venerdì 31 gennaio 2014

Un frutto e una promessa di fraternità cristiana




Nel documento della Commissione teologica internazionale su monoteismo e violenza. 

(Philippe Vallin)
L’esercizio contemporaneo della riflessione teologica, nella Chiesa cattolica, si trova di fronte a una duplice sfida che illustra bene l’impresa affidata alla nostra sotto-commissione. Da una parte, la mobilità dei fenomeni religiosi e l’inedita pubblicità che i nuovi mezzi di comunicazione apportano loro fanno circolare tra l’opinione pubblica una quantità enorme e allo stesso tempo nebulosa di conoscenze e di emozioni provenienti dal registro delle credenze. Del resto non è facile discernere tra tutte queste espressioni quelle la cui sostanza è autenticamente religiosa e quelle la cui apparenza religiosa potrebbe essere utilizzata, anzi deviata, verso fini non religiosi.Mentre il passato aveva racchiuso in compartimenti più o meno stagni le esperienze vissute in ogni religione e, a partire da qui, le successive riflessioni che le società interessate potevano trarne, soprattutto negli ambienti colti, la situazione attuale offre lo spettacolo di un’abbondante circolazione dei fenomeni religiosi, a volte un po’ selvaggia. Inutile approfondire qui ciò che ognuno può constatare ogni giorno; la giusta interpretazione di questi mille linguaggi di credenze, di status e di autorità variabili oscilla tra la confusione di Babele e la trasparenza di Pentecoste. Ma è indubbio che la posta in gioco del dibattito e del chiarimento razionali condiziona la pace tra gli uomini, la fraternità di tutta la famiglia umana. A quanto pare, più l’informazione circola più porta con sé approssimazioni o controsensi.
Un altro fenomeno ha d’altronde assunto uguale rilievo: lo studio scientifico delle religioni nelle facoltà universitarie che vi si dedicano ha moltiplicato i suoi spartiti, in chiave storica, etnografica, filologica, o secondo i metodi della psicologia e della sociologia religiose. Questo sviluppo, senza alcun dubbio, è stato originato da un rinnovato interesse per un asse organizzativo della vita collettiva e personale, la religione. Le menti meno prevenute capivano bene che la razionalità scientifica, in generale, non avrebbe guadagnato nulla dal ridicolizzare le produzioni simboliche, estetiche e filosofiche della religione. Lo testimonia il considerevole sviluppo della filosofia della religione come riflessione fondamentale dell’antropologia. In molte culture moderne, il cui vigore si era come armato sia nella critica opportuna e inopportuna delle religioni sia nella certezza della secolarizzazione delle società, si è incominciato a produrre un equilibramento che sembra aver avuto come conseguenza semi-felice il fatto che la caricatura, il disprezzo a priori, anzi l’aggressività, hanno disertato l’anfiteatro della cultura colta, per essere questa volta abbandonati agli scenari della sottocultura mediatica.
Non ci si deve sbagliare sulla tonalità d’umore attribuita alla duplice descrizione precedente: anche se la rapidità e talvolta la brutalità della ricomposizione religiosa sulla superficie della terra possono sconcertare i discepoli di Cristo, come d’altronde tutti gli uomini di buona volontà, la Chiesa vuole attingere da qui la speranza gioiosa di un annuncio più “aggiustato”, più specifico, del mistero di salvezza che la Trinità le ha dato come missione da proporre alle nazioni. Poiché essa considera tutto il valore della razionalità nell’atto di fede, non può che rallegrarsi di questa occasione realmente provvidenziale che abbatte le barriere dello spazio delle credenze e che, con un uguale movimento meno percepito, abbatte anche le barriere della successiva riflessione il cui oggetto era stato il fenomeno religioso. Successiva riflessione della teologia delle religioni i cui approfondimenti recenti hanno saputo onorare, con maggiore lucidità antropologica, con più pazienza e più rispetto evangelici, e semplicemente con maggiore realismo storico, l’immensa esperienza religiosa delle comunità umane. Qui, ammettiamolo, il pensiero cristiano si è ricordato meglio del paziente sguardo del suo Signore (Giovanni, 4, 20-26) che al tempo dell’apologetica spicciola contro le idolatrie. Ma, guardandola più da vicino, la successiva riflessione delle scienze religiose avrà dovuto abbattere anche le proprie barriere, per estendere ad altre percezioni il rapporto originario con la credenza che queste avevano ricevuto da un contesto storico troppo particolare: un’intera storia delle religioni, per esempio, nelle facoltà universitarie, era dipesa dalle opzioni della geopolitica coloniale. Ci si può chiedere se lo strano favore che ha riscontrato il fatto politeista in alcune retoriche dell’ideologia contemporanea non risponda a una sorta di reflusso geopolitico mediante il quale si vogliono abbattere i presupposti culturali della superiorità occidentale: questi di fatto erano stati associati alla descrizione estrinseca di un monoteismo di progresso attraverso una razionalità scientifica con fini secolarizzanti. La nostra insistenza sulle conquiste del pensiero filosofico, integrate nella tradizione teologica, mostra come ci si può sempre astrarre da queste interferenze contingenti.
