giovedì 26 dicembre 2013

Omelie natalizie

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Alle ore 00.00 del 25 dicembre, l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola ha presieduto in Duomo la Messa di Mezzanotte di Natale.
La cattedrale era colma di fedeli, tra loro molti giovani, famiglie e tante persone di origine straniera.
In un passaggio dell’omelia il cardinale Scola ha spiegato: “Noi tutti siamo pertanto invitati ad assimilare la grande lezione del Natale: l’umiltà. San Carlo, nostro grande co-patrono, ha esaltato nella sua santità l’humilitas, che significa lo stare ben aderenti alla terra (humus). Così si fa spazio a tutti, si lascia essere l’altro come altro, amando, nel giusto distacco, il suo volto diverso dal nostro.
Guardando all’umiltà della Vergine santissima le donne possono trovare la strada per superare, in forma adeguata ai nostri tempi, ogni discriminazione per attuare la giusta uguaglianza, rispettosa dell’insuperabile differenza sessuale”. 
Il 25 dicembre, alle ore 11, sempre in Duomo, il cardinale Scola ha celebrato la Messa di Natale.
Nella sua omelia l’Arcivescovo di Milano ha mostrato che “la nascita di Gesù diviene quindi per noi una ri-nascita. Gesù venendo tra noi ci insegna a «vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà» (Tt 2,12).Sobrietà significa equilibrio, rispettoso del bene di tutti, nei rapporti e una distaccata magnanimità nell’uso dei beni; giustizia domanda valorizzazione della dignità, equità, eguaglianza autentica, solidarietà a livello personale, sociale e, in modo particolare, politico; pietà vuol dire non dimenticarsi del rapporto con Dio dentro il nostro quotidiano, rapporto che da secoli nelle nostre terre ha creato un costume che non deve andare perduto. Il costume del prendersi cura, tra l’altro, della vita e della morte, dei piccoli, degli anziani e dei più bisognosi a tutti i livelli.
Dalla sobrietà, dalla giustizia e dalla pietà sorgono quegli stili di vita che partendo dalla persona, attraverso i corpi intermedi, potranno consentire di affrontare l’ormai improcrastinabile urgenza di un nuovo ordine mondiale. Il travaglio che accompagna l’ingresso nel terzo millennio si manifesta dolorosamente nella crisi economico-finanziaria che continua a pesare su molte donne e molti uomini, soprattutto bambini, giovani e famiglie. L’umiltà del Dio che si fa uomo in questo santo Natale ci indica la modalità con cui affrontare questa assai delicata fase di passaggio. Non con paura e rabbia, comprensibili quando non hai più un terreno solido su cui poggiare i piedi, ma, alla fine, impotenti a generare futuro. Serve condivisione, ospitalità, amicizia civica che generano la solidarietà necessaria per uscire insieme dalla prova. C’è bisogno di un nuovo ordine mondiale per uscire dalla crisi”.
Al termine della Messa, alle 13, il cardinale Scola si è recato in visita agli ospiti della Casa di Accoglienza “card. Giovanni Colombo” in via Marcantonio Colonna a Milano.
In questa struttura residenziale - l'unica di questo genere a Milano - vengono accolte persone straniere dimesse dagli ospedali dopo le cure a seguito di patologie importanti. Attiva da vent'anni, nella “Casa cardinale Colombo” le persone bisognose trovano assistenza, accoglienza e percorsi di inserimento sociale. Un microcosmo composto da ospiti cattolici, ortodossi, musulmani provenienti da Afghanistan, Tunisia, Marocco, Ucraina, Sri Lanka, Romania, da operatori e volontari coordinati dal direttore Giuseppe Conti e dalla presidente dell'Associazione Sarepta Marilena Bartoli, di cui questa Casa è parte.
Dialogando con loro il cardinale Scola ha espresso la sua gratitudine per questa opera di carità attiva grazie all'impegno di alcuni cristiani laici:
“Sono venuto per gli auguri di Natale, per portarvi l'annuncio della compagnia di Gesù bambino. Egli viene ad assicurarci che chiunque nasce è destinato a vivere per sempre. La malattia, con tutte le fatiche che comporta, è stata assunta per noi da Gesù e possono essere consegnate nelle sue mani.
Vivendo la malattia in una famiglia, in una casa come questa che vi accoglie, tutto è più facile”.
Di seguito i testi delle omelie.
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Arcidiocesi di Milano

