sabato 25 gennaio 2014

III Domenica del Tempo Ordinario. Anno A


III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno A


Nella terza Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù, dopo l’arresto di Giovanni Battista, comincia a predicare dicendo:

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

La prima opera che il Signore compie, la sua “suprema carità”, è portare all’uomo la buona notizia: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino”. All’uomo, che a causa del peccato vive “nelle tenebre”, “in regione e ombra di morte”, si apre la speranza del Regno di Dio. Il dramma esistenziale dell’uomo-senza-Dio, dell’uomo ripiegato su di sé, che porta inscritto nel suo DNA che il senso della vita è amare, è darsi, ma scopre nel suo vivere quotidiano di non poter amare – e questo è il peccato –, perché amare è dare la vita e lui ha paura di perdere la vita, ha terrore della morte, quest’uomo resta con una profonda spaccatura. Dice S. Paolo: “Neppure riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto… In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,15.19). E vive nelle tenebre. Ora viene Gesù, viene la Luce che è la Vita. “Convertirsi” non è un peso, un rinunciare a qualche cosa di bello o di buono, a qualcosa che non mi è lecito, ma la possibilità di sfuggire al regno delle tenebre, alla solitudine. L’annuncio di Gesù è una parola che rigenera e divinizza. E a mostrare che questo non è un sogno vuoto, un’illusione, l’annuncio è accompagnato dalle guarigioni: quella del Signore è una parola che si compie. È un evento. Gesù passa – vede – chiama, convoca: i primi convocati sono i “Dodici”, coloro che accompagnano il Signore, che ne sono i testimoni che continuano la sua opera nel mondo. Ma questo annuncio, questa chiamata continua a risuonare ancora oggi. È per noi oggi.
(don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 95,1.6
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore da tutta la terra;
splendore e maestà dinanzi a lui,
potenza e bellezza nel suo santuario.

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore...
 Oppure:
O Dio, che hai fondato la tua Chiesa sulla fede degli Apostoli, fa' che le nostre comunità, illuminate dalla tua parola e unite nel vincolo del tuo amore, diventino segno di salvezza e di speranza per tutti coloro che dalle tenebre anelano alla luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
  Is 8,23b - 9,3
Nella Galilea delle genti, il popolo vide una grande luce.
 

Dal libro del profeta Isaia
In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Mádian.


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 26
Il Signore è mia luce e mia salvezza.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.


Seconda Lettura
  1 Cor 1,10-13. 17
Siate tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi.
 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.
Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.
Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo».
È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?
Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
 

Canto al Vangelo
  Cf Mt 4,23
Alleluia, alleluia.

Gesù predicava il vangelo del Regno
e guariva ogni sorta di infermità nel popolo

Alleluia.

   
  
Vangelo
  Mt 4, 12-23 (Forma breve Mt 4, 12-17)
Venne a Cafàrnao perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa.
 

Dal vangelo secondo Matteo
[ Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». 
]
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

*


"Scendere nella vita di chi giace nelle tenebre"

