domenica 26 gennaio 2014

Mai soli davanti alla morte



I vescovi francesi e il dibattito sull’eutanasia. 

(Giovanni Zavatta) L’esperienza della morte è un momento della vita che deve restare, fino alla fine, inserito in un legame sociale, solidale, con altri esseri umani. Legiferare in materia deve salvaguardare tale obiettivo. È per questo che «dobbiamo abbandonare l’idea di una risposta tecnica da dare a un problema “da risolvere”. Una legge non eviterà — il contrario sarebbe drammatico per la condizione umana — il dibattito morale fra il personale curante, o la sofferenza dei familiari. Il confronto con la morte è, in ogni caso, una sofferenza, per il paziente ma anche per chi lo accompagna.
Dobbiamo quindi provare a guardare in faccia una dolorosa verità: quelle che siano le misure prese per accelerare la morte o per alleviare l’agonia, non possiamo sbarazzarci della sofferenza del morire, che non è solo costituito dal dolore fisico ma anche da questo lutto interiore e dal rapporto con l’altro che tutti noi dobbiamo vivere». Si sofferma in particolare sul «dovere di accompagnare», fino all’ultimo dei loro giorni, «i più vulnerabili», rappresentati in questo caso dai malati terminali, la riflessione che il Consiglio famiglia e società della Conferenza episcopale francese ha diffuso nei giorni scorsi come contributo al dibattito sull’eutanasia, al centro di un controverso disegno di legge che vorrebbe introdurre una forma di suicidio assistito per alleviare le sofferenze del malato. Il documento, intitolato Notre regard sur la fin de vie e firmato dal presidente del Consiglio famiglia e società, Jean-Luc Brunin, vescovo di Le Havre, si conclude con le parole usate dall’arcivescovo presidente della Conferenza episcopale, Georges Pontier, nel discorso di apertura dell’ultima assemblea plenaria, il 5 novembre 2013 a Lourdes. Parole che in qualche modo sintetizzano l’intera riflessione: «Prima di legiferare ancora, ci si chieda se ciò sarebbe per dare un segno più grande di rispetto per la persona umana, di solidarietà con essa, o piuttosto di un nuovo cedimento della nostra solidarietà familiare e sociale, a volte esigente ma sempre portatrice di frutti».
Da un punto di vista cristiano, la sofferenza della morte non può essere negata ma va affrontata con gli altri «nel quadro di un concetto dell’essere umano fondamentalmente in relazione e la cui dignità resta inalienabile. Tale visione dell’uomo è radicata, per i cristiani, nel cambiamento di prospettiva che la morte e la risurrezione di Cristo hanno apportato al senso stesso della morte umana». Attraverso essa può giungere un aiuto reale a coloro che soffrono e a una società che «ha difficoltà a considerare la fine della vita come un fatto concernente in primo luogo la solidarietà umana con tutti». Del resto lo stesso Rapport Sicard, elaborato dalla Missione presidenziale di riflessione sul fine vita istituita per decreto da François Hollande il 17 luglio 2012, nelle sue conclusioni sottolinea che «sarebbe illusorio pensare che il futuro dell’umanità si riassuma con l’affermazione senza limiti di una libertà individuale, dimenticando che la persona umana vive e immagina se stessa solo collegata ad altri e dipendente da altri. Un vero accompagnamento del fine vita ha senso soltanto nell’ambito di una società solidale che non si sostituisce all’individuo ma gli testimonia ascolto e rispetto al termine della sua esistenza».
Notre regard sur la fin de vie è stato pubblicato il 17 gennaio, il giorno dopo una dichiarazione (Fin de vie: pour un engagement de solidarité et de fraternité) diffusa dal Consiglio permanente, quasi a voler dedicare una più approfondita analisi a questioni complesse che interrogano i cattolici, in particolare quelli impegnati nel settore della sanità, oltre ai malati e loro familiari. I vescovi, pur non dichiarandolo esplicitamente, si mostrano contrari a una modifica della legge Leonetti del 22 aprile 2005, che in Francia regola la materia attraverso cinque principi generali: divieto assoluto di dare deliberatamente la morte; no all’accanimento terapeutico; rispetto del parere del paziente (in grado di esprimere la propria volontà) riguardo il carattere «non ragionevole» di determinate cure; obbligo per il medico di alleviare il dolore, rispettare la dignità del paziente e accompagnare i suoi familiari, e di dispensare in caso di necessità le cure palliative; protezione dei differenti attori attraverso la tracciabilità delle procedure seguite.
Nel 2012 una serie di sondaggi ha mostrato come un certo numero di francesi fosse favorevole alla possibilità di chiedere al medico “un aiuto a morire” in caso di stato terminale giudicato insopportabile. Da allora la questione dell’eutanasia è tornata prepotentemente alla ribalta, grazie anche a una martellante presentazione mediatica di alcuni tragici casi: «Ogni volta — scrive il Consiglio famiglia e società — la gravità della situazione e la sofferenza dell’individuo suscitano un’emozione collettiva, spesso scientemente orchestrata, che sembra non potersi tradurre che con una nuova richiesta di legalizzare l’eutanasia».
Da una parte i sostenitori della “buona morte” (con l’assistenza medica al suicidio), dall’altra i difensori delle cure palliative. Si scontrano due mondi, due maniere di intendere il rispetto della dignità umana. Il Consiglio episcopale separa la richiesta di eutanasia da parte della società (una società che «prova un sentimento di impotenza e di rivolta davanti al dolore» e che «non riesce più a porsi di fronte alla sofferenza») da quella proveniente dal paziente e dai suoi familiari. Nel secondo caso «esiste spesso un’interazione complessa fra il malato, la sua famiglia e il personale curante», caratterizzata da «sentimenti contraddittori».
In questo periodo doloroso del fine vita, anche i medici e gli infermieri si sentono spesso soli, «di fronte ai limiti dell’ipertecnicità del sostegno e alla forte pressione di una medicina che potrebbe tutto». E anch’essi «hanno bisogno di essere sostenuti nelle decisioni da prendere per accompagnare» il morente.
I vescovi citano Immanuel Kant e la sua Metafisica dei costumi quando ricordano la massima «Agisci in modo da trattare l’umanità, nella tua come nell’altrui persona, sempre come fine, mai come semplice mezzo», concludendo che reclamare l’assistenza al suicidio «coinvolgerebbe l’altro in una decisione che è per se stessi. La libertà altrui sarebbe così direttamente implicata in una solidarietà per la morte e non in una solidarietà per la cura». Onorare la dignità assoluta della persona umana significa, invece, dedicarvi attenzione, creare le condizioni affinché tale principio sia rispettato. Fino alla fine.

