martedì 28 gennaio 2014

Un’incrollabile speranza di pace




A colloquio con il cardinale Sandri sulle iniziative per sostenere i cristiani in Medio oriente. 

(Nicola Gori) Un censimento di tutti i sacerdoti cattolici presenti in Siria per occuparsi più facilmente del loro sostentamento e delle loro necessità spirituali. Lo annuncia il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, in questa intervista al nostro giornale. L’iniziativa si inserisce tra quelle già avviate dal dicastero, in collaborazione con altri organismi caritativi e assistenziali, per alleviare le sofferenze dei cristiani che vivono nei Paesi del Medio oriente.
È continua la preghiera di Papa Francesco e di tutta la Chiesa per il popolo siriano. La pace è ancora così lontana?
Il nuovo anno porta sempre con sé auspici di pace. Il Papa se ne fa promotore con incrollabile speranza. La pace si fonda sul riconoscimento della comune appartenenza per ogni uomo e ogni donna al progetto creativo che Dio Padre ha compiuto nel Figlio, il Crocifisso che è Risorto, rendendoci fratelli. Ma la storia che stiamo vivendo conferma, purtroppo, come il Medio oriente rappresenti l’area nella quale la pace è più ferita. La Siria è nelle preoccupazioni di tutti. Siamo in costante contatto con la nunziatura apostolica e i vescovi per fare tutto il possibile, anche nella assistenza diretta alle popolazioni colpite. Altri organismi della Santa Sede sono lodevolmente impegnati nella stessa sollecitudine. Ne abbiamo parlato a metà gennaio con le agenzie di aiuto alle Chiese orientali e faremo il punto sulla situazione nella Riunione opere in aiuto alle Chiese orientali (Roaco), che terrà a Roma la sessione plenaria annuale. Per parte nostra vorremo fare una ricognizione statistica di tutti i sacerdoti cattolici in Siria e provvedere a ogni possibile sostentamento per le necessità spirituali e materiali molto ingenti. Gli incontri a Montreux e Ginevra sono accompagnati da grandi attese. Aderiamo con convinzione profonda a quanto Papa Francesco ha auspicato nell’udienza generale di mercoledì 23 gennaio: che il Signore tocchi il cuore di tutti e si cerchi unicamente il maggior bene del popolo siriano; che non sia risparmiato sforzo alcuno per giungere con urgenza alla fine del conflitto. Chiediamo concordia, riconciliazione e il coinvolgimento di tutti nella ricostruzione morale e materiale.
Preoccupanti anche le notizie che giungono dall’Iraq e dall’Egitto, e anche dal Libano.
Le sorti di queste due nazioni inquietano al pari della Siria. Il Papa cerca di offrire a esse tutta la possibile sollecitudine: ha nominato recentemente tre nuovi vescovi per la Chiesa caldea, che il patriarca Louis Sako ha ordinato a Baghdad il 24 gennaio scorso. Per parte mia, l’11 gennaio ho ordinato a Beirut il nuovo vescovo vicario apostolico per i Latini della Siria. E il patriarca Ibrahim Sidrak ha concelebrato l’Eucaristia con Papa Francesco il 9 dicembre scorso per significare la comunione ecclesiastica che lega la Chiesa copta alla Santa Sede. Sono segnali forti che il Santo Padre vuole offrire alle Chiese e al mondo perché si prenda consapevolezza che, malgrado tutto, la Chiesa cattolica in Medio oriente va e andrà avanti nel nome del Signore. Anche il Libano è sempre sul crinale di una possibile escalation che lo può trascinare nel vortice della guerra. E non si può non guardare anche all’est europeo, in particolare all’Ucraina, dove la comunità greco-cattolica si trova coinvolta nelle rivendicazioni di libertà, democrazia e rispetto della dignità umana, sfociate purtroppo nel sangue.
Il Papa anche durante l’incontro del 21 novembre scorso, con i patriarchi e gli arcivescovi maggiori delle Chiese orientali cattoliche, ha detto che «non ci rassegniamo a pensare il Medio oriente senza i cristiani».
Con queste parole Papa Francesco ha dato assicurazione ai pastori e ai fedeli orientali di non volerli affatto abbandonare a se stessi, ribadendo che essi sono nel cuore della Chiesa universale. Ciò ha certamernte dato loro molto conforto e incoraggiamento.
E il significato dell’incontro?
È il secondo di questo genere, dopo quello che avvenne nel settembre dell’anno 2009 a Castel Gandolfo. In quella occasione Papa Benedetto annunciò il Sinodo speciale per il Medio oriente. Nel recente incontro Papa Francesco ha delineato la figura spirituale dei “capi e padri” delle rispettive Chiese e poi li ha ascoltati ad uno ad uno sulla situazione dei cristiani nelle loro terre. Era presente anche il segretario di Stato, l’arcivescovo Pietro Parolin. E nell’udienza che è seguita, Papa Francesco ha chiesto proprio di non rassegnarsi all’esodo dei cristiani dall’oriente. Purtroppo però bisogna fare i conti con le condizioni storiche, sociali ed economiche, con i perduranti conflitti tanto violenti che continuano ad alimentare l’inarrestabile esodo di cristiani da quelle terre. Il fenomeno va seriamente affrontato non solo a livello ecclesiale. La prima considerazione, comunque, dovrà essere quella di non ritenere “stranieri” in nessun luogo al mondo quanti cercano il rispetto dei propri diritti fondamentali e la libertà di professare la propria fede. Ancor più nella Chiesa essi devono sentirsi “a casa”.