MESSA nella notte del Natale del Signore
Is 2,1-5; Salmo 2; Gal 4,4-6; Gv 1,9-14

Duomo di Milano, 24 dicembre 2013

Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano


1. Si fece carne ed abita tra noi: l’impossibile diventa possibile
«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. … Venne fra i suoi… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Vangelo, Gv 1,9.11.14a).
È la sconvolgente e permanente novità del cristianesimo: Dio viene da noi, in mezzo a noi, come uno di noi.
È questo che muove i semplici (pastori), come i dotti (magi) e continua a muovere, dopo duemila anni, uomini e donne. Ha mosso anche noi che, qui in Duomo o da casa, prendiamo parte alla preziosa azione eucaristica in questa notte santa.
«I pastori andarono senza indugio a vederlo soltanto quando fu annunciata la sua incarnazione. […] Prima, finché il Verbo era soltanto presso Dio, non si muovevano: quando invece il Verbo, che era eternamente, fu fatto nel tempo, quando Dio lo fece rendendolo visibile, allora accorsero» (Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, 22,5). Con l’incarnazione del Figlio di Dio l’impossibile diventa possibile.

2. «Nato da donna»
Sant’Ambrogio nel suo Inno natalizio afferma: «Non da concorso d’uomo/ ma dall’azione arcana dello Spirito/ il Verbo di Dio si è fatto carne: così è germinato questo fiore». Alla nascita di questo fiore collabora Maria, la donna. Con questa affermazione asciutta e nuda Paolo esalta ogni donna. Non teme di abbassare Maria non facendone espressamente il nome, perché Dio venendo nella carne si riveste di umiltà e per la sua umiltà Maria fu eletta ad essere la Vergine-Madre. Noi tutti siamo pertanto invitati ad assimilare la grande lezione del Natale: l’umiltà. San Carlo, nostro grande co-patrono, ha esaltato nella sua santità l’humilitas, che significa lo stare ben aderenti alla terra (humus). Così si fa spazio a tutti, si lascia essere l’altro come altro, amando, nel giusto distacco, il suo volto diverso dal nostro.
Guardando all’umiltà della Vergine santissima le donne possono trovare la strada per superare, in forma adeguata ai nostri tempi, ogni discriminazione per attuare la giusta uguaglianza, rispettosa dell’insuperabile differenza sessuale.

3. La figliolanza divina, il nuovo nome della pace
Il Vangelo di questa notte santa descrive la nascita di Gesù, frutto che continua a generare frutti, come dono di «grazia e di verità» (Gv 1,14). Dio lo ha fatto all’uomo in vista dell’unità tra tutti i popoli, preannunziata da Isaia: «Ad esso [il tempio del Signore] affluiranno tutte le genti» (Lettura, Is 2,2b). Da dove nasce questa unità di cui tanto sentiamo il bisogno? Dalla pace. «Spezzeranno le loro spade e ne faranno vomeri, delle loro lance faranno falci» (Lettura, Is 2,4b). Il Vangelo e l’Epistola indicano e specificano che il nuovo nome della pace annunciata da Isaia è l’essere e vivere come figli di Dio, capaci di condividere ogni sofferenza ed ogni pena. Tra tutte le gravi prove cui troppi oggi sono sottoposti non possiamo tacere, in questa notte di tenerezza, i molti cristiani perseguitati in tanti paesi.
Papa Francesco ci insegna che «in Cristo l’altro è accolto e amato come figlio o figlia di Dio, come fratello o sorella, non come estraneo, tantomeno come un antagonista o un nemico» (Francesco, Messaggio per la Giornata della pace 2014).
Il Dio bambino è la luce delle genti perché illumina il cammino di ciascuno di noi, quello personale e quello comunitario, in tutti gli ambiti dell’umana esistenza: in famiglia, nel quartiere, nella nostra città e regione, in tutto il Paese e nel mondo intero.

