lunedì 31 marzo 2014

"Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina"




Trentotto anni, una vita. Come la nostra, sino ad oggi, una vita per incontrare Cristo. Il fallimento umano, infatti, è il corteggiamento di Dio. Lui ha posto i suoi occhi su di noi, come su questo paralitico, gettato sul ciglio della vita, alla "porta delle pecore", confuso tra tanta sofferenza, tra gli animali destinati alla macellazione sacrificale. In "un sabato" che non è festa, quella vita che sembra andarsene a morire insieme a quella delle pecore, ma non è soave l'odore di quelle membra sacrificate. E' solo quell'uomo, come noi. Nessuno si accorge di lui. Quante volte lo abbiamo pensato; quante giornate trafelate a correr dietro a mille cose, e poi la cena, e i bimbi a letto che non vogliono dormire, e arriva lui, nervoso, neanche ti guarda, si getta sulla cena e poi sprofonda sul sofa. Quante volte ci siamo trovati sul bordo di quella "piscina", giusto mentre il vento ne agitava le acque, l'occasione attesa da tanto, per riconciliarci, per ricominciare, e niente, proprio quella mano che aspettavi non si è mai distesa. E sei ancora lì, sul bordo di mille speranze infrante, il cinismo a farti la corte, e perché non cedere alle lusinghe, in fondo è l'unico con cui ci intendiamo. E questa solitudine acida che corrode ogni speranza: "La vita dell'uomo si svolge laggiù, tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. E' un fastidio alla fine, Melete. C'è una burrasca che rinnova le campagne - nè la morte nè i grandi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo di star vivi d'ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come le mosche d'estate - quest'è il vivere che taglia le gambe. Melete" (Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò). Siamo soli, con il fastidio di parlare ancora una volta, e discutere con chi non si accorge di noi; il fastidio di non riuscire mai ad immergersi nell'occasione giusta, perché proprio nel momento in cui "l'angelo agita le acque", quando la predicazione, la preghiera, un'ispirazione sembra "agitare le acque" della nostra vita, "qualcun altro arriva prima", con una menzogna, un'illusione, la paura e il peso del passato, e niente, non ce la facciamo, e le acque tornano alla stessa fatica e alle stesse mancanze. Ma c'è questo tempo, ed è l'annuncio della svolta: digiuno, elemosina, preghiera, ovvero fame, povertà e speranze, la Quaresima ci proietta la clip della nostra vita, sino a questo istante. Giusto "trentotto anni", o cinquanta, o diciotto; non un giorno in più, non un anno in meno. Oggi, perché è qui che la clip ha un sussulto, un volto di luce e una parola. Qualcuno si accorge di te, qualcuno si preoccupa di te: "Vuoi guarire?". Un'eco come una saetta, fin nelle giunture dell'anima. Di colpo si illumina tutto il passato, e non era quello che il demonio ci ha raccontato. Se il paralitico avesse avuto "qualcuno ad immergerlo", non avrebbe incontrato il Signore. Non avrebbe ascoltato la Sua voce. Si sarebbe immerso, forse sarebbe guarito, avrebbe trovato lavoro, una casa, un fidanzato, un bel matrimonio, un po' di salute, uno stipendio adeguato, non avrebbe perso il padre da piccolo, niente violenze, avrebbe studiato e si sarebbe laureato, sarebbe un pochino più bello e presentabile, la sua famiglia non sarebbe stata così povera, non avrebbe subito l'ombra del fratello maggiore. Non sarebbe stato crocifisso trentotto anniNon avrebbe conosciuto il Signore. E non sarebbe stato felice. La Croce, il lettuccio e la tua vita distesa, prostrata, inutile agli occhi carnali, proprio tutta la tua storia sino ad ora, le frustrazioni, la solitudine, il fastidio e la fatica di vivere, tutto è stato per incontrare Lui. E' Gesù la piscina dove non è necessario che qualcuno ci immerga; le sue ferite sono per te, nessuno può passarti avanti. La tua storia sino ad oggi è il talamo preparato per la sua misericordia. "Alzati, risorgi, prendi il tuo lettuccio e cammina": è qui la novità, il segreto, la rivoluzione. Non basta immergersi e guarire, per una vita migliorata, ma pronta pronta a scivolare di nuovo nella paralisi. Gesù ci guarisce per "incominciare a camminare" in una vita nuova, in un percorso di conversione quotidiano, aggrappati nella comunione della Chiesa alla Parola e ai sacramenti, per "non peccare più". Chi ha conosciuto la gratuità del suo amore sa che tornare a dar credito al demonio e peccare, sarebbe l'accadere di "qualcosa di peggio". Gesù ci invia nella storia a conoscere ogni giorno di più il suo amore testimoniandolo a ogni fariseo che vorrà strapparci alla Grazia per schiacciarci con i moralismi; ad annunciare a tutti che Dio ha compiuto il "sabato" e ogni iota della Legge risorgendoci per imparare a camminare nella fatica e nel fastidio di vivere, portando la Croce che tutti rifiutano. Forse soli, senza che nessuno ci si accorga e ci aiuti, perché saremo noi ad immergere ogni paralitico che ci è accanto, nella misericordia di Cristo incarnata in noi.  

Martedì della IV settimana del Tempo di Quaresima



Che tirannia è mai questa? 
sono venuto alla vita – bene,
ma perché essa mi agita con le sue violente ondate? 
Voglio dire una parola audace, sì audace, ma voglio dirla: 
se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia! 
Nasciamo, deperiamo, giungiamo alla fine. 
Dormo, riposo, sto sveglio, cammino. 
Siamo ora ammalati, ora in salute, 
ora tra i piaceri, ora tra gli affanni. 
Abbiamo parte alle stagioni solari e ai frutti della terra. 
Moriamo e la nostra carne imputridisce: 
questa è la sorte delle bestie, 
che, per quanto ignobili, sono senza colpa. 
Cosa dunque ho più di loro? 
Niente se non Dio: se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!