La nostra ricerca si è dunque confrontata con l’amplificarsi di una tematica un po’ invasiva — la violenza del monoteismo in quanto tale — amplificarsi che sembra essere stato prodotto proprio dall’abbattimento delle barriere appena ricordate. La parte relativa alla polemica non era di nostra diretta competenza, se si ammette che i movimenti di opinione sono oggi capaci, specie in questi campi, di pulsazioni erratiche che sfidano l’esame razionale. Dovevamo soprattutto cogliere la grazia di un momento promettente per la Chiesa: poiché per natura integra la razionalità nel percorso di fede, questa è completamente aperta alla conversazione argomentata e contraddittoria che l’espressione della sua dottrina deve intrattenere con i ricercatori di scienze religiose. Non è un male che essi si siano posti, con buon metodo, in una posizione che noi riteniamo estrinseca rispetto all’interiorità della rivelazione sovrannaturale a cui noi aderiamo ab intra. Per la nostra questione, dovrebbe risultare ben chiaro che i concetti estrinsechi di “monoteismo” e di “politeismo”, pur implicando un valore di classificazione concettuale, di tassinomia scientifica, non ricoprono indubbiamente l’intero spazio di comprensione del mistero del Dio unico, del quale l’autorivelazione di Dio e la metafisica a Lui immanente ci hanno aperto la magnifica visione. La conseguenza più importante è: un altro Dio fa un altro uomo di modo che in Gesù, vero Dio e vero uomo, la Trinità, secondo la sua unità consustanziale così misteriosa, inaugura nell’unica famiglia umana la novità di una comunione inaudita.
Attenzione, la conversazione che abbiamo voluto intrattenere con la razionalità estrinseca dello studio scientifico non ci avrà lasciati indenni, come se avessimo posato la nostra Verità sovrannaturale sul tavolo nel suo cofanetto prezioso e chiuso, senza sforzarci di arricchirci ulteriormente nel dibattito. Interrogato dall’esterno, il Vangelo della Santa Trinità mostra in modo nuovo le sue innumerevoli luci e dolcezze, soprattutto per chi ha il compito di annunciarlo dall’interno. Siamo noi, i discepoli del Signore, che per primi non ci rallegriamo abbastanza del nostro Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e di questo amore di agape che Egli ci spinge a diffondere per l’irrigazione vivificante delle relazioni umane. La vocazione originale della Commissione teologica internazionale, la sua composizione e il suo metodo, hanno accompagnato il lavoro affidato alla nostra sotto-commissione. Si può immaginare come la risonanza stessa dei termini che il soggetto ci aveva obbligato a far circolare tra noi (religione-i, violenze religiose, ateismo, eccetera) sarebbe fortemente contrastata secondo i contesti teologici e accademici di un teologo cinese, di un teologo libanese, di un altro, colombiano, di un esegeta nigeriano che insegna negli Stati Uniti, di due domenicani svizzeri tanto abituati per natura, ma soprattutto linguisticamente, a ordinare l’uno e il multiplo, il monos e il polus. L’italiano ci ha instancabilmente accolti nel suo carisma di comunione semantica, mentre il nostro segretario spagnolo ci ha ricordato l’esigenza di chiarezza, di equilibrio antropologico e di forza evangelizzatrice del documento. Poiché il lavoro della teologia non è solo sincronico, il nostro confratello irlandese si è messo al servizio della memoria degli insegnamenti ecclesiali. In breve, se lo sviluppo storico della rivelazione testimonia chiaramente un’intenzione di poetica concertante, sarebbe vano sperare di riceverla nella fede, per comprenderla e per condividerla, senza la messa in atto di un’ermeneutica concertante.
Invitati a riunirci per un lavoro di fraternità teologica che sappia onorare il «Primogenito di una moltitudine di fratelli», e offrire a tutte le menti le verità della fede nel Dio Trinità, abbiamo iniziato tra fratelli a scambiarcele nel più profondo dei nostri cuori: possano i nostri sforzi di convergenza espletarsi, a beneficio dei nostri lettori e con la grazia di Cristo, fino alla comunione effettiva nella sua Verità!
L'Osservatore Romano