giovedì 27 febbraio 2014

Un manifesto per tutti.




 Voglio diventare amica di questa genitore 1 che ha così coraggiosamente firmato il documento scolastico del prodotto del suo concepimento. (Costanza Miriano)

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“Guardiamo in faccia l’Europa e cambiamole i connotati”. Un manifesto per tutti. Sottoscrivete.

Cosa c’è di più istruttivo – brutale ma istruttivo –, per misurare l’ampiezza e la profondità della crisi europea, della demografia? Per una comunità umana che guardi e prepari il proprio futuro, i numeri della natalità sono decisivi. È con la carne e il sangue, non con le matrici finanziarie, che si produce, si consuma, si creano posti di lavoro, si pagano le pensioni. Ebbene, la prima brutta notizia è questa: nel nostro continente l’infanzia è diventata una quota marginale della popolazione.

La Germania, nazione con il reddito pro capite e familiare più alto d’Europa, i tassi di disoccupazione più bassi e le prospettive occupazionali migliori, i flussi migratori più consolidati e ancora oggi i più alti, ha il tasso di natalità più basso di tutto il continente e viaggia alla media di duecentomila morti che sopravanzano ogni anno le nascite. Significa qualcosa il fatto che il paese più ricco e più efficiente d’Europa è avaro di vita e di futuro? E l’Italia? Dice qualcosa un paese che sta messo come sta messo e anche in fatto di natalità è da record, ultimo in Europa, davanti solo alla Germania?
Una volta, la filosofa europea Hannah Arendt, ebrea tedesca rifugiata negli Stati Uniti, all’indomani della più orribile delle tragedie della storia, la Shoah, diede parola al miracolo che salva il mondo e, insieme, all’ideale bambino per cui il mondo significa ancora qualcosa:
«Il miracolo che salva il mondo, il dominio delle faccende umane, dalla sua normale, “naturale” rovina è in definitiva il fatto della natalità, in cui è ontologicamente radicata la facoltà dell’azione. È, in altre parole, la nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l’azione di cui essi sono capaci in virtù dell’esser nati. Solo la piena esperienza di questa facoltà può conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell’esperienza umana che l’antichità greca ignorò completamente. È questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua più gloriosa e stringata espressione nelle poche parole con cui il vangelo annunciò la “lieta novella” dell’avvento: “Un bambino è nato per noi”».
E invece, significa qualcosa che oggi l’Europa non ha quasi altra fede e speranza se non nei cosiddetti “nuovi diritti”? Non c’è caso di relazioni con altri popoli – ad esempio con paesi dell’Est che chiedono di associarsi all’Unione Europea o paesi del terzo mondo che bussano all’Europa per gli aiuti umanitari – in cui diplomazie e Ong europee non si presentino al tavolo negoziale con la premessa che partnership e aiuti sono “condizionati” all’adozione, da parte degli interlocutori, di questa agenda di “nuovi diritti”. Quali? A quale “fede” e quale “speranza” alludono questi “diritti”?
