lunedì 23 dicembre 2013

Le eresie: minacce alla pace e alla vita sociale dell’Europa cristiana

La tutela della pace in età medievale e moderna ha anche a che vedere con la lotta alle eresie. Solitamente si pensa a questo capitolo della storia europea come a una pagina nera delle istituzioni e della Chiesa. Invece, una lettura attenta e realistica dei fatti dimostra che stato e Chiesa, pur compiendo errori e talora inutili crudeltà (proprie dell’uomo di ogni tempo), difesero i loro princìpi, ma anche la possibilità di una vita civile e pacifica,proprio lottando contro idee sovvertitrici e sanguinarie che, se vincenti, avrebbero stravolto la nostra civiltà.
Lo storico inglese M. Burleigh ricorda che la Germania del primo dopoguerra era pervasa da un «umore messianico» che si era «diffuso ovunque» e che si «trasformò nell’attesa di un leader che potesse riscattare il popolo eletto dall’Egitto della schiavitù imposta dagli Alleati». In questa atmosfera di messianismo secolarizzato si collocano svariati personaggi, creatori di movimenti apocalittici, che sarebbero stati in qualche modo ereditati da Hitler e dalla convinzione, non solo sua, di essere il Salvatore della Germania. Come esempio Burleigh cita Ludwig Christian Haeusser, nato nel 1881 e autore di un testo intitolato L’avvento del superuomo. Costui amava girare nudo (non era un belvedere, nota Burleigh); si nutriva di foglie e dormiva nei fossi. A tale pauperismo univa uno straordinario attivismo sessuale, che gli era facilitato dalle numerosissime donne che speravano di concepire, da lui, dio stesso. In un’occasione Haeusser «vomitò sul pubbli­co, al che alcune giovani donne corsero a prendere scope e secchi per conservare il materiale contenuto nello stomaco del Salvatore». Come si proponeva di salvare la Germania il buon Haeusser? Invocando bagni di sangue purificatore: «Sangue, sangue, sangue, sangue! Sangue blu! Sangue nero! Sangue rosso! Sangue di tutti i colori… Solo sangue! Nient’altro che sangue! E ancora sangue! Ancora una volta sangue! Sangue freddo! Sangue che cola! Sangue caldo! Sangue!… Una tempesta di sangue». Nonostante non brillasse per doti oratorie e per fantasia, il profeta Haeusser aveva il suo seguito, e non piccolo, di “nazionalcomunisti”.
I millenaristi apocalittici e la loro furia distruttrice
Queste brevi cenni ci servono per introdurre alcune considerazioni sulle eresie medievali che non possono non sorgere spontanee in chi ne affronti senza pregiudizio la travagliata storia. Attingerò soprattutto a due pregiatissime opere, I fanatici dell’Apocalisse del celebre storico ebreo inglese Norman Cohn e Il Socialismo come fenomeno storico e mondiale, del russo Igor Safarevic (con prefazione di Aleksandr Solgenicyn).
Cohn nota anzitutto, in apertura del suo celeberrimo studio, la straordinaria somiglianza tra nazismo, comunismo, e le eresie medievali: «Quanto più attentamente si confrontano le esplosioni di chiliasmo sociale militante nel tardo me­dioevo coi moderni movimenti totalitari, tanto più sorprendenti appaiono le somiglianze. Una tirannia mondiale sta per cadere sotto i colpi di un popolo eletto guidato da un’élite infallibile e ispirata; questo imminente conflitto avrà un’importanza incomparabile, unica, perché permetterà di purificare per sempre il mondo dal male e condurrà la storia al suo preordinato coronamento», qui sulla terra e ora, nel presente. Cohn osserva anche che saranno proprio nazisti come Ro­senberg e comunisti come Engels e Lenin a riconoscere nelle eresie millenariste medievali e moderne i loro antenati e ispiratori.
