuovo presidente Hassan Rouhani. Ma la pressione si sente sulle chiese domestiche protestanti, composte da iraniani convertiti (si parla di parecchie decine di migliaia attratti dal cristianesimo).

Due mesi fa quattro sono stati condannati a 80 frustrate per aver bevuto il vino della comunione. Quaranta protestanti di origine musulmana sono in prigione. Drammatica è la situazione cristiana in Siria, un tempo terra di convivenza islamo cristiana. Ad Aleppo, la città più cristiana, circondata dai ribelli, i cristiani sono in angoscia. Per Natale, le cattedrali ortodossa e siriaca saranno prive dei vescovi, Yazigi e Mar Gregorios, rapiti mentre erano in viaggio per riscattare correligionari in ostaggio. Ai cristiani siriani manca padre Paolo Dall'Oglio, lui pure rapito. Come Domenico Quirico ha mostrato i cristiani (senza differenze tra loro) sono considerati nemici dagli islamisti, che controllano parte del Paese. Ripulirlo della loro presenza è azione meritoria. «Non si può vivere sempre con la paura», ha dichiarato il patriarca iracheno Sako, leader della più numerosa comunità cristiana del Paese.

Qui, come in Siria, i cristiani vivono nella paura. Se possono, lasciano l'Iraq (dove hanno radici bimillenarie): erano un milione prima della guerra e ne restano circa 450.000. Il Natale è duro anche per i cristiani in vari Paesi africani. Il dramma è soprattutto in Centrafrica, a rischio di genocidio (anche dopo l'intervento militare francese). Dei quasi quattro milioni di abitanti, tra i più poveri della Terra, metà sono cristiani: sono minacciati da bande armate musulmane, spesso venute da fuori (specie gli ex ribelli Seleka al potere). In questo Natale l'arcivescovo cattolico Nzapalaiga (con il pastore protestante e l'imam) gira il Paese per mostrare che nessuna religione giustifica chi uccide. Molti centri cristiani sono pieni di rifugiati che cercano protezione. Si celebrerà il Natale nell'insicurezza. Confinante con il Centrafrica c'è il Sud Sudan, dal 2011 indipendente dal Nord (musulmano). Qui si combattono i gruppi etnici, Dinka e Ruer (con molti cristiani in entrambi). Dimenticano le guerre con il Nord islamico e i loro 2.500.000 morti e si consumano in uno scontro etnico, che ha già prodotto 34.000 rifugiati solo nelle basi Onu. I leader cristiani hanno lanciato un appello, chiedendo «forza e coraggio nel portare la pace». Ma la pace, che è il dono del Natale, sembra lontana da qui a da  tanti Paesi. Nei giorni natalizi, nel cuore delle comunità cristiane in difficoltà, s'intrecciano paure con preghiere e attese, feste con incertezze. È difficile capire in un Occidente secolarizzato (dove però il Natale resta festa di tutti) come questa ricorrenza sottolinei la diversità cristiana dalla maggioranza e manifesti la speranza di pace per sé e per il proprio Paese.

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Un Natale nel terrore per i cristiani egiziani
di Marta Petrosillo