Commento al Vangelo della III Domenica del Tempo Ordinario. Anno A


Che cosa ha spinto Pietro e Andrea, e Giacomo e Giovanni a lasciare barca, reti e padre e seguire subito il Signore, senza alcun indugio? Subito. Non v'è stato tempo per riordinare le idee, fare due calcoli, neanche per soppesare pro e contro di una scelta. Lasciare e seguire.
Gesù, e questo è bastato. Lui passava, Lui li ha visti, Lui li ha chiamati. Per questo hanno lasciato tutto per seguirlo. Solo nelle sue parole, infatti, c'è una forza così dirompente da cambiare la vita nello spazio di un istante. Solo nei suoi occhi vi è la Misericordia infinita capace di strappare alle reti la nostra vita.
Sono tantissime, infatti, quelle con le quali ogni giorno cerchiamo di sfangarla. Le gettiamo per carpire un affetto, un po' di considerazione, guadagnare un posto di lavoro,  fare carriera. E reti di contatti, cellulari pieni di sms, brevi messaggi come reti gettate dal vuoto profondo dell’incomunicabilità.
La rete, non si chiama così quel pozzo senza fondo che, attraverso lo schermo di un computer, ci afferra sino a precipitarci nell'illusione d'essere in contatto col mondo intero? Internet, la rete, metafora della nostra vita, una piroetta virtuale che sfiora la realtà senza viverla realmente.
Sempre connessi per dimenticare d'essere disconnessi dall'essenziale, dal vero, dal bello, dal buono. Sempre connessi eppure soli, con il cuore lontano dall'unico link autentico, la Croce di Cristo, come tralci staccati dalla vite, dalla fonte della vita vera. 
Siamo immersi nell'illusione che basti un click o un touch per parlare, relazionarsi, forse anche amare; un secondo e i desideri si realizzano. Tutto sottomesso a un polpastrello, dimenticando la fatica e il sudore dell'amore autentico, il sacrificio del donarsi, i chiodi che trafiggono il link eterno, l'amore che non può essere che crocifisso.
Network, links, chat, maglie di una rete che ci rapisce il cuore, sottrae il tempo, evapora i profili, scolora le relazioni in una menzogna travestita di vuota pienezza. E’ l’immagine della vita senza Cristo, nella quale ci si dibatte come pesci indifesi, pescati irrimediabilmente e sottratti all'acqua autentica della volontà divina.
Anche noi siamo pesci fuor d’acqua, figli di un Popolo avvolto nelle tenebre; siamo cresciuti anche noi a Cafarnao, nella “Galilea delle genti”, la regione estrema e borderline, compromessa con i traffici dei pagani, “reti” commerciali che avevano sbiadito la purezza della religione dei Padri, lontana dall'autorità del Tempio. Come la nostra vita passata accanto a Zebedeo, immagine della nostra origine carnale, debole e schiava della rete di peccati.
Proprio qui, anche oggi, Gesù viene a rifugiarsi; possiamo “convertirci” perché “è giunto a noi, nella nostra Cafarnao, il Regno dei Cieli”. Non siamo noi a dover cercare nel buio un'isola di felicità e di tregua tra le reti della vita; al contrario, sono il Regno, la pace, il perdono, la libertà che vengono a cercarci.
Quello che per noi è da fuggire è per Lui un rifugioil fondamento del suo Regno. Quella casa che vorremmo chiudere e da cui vorremmo traslocare è la dimora che Gesù ha sognato e desiderato da sempre.