Coming among us, Jesus teaches us “to live temperately, justly, and devoutly in this age”. Merry Christmas!
Indem Jesus unter uns kommt, erzieht er uns dazu, „besonnen, gerecht und fromm in dieser Welt zu leben“. Frohes Weihnachtsfest!
En venant parmi nous, Jésus nous enseigne «à vivre dans le siècle présent selon la sagesse, la justice et la piété». Joyeux Noël!
Jesús viniendo entre nosotros nos enseña a «llevar en este mundo una vida sobria, honrada y religiosa». Feliz Navidad!


Facciamo nostro l’umile stile di vita di Gesù e di Maria: uno stile sobrio, giusto e pio (cfr. Tt 2,11-12). Buon Natale!

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Arcidiocesi di Milano


Messa nel giorno del Natale del Signore

Is 8,23b - 9,6a; Salmo 95; Eb 1,1-8a; Lc 2,1-14

 

Duomo di Milano, 25 dicembre 2013



Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



1. Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio
«Dio… ultimamente [cioè: in modo definitivo], in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Epistola, Eb 1,2). L’autore della Lettera agli Ebrei, così sensibile all’Antico Patto, marca questa radicale, e definitiva, novità. Il Verbo si fa carne. Si fa bambino e nasce dal grembo di una donna, come ciascuno di noi. È «germinato» così per noi questo «fiore» mirabile, afferma sant’Ambrogio nel suo celebre Inno di Natale.
È questo annuncio che muove i semplici (pastori) come i dotti (magi), e continua a muovere donne ed uomini di ogni cultura e censo.
«I pastori andarono senza indugio a vederlo soltanto quando fu annunciata la sua incarnazione. […] Prima, finché il Verbo, era soltanto presso Dio, non si muovevano: quando invece il Verbo, che era eternamente, fu fatto nel tempo, quando Dio lo fece rendendolo visibile, allora accorsero» (Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, 22,5).
Con l’incarnazione del Figlio di Dio l’impossibile diventa possibile.

2. Nella nostra vita c’è un bambino da mettere al mondo
«Maria diede alla luce il suo figlio primogenito» (Vangelo, Lc 2,7). Noi tutti percepiamo che ogni nascita è in sé una irripetibile novità, ma questa singolare Nascita illumina in senso pieno il nascere, e quindi il vivere e il morire. Perché? Perché il Dio-Bambino viene per rispondere all’insopprimibile anelito del nostro cuore di durare per sempre, anche oltre la morte. Nell’abbassamento di Dio che si fa uomo per redimerci con la sua croce/risurrezione siamo salvati, cioè liberati dai limiti, per noi invalicabili, del peccato e della morte. Il Santo Natale è la benedizione che l’umiltà amorosa di Dio riversa su ogni uomo che viene in questo mondo: la vita ti è donata e mai più tolta. La morte stessa non la annulla ma la trasforma. La nascita di Gesù mostra che la vita, ogni vita, è sempre un bene ed è degna di essere vissuta dal concepimento fino al suo termine naturale.
In quest’ottica il Natale intensifica la relazione con i nostri cari già passati all’altra riva.
Alla scuola di Maria impariamo quella disponibilità amorosa di cui Dio, che ha voluto aver bisogno degli uomini, ha deciso di servirsi per operare nel mondo.

