martedì 17 dicembre 2013

Illuminato dallo Spirito




Il Santo Padre ha autorizzato oggi la promulgazione del decreto di canonizzazione del gesuita beato Pierre Favre.

Pierre Favre nacque nel 1506 a Villaret nella Savoia, dove trascorse l'adolescenza, dedito a pascolare il gregge paterno. Dal 1525 si applicò agli studi aParigi, dove ebbe per compagni Francesco Saverio e Ignazio di Loyola, il quale in seguito lo unì, primo di tutti, alla sua opera. Ricevuti nel 1534 gli ordini sacri, fu il primo sacerdote della Compagnia di Gesù.
Per ordine del Papa si recò nelle principali regioni di Europa, promuovendo con ottimi frutti l'opera della restaurazione cattolica. Morì a Roma il 1° agosto 1546, e da Pio IX nel 1872 è stato dichiarato Beato

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Pierre Favre
(1506-1546)
di Tomás Card. Spidlík s.j.
Studiando o meditando sulla fondazione della Compagnia di Gesù, ci soffermiamo spontaneamente su Ignazio e Saverio, Pierre Favre [spesso chiamato Pietro Fabro o Pedro Fabro] viene menzionato con loro quasi a margine e l'attenzione è fissata sui suoi viaggi apostolici. Per conoscere meglio lo spirito che lo conduceva, bisogna ricorrere al suo Diario (Memoriale Beati Petri Fabri, ed. critica di Marcel Bouix, Parigi 1873). Vale la pena leggerlo con attenzione.
Quando si nota l'amicizia intima che legava Ignazio a Pierre, ci sentiamo confermati nella convinzione che i fondatori delle grandi famiglie religiose non erano ideologi ma padri. Un padre non si stupisce che suo figlio abbia tendenze differenti rispetto a lui, al contrario si rallegra che quelle del figlio e le sue si completino a vicenda.

In che senso notiamo questo nei nostri due santi? Ignazio fu definito "contemplativo in azione", anche se preferirei dire "contemplativo in vista dell'azione". Le sue meditazioni e numerose deliberazioni miravano a questo: "Signore, dimmi, che cosa devo fare per te, per la tua maggiore gloria". Sono domande che si trovano rarissimamente nel Diario di Pierre, che normalmente era immerso nelle azioni in cui veniva spinto da occasioni impreviste e perciò continuamente pregava dicendo: "Signore, fammi comprendere il senso di ciò che faccio".
Era, quindi, contemplativo nell'azione stessa, praticando ciò che i monaci antichi chiamavano "contemplazione della provvidenza", che, in Oriente, caratterizzava i "santi pellegrini". E' così che Pierre Favre si può definire. Svolse la maggior parte del suo apostolato pellegrinando attraverso Germania, Spagna, Belgio, Portogallo.
Uomini di questo tipo nemmeno sentono il bisogno di qualche "metodo" fisso di preghiera. Sono ben consapevoli di essere guidati dalle illuminazioni dello Spirito, che Pierre continuamente sentiva e pregava di avere in abbondanza. Lo conferma con l'esempio di Gesù stesso che fu condotto dallo Spirito nel deserto (Matteo 4,1), o di Simeone condotto in tal modo nel Tempio (Luca 2,27), o della Madonna che offrì a completa disposizione dello Spirito, unico suo maestro, la sua anima e il suo corpo, in piena disposizione.
Guardando Pierre Favre da questo punto di vista, siamo forse tentati di definirlo "carismatico", ma data l'ambiguità del termine, fare ciò sarebbe banalizzarlo. Se già vogliamo descriverlo con qualche terminologia moderna, possiamo dire che in lui, più che la "santità morale" si nota la santità ontologica, cioè la presenza attiva dello Spirito Santo in tutta la sua condotta.
È da stupirsi che Pierre, al suo tempo, professasse chiaramente la tricotomia dei Padri Greci: la composizione dell'uomo spirituale in corpo, anima e Spirito Santo, e la osservasse in modo esemplare sulla Madonna. Come lei, anche lui si sentiva sempre condotto dallo Spirito, protetto nel corpo e spesso illuminato nell'anima. Le illuminazioni interne erano completate dai consigli dei padri spirituali con i segni della provvidenza, che si manifestava negli avvenimenti esterni.