Gregorio Nazianzeno, A Cristo




Gv 5, 1-3. 5-16

Era un giorno di festa per Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Vi è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzeta, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: «E' sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio».
Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina». Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio». Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato


IL COMMENTO
Non avere nessuno per avere Cristo. Non avere nulla per avere Lui. Trentotto anni, una vita. In attesa. Una vita per incontrare Lui. Il fallimento umano è il corteggiamento di Dio. Lui ha posto i suoi occhi su di noi. Ci ha scelti. Per Lui. Quest'uomo, un paralitico, gettato sul ciglio della vita, alla porta delle pecore, confuso tra tanta sofferenza, tra gli animali destinati alla macellazione sacrificale. In un sabato che non è festa, è legge dura d'espiazione, e "l'espiazione è il miglior combustibile al fuoco della colpa" (S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Giovanni, I, Milano 2002, pag. 109). Odore di morte, acre, fumi grigi di sensi di colpa, e inutilità e impossibilità di salvezza. Odore di sangue. E una piscina agitata dal vento, pochi e fugaci istanti per guarigioni destinate a risolversi in altre, future infermità. E nessuno ad accorgersi di lui. Di noi. Soli con le nostre angosce, con le nostre sofferenze, con le nostre infermità. Una vita senza vita. Trentotto anni. E Lui. Il Suo sguardo, e la Sua voce: "Vuoi guarire?". Un'eco come una saetta, fin nelle giunture dell'anima. Che cos'è la vita. E questa solitudine acida che corrode ogni speranza. Cesare Pavese descrive l'invivibilità d'una vita che nulla attende:
"La vita dell'uomo si svolge laggiù, tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. E' un fastidio alla fine, Melete. C'è una burrasca che rinnova le campagne - nè la morte nè i grandi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo di star vivi d'ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come le mosche d'estate - quest'è il vivere che taglia le gambe. Melete" ( Dialoghi con Leucò). Questo è il vivere che sarebbe meglio non vivere, per il quale, con Geremia e con Giobbe, maledire il giorno della nascita. Nascere, perchè? Per Lui. Se il paralitico del Vangelo avesse avuto qualcuno ad immergerlo, non avrebbe incontrato il Signore. Non avrebbe ascoltato la Sua voce. Sarebbe guarito, forse, avrebbe trovato lavoro, una casa, un fidanzato, un bel matrimonio, un po' di salute, uno stipendio adeguato, non avrebbe perso il padre da piccolo, niente violenze, avrebbe studiato e si sarebbe laureato, sarebbe un pochino più bello e presentabile, la sua famiglia non sarebbe stata così povera, non avrebbe subito l'ombra del fratello maggiore. Non sarebbe stato crocifisso trentotto anni. E non avrebe conosciuto il Signore. E non sarebbe stato salvato. E non sarebbe stato felice. La CROCE, un lettuccio e la vita distesa, prostrata. Inutile. E la Sua Parola e all'istante la Gloria, la luce della vita nelle paighe sanguinanti. La salvezza, per sempre, e la gioia, e la pace, e la vita. E tutta la vita s'illumina di senso, e appare come un letto d'amore preparato per Lui. La Croce, il lettuccio, ogni aspetto della nostra vita, i più difficili, i più dolorosi, illuminati e trasfigurati come un talamo eterno per la Sua misericordia. Ogni istante passato disteso, inutile a sè stesso e al mondo, dimenticato, rifiutato, disprezzato. Solo, senza nessuno. Ogni istante "così", un passo verso di Lui. Ogni istante una fessura di noi aperta per Lui. Come i leviti che non hanno proprietè nella Terra, come la Vergine Maria. "Non conosco uomo", non c'è nessuno per concepire questo bambino. E' il segreto della verginità, il senso della nostra vita di figli. Lo Spirito Santo, Lui scenderà e ci coprirà con la Sua ombra, Lui concepirà in noi la Vita, quella che non muore, quella senza peccato, la salvezza e la pace per sempre. La nostra vita, il nostro corpo, come quello della Vegine Maria, da sempre PER IL SIGNORE. Lei nell'immacolatezza d'una concezione senza peccato, noi nelle pieghe della nostra debolezza, spesso tra le macerie d'una vita distesa su di un lettuccio di dolore. Ma allo stesso modo, misteriosamente, per il Signore. “In uno stato in cui nello stesso tempo essa (Maria) sa e non sa, in questa attesa che non può definire, essa vive per Dio nella confidenza. E’ l’atteggiamento già notato e che chiamerei propriamente “mariale”: la perseveranza davanti all’incomprensibile, attraverso il ricorso a Dio. Quando infine l’angelo porterà il suo messaggio, che Maria deve diventare Madre per la potenza dello Spirito Santo, la sua anima profonda dirà. “Era dunque per questo!” “ (Romano Guardini, La mere du Seigneur, Paris, 1961, pag. 35-37). Era dunque per questo, per essere madre, per essere figlio, figlio nel Figlio, figlia del suo Figlio. Si, la nostra storia, come quella di Giuseppe disceso in Egitto come schiavo, come quella di Maria è dunque per questo: per Lui. Per essere Suoi.