Tra paura e speranza. Così passeranno il Natale i cristiani in Egitto, mentre si intensificano le voci di probabili attacchi durante le festività. «Temiamo il peggio – racconta dal Cairo suor Maria Angelita Ibrahim, Superiora della Provincia Santa Chiara delle Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria – ma non possiamo fermarci. Festeggeremo con prudenza, senza farci troppo notare. Ma non mancheranno fedeli alle celebrazioni liturgiche».
Ogni chiesa avrà degli agenti all’entrata e la messa di mezzanotte sarà anticipata alle sette di sera per motivi di sicurezza. A rovinare il Natale copto – che si celebra il 7 gennaio – sarà anche un’udienza del processo al deposto presidente Mohammed Morsi, fissata per il giorno seguente. È infatti probabile che si verifichino disordini e si temono nuovi attacchi alla comunità cristiana come accaduto il 14 agosto scorso mentre l’esercito sgomberava i presidi pro-Morsi al Cairo. In rappresaglia per le centinaia di vittime registrate tra i sostenitori dell’ex presidente, esponenti dei fratelli musulmani si sono vendicati sui cristiani, accusati di connivenza con le forze armate.
Sono state circa ottanta le chiese bruciate o danneggiate, oltre a numerosi conventi, istituti scolastici, abitazioni e negozi cristiani. Tra questi anche la scuola delle missionarie francescane a Beni Suef, a circa 115 chilometri a Sud del Cairo. «Un uomo è entrato dalla finestra ed ha appiccato il fuoco alla libreria – spiega suor Angelita – quindi ha aperto la porta della scuola per far entrare una folla violentissima». Per la direttrice, suor Manal, e altre due consorelle sono state ore drammatiche. Minacciate di essere arse vive, sono state costrette a lasciare l’edificio. Una di loro ha cercato di mettere in salvo il Santissimo, ma è stata fermata ancor prima di raggiungere il tabernacolo. I loro aggressori le hanno insultate e costrette a sfilare in strada «come prigionieri di guerra», finché una donna musulmana, che aveva insegnato nella loro scuola, le ha messe in salvo ospitandole in casa sua. Nel frattempo l’intero edificio è stato saccheggiato e dato alle fiamme. I tanti alunni dell’istituto delle francescane non avrebbero potuto proseguire gli studi se non fosse stato per l’ospitalità offerta da una scuola copta ortodossa, che ha permesso alle suore di tenere i corsi nel pomeriggio. In Egitto le missionarie francescane gestiscono quattordici scuole in cui studiano oltre undicimila tra bambini e ragazzi. «In molti vogliono frequentare i nostri istituti – aggiunge suor Angelita – tanto che a volte dobbiamo rifiutare le iscrizioni per mancanza di spazi». Purtroppo però quest’anno cento studenti del liceo gestito dalle missionarie al Cairo nella ormai famosa Piazza Tahrir non hanno rinnovato la loro iscrizione. Alcuni a causa delle continue manifestazioni e disordini che hanno luogo in quello che è il simbolo delle rivolte della cosiddetta primavera araba. Altri perché le loro famiglie, cristiane, hanno preferito abbandonare un paese divenuto ormai troppo insicuro. Molti genitori copti hanno inoltre ritirato i figli da scuola per paura di rapimenti, mentre altri non possono più permettersi di pagare i loro studi.
È questo il caso dei tanti commercianti cristiani colpiti dalle violenze dello scorso agosto. Con le botteghe ridotte in cenere, non hanno più di che mantenere le proprie famiglie. «Sono dovuto tornare a casa dei miei genitori assieme a mia moglie e ai miei figli», racconta un negoziante copto di Alessandria. La sua libreria era già stata distrutta durante le rivolte del gennaio 2011, ma con grandi sacrifici e con un debito non ancora estinto, era riuscito a ricostruirla. Poi il 14 agosto scorso la sua vita è andata nuovamente in fumo. Non è difficile immaginare come sarà il suo Natale e quello di tante altre famiglie cristiane.
«Nonostante le avversità, noi non perdiamo la speranza: abbiamo affrontato tanti momenti difficili e supereremo anche questo», commenta suor Angelita. Certamente i copti andranno a messa ricordando gli attentati che di recente hanno macchiato di sangue le festività natalizie: la strage di Nag Hammadi, il 7 gennaio 2010, e l’esplosione avvenuta nella Chiesa di San Pietro e Paolo ad Alessandria nel capodanno del 2011. Ricorderanno le speranze disilluse della primavera araba, i timori di una svolta islamista e le violenze di questa estate. E come lo scorso anno e quello precedente andranno a messa con la paura di nuovi attacchi. «Nel 2013, però, abbiamo assistito a un piccolo miracolo: il presidente Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, è stato deposto. E possiamo sperare che avvengano altri miracoli».