Cafarnao infatti significa "Villaggio del conforto, della consolazione".  Anche se per noi è solo noia e dolore, Gesù sa vedere nella nostra vita il seme della consolazione. Lui sa che, prendendovi dimora, tutto può cambiare.
Come la “casa della consolazione” ha ospitato il Consolatore, così la nostra stessa vita abitata da Lui, salvata e perdonata, diviene annuncio per ogni uomo: le tenebre che hanno visto la luce divengono luce per le tenebre del mondoIl Vangelo, infatti, è annunziato solo da chi ha sperimentato nella carne la stessa sorte di coloro ai quali è inviato.
E' questa la vera inculturazione del Vangelo: scendere nella vita di chi giace nelle tenebre, obbligato a trascinare un “giogo” pesantissimo. Per chi è preso nelle maglie della “rete” del demonio servono “pescatori di uomini” pescati a loro volta da Colui che si è lasciato imprigionare dalla morte per distruggerla. Servono apostoli liberati da Cristo, l’unico che ha saputo introdursi nella fitta rete di inganni spezzandone le maglie una ad una con il suo amore. Testimoni che hanno imparato come si pesca un uomo che sta annegando…
Gesù anche oggi “passa lungo il Mare di Galilea”, ed è Pasqua! Ci guarda e ci dice: "Seguitemi, vi farò pescatore di uomini". Ovvero, "venite con me a passare oltre la morte; camminate dietro a me verso la libertà autentica per gettarvi nel mare della morte per salvare questa generazione”.
Tutto ha inizio dalla chiamata che è personale proprio perché detta al plurale: solo Gesù, infatti, scorge accanto a noi il fratello che abbiamo da sempre dimenticato; Lui sa che siamo nati per amare, anche se oggi non ne siamo capaci.
Non a caso chiama due coppie di fratelli, profetizzando lo sguardo con cui ci avrebbe raccolti e chiamati insieme con le persone che non immaginiamo. I l frutto del peccato di Adamo ed Eva, infatti, è stato l’omicidio di Abele: “sono forse il guardiano di mio fratello?” disse Caino. Come ciascuno di noi, quando irrompe l’invidia e la gelosia ci soffoca. Gesù “passa” e chiama Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù riconciliando quello che la carne e il peccato avevano diviso.
Gesù “passa” e ridona ordine e dignità alla nostra storia, combatte con il nostro uomo vecchio con la forza del suo sguardo e della sua parola. Solo quando saremo liberi potremo farci schiavi di tutti, al punto di offrirci come “pescatori di uomini”.
Il suo amore fa nuove tutte le cose. Senza disprezzare nulla di ciò che siamo, come Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo che, pescatori, hanno continuato ad esserlo, ma con un'altra qualità, un altro senso: la loro vita sino ad allora messa al servizio di se stessi, era ora “gettata” come una rete al servizio della felicità dell'altro.
Così, nella chiamata di Gesù, quello che siamo, carattere, parole, debolezze, capacità, tutto si trasfigura, acquisisce un senso che colma e sazia. “Convertirsi” è proprio questo: lasciare che la Parola di Gesù “converta” carne, mente e anima al suo amore, portando a perfezione tutto quello che ci appartiene.