Dizionario del politicamente corretto



politically-incorrect-sign
da un commento di Franz

A = antidiscriminatorio (per definizione, ogni battaglia ideologica delle lobbies NWO); accoglienza (obbligo per gli altri)
B = basito (stato d’animo del progressista quando un ignorante osa proferire parola in sua presenza)
C = consapevole (in unione con il sostantivo “scelta”, alternativamente a “coraggiosa”)
D = Dialogo (sempre con la maiuscola), diritti (pl.), discriminazione (evitare la -), diversità (promuovere la -)
E = essere umano (perifrasi per evitare ingiuste discriminazioni nei confronti delle donne, dei transessuali, ecc.)
F = figli (diritto ad avere -); Francesco (aperture di -)
G = gay (specie protetta benché in rapida diffusione)
H = ho molti amici gay (da premettere ad ogni discorso)
I = ingerenze (della chiesa, rigorosamente minuscola, sempre e ovunque); ignorante (chi è vittima di dette ingerenze)
L = limiti (non porre l. alla libertà personale)
M = migranti; matrimonio (diritto per i gay); medioevo (da -, detto delle idee di “qualcuno”)
N = nuovo, novità (sempre positivo per antonomasia)
O = ognuno (progressista); opinione (diritto che Ognuno ha il diritto di esprimere sempre e comunque)
P = progressista (bello, intelligente e pulito dentro)
Q = qualcuno (in senso allusivo, detto di chi è degno di disprezzo e/o commiserazione)
R = rispetto (atteggiamento verso Ognuno); rozzo (aggettivo da impiegarsi verso qualcuno)
S = Scelta (un minuto di silenzio in adorazione); Stato (inchino); Scienza (genuflessione); Sesso (prostrazione)
T = transessuale (detto di chi ha fatto una Scelta Coraggiosa)
U = università (sigillum auctoritatis: citare un qualsiasi nome inglese, a supporto di un qualsiasi studio)
V = vivisezione (no alla -, perché anche gli animali hanno un’anima; no, i trapianti sono un altro discorso)
Z = zero (sei uno -, detto di chi non condivide il dizionario del politicamente corretto)

Come Papa Bergoglio arriva (via web) in Cina


Molti siti cinesi rilanciano omelie, catechesi e discorsi del Pontefice. Una predicazione che diventa un sostegno prezioso e discreto per i battezzati nell’ex Celeste Impero

GIANNI VALENTEROMA
Papa Francesco è già sbarcato in Cina, senza controlli alla frontiera. Le autostrade digitali che portano all’ex Celeste Impero per lui sono aperte. Il flusso continuo della sua predicazione, delle sue catechesi, dei suoi discorsi arriva  senza filtri alle diocesi, alle parrocchie e alle dimore dei cattolici cinesi, per il conforto  spirituale di milioni di battezzati. E non solo per loro.


Da quando Jorge Mario Bergoglio è diventato vescovo di Roma, continuano a moltiplicarsi i siti internet cinesi che rilanciano con cadenza quotidiana le parole chiave e i messaggi che il Papa rivolge in ogni circostanza utile al popolo di Dio. Un fenomeno che esprime l'interesse e l'attesa suscitati anche in Cina dal magistero day by day del Papa, a partire dalla brevi e preziose sintesi delle omelie mattutine di Santa Marta curate da Radio Vaticana.


Alcuni dei siti funzionano come veri e propri portali-archivio. Sul sito  www.chinacath.org, cliccando sulla voce “Santa Sede” si ritrovano i discorsi papali, le parole pronunciate all’Angelus, le udienze del mercoledì, insieme con tante notizie sulla attività di Papa Francesco. In questi giorni, messa in grande risalto c’è ancora la risposta sulla Cina e sullo scambio di messaggi con il Presidente della Cina popolare di cui il vescovo di Roma ha parlato nell'intervista concessa al Corriere della Sera. E in una sezione del portale si ritrovano raccolti i link a decine di siti diocesani e blog cattolici in cinese, molti dei quali a loro volta rilanciano omelie e discorsi papali.


Anche il sito www.chinacatholic.org funziona da grande raccoglitore degli interventi di Papa Francesco. Negli ultimi giorni, il website ha rilanciato anche le parole di ammirazione rivolte al Papa dal Presidente Usa Barack Obama, dopo il loro incontro in Vaticano. In occasione del primo anno di pontificato, chinacatholic.org ha pubblicato documentazione fotografica e interventi di commentatori cinesi e internazionali sul magistero di Papa Francesco.


Tra i siti delle diocesi cinesi si fa notare il portale www.catholicsh.org della diocesi di Shanghai, dove nondimeno il vescovo Thaddeus Ma Daqin – dopo la morte degli ultra-novantenni Aloysius Jin Luxian e Giuseppe Fan Zhongliang - continua a essere impedito nell’esercizio delle sue funzioni episcopali. Anche su quel website una sezione raccoglie omelie e discorsi dell’attuale successore di Pietro, dal dicembre 2013 fino a oggi. Altri siti, come www.lnjq.org, appaiono più lenti e lacunosi negli aggiornamenti, ma non rinunciano a pubblicare i discorsi del Papa, sia pur con molto ritardo. Mentre www.tzjtsjq.org riporta tutti gli interventi papali, ma li tiene raccolti in una sezione che è difficile da raggiungere senza adeguata conoscenza del website.


Colpisce soprattutto la spontaneità del fenomeno, che non appare rispondere a nessuna strategia pre-ordinata. Anzi, proprio la sezione cinese del sito della Santa Sede www.vatican.va appare al momento in fase di stand-by, e vi si trovano documenti e pronunciamenti di rilievo realizzati da Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e Pio XII, ma nessun intervento del Papa regnante. Non risulta essere stata finora pubblicata nemmeno la versione cinese della Lettera apostolica Evangelii gaudium, testo chiave del pontificato di Papa Bergoglio.