3. Un nuovo stile di vita
«Nella nostra vita c’è sempre un bambino da mettere al mondo: il figlio di Dio che noi siamo. “Bisogna rinascere”, ha detto a Nicodemo. Questa nascita ci è proposta nella Chiesa. La Chiesa è il proseguimento dell’incarnazione. Essa non ha che noi, qui, per continuare l’incarnazione. Nel bene e nel male» (Frère Christian De Chergé del Monastero di Thibirine).
La nascita di Gesù diviene quindi per noi una ri-nascita. In che modo? Il modo è magistralmente sintetizzato da un’affermazione di San Paolo nella Lettera a Tito. Gesù venendo tra noi ci insegna a «vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà» (Tt 2,12). Sobrietà significa equilibrio, rispettoso del bene di tutti, nei rapporti e una distaccata magnanimità nell’uso dei beni; giustizia domanda valorizzazione della dignità, equità, eguaglianza autentica, solidarietà a livello personale, sociale e, in modo particolare, politico; pietà vuol dire non dimenticarsi del rapporto con Dio dentro il nostro quotidiano, rapporto che da secoli nelle nostre terre ha creato un costume che non deve andare perduto. Il costume del prendersi cura, tra l’altro, della vita e della morte, dei piccoli, degli anziani e dei più bisognosi a tutti i livelli.
Dalla sobrietà, dalla giustizia e dalla pietà sorgono quegli stili di vita che partendo dalla persona, attraverso i corpi intermedi, potranno consentire di affrontare l’ormai improcrastinabile urgenza di un nuovo ordine mondiale.
Il travaglio che accompagna l’ingresso nel terzo millennio si manifesta dolorosamente nella crisi economico-finanziaria che continua a pesare su molte donne e molti uomini, soprattutto bambini, giovani e famiglie.
L’umiltà del Dio che si fa uomo in questo santo Natale ci indica la modalità con cui affrontare questa assai delicata fase di passaggio. Non con paura e rabbia, comprensibili quando non hai più un terreno solido su cui poggiare i piedi, ma, alla fine, impotenti a generare futuro. Serve condivisione, ospitalità, amicizia civica che generano la solidarietà necessaria per uscire insieme dalla prova.

4. Evangelii gaudium
Tutta la liturgia di oggi trabocca di gioia. Non è facile irenismo, non è oppio per dimenticare i problemi. È espressione grata della granitica certezza che Dio è con noi: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete…» (Lettura, Is 9,2); «Ecco, vi annuncio una grande gioia» (Vangelo, Lc 2,10); «Gioiscano i cieli, esulti la terra» (Salmo resp); «Gioisca oggi tutto l’universo» (Prefazio). Chiediamo di lasciarcene inondare, ben consapevoli che «la Chiesa non è un rifugio per gente triste. La Chiesa è la casa della gioia. E coloro che sono tristi trovano in essa la vera gioia!» (Francesco, Angelus 15 dicembre 2013).

Coming among us, Jesus teaches us “to live temperately, justly, and devoutly in this age. Merry Christmas!

Indem Jesus unter uns kommt, erzieht er uns dazu, „besonnen, gerecht und fromm in dieser Welt zu leben“. Frohes Weihnachtsfest!

En venant parmi nous, Jésus nous enseigne « à vivre dans le siècle présent selon la sagesse, la justice et la piété ». Joyeux Noël!

Jesús viniendo entre nosotros nos enseña a «llevar en este mundo una vida sobria, honrada y religiosa». Feliz Navidad!

Karol Wojtyla, in un celebre poema, ci ha insegnato: «Ecco, tuo Figlio prende su di Sé tutto il rischio dell’amore». Quindi prende sulle sue spalle ognuno di noi. Affidiamoci a Lui, come fece la Sua madre amata.

Buon Natale!

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Di seguito il testo delle omelie natalizie tenute  dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna.

Solennità del Natale del Signore
Santa Messa della notte
Cattedrale, 24 dicembre 2013

Cari fratelli e sorelle, la ricorrenza annuale del Natale di Gesù non deve farci perdere a causa dell’abitudine, la consapevolezza che duemila anni orsono è avvenuta una nascita che ha cambiato radicalmente la condizione umana. Una nascita la cui efficacia rinnovatrice continua anche oggi.
 