Le eresie non furono dunque una paranoia della Chiesa, una manifestazione innocua di idee, che una società liberale e laica avrebbe tranquillamente sopportato, come spesso ingenuamente o meno si crede. Furono quasi sempre, e Cohn e i documenti lo dimostrano, esplosioni di follia millenarista, generate da sedicenti profeti che si ponevano al di sopra dell’umanità, sconfessando qualsiasi autorità, religiosa e civile, e sostenendo di essere venuti a compiere i tempi, a separare il grano dalla zizzania, a sconfiggere i malvagi sterminandoli una volta per tutte, senza pietà. Il loro linguaggio era assolutamente immaginifico, e mescolava la loro personale follia, i loro sogni utopici e totalitari, con gravi e altisonanti espressioni bibliche. Tutto ciò che si opponeva loro, dalla Chiesa ai principi, a ogni altra autorità, diveniva l’Anticristo da distruggere per preparare il Millennio.
Cohn ricorda alcuni nomi. Tra questi, Tanchelmo, notaio alla corte di Roberto II conte di Fiandre nel xiisecolo. Costui predicava contro i ricchi e la corruzione, indossando «abiti dorati» e proclamandosi Dio in persona. Tra un massacro e l’altro, «distribuiva l’acqua del suo bagno tra i fedeli e alcuni la bevevano come un surrogato dell’eucaristia». Pochi anni dopo di lui comparve sulla scena Eudes de l’Etoile, un altro eresiarca che si proclamava figlio di Dio, e con un’«orda irrequieta e violenta» metteva a sacco le campagne: «Dovunque (i suoi seguaci, N.d.R.) passavano molti perivano di spada e molti di più morivano di fame; essi si divertivano soprattutto ad assalire e a distruggere chiese, monasteri, celle di eremiti. Personalmente vivevano nel lusso, splendidamente vestiti, astenendosi da qualsiasi lavoro manuale». Una volta catturato, nel 1148, Eudes «dichiarò di essere Colui che doveva venire a giudicare i vivi e i morti, e il mondo col fuoco. Spiegò inoltre che un bastone biforcato che portava con sé regolava il governo dell’universo: quando la forcella guardava in alto, due terzi del mondo appartenevano a lui; quando guardava in basso, le proporzioni erano capovolte».
Eudes e Tanchelmo, insomma, erano convinti di saccheggiare e uccidere in nome di una santa missione, e quando festeggiavano con sontuosi banchetti era per celebrare l’alba del Millennio, di cui si ritenevano gli araldi e i battistrada: ma «prima che il Millennio potesse albeggiare bisognava eliminare la miscredenza».
Dai Flagellanti a Lenin
Un altro gruppo di eretici particolarmente feroce e fanatico furono i Flagellanti che dopo la peste nera del 1348 unirono alla consuetudine di lapidare e bruciare i preti e i benestanti, additandoli come l’Anticristo, quella di uccidere e affogare le comunità ebraiche, invano protette dalle autorità, religiose e civili, a Francoforte, Magonza, Colonia e nei Paesi Bassi, ritenendo così di far piacere a Dio. «Gli ebrei» scrive Cohn «finirono per considerare i flagellanti come i lo­ro peggiori nemici, mentre il Papa deprecava che “la maggioranza di essi o dei loro seguaci, sotto un’apparenza di pietà, pongono mano a imprese crudeli ed empie, spargendo il sangue di ebrei, che la pietà cristiana accoglie e sostiene”.» I Flagellanti, inoltre, usavano «interrompere le cerimonie religiose, affermando che soltanto le loro cerimonie e i loro inni avevano valore» e «dichiaravano che ogni prete che osava contraddirli doveva essere tirato giù dal pulpito e arso sul rogo. Quando due domenicani si avventurarono a discutere con una banda di flagellanti, vennero presi a sassate: uno finì ucciso e l’altro si salvò soltanto con la fuga… A volte i flagellanti spingevano il popolino a lapidare il clero. Chiunque, anche se flagellante, cercasse di moderare il loro furore contro la Chiesa lo faceva a suo rischio».
Per i Flagellanti infatti, come diranno poi anche Lutero e gli uomini di Enrico VIII, la Chiesa cattolica era la chiesa di Satana e il Papa l’Anticristo!