Come avviene sempre, nelle dinamiche autenticamente ecclesiali, la fioritura di siti cinesi che riportano la predicazione di Papa Francesco avviene per imitazione e contagio. I figli della Chiesa non sono truppe cammellate. Quando serve, si “organizzano” da soli, seguendo il proprio sensus fidei. Così si moltiplicano le iniziative “dal basso”, come il sito www.ascoltiamopapafrancesco.net, messo in piedi da un gruppo di volontari che pubblicano in modalità sinottica l’originale italiano e la versione cinese degli Angelus, delle catechesi del mercoledì, delle omelie di Santa Marta di Papa Francesco, aggiungendo sintesi ragionate dei discorsi più lunghi e impegnativi (l’ultimo, quello pronunciato dal Papa davanti ai partecipanti all’ultimo corso della Penitenzieria apostolica, con cui il Vescovo di Roma ha suggerito a tutti come deve porsi il confessore davanti ai penitenti che si avvicinano al confessionale).


Nell’esergo di presentazione, i curatori del sito italo-cinese hanno inserito una considerazione semplice e sagace: «Papa Francesco» scrivono «parla in maniera chiara e diretta, parla al cuore di ognuno di noi. Le sue parole non hanno bisogno di commenti o teorie, ma di essere conosciute e meditate». I siti cinesi che riportano le parole del Papa lo fanno sine glossa, e i fruitori hanno il paradossale vantaggio di leggere le parole e gli affondi del Papa fuori dalla cortina fumogena del chiacchiericcio para-ecclesiastico e dei commenti – spesso prevenuti e fuorvianti – che a volte rischia di oscurarla. Nei website made in China non si indulge nemmeno alla vulgata mediatica del Papa-Superman cavalcata in Occidente da poderosi apparati editoriali. Del resto, la predicazione di Papa Bergoglio, sempre concentrata sui tratti e i connotati elementari della dottrina e dell’esperienza cristiana – il richiamo ininterrotto a Gesù e al Vangelo, la sacramentalità della Chiesa, il peccato e la grazia, il perdono e le opere di misericordia, i ministeri della Chiesa delineati come incarichi a servizio del popolo di Dio, e non come forme di esercizio di potere – trova risonanze immediate nell’esperienza di fede del piccolo gregge dei cattolici cinesi, nella sua vicenda commovente di martirio e speranza. Così, sono arrivati in Cina via internet anche discorsi su temi che di là dalla Grande Muraglia risultano controversi, come quello sul ruolo e il mandato del vescovo che Papa Francesco ha pronunciato all’Assemblea plenaria della Congregazione vaticana per i vescovi. 

La percentuale dei siti interessati al fenomeno rimane una quantità trascurabile nel mare magnum della blogosfera cinese. Ma intanto, per ora, la predicazione del Papa argentino può arrivare tutti i giorni a chi la aspetta, anche in Cina. Le sue parole quotidiane, sempre mosse dalla forza disarmata e disarmante del Vangelo, potrebbero guarire ferite antiche e curare fragilità e patologie nuove (compreso un certo, paradossale carrierismo clericale che si registra anche tra le file dei sacerdoti e dei vescovi più giovani). Con effetti imprevedibili, nei tempi lunghi della Chiesa (e della Cina).
G. Valente

L’Africa di Roncalli e Wojtyła




Verso il 27 aprile. Come i due pontefici hanno sposato la causa del continente. 