1. Riascoltiamo in primo luogo il profeta. Egli descrive la condizione del suo popolo come condizione di persone che camminano nelle tenebre, ed abitano una terra tenebrosa. Non solo, ma anche come la condizione di un popolo privo di libertà: con un giogo e una sbarra sulle spalle. Dunque: tenebre e schiavitù.
Accade però un fatto che cambia completamente questa situazione: il popolo "vide una grande luce"; e il giogo è spezzato.
Che cosa è avvenuto? "un bambino è nato per noi; ci è stato dato un figlio". Certamente la nascita di un bambino è sempre un inizio. Un grande Padre della Chiesa ha scritto che la nascita di ogni uomo spezza la monotonia del "già visto", del "sempre lo stesso".
Ma questo bambino è davvero unico: "sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace".
E’ "consigliere mirabile". Un testo biblico dice: "incerti sono i consigli degli uomini…". Brancoliamo nel buio ed attraversiamo il mare spesso sconvolto della vita come su una zattera. Il Bambino che nasce questa notte è "la luce vera che illumina ogni uomo".
E’ "Dio potente". Le nostre schiavitù, dalle quali non siamo capaci di liberarci, sono molte. E ciascuno porta in sé catene che non riesce a spezzare. Il Bambino che nasce questa notte ha la capacità e la forza di condurci alla vera libertà.
L’apostolo Paolo, come abbiamo sentito nella seconda lettura, ha espresso profondamente la forza luminosa che ha in sé il fatto accaduto questa notte. Egli dice: "è apparsa la grazia di Dio". Dunque, cari fratelli e sorelle, dopo quanto accaduto questa notte non possiamo più dubitare di che cosa c’è nel cuore di Dio; quali sono i suoi pensieri circa l’uomo: "è apparsa" - si è fatta vedere luminosamente - "la grazia di Dio – la buona disposizione di Dio verso di noi. Dio è ben disposto verso di noi. Dopo questa notte non possiamo più dubitare del suo amore verso l’uomo. E "dall’amore per cui ad uno è gradita l’altra persona deriva che le dia qualcosa gratuitamente" [1, 2, q. 110, a. 1].
Ed infatti l’apostolo continua: "apportatrice di salvezza per tutti gli uomini". E la salvezza è luce che ci guida: "che ci insegna"; è forza che libera: "a rinnegare l’empietà e i desideri mondani".
2. Aiutati dalla parola profetica ed apostolica, ora possiamo vedere come è nato il Bambino che ha così profondamente cambiato la nostra condizione.
La nascita è narrata nel modo seguente: "diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo". Vi propongo solo sue osservazioni.
Il Bambino nasce fuori da quel mondo che è ritenuto importante e potente: nasce in una stalla.
Considerate come questo particolare della sua nascita richiami quanto ci ha detto S. Paolo: nasce fuori dal mondo circostante, perché vuole dirci subito che Egli non appartiene a quel mondo dove regnano l’empietà ed i desideri cattivi.
Il Bambino è deposto nella mangiatoia. Un Padre della Chiesa fa al riguardo una considerazione semplice e profonda. La mangiatoia è il luogo dove si colloca il cibo per gli animali. Il neonato Salvatore prende il posto del cibo, prefigurando che Egli è il "cibo di vita eterna".
Cari fratelli e sorelle, la preghiera della Chiesa questa notte è percorsa da una gioia profonda. "Gioiscano i cieli, esulti la terra", abbiamo detto nel Salmo.
Nessuno si senta escludo da questa gioia, poiché ciascuno, qualunque sia la sua condizione spirituale, sociale e materiale, dopo questa notte sa quanto è prezioso agli occhi del Signore. Egli nasce nella nostra natura umana per liberarci dal potere delle tenebre e donarci la vera libertà.

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Solennità del Natale del Signore
Santa Messa del giorno
Cattedrale di S. Pietro, 25 dicembre 2013

Cari fratelli e sorelle, il diacono ha or ora proclamato la meditazione più profonda e commovente sul mistero del Natale. Cerchiamo col cuore e l’intelletto di godere di qualche raggio di questa pagina sublime.
 
