mercoledì 26 febbraio 2014

Il coraggio e la coerenza



Elia Dalla Costa giusto tra le nazioni. 

(Adam Smulevich) Nel 1938, in occasione della visita di Hitler a Firenze, fece lasciare le finestre del palazzo arcivescovile chiuse e non partecipò alle celebrazioni ufficiali indette da Mussolini. Nei mesi della persecuzione antiebraica fu tra i coordinatori della rete di assistenza clandestina che — al fianco della Delasem — mise in salvo centinaia di vittime dell’odio razzista. Il coraggio e la coerenza, l’umanità e la tenacia: un filo conduttore che attraversa l’intera vicenda di Elia Dalla Costa, cardinale e arcivescovo di Firenze per un trentennio esatto (1931-1961) che lo Yad Vashem ha voluto includere tra i Giusti tra le Nazioni onorati per l’impegno profuso a tutela della vita e della dignità umana. 
A poco più di un anno dal riconoscimento, solenne tributo dello Stato di Israele a chi squarciò con la luce dell’azione il buio nazifascista, la consegna della medaglia che ne certifica l’eroismo — mercoledì 26 febbraio a Palazzo Vecchio — ha segnato, per tutta Firenze, un momento di altissimo significato e commozione. Per l’intensità che ha caratterizzato questa esperienza, per la complessità della rete che si trovò ad agire nelle situazioni più intricate, per il coinvolgimento attivo di numerosi esponenti del clero fiorentino e toscano. Ma anche per la consapevolezza, sempre più diffusa, che nell’ora più dura e nelle difficoltà contingenti della persecuzione germogliarono i semi di una nuova stagione di dialogo per ebrei e cristiani e il venir meno di pregiudizi radicati nei secoli. 
Una svolta che vide, tra i suoi artefici, il pastore di origine vicentina che a Firenze trovò una seconda casa e il calore di una città che non lo ha dimenticato. 
Emblematiche in questo senso risultano le parole della storica Anna Foa che, proprio su «L’Osservatore Romano», ha sottolineato come la familiarità nuova e improvvisa che venne a crearsi nelle comunità che aprirono le proprie porte agli ebrei in fuga (una familiarità, rifletteva Foa, «indotta senza preparazione dalle circostanze, in condizioni in cui una delle due parti era braccata e rischiava la vita ed era quindi bisognosa di maggior carità cristiana») non sia stata senza conseguenze sull’avvio e sulla ricezione del dialogo. Per l’attuale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, si tratta di una lettura pienamente sovrapponibile all’impegno di Dalla Costa e al legame intessuto in quei mesi con la leadership ebraica della Delasem e, in prima battuta, con il rabbino Nathan Cassuto. «È fuori di ogni dubbio — ha spiegato Betori in un’intervista che appare sul numero di marzo del giornale dell’ebraismo italiano «Pagine Ebraiche», che già nella primavera del 2012 aveva anticipato il riconoscimento con una doppia pagina firmata dal direttore Guido Vitale — che il passaggio epocale che il concilio Vaticano II ha introdotto nei rapporti tra ebrei e cristiani sul piano dottrinale non sarebbe stato possibile senza la concreta esperienza di vicinanza, conoscenza e fraternità che è maturata in molti luoghi, non da ultimo a Firenze grazie al cardinale Dalla Costa e al rabbino Cassuto».
Dottrina e vita hanno camminato insieme, rilevava ancora Betori, «come deve essere se una dottrina non vuole astrarsi dalla storia e se una vita vuole avere un saldo fondamento di verità». 
Condivide la solennità del momento il rabbino capo di Firenze Joseph Levi che parla di cerimonia «di importanza universale». E questo in virtù di molteplici ragioni, prima delle quali il fatto che l’inclusione di Dalla Costa tra i Giusti dimostri, una nuova volta, che quando si ebbe il coraggio di intervenire contro il regime «fu possibile far arretrare l’aguzzino». Non importa se di un giorno, di una settimana, di un mese: applicandosi personalmente, commenta il rabbino, è possibile cambiare il corso degli eventi: «È la lezione che ci trasmette Dalla Costa. Ce lo insegna anche il testo biblico: quando c’è un pericolo bisogna adoperarsi nei modi più adeguati affinché questo cessi. Mai tirarsi indietro». 
Gratitudine. Questo il sentimento espresso, a nome di tutti gli iscritti, dal presidente della Comunità ebraica fiorentina Sara Cividalli: «Dalla Costa ha guardato, ha visto, non si è girato indifferente, si è impegnato in prima persona e utilizzando la sua influenza per spingere le strutture religiose, i conventi e i cattolici a seguire la sua scelta. Una scelta pericolosa — afferma — ma imperativa per chi era di animo retto e onesto». Ad affiorare è anche un ricordo familiare, trasmessole da un cugino che fu testimone della insolita decisione assunta dal rabbino capo Fernando Belgrado alla notizia della scomparsa del cardinale. «Mi è stato raccontato che il rav invitò tutti i ragazzi entrati nella maggiorità religiosa a rendere omaggio alla sua salma. Un atto inusuale per una comunità ebraica, un’iniziativa che testimonia — incalza Cividalli — un sentimento di riconoscenza che è ancora vivo».
Commosso anche Andrea Bartali, figlio del mitico Gino campione sui pedali e nella vita. Di quella rete di aiuto e assistenza il ciclista di Ponte a Ema, assurto alla leggenda con il soprannome di Ginettaccio, era infatti una delle staffette incaricate di smistare documenti falsi e false identità nelle regioni dell’Italia centrale. La convocazione avvenne all’improvviso: Gino, ci serve il tuo aiuto. «Ci pensò qualche istante. E dopo un quarto d’ora, pur consapevole dei pericoli, scelse di accettare l’incarico. La sintonia tra i due fu immediata — dice Andrea — e questo anche per l’amicizia che da tempo li legava. Dalla Costa è stato uno di famiglia, letteralmente: ha sposato i miei genitori, con lui ho fatto battesimo e prima comunione. Oggi è un giorno di festa».
L'Osservatore Romano