In verità, quando i Flagellanti e gli eretici chiliasti in generale deprecavano la «mondanità della Chiesa» nota il Cohn «parlavano certamente di qualcosa che esistevama ancor più significativo è che la mondanità fosse tutto quanto riuscivano a vedere nella Chiesa. Quel che non vedevano era che, per quanto profondamente avvinta alla società secolare, la Chiesa rappresentava ancora un modo di vivere più umano e disinteressato; e non solo con l’insegnamento, ma anche, persino nei suoi periodi più mondani, con la pratica. In un’epoca che non sapeva nulla di servizi sociali, monaci e più tardi frati si preoccupavano dei poveri e dei malati come parte di una routine incontestata e senza pensiero di ricompensa terrena. In un continente tormentato dalle guerre feudali i vescovi facevano quanto era in loro potere, insistendo sulla tregua di Dio e sulla pace di Dio, per limitare le sofferenze e le devastazioni. In ogni periodo un gran numero di membri del clero conduceva una vita relativamente austera, e anche molti alti prelati aspiravano alla santità. E se il clero tendeva costantemente a scivolare in una comoda rilassatezza – come del resto qualsiasi gruppo di esseri umani tenderà sempre a fare – non mancava mai in esso qualcuno che possedeva la volontà e la forza di intimare l’alt e perlomeno di tentare una riforma».
Per i Flagellanti della Turingia il compito era quello di «respingere la Chiesa di Roma e tutte le sue opere, mettere in ridicolo l’eucaristia, definire le chiese covi di ladri...», «ripudiare l’autorità dei poteri secolari» e affermare che per loro, a cui tutto era concesso, «tutte le leggi erano invalide». Esattamente come gli altri eretici massacravano, maledicevano, assediavano intere città e lapidavano i nemici. Radere il prato con la falce, bruciare l’erba cattiva, lavarsi le mani col sangue dei nemici, purificare col fuoco della vendetta e dell’ira, distruggere prima di ricostruire: sono solo alcune delle immagini con cui gli eretici definivano la propria missione di angeli sterminatori e giustizieri. Per questo i principi e i sovrani, quando riuscivano, ben più duramente dell’Inquisizione, combattevano questi movimenti eversivi, condannando al rogo anche 300 Flagellanti in una volta sola (1416), tanta era la paura che costoro, con le loro azioni e incursioni, incutevano nei “grandi”.
Eppure la pericolosa e sanguinaria eresia dei Flagellanti sopravviveva ancora ai primi del Novecento in Russia. Fa­moso esponente ne era il celebre “monaco” Rasputin, l’uomo che con le sue follie tenne prigioniera per molti anni la famiglia dello zar. I Flagellanti russi, come ci ricorda Edvard Radzinskij nel suo Rasputin, la vera storia del contadino che segnò la fine di un impero (Mondadori, 2001) praticavano il rito «dell’autopunizione, la flagellazione con verghe e corde, che risaliva anch’esso a un’epoca pagana, e che si era fuso in modo bizzarro con le idee della flagellazione di Cristo».
I Flagellanti russi univano un ascetismo estremo con una «lascivia illimitata»: presso alcuni di loro «l’astinenza, il rifiuto della vita sessuale familiare, si trasforma, durante il rito di radenie (caratterizzato da una danza vorticosa e frenetica, N.d.R.) in lussuria orgiastica, in rapporti sessuali disordinati tra membri della setta». Per i flagellanti l’amore di gruppo, l’orgia, era un peccato solo per i profani: in verità l’unica redenzione dal peccato si procurerebbe, appunto, tramite il peccato stesso.
Come i Flagellanti medievali anche quelli russi di inizio Novecento aspettavano l’Apocalisse, si sforzavano di accelerarne la venuta, e odiavano la Chiesa, identificando in essa, e nelle autorità in generale, l’Anticristo da sconfiggere.
Al secondo congresso della rsdrp, il Partito Socialdemocratico Operaio russo, Lenin espresse la sua simpatia per questo movimento eversivo, piuttosto forte nel­le campagne del paese: «Dal punto di vista politico i flagellanti meritano tutta la nostra attenzione perché sono nemici accaniti di tutto quello che proviene dalle autorità, cioè dal governo… Sono convinto che operando un avvicinamento tattico dei rivoluzionari ai flagellanti possiamo farci tra loro moltissimi alleati».
In effetti, come notano tra gli altri il Cohn, Robert Conquest e Igor Safarevic, la mentalità dei bolscevichi era assai simile a quella dei Flagellanti millenaristi e non ingiustamente i primi potevano considerarsi gli eredi dell’eresia anabattista e delle altre dottrine eretiche che avevano predicato la fine della storia, dell’ingiustizia, e l’avvento di una nuova era, di un nuovo ordine terreno, e, di pari passo, «il libero amore».