1. "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare fra noi". Cari amici, provate ad accostare nella vostra mente queste due parole,: Verbo-carne. La prima denota la persona "che era in principio presso Dio" ed "era Dio": Colui per mezzo del quale tutto è stato fatto. La seconda - "carne" - denota la nostra natura e condizione umana: una condizione di fragilità, di destinazione alla morte. Ecco il fatto che oggi la Chiesa celebra: "il Verbo si fece Carne". La persona divina del Vervo viene concepita da una donna nella nostra natura e condizione umana. Perché questo abbassamento? perché ha voluto umiliarsi fino al punto da divenire come uno di noi? Perché ha voluto venire ad abitare in mezzo a noi? La Chiesa, cari fratelli e sorelle, non ha mai cessato, credendo e adorando questo mistero, di porsi questa domanda.
Ascoltate la risposta del grande vescovo Ambrogio: "io non avevo ciò che era suo ed Egli non aveva ciò che era mio. Egli ha assunto ciò che è mio per farmi partecipe di ciò che è suo" [Il mistero dell’Incarnazione 4.23; BA 16, pag. 389].
E’ dunque avvenuto oggi uno "scambio mirabile". L’uomo ha dato al Verbo-Dio ciò che possedeva di proprio: la sua carne, le sue debolezze, la sua morte. E il Verbo-Dio ha dato all’uomo ciò che possedeva di proprio: la sua luce di verità, la sua felicità, la sua vita immortale. Che cosa mosse Dio a fare questo scambio con l’uomo? Un altro grande Padre della Chiesa ha risposto a questa domanda nel modo seguente: "per il suo sovrabbondante amore si è fatto ciò che siamo noi, per fare di noi ciò che è lui stesso" [Ireneo, Contro le eresie V, prefazione].
Questo è il mistero che oggi professiamo nella fede, adoriamo nell’umiltà, celebriamo nella gioia.
 
2. Vorrei ora, cari fratelli e sorelle, aiutarvi a percepire come il Mistero del Verbo-carne abbia cambiato, e debba cambiare la considerazione, la coscienza, l’esperienza che ciascuno ha di se stesso e della sua condizione umana.
- Adorando e celebrando questo Mistero, l’uomo – ciascuno di noi – non si sente più solo e come abbandonato alle forze impersonali della buona o cattiva fortuna, o di un destino senza volto. L’uomo – ciascuno di noi – si sente, si deve sentire amato fino al punto che Dio stesso ha voluto farci compagnia nel cammino della nostra vita: ha voluto percorrerlo con noi. "Non temete" – Egli dice a ciascuno di noi – "io sono con te".
Possiamo allora dire che oggi Dio al contempo ha mostrato il suo "sovrabbondante amore" e l’uomo ha preso coscienza della sua dignità di persona. E’ oggi che è nata la consapevolezza che l’uomo non è semplicemente una parte della natura, un piccolo frammento di un universo le cui forze possono schiacciarlo ogni momento.
- Adorando e celebrando questo mistero, l’uomo – ciascuno di noi – è guarito dalla più terribile delle sue malattie spirituali: la tristezza del cuore. In che cosa consiste questa malattia? Nel ritenere che il desiderio naturale che abbiamo di una felicità intera non parziale, duratura non passeggera, sia un desiderio vacuo. Da ciò consapevolmente o inconsapevolmente concludiamo che siamo "fatti male": la natura ci ha messo nel cuore un desiderio la cui realizzazione è impossibile. Questa è la tristezza del cuore, che spegne la speranza ed in certi momenti ci fa tediare ed annoiare perfino della vita. Un grande diagnostico della nostra condizione ha scritto: "Verrà il tempo in cui l’uomo non scaglierà più il dardo del suo desiderio al di là dell’uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare" [F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Proemio, 5; Bompiani ed, Milano 2010, pag. 235].
Oggi abbiamo la più grande ragione per sperare: il Verbo-Dio è venuto per introdurci nella sua stessa beatitudine. "A quanto lo accolgono ha dato il potere di diventare figli di Dio". Lasciamo che l’amore che Dio ha per noi vinca lo scoraggiamento che può occuparci in questi giorni difficili.
S. Agostino scrive: "per risollevare la nostra speranza…che c’era di più necessario che mostrarci quanto Dio ci apprezzi e quanto ci ami?". [La Trinità, XIII, cap. 10; NBA IV, pag. 529].
 
Ecco, cari fratelli e sorelle, usciamo allora da questa celebrazione più saldi nella nostra fede: "il Vervo si è fatto carne ed è venuto ad abitare fra noi". Più forti nella nostra speranza: nulla è più forte dell’amore che Dio oggi ci ha mostrato.