*
III domenica del Tempo Ordinario
Anno A
Mt 4,12-23
26 gennaio 2014
Commento di ENZO BIANCHI
Gesù aveva detto a Giovanni il Battista, che non voleva battezzarlo sentendosi indegno (cf. Mt 3,14) di fronte al “più forte di lui” (cf. Mt 3,11): “Occorre che adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15), cioè “occorre che tu e io compiamo tutta la volontà di Dio”. E la volontà di Dio è stata compiuta da Giovanni fino all’estremo, fino a dare la testimonianza che lo ha portato in carcere per ordine del re Erode. Giovanni è dunque in prigione per volontà degli uomini malvagi, ma è anche “consegnato da Dio” (paredóthe): anche nella passione il Battista è precursore di Gesù (cf. Mt 17,22; 20,18: stesso verbo greco).
Secondo il vangelo di Matteo, quando Gesù viene a sapere questa notizia riguardo a colui che è stato il suo rabbi, allora si ritira in Galilea, lasciando il deserto dove era stato tentato (cf. Mt 4,1-11) e la regione presso il Giordano in cui era stato battezzato (cf. Mt 3,13-17). Va in Galilea, regione settentrionale della terra di Israele, a Nazaret, città in cui era stato allevato da Maria e Giuseppe, e va ad abitare a Cafarnao, sulla riva del lago.
Questo territorio era considerato con sospetto dai giudei, perché terra in cui si erano infiltrati i gojim, i pagani, fin dall’VIII secolo a.C., quando le tribù di Zabulon e di Neftali erano cadute in mano agli assiri ed erano state deportate. Terre che avevano dunque conosciuto la prima shoah (catastrofe), terre in cui regnavano tenebra, dolore e morte della fede. Eppure Isaia, nel libretto dell’Emmanuele (cf. Is 6-12), aveva profetizzato che proprio da queste terre avrebbe iniziato a brillare una grande luce (cf. Is 8,23-9,1).
E per Matteo ecco il compimento: la missione di evangelizzazione di Gesù parte proprio da qui, dove sorge la luce, ossia dove Gesù fa la sua prima manifestazione da uomo adulto in mezzo al suo popolo. Ecco dove Gesù comincia (érxato) a predicare la conversione, il cambiamento del modo di pensare e di vivere, perché il Regno di Dio si è avvicinato. Messaggio breve ma densissimo. Ormai è possibile far regnare Dio nella propria vita, basta convertirsi, perché il Regno di Dio stesso, Gesù, il Figlio di Dio, nella forza dello Spirito santo è tra gli uomini.
Cosa accade allora? Gesù
passa sulle rive del mare di Galilea,
vede degli uomini,
chiama dietro a sé.
Questa è la vocazione da parte del Signore, sempre, allora come oggi. La stessa esperienza può essere narrata ancora oggi da uomini e donne che – come quel giorno Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni – hanno incontrato Gesù.
Gesù passa, cioè si fa vicino e fa sentire la sua presenza. Non c’è nulla di straordinario o di divino che si imponga o che costringa: no, è una presenza umanissima, ma viene sentita come affidabile. È una presenza con uno sguardo che vede, sicché chi incontra questo sguardo si sente visto, in modo unico, e quindi si sente chiamato, distinguendo in quella voce umanissima una voce più profonda che attira, dà fiducia e dà forza. Proprio in questo incontro il Vangelo rinasce sempre in tutte le epoche e in tutti i luoghi: c’è e ci sarà sempre chi, ascoltandolo nella voce umanissima di qualcuno, sente di poter dire “sì” al Signore stesso e di potersi mettere subito a seguirlo.
Nella pagina del vangelo odierno sono due coppie di fratelli che vivono questo evento della vocazione da parte di Gesù. Simone, il cui nome significa “obbediente all’ascolto” e che riceverà il nome nuovo di Kefa-Roccia, e suo fratello Andrea, che nel quarto vangelo sarà definito “il primo chiamato” (cf. Gv 1,40-42). Erano pescatori, intenti al lavoro, a gettare le reti… ma proprio in quel momento Gesù passa, vede e chiama: ed ecco che, “abbandonate le reti, lo seguirono”, diventando suoi discepoli. Lo stesso avviene pure per Giacomo e Giovanni, che stavano riparando le reti sulla spiaggia: anch’essi, lasciate le reti e il loro padre, seguirono subito Gesù. Nessuna dilazione, nessun indugio per quei pescatori, nessuna dilazione neppure per noi oggi.
Gesù non è più solo: ha una piccola comunità, e la sua evangelizzazione ha i primi seguaci che compiono anch’essi ogni giustizia, cioè realizzano la volontà di Dio, compiendo pure le sante Scritture sulla terra di Galilea.

