lunedì 27 gennaio 2014

Come in Galilea...




(Giovanni Maria Vian)
Nel commentare le Scritture il vescovo di Roma quasi ogni giorno offre, e certo non soltanto ai cattolici, motivi e spunti di riflessione per la vita di oggi. Emblematico è il commento al brano evangelico che cita la profezia di Isaia sulla «Galilea delle genti», dove secondo il racconto dell’evangelista Matteo ebbe inizio la predicazione di Gesù. Significativamente in una regione di confine, che Papa Francesco ha descritto caratterizzata dalla presenza di diverse popolazioni straniere. Una realtà che vuole sottolineare il profeta quando parla dei confini di quel «territorio» — è questo il significato del nome Galilea — e lo identifica come quello «delle nazioni pagane».
Proprio così può essere descritta la condizione del mondo di oggi, dove la Chiesa di Cristo è inviata a essere testimone di quella luce destinata, già nella visione del profeta ebraico, a tutti a popoli, senza eccezione alcuna. Ed è questo il tema centrale che più sta a cuore di Jorge Mario Bergoglio, fin da quando nella festa di san Matteo del 1954 comincia a capire la direzione che prenderà la sua vita. La missione è dunque al cuore della Chiesa, come l’arcivescovo di Buenos Aires ripeterà ai confratelli cardinali nel suo intervento durante le congregazioni generali precedenti il conclave che pochi giorni dopo l’avrebbe scelto come vescovo di Roma.
Dinamica fondamentale nella storia del cristianesimo, la missione ha sempre dovuto affrontare realtà di frontiera, quelle che Papa Francesco definisce di periferia, anche in Paesi di antica tradizione cristiana. Come già nel 1943 videro Henri Godin e Yvan Daniel, i due preti che a Parigi durante l’occupazione nazista pubblicarono il celebre rapporto France, pays de mission? sulla situazione religiosa degli ambienti operai: «Non inganniamoci: domani non è più solo la nostra patria, è il mondo intero che rischia di essere “paese di missione”; quello che noi viviamo oggi, i popoli lo vivranno a loro volta».
Una missione che dunque non ha confini e di ogni realtà è sollecita, affidata all’inventiva e al coraggio delle comunità cristiane. Per portare il Vangelo della gioia — ed Evangelii gaudium s’intitola il documento programmatico del pontificato — «a quanti lo aspettano, ma anche a quanti forse non attendono più nulla e non hanno nemmeno la forza di cercare e di chiedere» ha detto il Papa. Che parlando delle Galilee del nostro tempo ha concluso con un interrogativo: «Ognuno di voi pensi: il Signore passa oggi, il Signore mi guarda, mi sta guardando! Cosa mi dice il Signore?».
L'Osservatore Romano

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