Anticipiamo, in una nostra traduzione, ampi stralci di un articolo a firma del direttore delle comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Abuja, in Nigeria. Il testo, in vista delle canonizzazioni del 27 aprile, comparirà sul prossimo numero della rivista comboniana europea on line Southworld.net.
(Patrick Tor Alumuku) Saranno tanti gli africani tra i cinque milioni di pellegrini attesi in piazza San Pietro e dintorni per la canonizzazione di due grandi pontefici della Chiesa del nostro tempo, Giovanni XXIII, “il Papa buono”, e Giovanni Paolo II, che molti africani chiamano il Papa “bianco e africano”.
Giovanni XXIII, Papa dal 1958 al 1963, viene ricordato con affetto per la sua importante enciclica Pacem in terris, ovvero Pace in terra. Ma in Africa viene ricordato soprattutto per aver chiamato il primo africano a far parte del collegio cardinalizio. Nel 1960 Giovanni XXIII creò cardinale il tanzaniano Laurean Rugambwa. Quest’ultimo era un pastore pragmatico, amorevole e attento. Fu un fattore unificante nel suo Paese e in Africa, e divenne anche un simbolo della speranza della Chiesa nel continente. La sua nomina, giunta in un tempo in cui la maggior parte dei Paesi africani lottava per l’indipendenza, fu vista anche come un riconoscimento e una responsabilizzazione della presenza indigena africana nella Chiesa universale. Quando, nel 1962, venne aperto il Vaticano II, Rugambwa diventò il punto di riferimento dei pochissimi vescovi indigeni africani e dei vescovi missionari, che erano maggioritari, al concilio.
Nei ventisei anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha cambiato la demografia ecclesiale come mai nessun Papa prima di lui in tutta la storia della Chiesa cattolica. In tale periodo, la popolazione cattolica mondiale è aumentata di circa il 43 per cento, dai 757 milioni nel 1978 agli 1,09 miliardi alla fine del 2003. Sotto Giovanni Paolo II, ancora più significativo è stato il netto cambiamento nel Terzo mondo. Il numero di cattolici in Africa, per esempio, è aumentato di oltre il 160 per cento, da 55 a 144 milioni. Anche la crescita più grande di vocazioni al sacerdozio verificatasi nella Chiesa durante il suo pontificato è avvenuta in Africa, dove in ventisei anni il numero di sacerdoti diocesani è più che triplicato.
Lo sviluppo della Chiesa in Africa è dovuto in gran parte all’attenzione che egli ha dedicato al continente attraverso le sue numerose visite. Ha compiuto quattordici viaggi, visitando quarantadue delle cinquantasette nazioni africane. All’inizio di uno di questi viaggi, un giornale italiano, «Il Corriere della Sera», lo ha definito «il Papa che ama l’Africa». Sono stati i suoi messaggi, i suoi gesti e il suo affetto a produrre l’enorme crescita e la forte presenza cattolica ora visibile nella maggior parte delle diocesi cattoliche a sud del Sahara. Durante quelle visite si è rivolto a seminaristi, sacerdoti e religiosi, laici e diplomatici, leader di governo; ha incoraggiato l’inculturazione, esortato le Chiese particolari a promuovere cause per i santi locali. Ha affrontato questioni come la corruzione, l’apartheid e la dittatura. Ha invitato a una nuova evangelizzazione ed esortato le famiglie cristiane a vivere in armonia. Ha auspicato una nuova Africa, capace di vivere nella giustizia e nella pace. Ha invitato i giovani a comprendere di essere loro la speranza del futuro africano e ha promosso la solidarietà tra le Chiese particolari. Ha esortato la gerarchia a rafforzare tutti i cattolici africani e ad aiutarli a realizzare la speranza di una liberazione autentica.
Giovanni Paolo II non ha mai nascosto la sua gioia per la continua crescita della Chiesa in molti Paesi africani, desiderando che tale crescita venisse sostenuta. Rivolgendosi ai vescovi nigeriani durante la sua visita nel 1998 disse: «La Nigeria ha una delle più numerose popolazioni cattoliche dell’Africa, e il numero dei credenti è in continua crescita. Questo è un segno della vitalità e della crescente maturità di questa Chiesa locale. Particolarmente promettente a questo proposito è l’aumento delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa». Esortando a una stretta collaborazione tra i sacerdoti e i loro vescovi, aggiunse: «Poiché i sacerdoti sono i vostri principali collaboratori nello svolgimento della missione apostolica della Chiesa, è essenziale che i vostri rapporti con loro siano caratterizzati da unità, fratellanza e apprezzamento dei loro talenti».
È stato in occasione del primo sinodo per l’Africa convocato da Giovanni Paolo II che per la prima volta nella basilica di San Pietro si è sentito il suono di un tamburo africano. Quel sinodo ha offerto a tutta la Chiesa in Africa l’opportunità di guardare non solo alle sfide, ma anche alle opportunità per consolidare la fede in un continente che stava diventando rapidamente cristiano. Quel sinodo è stato anche un’occasione per far conoscere al resto del mondo l’immenso impatto che il pontificato di Giovanni Paolo II aveva avuto sull’Africa. A quel tempo anche la presenza africana in Vaticano stava crescendo. Con il cardinale Bernardin Gantin, della Repubblica del Benin, come decano del Collegio cardinalizio, il cardinale nigeriano Francis Arinze come prefetto di un dicastero e l’arcivescovo guineano Robert Sarah a Propaganda Fide, e con una dozzina di sacerdoti africani nei vari dicasteri vaticani, era chiaro che Giovanni Paolo II voleva una presenza africana al centro dell’amministrazione della Chiesa.
L’influenza di Giovanni Paolo II si è allargata come un fuoco incontrollato. Tra le comunità rurali in tutta l’Africa c’è un’intera generazione di giovani cristiani che si chiamano Giovanni Paolo, molti dei quali sono anche diventati sacerdoti. I loro genitori erano stati colpiti dalla testimonianza di quel grande Papa e dal suo amore per il continente.
L’Africa è letteralmente invasa da istituzioni sanitarie, servizi sociali o centri di formazione pastorale e spirituale che prendono il nome da Papa Giovanni Paolo II. Le sue orme sono visibili in ogni angolo del continente. C’è un proverbio hausa che dice che se qualcuno ti ama dovresti contraccambiarlo. L’Africa ama Papa Giovanni Paolo II nella morte come nella vita. Non potrebbe esserci momento migliore per rendere omaggio a questo grande Papa di quello in cui gioire per la sua canonizzazione. È per questo che le singole diocesi e le conferenze nazionali stanno programmando dei pellegrinaggi a Roma in coincidenza con la sua canonizzazione.
L'Osservatore Romano