La fede e la speranza nella diffusione a livello di massa dell’aborto e dei preservativi come “diritti riproduttivi”. Fede e speranza nel matrimonio e nelle adozioni gay come “diritti umani”. Fede e speranza nella “buona morte” e nell’eugenetica come “diritti individuali”. Fede e speranza nel muto avanzare di generati da A e B, madri e padri surrogati, i cui nomi non si dovranno mai pronunciare, figli di “donatori biologici”, ragazzi che a un certo punto della loro vita scopriranno l’assenza di volto umano nella propria storia. Fede e speranza nella cosiddetta “teoria del gender”, nell’indistinto piuttosto che nell’evidente, nel neutro piuttosto che nel reale, nella negazione della differenza sessuale, degli ascendenti e dei discendenti, del maschio e della femmina, della madre e del padre. Fede e speranza nella grande illusione secondo cui l’uomo è padrone del suo destino.
Significa qualcosa il fatto che in cima all’Europa élite e funzionari, politici e burocrati abbiano disposto che questa loro “fede” e questa loro “speranza” diventino prescrittive dalla scuola materna all’università, dal liceo al master? Significa qualcosa che gli organismi europei abbiano imposto agli stati dell’Unione Europea l’obbligo del “gender mainstreaming”, l’obbligo cioè di perseguire politiche attive di implementazione di queste teorie?
Questa è l’Europa? Questo è il nostro ineluttabile destino? Ancora una volta noi pensiamo con Hannah Arendt che «i processi storici sono creati e interrotti di continuo dall’iniziativa dell’uomo, da quell’initium che l’uomo è in quanto agisce. Di conseguenza, non è per nulla superstizioso, anzi è realistico cercare quel che non si può né prevedere né predire, esser pronti ad accogliere, aspettarsi, dei “miracoli” nel campo politico. E quanto più la bilancia pende verso la catastrofe, tanto più l’atto compiuto in libertà appare miracoloso; la salvezza, infatti, non è automatica: automatico è il processo che conduce alla catastrofe, e che deve quindi sembrare in ogni caso irresistibile».
Non c’è niente di irresistibile e di ineluttabile nel processo che sta disintegrando l’Europa.
Nell’ambito economico e del lavoro, sappiamo che solo partendo da una condivisione reale dei problemi dei paesi associati alla comunità europea e solo dal rovesciamento del dogma dell’austerità senza futuro (anche demograficamente parlando) si può immaginare una speranza di ripresa su tutto il continente. Quanto al resto, decisivo perché economia e lavoro abbiano ragioni, cuori, fede e speranza, abbraccino il presente e il futuro bene per tutti, occorre testimoniare socialmente e decidere politicamente che i cosiddetti “nuovi diritti” sono in realtà “nuove schiavitù” per le genti europee (persone omosessuali comprese).
Occorre che tutti ci rendiamo conto dell’importanza che, in forza di quanto descritto sopra, ha oggi l’impegno per la politica e il voto del 25 maggio prossimo per rinnovare il Parlamento europeo.
Primo, per respingere la mentalità indotta dal potere che ci consiglia di stare a casa invece che impegnarci per il cambiamento dell’orizzonte, ideale e materiale, dell’Europa.
Secondo, perché lo dobbiamo ai nostri figli e a tutti gli uomini e donne di buona volontà che desiderano un futuro umano, di pace, libertà e prosperità per l’Europa.
Perciò, quanti vorranno condividere questa sorta di “manifesto” sono invitati a firmarlo e a impegnarsi a sostenere quei politici che non soltanto lo sottoscriveranno, ma lo integreranno nei loro programmi e ne faranno contenuto di concreta battaglia culturale, politica e legislativa in tutte le sedi, nazionali, europee e internazionali.
Tempi