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Di seguito il testo dell’omelia tenuta oggi dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nella Messa per la Festa del protomartire Santo Stefano, patrono dei diaconi.
***
Carissimi diaconi, la Chiesa venera S. Stefano col titolo di «Protomartire». E’ stato cioè il primo che ha annunciato il Vangelo nella forma più alta: il martirio. E’ alla luce di questo fatto, di cui oggi la liturgia celebra la memoria, guidati dalla pagina sacra che lo narra, che possiamo riflettere brevemente sulla necessità di evangelizzare.
            La Chiesa prima della proclamazione del Vangelo che voi fate, e vi dice: «il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra, perché tu possa annunciare degnamente il suo Vangelo».
1.         La parola della Chiesa mi richiama alla memoria una pagina di S. Paolo, la quale riguarda proprio l’annuncio del Vangelo.
            «Sia nel tuo cuore», vi dice la Chiesa. E l’apostolo: «se… crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede».
            Carissimi diaconi, la fede è una convinzione del cuore. Ed il cuore è ragione, volontà, affetto. Questa certezza del cuore muove Stefano ad annunciare il Vangelo.
            La Scrittura poi dice di lui: «pieno di Spirito Santo». La certezza della fede è prodotta in noi dallo Spirito Santo. Egli, come accaduto a Stefano, ci dona una conoscenza sperimentale di Gesù, dei suoi Misteri, della sua gloria: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Oh, se lo Spirito Santo facesse abbondare nella nostra Chiesa, nei ministri del Vangelo in primo luogo, lo spirito di contemplazione! La forza del nostro annuncio sarebbe come quella di Stefano, poiché essa sarebbe generata da un vero incontro colla persona di Gesù risorto; e il Vangelo sarebbe proclamato da persone trasfigurate da questo incontro.
            «La prima motivazione per evangelizzare» ci insegna Papa Francesco «è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto» [Es. Ap. Evangelii gaudium 264].
            «Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei liberti…a disputare con Stefano, ma non riuscirono a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava». Stefano non tiene per sé la convinzione del cuore: egli proclama il Vangelo. L’apostolo infatti ci dice: «se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore…sarai salvo…con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza». L’esempio di Stefano, l’insegnamento dell’Apostolo sono chiari. Non possiamo nascondere nella nostra intimità la convinzione del cuore: mettere la lucerna sotto il moggio. La privatizzazione della fede è una grave mancanza di carità verso i fratelli che, consapevolmente o inconsapevolmente, attendono l’annuncio evangelico. Il diaconato non è una promozione; è chiamata ad annunciare; è missione.
            Ma, come avete sentito, l’evangelizzazione di Stefano avviene in un contesto ostile. Essa è “sfidata” dalla sinagoga dei “liberti”. Non è questo il momento di soffermarmi su quali “sinagoghe dei liberti” oggi sfidano la vostra evangelizzazione. Mi limito a dirvi: abbiate quel discernimento, che è dono dello Spirito ed impegno della vostra ragione, che vi rende capaci di capire ciò che accade nella società di oggi. E’ per questo che un diacono non può ignorare la dottrina sociale della Chiesa.
            Stefano rispondeva “ai liberti”. E’ ciò che ci dice di fare l’apostolo Pietro: «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto» [1Pt 3, 15].
2.         Vorrei ora, brevemente, richiamare la vostra attenzione su una fra le diverse attitudini che possono spegnere od attenuare in noi l’ardore missionario.
            Intendo dirvi due o tre cose sul “pessimismo sterile” [cfr.l.c. 84-86]. Chi soffre di questa malattia trova sempre di che criticare; e non raramente di che mormorare contro il fratello. E’ una brutta malattia, perché ci chiude non raramente nella tristezza del cuore.  La vera medicina che guarisce da questa malattia è il discernimento. Ve lo spiego con un esempio, e termino.
            Si narra che una grande fabbrica di scarpe inviò due suoi dipendenti in alcuni paesi dell’Africa per sondare possibilità di mercato. Ritornati, uno disse: “non c’è alcuna possibilità di mercato: vanno tutti scalzi”. L’altro disse: “ un grande mercato si apre: nessuno ha le scarpe”. Chi ha il discernimento dello Spirito vede in ogni difficoltà un’opportunità per il Vangelo; chi ne è privo vede in ogni opportunità una difficoltà [cfr. F-X. Van Thuan, La gioia di vivere la fede, LEV 2013, pag. 52].
            Carissimi diaconi, il Signore sia nel vostro cuore e sulle vostre labbra, perché possiate annunciare degnamente il suo Santo Vangelo: «col cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza» [Rom 10, 10].