Sulla stessa linea dei Flagellanti medievali e di quelli russi elogiati da Lenin, si collocano i Fratelli del Libero Spirito, eretici a cui l’ideologo del nazismo, Alfred Rosenberg, dedicò parole appassionate ed entusiaste nel suo Mito del xx secolo. Costoro, remoti precursori di Nietzsche e di Bakunin, ritenevano che ogni loro azione, «fosse pure rapina, violenza carnale o massacro, era non solo innocente, ma anche santa». Univano cioè emancipazione sessuale, erotismo anarchico e libero amore, all’idea dell’autodivinizzazione degli adepti, considerati come creature divine e quindi libere dalla legge, da ogni norma morale, al di là del bene e del male. Comunemente consideravano legittimo, purché al di fuori del deprecato matrimonio, qualsiasi rapporto carnale, «con qualunque persona, madre, sorella, o figlia che fosse, e in qualunque maniera».
Come Rasputin, che mescolava le orge all’ascetismo, la promiscuità alle nottate trascorse impassibile accanto a una prostituta, per mettersi alla prova, così costoro passavano dal libertinismo più sfrenato all’ascetismo e ai digiuni più duri, sempre però nell’idea che la coscienza, il rimorso, la rinuncia a qualsiasi piacere istintivo, fossero da condannare come tentazioni di uomini non ancora liberi. Accanto a questa idea relativista di libertà, i fratelli professavano una dottrina anarco-comunista che contemplava la comunione di beni e di donne, considerate come “bestiame” a uso degli eletti, e una forma di esproprio proletario ante litteram: «Gli adepti del Libero Spirito comunemente si ritenevano autorizzati a ru­bare e a rapinare», impadronendosi di ciò che era dei nemici di Dio, e ritenevano lecito uccidere chiunque si opponesse loro.
Gli Hussiti boemi e Jan Palach
Non è qui possibile rievocare i numerosi movimenti ereticali della storia, che comparivano soprattutto nei momenti difficili, di crisi, e che avevano in fondo un substrato di dottrine piuttosto simili. Mi limiterò ad aggiungere due parole su un’altra di queste sette piuttosto famosa: intendo gli Hussiti boemi.
In una sua bella canzone, La primavera di Praga, il cantautore contemporaneo comunista Francesco Guccini racconta la morte eroica di Jan Palach, il primo di un gruppo di giovani incendiatisi a Praga per protestare contro la dittatura comunista vigente nel loro paese, negli stessi anni in cui in Italia giovani borghesi e studenti annoiati o in ricerca confusa di un senso, inneggiavano a Mao, a Castro, e alla rivoluzione comunista.
Quel gesto così forte e icastico a Guccini fece un’enorme impressione, tanto che egli volle nobilitarlo paragonando il fumo che saliva dal rogo di Jan Palach a quello, anteriore di secoli, che si era sollevato dalla pira dell’eretico Jan Hus.
Forse senza saperlo, Guccini ribaltava così un luogo co­mune caro alla sua tradizione politica: equiparava cioè un nemico del comunismo a un eretico medievale, mentre solitamente erano stati proprio i teorici comunisti a volersi presentare come i successori e gli eredi degli eretici stessi.
Guccini, però, aveva palesemente torto, e me ne dispiace, visto che talora ascolto volentieri alcune sue canzoni, belle e intelligenti, anche se spesso non condivisibili. Aveva torto perché influenzato dai luoghi comuni del pensiero dominante, per cui ogni condannato di un tempo, sarebbe stato, invariabilmente, un innocente e un perseguitato, tanto più se ne­mico della Chiesa.