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"Non ero gay, ma mi etichettavano così"

Secondo Luca Di Tolve, le parole di papa Francesco potranno aiutare la Chiesa ad accogliere le persone omosessuali ed aiutarle a trovare la loro vera identità

La storia di Luca Di Tolve è nota a molti. Una gioventù da attivista dell’Arcigay, poi, dopo i trent’anni, la svolta: un percorso psicologico, unito ad un cammino di fede, lo porta a scoprire la gioia dell’amore per una donna e, poco dopo, il matrimonio.
Di Tolve ha poi fondato l’associazione onlus Gruppo Lot – Regina della Pace (www.gruppolot.it) che accoglie le persone omosessuali in crisi di identità, aiutandole a fare le scelte giuste per la loro vita. Recentemente è uscita la nuova edizione riveduta e corretta di Ero gay (Edizioni Kolbe), il libro autobiografico che ha reso nota la sua storia, i cui proventi sono devoluti alla onlus.
A colloquio con ZENIT, Di Tolve ha espresso la sua opinione sulle aggressive politiche delgender in Italia e nel mondo, sulla rivoluzione familiare ed educativa che queste comportano e sulla discussa frase di papa Francesco, “chi sono io per giudicare un gay?”. E annuncia un’ulteriore importante novità nella sua vita: ad aprile diventerà papà.
Luca, cosa sta succedendo in Italia e in Occidente? Perché a tuo avviso la famiglia è così sotto attacco?
Luca di Tolve: È in corso un’aggressione alla famiglia e ai valori “tradizionali” attraverso un piano studiato a tavolino che è in corso da molti anni. Sin dalle prime riunioni dell’ONU, passando per la Conferenza Mondiale sulle donne a Pechino (1995), si parlò di gender, un’ideologia utopica, costruita ad arte e completamente fuori dalla realtà in cui tutti viviamo, secondo cui chiunque può scegliere il proprio sesso. Le associazioni e le fondazioni che la sostengono hanno fatto enormi pressioni, arrivando a corrompere perfino l’establishment scientifico. Si pensi al cambiamento operato dall’OMS che, depennando l’omosessualità dalla lista delle patologie, ha di fatto impedito di studiarla. Quello che fa paura è l’imposizione dall’alto di questa ideologia, ormai in tutto il mondo occidentale.
In particolare in Italia, credo sia in atto un attacco anticostituzionale alla libertà di scelta e alla volontà popolare. Non c’è mai stato un dibattito serio su queste tematiche, quindi quello che entra nelle scuole, entra senza che noi ce ne accorgiamo, senza che venga richiesto alcun parere alle famiglie e anche gli insegnanti che vorrebbero svolgere il loro lavoro secondo coscienza, subiscono condizionamenti e ordini contrari dall’alto. Le associazioni legate alla lobby gay ricevono cifre astronomiche per un’operazione di disinformazione e di indottrinamento culturale, iniziato con i media e con l’establishment scientifico, che adesso coinvolge anche la scuola. In Italia non ci aspettavamo questo impatto e ora ne stiamo pagando lo scotto; in Francia, invece, dove la popolazione ha già conosciuto le conseguenze di questa ideologia, la risposta popolare è stata più forte.
Oggi si parla di "omofobia" come emergenza sociale e dei gay come vittime di un diffuso pregiudizio. Quando tu lo eri avvertivi davvero di essere discriminato o moralmente giudicato?
Luca Di Tolve: Non proprio. Ho piuttosto subito la “violenza invisibile” di essere etichettato così sin dai sette anni, età in cui i miei genitori si separarono. Alcuni psicologi e consultori familiari dissero a mia madre che avevo una sensibilità di tipo omosessuale, quindi crebbi con l’idea di esserlo davvero. In più sono cresciuto senza un padre, mi è mancata una figura maschile di riferimento. Avendo mia madre sofferto molto a causa di mio padre, ed essendomi io sentito in qualche modo in colpa per la loro separazione, dentro di me sono sorti una sfiducia, un annichilimento, un’incomprensione della mia identità, tutti sentimenti molto diffusi tra gli omosessuali. Ti senti come rigettato, non visto come una persona come le altre, perché vedi che c’è qualcosa che non va dentro di te. Semmai la discriminazione l’ho vissuta, perché molte persone non mi hanno permesso di parlare di quello che io sentivo dentro, mi hanno semplicemente attaccato un’etichetta.
In più di un'occasione sei stato vittima di intimidazioni e atti di intolleranza di vario tipo. Per quale motivo una scelta come la tua è così scomoda per alcuni? Perché per taluni la libertà di diventare gay va tutelata ma la libertà di diventare eterosessuale non è altrettanto degna di rispetto?
Luca Di Tolve: Proprio perché ci sono in gioco poteri molto forti, quindi, con la pretesa di proteggere gli omosessuali, si negano la libertà di scelta e l’accoglienza delle persone con questa “ego-distonia”, ovvero coloro che non si riconoscono nella propria omosessualità.