Quali proposte operative sono uscite dalla vostra recente plenaria?
Ancor prima degli aspetti operativi, va ribadita la finalità della sessione plenaria espressa nel tema generale: «Le Chiese orientali cattoliche a 50 anni dal concilio ecumenico Vaticano II». Il dicastero ha ritenuto indispensabile fare il punto sulla situazione, prima di tutto per riappropriarci del magistero offerto dal concilio. In preparazione all’incontro ho tenuto una relazione al Pontificio Collegio Pio Romeno sul ruolo degli orientali in quella che fu «la nuova pentecoste conciliare» e aprendo il nuovo anno accademico al Pontificio Istituto Orientale ho evidenziato come diversi aspetti dei pronunciamenti e delle disposizioni conciliari attendano tuttora di diventare realtà nella comunità cattolica. Le Chiese orientali, infatti, costituiscono un prezioso patrimonio spirituale per tutti. Le dobbiamo sostenere anche per un debito di gratitudine perché dall’oriente è venuta la luce del Vangelo e a quelle sante origini apostoliche, di cui essi sono i custodi, è indispensabile tornare nella missione evangelizzatrice affidata alla Chiesa intera. Liturgia, formazione e sostegno spirituale e materiale alle Chiese orientali cattoliche già costituiscono il livello operativo.
Avete già individuato le linee di azione per l’anno appena iniziato?
La proposta fondamentale che la plenaria ha consegnato alle Chiese orientali è quella di assumere sempre più decisamente un volto conciliare. Il decreto Orientalium ecclesiarum è una sorta di magna cartha: ne definisce l’identità collocandole nella ecclesiologia di comunione elaborata dal concilio. Poi ne indica la missione: «Di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo il decreto sull’ecumenismo». Perciò auspica la loro fioritura e il loro sviluppo. La Congregazione si pone al loro fianco con questa priorità. Ma poi sono proprio la liturgia, la formazione e il sostegno a guidare il nostro servizio. Sul primo punto si vorrebbe stimolare l’applicazione delle norme del Codice dei canoni delle Chiese orientali in ogni singola chiesa orientale. La Congregazione ha emanato una istruzione fin dal 1996, che necessita di taluni aggiornamenti ma è un valido testo-guida perché ciò avvenga a livello locale. La formazione sarà seguita con la massima cura sia nelle nove istituzioni romane dipendenti direttamente dalla nostra Congregazione, come in ogni altra struttura accademica o formativa orientale in Roma e nel mondo. Si vorrebbe giungere a una ratio studiorum e a orientamenti adeguati per i candidati agli ordini sacri e alla vita monastica e consacrata, ma anche per i laici. Per questi ultimi molto dipende dalla formazione permanente dei ministri ecclesiali e degli animatori pastorali. Quanto al sostegno, accanto alla pastorale ordinaria da garantire alle comunità anche nella dimensione educativa ed assistenziale, sono ormai le emergenze profughi e rifugiati, oltre alle vittime delle violenze in atto, ad impegnare il dicastero e la Santa Sede.
Un’ultima domanda ci porta in Terra Santa. Siamo a cinquant’anni dalla storica visita di Paolo VI. L’anniversario assume un valore particolare alla luce della prossima visita di Papa Francesco. Potrà essere un’occasione anche per la pace?
La dimensione delle visite papali è sempre spirituale, ma certamente sprigiona le risorse più impensate a ogni livello favorendo l’incontro tra le parti e quel dialogo che talora pone delle pietre miliari per la futura concordia. Sono in corso contatti ordinari tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele da un lato, e dall’altro con lo Stato Palestinese, a livello di commissioni di lavoro. È importante ricordare la peculiarità ecumenica di quell’appuntamento e far sì che nella loro unità tutti i battezzati lo preparino facendosi fin d’ora strumenti di pace, come singoli e comunità. La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani appena conclusa ci ha riportato alle parole che in ogni messa precedono la comunione: si chiede al Signore per la sua Chiesa il dono dell’unità e della pace. Non guardi il Signore ai nostri peccati e ricomponga ovunque l’intesa e la concordia. E l’abbraccio che si scambieranno Papa Francesco e il patriarca Bartolomeo, a 50 anni dal primo tra Paolo VI e Atenagora, possa essere espressione di un anelito personale e ecclesiale, verso l’unità. Cristo, infatti, non è diviso.

L'Osservatore Romano