Accettava con attenzione le illuminazioni interne e le annotava nel Diario, di cui formano il principale contenuto. Si può dire che praticava ciò che gli orientali chiamano la preghiera del cuore, la cui essenza è magistralmente descritta anche da Ignazio nelle sue regole sul discernimento degli spiriti, quando dice:
"Solo Dio Nostro Signore può dare consolazione all'anima senza una causa previa, perché è proprio del Creatore entrare, uscire e fare mozione in essa, elevandola interamente all'amore della sua divina grandezza. Dico senza causa, cioè senza nessun precedente sentimento o conoscenza di un determinato oggetto da cui possa venire quella consolazione mediante gli atti propri dell'intelletto e della volontà".
Succede però che gli illuminati dallo Spirito si trovino talvolta nel buio e i pellegrini non capiscano dove devono dirigere i loro passi. Perciò accettano con gran riconoscenza che sia un altro ad illuminarli: un padre spirituale. Tale era, per Pierre, Ignazio, e perciò lo amava tanto.
Accettava cosi il suo insegnamento sull'obbedienza. Sappiamo che, per designare questa virtù, in greco incontriamo due termini: hypótaxis hypakoé.Il primo presuppone che uno si sottometta ad un ordine stabilito, ad una saggia regola (tàxis). L'altro significa ascoltare (akouo) una persona viva che ci parla. Nella vita ascoltiamo varie persone, ma obbedire nel senso religioso possono solo quelli che sono illuminati direttamente dallo Spirito e perciò sono spirituali nel vero senso della parola. Tale era, per Pierre Favre, Ignazio e, fra gli altri, il Papa romano. A costui Pierre fu particolarmente riconoscente, per aver aiutato a discernere spiritualmente la direzione del cammino della prima Compagnia.
Mi viene in mente, a questo proposito, un testo del teologo ortodosso Sergej Bulgakov. Questi, come è da aspettarsi, nega il primato ecclesiale del Papa. D'altra parte però riconosce che ci sono buoni cattolici devoti che guardano al Papa come al loro padre spirituale. In questo modo spirituale i primi gesuiti comprendevano la loro particolare obbedienza al pontefice romano. È senza dubbio un atteggiamento attuale, da essere raccomandato anche oggi.
Ma il cammino concreto della vita di Pierre comportava innumerevoli cambiamenti. Gli avvenimenti nella sua vita davvero "avvenivano". Abbiamo notato che Pierre cercava di capire il loro senso spirituale. Rimaneva sbalordito di come, in tutta la loro varietà, fossero uniti dalla provvidenza divina.
Perciò non si lamentò mai del fatto che qualcuno avrebbe turbato i suoi piani o di essere ingiustamente perseguitato. Sapeva ringraziare anche per il fatto di essere stato messo, insieme con il comitato, per sette giorni in prigione dai francesi, suoi compatrioti. Riflettendoci, vide questo avvenimento come una missione, dal momento che il capitano che li aveva imprigionati alla fine fece a Pierre una devota confessione dei suoi peccati.
Per questo motivo era difficile per lui distinguere gli uomini in buoni e cattivi. Compativa quelli che camminavano sulla strada sbagliata e pregava per tutti, mettendo sullo stesso piano l'Imperatore, il Papa, Martin Lutero, Melanchthon... In cambio appariva simpatico a tutti quelli che lo incontravano. E tutto il genere umano si presentava a Pierre come una grande famiglia, come il corpo mistico di Gesù, in cui i vivi e i morti sembravano presenti.
Difficilmente nelle biografie degli uomini di Dio si trova un'altra persona che venerava sinceramente così come Pierre Favre i Santi celebrati ogni giorno nel calendario liturgico, "incontrati" nelle loro reliquie e quasi nell'aria. Per lui il cosmo era vivificato dagli Angeli, servitori di Dio e perciò spesso invocati.
Che cosa ne concludiamo per noi oggi? Pierre insieme con Ignazio e Saverio sono i primi padri della Compagnia di Gesù. Sembrano differenti, meno uniformi di quanto si crederebbe. Ma già San Basilio notò che la comunità religiosa riuscirà, in modo simile alla prima Chiesa di Gerusalemme, ad essere costituita da una sola mente e da un solo cuore (Atti degli Apostoli 4,32), e questo non per mezzo di doti naturali,ma per mezzo dello Spirito Santo.

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"E' sempre così: devo abbandonare un luogo quando ho i più grandi motivi per rimanervi."
Queste poche parole, prese dal Memoriale di Favre, rivelano la natura della sua vita apostolica. Anima squisita dai sentimenti profondi, Favre percorse una gran parte dell'Europa ("senza alloggio né un posto dove riposarsi"), dando gli Esercizi Spirituali, ascoltando le confessioni dei grandi e dei semplici, affascinando coloro che gli chiedevano consiglio, andando da una parte all'altra dove lo conduceva l'obbedienza.
E' per obbedienza che si mise in cammino verso Trento, dove il Papa lo voleva come teologo "peritus" al Concilio. II caldo dell'estate, le lunghe distanze percorse a piedi, una salute cagionevole, lo portarono ad una morte prematura, ad appena 40 anni d'età.
I suoi confratelli lo tenevano in grande stima. Un gesuita portoghese che voleva parlar bene di Ignazio disse: "Ha molto in lui [Ignazio] del nostro santo Padre Fabro".