Enzo Bianchi

Vedi anche:

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.
***
LECTIO DIVINA
Gesù Cristo, Luce del mondo e Centro dell’uomo
III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A - 26 gennaio 2014


            1) La prima chiamata: “Convertitevi”.
            Nel brano di oggi l’Evangelista e Apostolo Matteo ci narra che Gesù lasciò Nazareth, dove nel nascondimento aveva vissuto una vita quotidiana così normale che nessuno dei suoi compaesani[1] avevano visto in Lui qualcuno di eccezionale, e andò a Cafarnao per portare la luce di Dio. Andò in un luogo, dove c’era una grande mescolanza di ebrei e di altri popoli e per questo era chiamato dai Giudei “Galilea delle genti”, ossia “provincia dei pagani”.
            La logica umana si sarebbe aspettata che l’annuncio messianico partisse dal cuore del giudaismo, cioè da Gerusalemme[2], ed eccolo invece partire da una regione periferica, la Galilea, generalmente disprezzata e ritenuta contaminata dal paganesimo. Ma proprio ciò che costituisce una sorpresa è per San Matteo il compimento di un'antica profezia e il segno rivelatore di Gesù: il Messia universale che frantuma ogni forma di particolarismo.     
            Gesù incominciò da questa “apparente” periferia[3] per illuminare sia la Città santa che il mondo e il suo annuncio è riassunto da San Matteo in una formula concisa: “Il Regno di Dio è vicino, convertitevi”. Queste prime parole di Gesù sono semplici, poche.  San Marco scrive: “Il tempo è compiuto; il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Le parole riportate nel Vangelo di oggi sono ancora più scarne: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17) e, forse, non chiare per noi moderni per la loro stessa sobrietà. Per capirle, e capire pure la differenza tra il messaggio di Giovanni e l’annuncio di Gesù, ne propongo una spiegazione nel linguaggio nostro, cercando di far emergere il loro eternamente vivo significato.
            “Il Tempo è compiuto”. Il Tempo aspettato, profetato, annunziato è giunto a pienezza. E’ compiuto il tempo di vivere senza conoscere la bellezza della vita con Cristo. E’ compiuto il tempo degli inganni. E' tempo di farci aprire gli occhi da Dio e contemplare il Suo volto, che poi diventa in parte il nostro.
            “Il Regno è vicino”. Giovanni il Battista diceva che un Re sarebbe venuto presto a fondare un nuovo regno: il Regno dei Cieli.  Gesù dà la lieta notizia che il  Re è venuto e che le porte del Regno sono aperte. Il Regno non è la fantasia sorpassata di un povero Ebreo di venti secoli fa; non è una cosa antiquata, una memoria morta, un sogno infranto. II Regno dei cieli è in noi. Comincia da subito: è anche opera nostra, per la felicità nostra, in questa vita, su questa terra. Dipende anche dalla nostra volontà, dal nostro rispondere sì o no alla vocazione di Cristo, che ci chiama ad essere santi, cioè a guardare il cielo, a desiderare il cielo e sperare di vivere sempre in cielo. Il Regno di Dio è pace e gioia[4].
            “Convertitevi” aggiunge Gesù. “Convertitevi”: anche questa “vecchia” parola è stata distorta dal suo senso autentico. La parola del Vangelo in greco “Metanoèite” non si può tradurre in latino con “poenitemini” o in italiano con “fate penitenza”. Metànoia è propriamente il cambiamento del modo di pensare, il cambiamento della mente, la trasformazione dell'anima. Metamorfosi è un mutare la forma; metanoia un mutare lo spirito, è cambiare mentalità. Giustamente la traduzione dice “conversione”, che è il rinnovamento dell'uomo interiore. L’idea di “pentimento” e di “penitenza” non sono che applicazioni e illustrazioni dell’invito di Gesù a girarsi verso di Lui, a muoversi verso la luce.
            Il Messia ci invita a convertirci alla luce della verità ed alla beatitudine dell'amore.
            Amandolo lo conosceremo meglio, e conoscendolo meglio Lo ameremo ancora di più: si ama bene soltanto quel che si conosce; l'amore fa trasparente chi s’ama. La prima conversione consiste nel credere, nel credere al Verbo di Amore. “La fede in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale. Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia. La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio.” (Francesco, Lett. Enc. Lumen Fidei, n. 13).
            2) Una chiamata nella chiamata.
            Il brano dell’Enciclica di Papa  Francesco permette di passare al commento della seconda parte del Vangelo odierno che parla della chiamata dei primi discepoli. Questi proposta a seguirLo Gesù la fa sulla riva del lago di Cafarnao, dove Lui stava predicando e dove gli uomini erano intenti al loro lavoro.