Viandanti della fede




Anticipiamo — nella traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún — un articolo in uscita in rete sul sito di Alver Metalli «Terre d’America». L’autore è un giornalista, già alunno di Bergoglio quando questi insegnava Letteratura e Psicologia a Santa Fe negli anni 1964 e 1965. 
(Jorge Milia) Nell’Evangelii gaudium in versione spagnola c’è un’espressione che mi ha sorpreso. «Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra! (n. 106)». Callejeros de la Fé appunto, tradotto in «viandanti della Fede» nell’edizione italiana dell’esortazione.
Ed è la traduzione che effettivamente si avvicina di più dal punto di vista etimologico al suo omologo spagnolo-argentino. Il traduttore, va detto, non poteva fare di meglio, e anche così l’espressione del Papa è ricca e significativa: calle vuol dire via e il termine fa riferimento ai ragazzi che bighellonavano per le strade. Per questo quando l’ho letta, con la sorpresa mi si sono affollati anche tanti ricordi nella mente.
Nella mia infanzia, sentirsi dire callejero non era molto incoraggiante, evocava un certo senso di abbandono. Perro callejero è il cane randagio, sporco, scacciato e preso a calci, ma libero, senza un padrone. Un chico callejero è uno che in generale è povero ed è sempre per strada a bighellonare (quando non a delinquere). Ma nonostante queste carenze materiali e spirituali tutti sognavamo di andare in giro a bighellonare almeno per un certo tempo, finché il morso della fame o il buio ci avessero spinto a tornare a casa. Anche se le nonne facevano di tutto per trattenerci in casa (e i nostri genitori fossero assolutamente d’accordo) noi volevamo andare in giro, callejar. Guardavamo fuori dalla finestra e la nostra immaginazione ci portava in posti lontani, dal marciapiedi all’altra parte della strada fino all’orizzonte ultimo che non potevamo neppure intravvedere. Quando tornavo a casa tutto sporco e spettinato, con le ginocchia spellate dopo una partita a calcio coi miei amici, la nonna Loige mi diceva: Jorgito, sembri un callejero!
Nell’adolescenza sarebbe stato diverso. La scuola stessa che ci accoglieva giorno dopo giorno ci avrebbe portato a callejear. Quelle “Missioni del Paraná” avevano una calamita potente: il fiume Paraná. Tutti i mercoledì e sabato noi allievi della scuola dell’Immacolata salpavamo in piccole barche con sei remi e una vela latina per andare a fare catechesi ad Alto Verde. Attraversare un fiume è sempre stato un atto fortemente simbolico, nella letteratura e nella vita. Si passa da una realtà a un’altra, dalla riva della vita a quella della morte. Il Rubicone è stato attraversato, e anche la laguna Estigia. Anche noi alunni compivamo un transito, metaforico e reale: passavamo dalle nostre abitudini cittadine e le nostre strade asfaltate ai quartieri fluviali pieni di fango e povertà. Passavamo dalla nostra realtà a una periferia fisica ed esistenziale. Gli allievi della prestigiosa scuola dell’Immacolata diventavano callejeros. Io pensavo a cosa avrebbe detto mia nonna se avesse potuto vedermi lì. Ma non avrebbe potuto dire nulla: erano gli stessi gesuiti che ci portavano sulla strada per educarci alla missione, ci incoraggiavano a uscire, a metterci in cammino, a diventare callejeros della Fede.
Ho sempre avuto dei dubbi circa l’efficacia degli insegnamenti che impartivamo ai bambini della zona — la nostra catechesi andava al di là della meccanica delle domande e risposte imparate a memoria — non perché lo facessimo male, ma perché in realtà eravamo noi a imparare da loro. Forse era per questo che i padri gesuiti, e Bergoglio con essi, ci inviavano a “missionare”: per imparare. E non c’è dubbio che era molto di più quello che imparavamo di quello che eravamo in grado d’insegnare. E quel seme, anche se piccolo, rimaneva. Che potesse dare frutti non dipendeva più da noi, ma dal Buon Dio.
Quando dopo una bella doccia ci toglievamo la puzza di fumo e povertà, guardavamo il nostro letto comodo e caldo e la realtà di essere stati viandanti/callejeros per alcune ore ci ripiombava addosso. Non credevamo di essere migliori di altri ma per un momento ci riconciliavamo con la realtà.
Nessuno ci chiedeva di abbandonare le nostre vite o le nostre famiglie, e tantomeno l’educazione ricevuta; ci chiedevano soltanto di non dimenticare le vite degli altri.
In questo modo ho imparato che portare la fede in giro per le strade non implica assolutamente dimenticare o rinnegare la propria realtà bensì imparare a riconoscere la realtà del fratello che soffre.
Non possiamo rimanere chiusi nelle nostre case, continua a dire Papa Francesco, quando fuori ci sono tante persone che stanno aspettando il Vangelo: qualcuno abbia il coraggio di aprir bocca per annunciare la Sua Parola, per diventare callejero de la Fé.

L'Osservatore Romano

Il genio della donna che diceva di essere ignorante...



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Ildegarda: il genio di una donna che diceva di essere ignorante

Intervista a Cristina Borgogni, autrice e attrice dello spettacolo dedicato alla mistica tedesca, poetessa, medico e profetessa, in scena dall'1 al 20 aprile, al Teatro Due di Roma