L'Osservatore Romano

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Nota dei presuli belgi. Il divieto di uccidere è il fondamento della società

Nuovo appello dei vescovi belgi contro l’eutanasia. In una nota, i presuli sottolineano di sentirsi «fortemente interpellati» dalla proposta di legge in discussione alla Camera, relativa all’eutanasia sui minori. Un progetto che mira a estendere — sulla scia della strada intrapresa dai Paesi Bassi — il quadro legale per autorizzare l’eutanasia sui minori previo il parere di uno psicologo che attesti la capacità di discernimento del ragazzo.
Solo i minori che vivono sofferenze fisiche insopportabili e non curabili, in fase terminale, potranno ricorrere all’eutanasia, sotto la supervisione di un team di medici e con il consenso dei genitori. Ma perché «legiferare in una materia così delicata?», si domandano i presuli, che sollevano una serie di obiezioni. La prima riguarda «il divieto di uccidere, uno dei fondamenti della società». Infatti, «aprire la porta all’eutanasia sui minori significa correre il rischio di estenderla ai disabili, ai malati mentali, a coloro che sono stanchi di vivere». In pratica, significa «trasformare il senso della vita umana e accordare il valore di umanità solo a coloro che sono in grado di riconoscere la dignità della propria vita». Un’altra osservazione riguarda la pratica medica. «Ci si dimentica il ruolo della sedazione per calmare il dolore e l’importanza delle cure palliative», notano i vescovi, ricordando la necessità di una riflessione sulla morte, affinché non sia «un tabù», ma si possa raggiungere «con dignità, rispettando il valore della vita».
L'Osservatore Romano