In verità Palach si era bruciato proprio contro Jan Hus e contro i suoi successori; in verità, i veri discepoli di Jan Hus, divenuti carnefici vittoriosi, erano proprio i comunisti contro cui il giovane boemo aveva lanciato al cielo il suo grido di disperazione. Ciò risulta chiaro se leggiamo, tra gli altri, il già citato studio di Igor Safarevic. Safarevic, che nella Russia comunista ha trascorso buona parte della sua vita, ricostruisce con mirabile bravura ed enorme messe di documenti l’ideologia socialista nei secoli e nei continenti, e mette in luce come la meta condivisa delle eresie medievali e moderne, come pure di alcuni illuministi atei, era una nuova società, in cui vigessero comunanza di beni e di donne: una società co­munista, appunto, e, nel contempo libertina nei costumi, dittatoriale ed elitaria, quanto al governo. Esattamente come sarebbe successo nel Novecento in Russia, Cina, Cambogia…
Ma cosa pensavano gli Hussiti, per giustificare quanto si è detto? Costoro erano animati innanzitutto, dal millenarismo più radicale: nel 1420 sarebbe venuta la fine del vecchio mondo, dominato dal male, laconsumatio saeculi. Sarebbe giunto, quindi, il giorno della vendetta e del castigo: «Bisogna piegare come rami di alberi tutti i privilegiati e i potenti e bruciarli nella stufa come paglia; non ne resterà radice né germoglio, e saranno macinati come covoni, il sangue ne stillerà, saranno distrutti da scorpioni, serpi e bestie feroci, e messi a morte»; per completezza, «nell’anno della vendetta la città di Praga dovrà essere distrutta e bruciata dai fedeli, come Babilonia».
Linguaggio immaginifico, di pazzi esaltati, ma alla fine in­nocui? Niente affatto. I taboriti, questo il nome da loro as­sunto dopo aver dato vita a una cittadina fortificata chiamata Tabor, vicino Praga, erano soliti bruciare sul rogo i sacerdoti, distruggere le chiese, abbattere le biblioteche, bruciare i libri, incendiare interi villaggi, sterminare senza pietà coloro che si opponevano alla loro missione profetica di giustizia, salvo poi trucidarsi tra loro in seguito a dissidi e divergenze.
A farne le spese erano sovente i nobili, e soprattutto clero e contadini.
Il tutto in nome, va ripetuto, del comunismo: «Tutto sarà comune, comprese le donne: i figli e le figlie di Dio saranno liberi e non esisterà il matrimonio come unione tra marito e moglie». «Distaccamenti taboriti» conclude Safarevic «giunsero sino al Mar Baltico, fin sotto le mura di Vienna, Lipsia e Berlino; Norimberga pagò loro un tributo. La Boemia fu de­vastata.»
Non sappiamo se qualcuno si bruciò in segno di protesta, ma sappiamo che un popolo intero si armò, alla fine, per eliminarli, non solo in nome della fede, ma anche del buon senso e del diritto naturale.
Ma «distaccamenti taboriti» giunsero alle soglie del Ventesimo secolo, con la stessa carica millenarista, lo stesso fanatismo, lo stesso spirito utopico, e cioè violento e sovvertitore della realtà, e lo stesso rancore per chi, dinanzi alla realtà, si inchina, e la riconosce, per statuto: la Chiesa cattolica.
Nel 1950 si iniziarono proprio a Praga svariati processi contro gli alti dignitari degli ordini e nella notte tra il 13 e il 14 aprile i conventi vennero assaliti e «la maggior parte dei religiosi venne espulsa e internata». I taboriti del Novecento asservirono un intero popolo e compirono ogni misfatto, lì, come in tutto l’Est, con lo stesso spirito blasfemo con cui nel Quattrocento bruciavano i crocifissi, rovesciavano gli altari, parodiavano i sacramenti. In Romania, nello stesso 1950, l’inquisitore comunista Turcanu torturava i seminaristi facendo loro officiare dei riti sacrileghi, in cui la Vergine diveniva «la grande puttana» e Gesù «il co… ne che è morto sulla croce». Il seminarista che doveva fare la parte del prete «veniva fat­to spogliare completamente, gli veniva avvolto addosso un mantello macchiato di escrementi e appeso al collo un fallo confezionato con il sapone e la mollica di pane e cosparso di ddt». Altri, che non volevano piegarsi a rinnegare Cristo, venivano immersi con la testa, ogni mattina «in una tinozza piena di urina e di materia fecale», in una sorta di parodia del battesimo. Perché il suppliziato non annegasse, di tanto in tanto gli si tirava fuori la testa e lo si lasciava respirare un attimo prima di reimmergerlo in quella mistura.
F. Agnoli