Una specie di Leonardo da Vinci in gonnella, una poetessa medico, una mistica e una profetessa straordinaria sono i tratti con cui Cristina Borgogni, autrice, regista e interprete dello spettacolo Ildegarda la Sibilla del Reno, ci svela in anteprima il carattere dell'indomita protagonista che sarà in scena dal 1 al 20 aprile al Teatro Due nei pressi di piazza di Spagna a Roma. Dopo aver lavorato con i più grandi registi del teatro italiano - tra cui Vittorio Gassman -Cristina Borgogni ha deciso di dedicarsi anima e corpo a raccontare la vita di una donna eccezionale e poco conosciuta, quella di Ildegarda di Bingen.
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Per quale motivo una donna vissuta nel 1100 è arrivata fino ai nostri giorni? Perché se ne parla ancora oggi?
Borgogni: Se ne parla troppo poco... In Italia non è molto conosciuta se non per la musica - era una grandissima musicista che ha cambiato anche il tipo di musica della sua epoca- mentre in Germania, Svizzera, Stati Uniti c'è un vero e proprio culto per Ildegarda di Bingen, perché era una specie di Leonardo da Vinci in gonnella, oltre ad essere una mistica straordinaria - aveva delle visioni in stato di coscienza sulle quali ha scritto tre libri di altissimo livello teologico.
Perché era chiamata Sibilla renana?
Borgogni: Era chiamata 'sibilla' perché aveva il dono della profezia, ma era anche chiamata la 'tromba di Dio', colei che diceva le parole di Dio. Lei predisse a Federico Barbarossa che sarebbe divenuto imperatore, per questo lui le rimase grato per tutta la vita. Gente da tutta l'Europa andava a chiedere consiglio da lei. Era un personaggio famosissimo all'epoca. Per questo non era ben vista da tutti, e da una certa parte della Chiesa era considerata ai limiti dell'eresia, mentre tutti i papi l'hanno sempre amata. 
Cosa ci si rivela di Ildegarda attraverso lo spettacolo?
Borgogni: Ildegarda era stata portata in monastero a otto anni dai genitori nobili. Fin da piccola aveva delle visioni profetiche. Era una ragazzina molto delicata di salute e i genitori l'avevano portata in convento per metterla al riparo dagli eventi del mondo; se ne stette chiusa per trent'anni in una cella con la badessa che dall'altra parte della grata le parlava e le insegnava la musica... per noi è una storia impensabile. Eppure è vivendo in quel mondo che questa donna poté sviluppare una genialità e un rapporto con Dio tanto particolari: divenuta badessa a trentotto anni, età in cui una donna era già considerata vecchia, Ildegarda costruisce due monasteri, fa studiare le suore,  scrive tre libri di medicina offrendo rimedi naturali attraverso l'erboristeria, l'idroterapia, l'aromaterapia, la musicoterapia.
Ildegarda si inventa la parola viridità per suggerire il segreto per arrivare alla felicità... Cosa significa?
Borgogni: Oggi potremmo definirla come la forza vitale immessa in tutta la creazione dal soffio divino. E' l'energia che c'è dentro le cose, che ci fa essere sani se viene ben distribuita nel nostro corpo e se ci comportiamo bene. E' ciò che ci essere felici. Ildegarda studia già il rapporto tra la psiche, il comportamento dell'essere umano, l'universo e Dio. E' modernissima: la psicosomatica, la medicina olistica si possono riferire a lei. Molti medici e scienziati dicono addirittura che noi non siamo ancora arrivati al livello della sua medicina e dei suoi rimedi per le malattie più disparate, perfino della sessualità maschile e femminile. La genialità e la cultura di Ildegarda sono un mistero, e lei diceva di essere ignorante!
Questa mistica tedesca aveva anche una personalità indomita...
Borgogni: Prima di dire veggente e mistica io dico di Ildegarda che è una donna straordinaria. Tutti la temevano, i papi e Federico Barbarossa, colui che aveva distrutto tutti i monasteri attorno al suo castello: non osava toccarla, anzi la aiutava in tutti i modi. Ma lei aveva il coraggio di attaccare perfino lui, che faceva paura a tutti.
Quali sono i messaggi più coraggiosi pronunciati da questa donna?
Borgogni: Ildegarda andava a cavallo a predicare per tutta la Germania, parlava contro la corruzione; è memorabile il durissimo messaggio che diede nella cattedrale di Treviri contro i sacerdoti corrotti, indicando in questo il motivo della crisi che attraversava la Chiesa. E' un messaggio molto attuale. Ildegarda insegnava inoltre come la nostra infelicità derivi dal non seguire le leggi dell'universo e le leggi di Dio, come l'infelicità venga da un comportamento contro natura.
Il suo anticonformismo creò dei contrasti?
Borgogni: Era una donna dolcissima: la domenica faceva ballare le sorelle senza il velo nero, vestite tutte di bianco, con i fiori nei capelli e con addossi tutti i gioielli. Le faceva ballare e cantare, e aveva scritto su questo una cerimonia sacra che si chiama Ordo virtutum. Fu anche denunciata, creò scandalo per questo. Sì, ha suscitato anche tanti contrasti: mentre i Papi la amavano, i suoi diretti superiori le crearono molti ostacoli. Per un anno non poté cantare né ricevere i sacramenti perché aveva seppellito un cavaliere scomunicato nel proprio cimitero: era una richiesta che lui le aveva fatto prima di morire. Perciò i superiori le diedero questo l'interdetto.
Nonostante sia una monaca del 1100, Ildegarda riesce a comunicare qualcosa alle donne di ogni età?
Borgogni: Ildegarda non ha avuto solo una vita trionfante: lasciata dai genitori a otto anni è cresciuta in una 'stanzetta' lontana da ogni affetto umano. Noi donne di oggi ci lamentiamo a volte anche per sciocchezze e forse vedere questo spettacolo può far riflettere. In un aneddoto lei stessa racconta che quando era già anziana, il suo superiore abate la teneva ore ed ore ad aspettarlo fuori dalla porta senza farla sedere. Quando finalmente la faceva entrare e le diceva che poteva sedersi, lei rimaneva in piedi per non dargliela vinta!
Ildegarda era anche una nutrizionista. Ha avuto modo di sperimentare la sua cucina?
Borgogni: Sì, lei già unsegnava come mangiare, enumerava tutte le virtù del farro e consigliava di farne largo uso; abbiamo libri e libri di sue ricette. Non a caso in Italia è conosciuta per la musica e per le ricette. Le ho provate con mio marito, sono buonissime: i biscotti della gioia sono un po' forti ma ottimi.
Come è nata questa amicizia fuori dal tempo tra lei e Ildegarda?
Borgogni: Questa donna incontrata inizialmente durante gli studi, che andava a cavallo, studiava, componeva poesie, cantava, aveva visioni, era un personaggio talmente complesso che sempre di più mi affascinava. Era entrata nella mia vita, avevo avuto occasione di leggere le sue biografie, trovavo tracce di lei in varie circostanze.
Perché l'idea di scrivere il testo teatrale?
Borgogni: Ad un certo momento ho sentito il bisogno di dedicarmi ai temi spirituali, alla ricerca dei lati più profondi della natura umana, per portare in scena anche questi. Ho cercato un pezzo teatrale su Ildegarda e ho scoperto che non esisteva. Da lì mi è venuta l'idea di scriverlo, perché niente come il teatro riesce ad arrivare al cuore delle persone. E' il mio primo testo, ma tutto si è realizzato abbastanza facilmente: io dico che Ildegarda mi ha guidato. Ho trovato una preziosa collaborazione in Dario Arcidiacono, musicista, che ha studiato e ha lavorato sulla musica, mentre mio marito Paolo Lorimer interpreta il monaco Volmar.
Questo 'teatro spirituale' viene accolto bene dal pubblico?
Borgogni: Lo spettacolo è andato in scena già cinque volte con un consenso pazzesco: le persone addirittura mi abbracciano alla fine, perché Ildegarda riesce ad arrivare al cuore: benché io sia l'attrice protagonista, mi sento anch'io spettatrice: la sera prima di andare in scena io e mio marito pensiamo 'chissà cosa succederà', perché le parole di Ildegarda sprigionano energia, portano come un vento di guarigione a chi ascolta. Ildegarda è la mamma e la donna che tutti vorremmo conoscere.
Che impressione le ha fatto la notizia che presto papa Benedetto l'avrebbe proclamata Santa?
Borgogni: Una forte emozione, stavo lavorando quando nel 2012 ho avuto la notizia che papa Benedetto l'avrebbe proclamata non solo santa, ma anche dottore della Chiesa: le riconosceva l'importanza che aveva da tanti punti di vista, anche intellettuale.
M. G. Filippi