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 Di seguito il testo dell’omelia tenuta dal patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglianella Messa della notte di Natale 2013 nella Basilica San Marco.
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Carissimi,
«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,10-12).
In questi versetti del Vangelo di Luca è compendiato il senso della notte santa e del Natale.
Così la santa notte ci pone dinanzi a un’immagine inedita di Dio. Di fronte al Dio onnipotente, che tutto pone sotto di sé, ci troviamo di fronte al Dio bambino che ci viene incontro domandandoci aiuto, bisognoso - com’è - di tutto.
Nel Natale Dio si rivela in modo inedito e la sua maniera inaspettata di presentarsi mette in crisi anche il nostro modo d’essere uomini; questa è la prima richiesta della conversione cristiana.
Dio, in un certo senso, si pone in questione e, così facendo, mette in questione l’uomo.
Noi uomini siamo sempre alla ricerca dei segni della grandezza, della potenza, del dominio e ci sembra logico che tali segni si manifestino anche nell’incontro con Colui che è la stessa Grandezza, la Potenza, il Dominio.
Al contrario, nella notte santa, risuonano con la loro forza dirompente le parole del profeta Isaia: “ …i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie… Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55, 8-9).
L’attesa che ci ha accompagnato nel tempo d’Avvento è stata la condizione perché questa notte non sia solo un tempo d’emozioni e sentimento ma, piuttosto, lo spazio del nostro incontro col Signore.
Chi realmente vuole incontrare il Dio bambino che viene deve sapere che l’appuntamento è presso una stalla - il luogo di ricovero degli animali - e con tutto ciò che questo comporta in termini di comfort, ordine, pulizia e privacy.
Lì troverà - convocati dagli angeli - i pastori, ossia coloro che nella Giudea del I secolo dell’era cristiana occupavano l’ultimo gradino della scala sociale e, comunque, non uomini e donne di cultura, non raffinati opinion leader, vestiti in abiti firmati.
Troverà, poi, due persone socialmente insignificanti: una fanciulla, poco più che adolescente, proveniente da un insignificante villaggio della  “pagana” Galilea: “Da Nazareth può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). Queste furono le parole con cui il futuro apostolo Bartolomeo rispose all’invito che Andrea gli rivolgeva d’incontrare l’atteso Messia, Gesù di Nazareth.
E, alla fine, incontrerà Giuseppe, lo sposo di Maria, un operaio-carpentiere che si guadagnava la vita in una piccola bottega artigiana di villaggio.
Siamo, così, avvisati circa la “compagnia” che troveremo ma, soprattutto, circa le persone che Dio ha voluto scegliere come compagni di strada nell’atto d’entrare nella storia, ossia gli ultimi.
La vita di Gesù e il suo Vangelo saranno solo l’esplicitazione fedele e consequenziale della logica della notte santa di Betlemme, in cui Dio appare divinamente al di là e oltre le scelte degli uomini.
Ecco l’alterità di Dio, ossia il suo essere “altro”, divinamente “oltre” l’uomo e la sua logica, che risulta così scontata e così ripetitiva.
Per gli uomini, la grandezza è avere qualcosa di più degli altri, qualcosa che gli altri non hanno ancora oppure qualcosa contro gli altri.
La grandezza per Dio - ce lo fa intendere proprio la santa notte di Betlemme - consiste nell’entrare nelle profondità delle povertà umane e, facendosene carico, risanarle con l’Amore che rigenera.
Dio ci aiuti, in questa santa notte, a comprendere la grande lezione del Natale, il Dio che si fa bambino rendendosi bisognoso di tutto e, così facendo, sembra mettere in questione il suo modo d’essere Dio ma, in realtà, pone in questione il nostro modo d’esser uomini.
Con questo spirito e secondo tale sapienza rileggiamo la seconda lettura di questa liturgia della notte: “È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” (Tt 2,11-14).
A tutti l’augurio di un santo Natale che sia vera partecipazione alle scelte di Dio, nello stile della notte di Betlemme.
Il santo Bambino vi benedica!