martedì 28 gennaio 2014

Non si rafforza l’unità cancellando le identità


Lettera del segretario del sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia. 
L’ortodossia in America non è preparata per la riorganizzazione delle sue diocesi e, anche se va condiviso l’obiettivo di tendere verso un migliore ordine canonico all’interno dei ministeri in queste terre, «non possiamo accettare che la comunità ortodossa in Nord e Centro America richieda o sia sotto mandato canonico di ristrutturare la propria organizzazione in modo tale da recidere i legami attivi con le sue varie Chiese madri».
Ciò sarebbe «una questione di grave pericolo spirituale per le anime di tutto il nostro gregge in queste terre, che sia etnicamente di retaggio russo oppure no, perché noi consideriamo che questi legami abbiano un valore essenziale per fornire un sicuro fondamento spirituale per la vita di tutti gli ortodossi in America del Nord». È negativa la risposta della Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia (Rocor) alla proposta di ristrutturazione canonica negli Stati Uniti presentata all’Assemblea dei vescovi ortodossi canonici in Nord e Centro America dal relativo Comitato per la pianificazione territoriale. In una lettera indirizzata all’arcivescovo Demetrios, presidente dell’Assemblea, il segretario del sinodo dei vescovi della Rocor, Kyrill, arcivescovo di San Francisco e America Occidentale, sottolinea che la Chiesa russa all’estero è sotto l’autorità canonica della sua «cara e grande Madre», la Chiesa ortodossa russa, ed è obbligata a servire il proprio gregge devoto, che desidera rimanere nel suo seno.
Nella lettera — della quale il sito on line della parrocchia ortodossa di San Massimo a Torino (patriarcato di Mosca) ha pubblicato una traduzione in italiano — Kyrill spiega fra l’altro che «il mezzo di forgiare un’unità più forte tra le Chiese ortodosse del Nord e Centro America» non è «il collasso delle identità e delle strutture delle nove giurisdizioni attualmente rappresentate in questo territorio» ma «un aumento del legame di amore reciproco che ci permette di vivere insieme nella nostra diversità, e tuttavia nell’unità più perfetta dello Spirito».
La Rocor, in estrema sintesi, respinge l’idea di separare le strutture ecclesiastiche delle differenti giurisdizioni dalle Chiese madri, con l’obiettivo di assicurare loro unità e canonicità.
Pieno l’accordo con il vescovo Daniil, della diocesi bulgara negli Stati Uniti e in Canada, sui paradigmi esistenti all’interno dei sacri canoni «per i mezzi accettabili di organizzare l’unità della Chiesa in una regione che per vari motivi non può seguire il paradigma altrimenti standard di una struttura puramente locale». Essi includono, per esempio, il trentanovesimo canone del sesto concilio ecumenico (che ha consentito una provincia ecclesiastica indipendente della Chiesa di Cipro entro il territorio di un’altra Chiesa locale) o il secondo canone del secondo concilio ecumenico (possibilità di inviare vescovi da eparchie stabilite per prendersi cura dei fedeli in territori dove non c’è una Chiesa ortodossa locale stabilita), così come alcune pratiche esistenti all’interno delle Chiese locali (fondazione di monasteri e comunità stavropigiali), tutti «mezzi accettabili» che «si addicono alle esigenze pastorali di una regione». Più esplicitamente, «non possiamo ritenere e non riteniamo che questi contesti del passato siano “non canonici”, e nemmeno consideriamo che l’attuale situazione di molteplici Chiese sorelle che si occupano delle diverse esigenze del gregge nella situazione culturale unica del Nord America sia, di per sé, una violazione dell’ordine canonico». Del vescovo Daniil, soprattutto, viene condivisa tale dichiarazione, riportata alla fine della lettera del segretario del sinodo: «Siamo fermamente convinti che un piano, che è interamente nello spirito dell’ecclesiologia ortodossa, della tradizione canonica e della prassi della Chiesa ortodossa, e che conserva i diritti delle Chiese sorelle di amministrare il proprio gregge nella diaspora, è fattibile e applicabile, e questa in effetti è la nostra comprensione della decisione delle Chiese sorelle della quarta Conferenza pre-conciliare panortodossa a Chambésy».
La Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia parla della necessità di adoperarsi per una maggiore collaborazione fra tutti gli ordinamenti, riconoscendo che esistono situazioni di anomalia canonica da correggere: si citano, al riguardo, le pratiche divergenti sulla conduzione dei matrimoni interreligiosi, le procedure di accoglienza nella Chiesa, approcci diversi al digiuno, questioni concernenti la confessione e la preparazione alla santa comunione, l’escardinazione e la ricezione del clero. «Qui vi è la necessità di maggiore cooperazione e dialogo fra tutti i gerarchi del Nord America, in umile obbedienza alla tradizione della Chiesa, in modo che i fedeli giungano facilmente a vedere quell’unità più vera, che esiste nella diversità, e che supera le carenze attraverso l’obbedienza e l’amore».

L'Osservatore Romano

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L'ecumenismo di Papa Francesco

Parole e gesti del vescovo di Roma per l'unità dei cristiani

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO
A ormai quasi un anno dall'elezione di Francesco e a conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani è possibile tracciare una sorta primo bilancio sull'ecumenismo di Papa Bergoglio. «Per me l'ecumenismo è prioritario», aveva detto lo scorso dicembre nell'intervista con «La Stampa» e «Vatican Insider».

E fin dai primissimi giorni, anzi dai primi momenti dopo l'elezione, alcune sue scelte hanno avuto un'eco positiva in ambito ecumenico.