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Dalit cristiani discriminati per impedire conversioni

L'arcivescovo di Delhi racconta la protesta pacifica per i diritti dei dalit cristiani e musulmani dello scorso 11 dicembre, in seguito alla quale è stato arrestato con altri membri del clero locale

«Abbiamo capito che serviva un segnale forte. Altrimenti nessuno avrebbe prestato attenzione alla nostra protesta. Serviva un gesto drastico, anche se significava infrangere la legge. Abbiamo dovuto rischiare». Così monsignor Anil Couto, arcivescovo di Delhi, racconta com’è degenerata la protesta pacifica in difesa dei diritti dei dalit - i fuori casta nel sistema sociale e religioso induista - cristiani e musulmani. Mercoledì 11 dicembre il presule, assieme a numerosi membri del clero locale, ha partecipato a una marcia pacifica per i diritti dei fuori casta cristiani e musulmani. Sono ormai diversi anni che la Chiesa indiana conduce una battaglia in favore dei dalit, chiamati spregiativamente “mangiatori di ratti”, che rappresentano più del 65% dell’intera comunità cristiana locale. Nel 1950 il Parlamento riconobbe diritti e facilitazioni di tipo economico, educativo e sociale ai dalit indù, diritto poi esteso a buddisti e sikh nel 1956 e nel 1990, ma mai a cristiani e musulmani. «Secondo l’ideologia hindutva, l’India dovrebbe essere esclusivamente indù. I cristiani, in particolare, sono discriminati perché si teme che se fossero garantiti loro gli stessi diritti degli indù, questi potrebbero convertirsi al cristianesimo».
Da diversi anni si cerca di sensibilizzare le autorità indiane attraverso proteste pacifiche, cui partecipano esponenti della comunità cristiana e musulmana. «Stavolta – spiega l’arcivescovo ad ACS – sapevamo che il parlamento era nella sua sessione invernale e speravamo di attirare l’attenzione». Per la prima volta in 15 anni, la situazione è degenerata portando all’arresto di circa 400 dimostranti, tra cui lo stesso monsignor Couto ed altri leader cristiani e musulmani. «La reazione della polizia è scattata quando abbiamo violato le barriere di sicurezza che portano al parlamento. Allora gli agenti hanno cercato di fermarci usando manganelli e cannoni ad acqua. Se avessimo resistito più a lungo avrebbero probabilmente usato anche mezzi più violenti».
L’accaduto è valso le scuse del primo ministro indiano Manmohan Singh, che venerdì 13 dicembre ha ricevuto monsignor Couto ed una delegazione del clero locale per un breve ma «incoraggiante» colloquio. «Il premier ci ha porto le sue scuse e ha garantito che farà di tutto per sottoporre al parlamento la questione dei dalit cristiani e musulmani». Tuttavia, fa notare l’arcivescovo di Delhi, si tratta solo dell’ultima di molte promesse. Al momento la questione è in mano alla Corte Suprema che attende una risposta affermativa o negativa da parte del governo, per garantire pari diritti ai fuori casta cristiani e musulmani. «La Corte agisce in accordo con una commissione, denominata Ragunath Mishra Commission, che già quattro anni fa aveva sconsigliato al governo indiano di prendere decisioni che favorissero uno specifico gruppo religioso. «Vorremmo sapere perché in quattro anni non è ancora giunta alcuna risposta: né negativa, né positiva».
Neanche le imminenti elezioni generali, che avranno luogo nella primavera del 2014, lasciano intravedere una soluzione. «Noi incoraggiamo i nostri fedeli a votare per i partiti di natura secolare, ma non sappiamo quali di questi sposeranno la causa dei dalit cristiani e musulmani. Anni fa, quando aveva la maggioranza assoluta, il congresso ha avuto la possibilità di risolvere la questione, ma ha preferito tergiversare a scapito della giustizia».
Zenit