            Nessuna cornice eccezionale per la chiamata dei primi discepoli: un porto in riva ad un lago, luogo di lavoro per dei pescatori.       
            Cerchiamo di far emergere i tratti essenziali di questo racconto di vita.
            Gesù è il protagonista. Lui è il personaggio centrale. Sua è l'iniziativa (“vide due fratelli” – Pietro e Andrea – “e disse loro: seguitemi”; “vide altri due fratelli” – Giacomo e Giovanni di Zebedeo – “e li chiamò”).          Non è l'uomo che si autoproclama discepolo, ma è Gesù che converte l'uomo e lo chiama ad essere suo discepolo, scegliendolo con amore. Il discepolo, poi, non è chiamato in primo luogo ad imparare una dottrina ma a vivere con una Presenza, che è il centro affettivo della sua vita di chiamato Al primo posto c'è l'attaccamento alla persona di Gesù.
            Questa adesione esige un profondo distacco. Giacomo e Giovanni, Pietro e Andrea lasciano le reti, la barca e il padre. Lasciano, in altre parole, il mestiere e la famiglia. Il mestiere garantisce sicurezza e stima sociale, il padre rappresenta le proprie radici. Si tratta di un distacco radicale.
            Questo distacco permette di rispondere all'appello di Gesù mediante una sequela totale e gratuita. I due verbi “lasciare” e “seguire” che indicano uno spostamento del centro della vita della persona chiamata. L'appello di Gesù non è in vista di una sistemazione sociale, non colloca in uno stato, ma mette in cammino per una missione.
            Infine si vede che le caratteristiche del discepolo sono almeno due: la comunione con Cristo (“seguitemi”) e un andare verso l’umanità (“vi farò pescatori  di uomini”). La seconda nasce dalla prima. Gesù non colloca i suoi discepoli in uno spazio separato, chiuso: li manda per le strade del mondo. A questo riguardo anche Papa Francesco, parlando del Santo Pietro Favre, gesuita francese, invita a imitare questo “Compagno di Gesù” lasciando che “Cristo occupi il centro del cuore”[5].
            Anche le Vergini consacrate vivono questa “centralità” di Cristo, seguendolo in pieno abbandono e amorosa fiducia. Imitando i primi 4 apostoli scelti da Gesù. Non è un caso che fossero pescatori. Il pescatore, che vive gran parte dei suoi giorni nella pura solitudine dell'acqua, è la persona che sa aspettare. È la persona paziente, che non ha fretta, che cala la sua rete e si affida in Dio. L'acqua fa suoi capricci, il lago ha le sue bizzarrie e i giorni non sono mai eguali.  Partendo par andare al largo in cerca di pesci, il pescatore non sa se tornerà colla barca colma senza neanche un pesce da mettere al fuoco per il suo pasto. Si rimette nelle mani del Signore che manda l’abbondanza e la carestia; si consola del giorno cattivo pensando al buono che venne e a quello che verrà.                           
            Con il genio e sensibilità femminile capace di dedizione suprema, le Vergini Consacrate vivono l’analoga chiamata degli apostoli-pescatori, l’analogo cammino di santità di chi va dietro a Cristo con il cuore dilatato, l’analoga umiltà della santa Famiglia di Nazareth (come richiama la liturgia ambrosiana di oggi), della quale evidentemente Gesù era il centro e dove evidentemente la casa dell’uno era l’affetto dell’Altro.
            Maria e Giuseppe custodirono e aiutarono a crescere Gesù non solo perché da grande avrebbe detto parole di vita eterna, ma perché sapevano nella fede che Lui era la Parola di Vita per sempre.
*
NOTE
[1] “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (Lc 4, 22). Marco e Matteo aggiungono: “Non è costui il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E la sue sorelle non stanno qui da noi? E si scandalizzavano di lui” (Mc 6,3; cf Mt 13,55).
[2] Ai tempi della vita terrena di Cristo Gerusalemme era il centro religioso per un fedele ebreo, ma politicamente si poteva considerare marginale rispetto al potere romano.
[3] Va tenuto presente che Cafarnao, lontana dal Tempio, è più vicina al mare Mediterraneo e sulla rotta delle carovane dei mercanti, e diventa il crocevia di una nuova storia, quella della salvezza.
[4] “Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini”(Rm 14, 17-18).
[5] “Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362). Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci: quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste “pazzie” apostoliche.” (Francesco, Omelia nella Chiesa del Gesù a Roma, 3 febbraio 2014).