Vescovo di Roma
Francesco al momento del primo affaccio dalla loggia centrale di San Pietro ha insistito in modo particolare sul suo essere «vescovo di Roma»: ha voluto accanto a sé il suo cardinale vicario; la prima mattina del suo pontificato si è recato a rendere omaggio a Maria «Salus Populi Romani» nella basilica di Santa Maria Maggiore (vi sarebbe poi tornato molte volte), per affidare la città alla custodia della Madonna; ha mostrato di tenere in modo particolare al legame con la diocesi, con i suoi poveri, con le sue parrocchie, iniziando a visitarne alcune di periferia secondo una modalità nuova, nel pomeriggio di domenica. Una modalità che gli permette di dedicare più tempo e più attenzione all'incontro con le persone, con tutti coloro che gli si vogliono avvicinare. Questo non rappresenta di per sé una novità: il Papa è tale perché vescovo della Chiesa di Roma che «presiede nella carità», come scriveva Ignazio di Antiochia. La priorità data a questo aspetto, e la disponibilità a una «conversione del papato» (Francesco ne accenna nell'Evangelii Gaudium) che nell'esercizio del primato petrino lo sottolinei, è stata ben accolta, in particolare in ambito ortodosso.

Casa Santa Marta
La decisione di Francesco di non vivere nell'appartamento pontificio, ma di rimanere nella stanze della suite 201 della Casa Santa Marta, ha avuto una conseguenza pratica anche nei rapporti ecumenici. Le delegazioni delle Chiese e delle comunità ecclesiali in visita a Roma sono ospitate nella stessa residenza, e il Papa, lontano dai riflettori dell'ufficialità, può andare ad accoglierle sulla porta di casa e può condividere con loro momenti di amicizia e convivialità, vivendo sotto lo stesso tetto. È accaduto così nei primissimi giorni del pontificato con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, venuto - ed è stata la prima volta - per partecipare alla messa d'inizio del ministero del nuovo vescovo di Roma. Ha detto il Patriarca di Costantinopoli:

«Quando ci siamo incontrati lì, l'abitare entrambi a Santa Marta è stata l'occasione per avere scambi fraterni e per condividere la tavola. Il Papa come si sa è andato ad abitare nella suite che solitamente mi veniva assegnata quando andavo in visita in Vaticano. Ad un certo punto mi ha detto: "Le ho preso la sua stanza...". Io ho risposto: "Gliela lascio volentieri!"».
«In questi primi nove mesi - ha confermata il Papa nell'intervista dello scorso dicembre - ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest'ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l'eucaristia insieme, ma l'amicizia c'è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l'unità. Ci siamo benedetti l'un l'altro, un fratello benedice l'altro, un fratello si chiama Pietro e l'altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso...».

Sinodo e G8
Tra le prime decisioni del nuovo Papa c'è stata quella - annunciata il 13 aprile 2013, a un mese esatto dall'elezione - di costituire un gruppo di otto cardinali consiglieri a cui affidare il progetto di riforma della Curia romana ma al quale chiedere aiuto anche nel governo della Chiesa universale. Inoltre, Francesco ha voluto riformare praticamente la modalità di lavoro del Sinodo, per permettere una consultazione realmente collegiale e vasta in tutta la Chiesa. Ha detto ancora il Patriarca Bartolomeo: «Siamo molto contenti dell'accento da lui posto sul suo essere innanzitutto "vescovo di Roma". E siamo anche contenti della sua decisione di nominare otto cardinali incaricati di consigliarlo: una scelta che va nella direzione della sinodalità, caratteristica della nostra Chiesa».

Insieme verso Gerusalemme
Concludendo l'omelia dei vespri celebrati nella basilica di San Paolo fuori le Mura per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, Francesco ha detto: «L’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino. Se noi non camminiamo insieme, se noi non preghiamo gli uni per gli altri, se noi non collaboriamo in tante cose che possiamo fare in questo mondo per il Popolo di Dio, l’unità non verrà! Essa si fa in questo cammino, in ogni passo, e non la facciamo noi: la fa lo Spirito Santo, che vede la nostra buona volontà». Una tappa del camminare insieme è prevista il prossimo maggio. Francesco andrà in Terra Santa, su invito di Bartolomeo I, per un breve pellegrinaggio di preghiera in memoria di quello storico avvenuto cinquant'anni fa, quando Paolo VI - primo successore di Pietro a rimettere piede nei luoghi dove Gesù era vissuto - incontrò e abbracciò il Patriarca di Costantinopoli Atenagora.

L'ecumenismo del sangue
Infine, c'è un altro ecumenismo del quale ha parlato Papa Francesco. È quello del sangue. «In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l'unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L'unità è una grazia, che si deve chiedere. Conoscevo ad Amburgo un parroco che seguiva la causa di beatificazione di un prete cattolico ghigliottinato dai nazisti perché insegnava il catechismo ai bambini. Dopo di lui, nella fila dei condannati, c'era un pastore luterano, ucciso per lo stesso motivo. Il loro sangue si è mescolato. Quel parroco mi raccontava di essere andato dal vescovo e di avergli detto: "Continuo a seguire la causa, ma di tutti e due, non solo del cattolico". Questo è l'ecumenismo del sangue. Esiste anche oggi, basta leggere i giornali. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d'identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà».

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Diario Vaticano / I cardinali che custodiscono la borsa   
Chiesa - L'Espresso
 
(***) Hanno il compito di sovrintendere allo IOR. Quattro su cinque sono nuovi. Li ha nominati a sorpresa papa Francesco. Che ora si appresta a rifare da capo anche la commissione teologica internazionale (...)