La legge contro l’omofobia è molto pericolosa perché va a creare un qualcosa di antidemocratico: non poter avanzare un’altra ipotesi per chi è omosessuale. Le persone omosessuali che sono emarginate o aggredite, vanno senz’altro aiutate ma senza essere strumentalizzate. L’essenza di una persona non è nella sua omosessualità o eterosessualità e le tendenze omosessuali sono come la tendenza a ingrassare o la bulimia o altre cose che fanno parte dell’apprendimento.
Nella Pastorale della Salute, al contrario, gli omosessuali vengono accolti con amore e sono felice che anche a Roma, inizierà un percorso simile nelle scuole. Bisogna informare su tutto questo, far capire quanta sofferenza c’è in tante persone. C’è chi diventa omosessuale per scelta, ma altri lo diventano dopo essere stati violentati o abusati: nella nostra onlus riceviamo spesso segnalazioni di questo tipo.
Il Catechismo della Chiesa cattolica ci insegna comunque a rispettare e accogliere le persone omosessuali. A tuo avviso, come andrebbe mostrata carità nei loro confronti, com'è possibile trasmettere loro l'idea che Dio li ama non meno degli altri?
Luca di Tolve: Per esempio, facendo loro capire che il peccato è il peccato e tutti siamo peccatori. La prima cosa, però, è l’accoglienza. Si può cominciare a parlare di quanto amore ci sia dietro quello che dicono il Catechismo e il Magistero della Chiesa Cattolica. Gesù è stato posto nel deserto e lì, come uomo, gli si sono presentate tutte le varie ideologie ma lui non ha “detto la sua”, è rimasto fermo sulla Scrittura. Gesù non vuole far altro che ricordare quanto sia bello generare figli e un figlio, anche se concepito in provetta, è sempre generato da un uomo e da una donna.
La gioia piena viene da una complementarità che non è la semplice “diversità caratteriale” che possono avere due uomini ma è qualcosa di totalmente diverso. Oggi che sono sposato, il mia visione di tutto questo è cambiata: ho lavorato molto a livello psicologico ma anche la fede mi ha aiutato. Ho ritrovato me stesso e ho capito che una donna, essendo totalmente differente da me, ha qualcosa di diverso da quello che cercavo in un uomo. In un uomo cercavo quegli attributi che pensavo di non avere, mi innamoravo di un idolo, di qualcosa che a me mancava. La possibilità di cambiare c’è: i ragazzi che vengono da noi, reagiscono in maniera molto positiva, capiscono che la realtà è scritta dentro ognuno di noi. Anch’io all’inizio non sapevo a cosa andavo incontro ma, da persona che soffriva, che non era in sintonia con il proprio essere, ho detto: voglio provare a cambiare, a cercare un’altra riposta. I nostri non sono “omosessuali” ma persone con una latenza. Da parte nostra non c’è alcuna imposizione di alcuna fede: c’è la libertà di scelta e questa è una cosa molto importante.
Pensi che le parole di papa Francesco sugli omosessuali, possano aver creato equivoci? Oppure, al contrario, potranno aiutare molte persone a fare un percorso di vita come il tuo?
Luca Di Tolve: Il Santo Padre è stato strumentalizzato ma ha perfettamente ragione: parlava in generale e si riferiva alle persone, non alle azioni. Se nel mio periodo di transizione, in cui iniziavo a cercare Dio, o di confusione, io fossi stato giudicato, mi sarei allontanato da Gesù e dalla fede. Gesù non ha giudicato la Maddalena ma le ha detto: va’ e non peccare più. Il vero amore è l’adesione alle prescrizioni che un Padre buono, sapiente e onnisciente rivolge a noi.
Ad aprile diventerai papà per la prima volta. Come stai vivendo questa nuova grande novità nella tua vita?
Luca Di Tolve: Con una profonda gioia! La cosa più bella che mi è successa da quando ho iniziato a vivere questo cambiamento, è stato scoprire che anch’io avrei potuto avere una famiglia. Dall’infanzia fino ai 30 anni, non lo avevo mai immaginato perché mi era stato in qualche modo inculcata l’idea di essere omosessuale. Quando è naturalmente fiorita in me l’eterosessualità, la gioia profonda è stata quella di poter dire: anch’io posso avere un figlio. Poi ho aspettato cinque anni di matrimonio, domandandomi perché non arrivasse. Nonostante tutti i miei percorsi, le mie vicissitudini, anche di salute, quando abbiamo scoperto che mia moglie era incinta, per me è stata una gioia grande. È anche una grande responsabilità ma mi fa ringraziare il Signore per il dono dei sacramenti, che ci scrollano di dosso le incrostazioni del peccato, come degli uccellini pieni di terra sulle ali, cui è consentito finalmente di volare.
L. Marcolivio