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Maestro di vita e medico celeste

Lettura patristica per la III Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


Dal Commento al vangelo di Matteo
di Cromazio di Aquileia 
Avendo saputo che Giovanni era stato arrestato, si ritirò in Galilea [e ciò che segue fino a]su quelli che dimoravano nell’ombra di morte una luce si è levata. Lasciata, dunque, Nazaret, il Signore e Salvatore nostro illuminando con la sua presenza diversi luoghi della Giudea, che si era degnato di visitare, giunse nel territorio di Zabulon e di Neftali per adempiere la predizione profetica e cacciato l’errore tenebroso, infondere la luce della sua conoscenza in coloro che credevano in lui, non solo Giudei, ma anche gentili. Questo fatto l’evangelista ricorda nel presente passo, richiamandosi alle parole del profeta col dire: Al di là del Giordano il popolo di Galilea delle genti, che dimorava nelle tenebre, vide una grande luce. In quali tenebre? Certamente nel profondo errore dell’ignoranza. Qual è la grande luce che vide? Quella di cui sta scritto: Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Di ciò diede testimonianza il giusto Simeone nel Vangelo, dicendo: Luce che hai preparato per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele (Lc 2, 31-32). Che questa luce si doveva levare un giorno nelle tenebre aveva predetto anche Davide, dicendo: È sorta nelle tenebre una luce per i retti di cuore (Sal 111, 4). Anche Isaia parla di questa luce che sarebbe sorta per illuminare la Chiesa, dicendo: Rivestiti di luce, rivestiti di luce, Gerusalemme, perché giunge la tua luce e la maestà del Signore è sorta in te (Is 60, 1) […].
2.
Di questa luce, dunque, nel presente passo è stato detto: Il popolo, che dimorava nelle tenebre, ha visto una grande luce. Ha visto, però, non con la vista del corpo, perché è una luce invisibile, ma con gli occhi della fede e con la visione dello spirito… Prosegue, quindi:Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino. Affinché queste parole del Signore, con le quali esorta a convertirsi, fossero ascoltate, lo Spirito Santo, in precedenza, anche per bocca di Davide, aveva invitato il popolo alla penitenza, dicendo: Se ascolterete oggi la sua voce, non indurite i vostri cuori, come per metter alla prova, quando mi tentarono nel deserto (Sal 94, 8-9). In questo stesso salmo poco sopra, per invitare il popolo peccatore alla penitenza e suggerire sentimenti di compunzione, così si esprime: Venite, prostriamoci davanti a lui e innalziamo suppliche al cospetto del Signore che ci ha creati, perché egli è il nostro Dio. Il Signore esorta alla penitenza, lui che promette il perdono del peccato, lui che dice per bocca d’Isaia:Sono io, sono io che cancello le tue iniquità e non ricorderò i tuoi peccati. Ma tu ricordatene, accusa tu per primo le tue colpe, per essere giustificato (Is 43, 25-26)… Giustamente dunque, il Signore esorta il popolo alla penitenza dicendo: Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino, affinché, in seguito a questa confessione del loro peccato, diventassero degni del regno dei cieli che si avvicinava. Uno, infatti, non può ricevere la grazia del Dio del cielo, se non sarà purificato da ogni sozzura di peccato mediante la confessione di penitenza, mediante il dono del battesimo della salvezza del Signore e Salvatore nostro.
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Prosegue, poi: Passando lungo il mare vide due fratelli [e ciò che segue fino a] e subito, lasciata la barca e il padre loro, seguirono. O felici questi pescatori che il Signore scelse per primi al ministero della predicazione divina e alla grazia dell’apostolato tra tanti dottori della Legge e scribi, tra tanti sapienti del mondo! E certamente degna del Signore nostro e conveniente alla sua predicazione fu tale scelta, per ottenere che nella predicazione del suo nome nascesse un’ammirazione che avrebbe suscitato una lode tanto più grande, quanto più meschini nel mondo e umili nel secolo ne fossero stati i predicatori. Questi non avrebbero conquistato il mondo per mezzo della sapienza della parola, ma avrebbero liberato il genere umano da un errore mortale mediante la semplice predicazione della fede, come dice l’Apostolo: Perché la vostra fede non sia fondata sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio. E ancora: Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto, per confondere i sapienti, e ha scelto ciò che nel mondo è debole, per confondere i forti, e ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzabile e ciò che è nulla, per distruggere le cose che sono (1 Cor 1, 2-5). Non scelse, dunque, i nobili del mondo o i ricchi, perché la predicazione non destasse sospetto, non i sapienti della terra così che si potesse credere che aveva persuaso il genere umano mediante la sapienza mondana, ma scelse i pescatori, illetterati, inesperti, ignoranti, perché fosse evidente la grazia del Salvatore. Umili, è vero, nel mondo anche per l’esercizio della loro arte, ma veramente eccelsi per la fede e per l’ossequio del loro animo devoto, spregevoli per la terra, ma graditissimi al cielo, ignobili per il mondo, ma nobili per Cristo, non iscritti nell’albo del senato di questa terra, ma iscritti nell’albo degli angeli in cielo, poveri per il mondo, ma ricchi per Dio. Infatti il Signore sa chi scegliere lui che conosce i segreti del cuore, quelli certamente che non cercavano la sapienza del secolo, ma desideravano la sapienza Dio, né bramavano le ricchezze del mondo, ma aspiravano ai tesori celesti. Perciò, come sentirono il Signore dire: Venite dietro di me, subito, lasciate le loro reti e il padre e ogni loro bene, lo seguirono. E in ciò si dimostrarono veramente figli di Abramo perché sul suo esempio, udita la voce di Dio, seguirono il Salvatore. Rinunciarono, infatti, subito ai proventi materiali, per conseguire il guadagno eterno, lasciarono il padre terreno, per avere un Padre celeste, e perciò, non a torto, meritarono di essere scelti.
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Il Signore, dunque, scelse dei pescatori che, mutando in meglio il mestiere della pesca, dalla pesca terrena passarono a quella celeste, per catturare come pesci dal profondo gorgo dell’errore il genere umano per la sua salvezza, conforme a ciò che lo stesso Signore disse loro: Venite dietro di me e vi farò pescatori di uomini. Questa stessa cosa aveva precedentemente promesso, per bocca del profeta Geremia, dicendo: Ecco, io manderò molti pescatori, dice il Signore, e li pescheranno. E dopo di ciò manderò dei cacciatori, e li cattureranno (Ger 16, 16). Perciò, sappiamo che gli apostoli furono chiamati non solo pescatori, ma anche cacciatori: pescatori, perché per mezzo delle reti della predicazione evangelica catturano dal mondo tutti i credenti come pesci; cacciatori, poi, perché, per la loro salvezza, catturano, come una caccia voluta dal cielo, gli uomini che vagano nell’errore di questo mondo come in una selva e vivono a guisa delle fiere… Mediante la predicazione apostolica, pertanto, ogni giorno i credenti sono catturati per vivere. E guarda quant’è diversa questa celeste pesca degli apostoli dalla pesca di questa terra. I pesci, infatti, quando sono catturati, muoiono. Gli uomini, invece, sono catturati perché vivano, secondo ciò che il Signore disse Pietro, quando aveva preso una grande quantità di pesci: Non temere: d’ora in poi sarai colui che dà la vita agli uomini.
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Anche Ezechiele, riferendosi apertamente a questi pescatori evangelici in quanto catturano i pesci perché abbiano la vita: E là ci sarà, disse, una gran quantità di pesce, perché là è venuta quest’acqua e sarà salvo e vivrà ogni uomo a cui giungerà questo fiume, e sederanno i pescatori e in disparte asciugheranno le reti, e i suoi pesci saranno come pesci di un grande mare, una quantità abbondantissima. Mirabile, dunque, è questa pesca e meravigliosi i pescatori, che pescano non perché ne muoiano quelli che catturano, ma perché vivano. Secondo quanto avviene su questa terra vivono i pesci che non sono catturati, in questa pesca, invece muoiono quelli che non meritavano di essere catturati. Come, appunto, la pesca di questi pescatori catturi per dare la vita quelli che cattura mostra chiaramente il profeta nella citazione riportata più sopra: Poiché là è venuta quest’acqua e vivrà il pesce a cui giungerà questo fiume. Certamente il profeta non parla di quest’acqua comune né di un fiume terreno, ma dell’acqua del battesimo della salvezza e del fiume della predicazione del Vangelo, dal quale i credenti traggono l’alimento della vita. Vuoi sapere qual è quest’acqua che risana, che cura, che dà la vita? Ascolta: il Signore che dice nel Vangelo:Chi berrà dell’acqua che do io non avrà sete in eterno, ma in lui ci sarà una fonte di acqua zampillante per la vita eterna (Gv 4, 13-14). Vuoi sapere anche che cosa sia questo fiume nel quale si ha la vita? Ascolta il profeta che dice: L’impeto del fiume rallegra la città di Dio(Sal 45, 5). Così, dunque, mentre costoro pescano siamo catturati dal mare di questo mondo, siamo tratti dal gorgo dell’errore, per rinascere nell’acqua del battesimo e, purificati dal fiume del Vangelo, rimanere in vita.
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Prosegue, poi: E Gesù percorreva tutta la Galilea [e ciò che segue fino a] e al di là del Giordano. Che questo sarebbe avvenuto aveva predetto Isaia dicendo: Egli ha preso su di sé nostre sofferenze e ha guarito la nostra pena. Per questo, infatti era venuto il maestro di vita e il medico celeste, Cristo Signore, cioè per istruire gli uomini col suo insegnamento, fonte di vita, e per guarire con la medicina celeste i mali del corpo e dell’anima, per liberare i corpi posseduti dal diavolo e ricondurre alla vera e completa salute coloro che erano affetti da ogni sorta d’infermità. Infatti, curava le malattie fisiche con la parola della potenza divina e con la medicina dell’insegnamento celeste risanava le ferite dell’anima. E Davide mostra con chiarezza che tali ferite dell’anima sono guarite solo da Dio, quando dice: Benedici, anima mia, il Signore e non dimenticare tutti i suoi benefici. E aggiunse: Egli perdona tutte le tue colpe e guarisce tutte le tue malattie (Sal 102, 2-3). Vero, dunque, e perfetto medico è quello che dona sanità del corpo e rende la salute dell’anima, il Signore e Salvatore nostro, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen. (Cromazio di Aquileia, Commento a Matteo, Trattati 15-16).