Il martire di Dachau



Giuseppe Girotti, morto martire a Dachau, sarà beatificato il 26 aprile


Costruì una rete di contatti a sostegno degli ebrei. La celebrazione si terrà ad Alba

SANTE ALTIZIOTORINO

Fratel Giuseppe Girotti, domenicano, diventerà beato il prossimo 26 aprile, ad Alba, il giorno prima della canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII.

È possibile che pochi se ne accorgeranno, ma sarebbe un peccato, perché padre Giuseppe Girotti, morto martire a Dachau l’1 aprile del 1945, a 39 anni, è stato davvero un grande.

Per capire chi era padre Girotti bisogna aver visitato almeno una volta nella vita le colline delle Langhe. Terra, sudore e tradizioni dalle radici profonde.

I Girotti non erano una famiglia benestante, come molti da quelle parti. Tuttavia avevano a cuore l’istruzione dei figli, e così Giuseppe iniziò il suo percorso in convento sulle orme di san Domenico di Guzman, fondatore dei Frati Predicatori, meglio conosciuti come i Domenicani.

Le Langhe, in quegli anni, erano il crocevia di un nuovo modo di intendere la letteratura, la poesia e anche la teologia. Tre nomi su tutti: Cesare Pavese, Beppe Fenoglio e Don Natale Bussi. 

“Erano grandi amici, per noi giovani seminaristi di allora – ricorda don Cesare Battaglino – vederli insieme a discutere di Sacre Scritture e bere un bicchiere di vino era un piacere. Sapevamo di essere in ottime mani”.

Giuseppe Girotti era fraterno amico di don Bussi. La teologia che si produceva ad Alba aveva molte contaminazioni francesi, ma soprattutto, pose alcuni mattoni di quella che sarebbe stata trent’anni dopo, la magnifica avventura del Concilio Vaticano II.

Crescere ad Alba, in un contesto simile, per Girotti fu determinante. Incarnò il carisma domenicano con singolare concretezza. Soprattutto divenne un promettente biblista, anche grazie alla preziosa parentesi di studio a Gerusalemme. La Bibbia divenne terreno di studio e di discernimento spirituale e morale.

Padre Athos Antoniani, suo ex allievo ricorda: “Ci diceva: ragazzi ricordate che questa è sì Parola di Dio, ma anche parola dell’uomo”.

Divenuto professore di Sacra Scrittura, venne successivamente sospeso dall’insegnamento per motivi disciplinari. Trovò spazio tra i Missionari della Consolata, in corso Ferrucci a Torino, ove tenne lezione, fino allo scoppio della guerra.

Padre Girotti, che viveva nel convento domenicano della parrocchia di Santa Maria delle Rose, cominciò a costruire una rete di contatti a sostegno degli ebrei. Non sappiamo come iniziò, ma sappiamo che soprattutto dopo l’8 settembre del 1943 prese a muoversi con sempre maggior determinazione, insieme con alcuni amici incontrati fuori convento.

Ancora oggi qualche anziano prete torinese ricorda che si diceva in giro: “Girotti è uno che rischia”.

Per una delazione venne consegnato alla Gestapo, il 29 agosto del 1944. Prima le Carceri Nuove di Torino, poi San Vittore a Milano, poi ancora Bolzano, infine Dachau. Sulla sua casacca da internato venne apposto il triangolo rosso, quello riservato ai prigionieri politici.

Nel 2008 è morto don Angelo Dalmasso, che, con padre Girotti, condivise le tappe di questa terribile “Via Crucis”. Ne è stato il primo custode della memoria.

Durante la prigionia Girotti, quando e come poteva, scriveva. Don Dalmasso, tornato a casa, consegnò alla comunità domenicana di Torino tutto ciò che aveva conservato di padre Giuseppe. Purtroppo è andato perduto.

Di Girotti ci rimane un’omelia pronunciata nella cappella di fortuna che i preti e i religiosi detenuti nella baracca 26 di Dachau - più di tremila - erano riusciti ad allestire. Il testo è scritto in latino e tratta dell’unità dei cristiani. Verrà letta integralmente, ad Alba, il giorno della beatificazione. È il suo testamento spirituale.

I Frati della provincia San Domenico in Italia hanno voluto ricordare padre Giuseppe Girotti producendo, per la realizzazione della NOVA-T, un documentario intitolato: “il triangolo rosso”.

Fra Massimo Rossi, attuale priore della comunità torinese che fu di Girotti, afferma: “La testimonianza di carità del padre Girotti non può cadere nell’oblio! È necessario recuperare la memoria di un martire domenicano che ha affrontato la Via Crucis del lager con il coraggio della fede”.

Comunque, almeno ad Alba, il ricordo di Girotti non è mai venuto meno. Merito soprattutto di Renato Vai, che, del recupero della memoria albese della seconda guerra mondiale ha fatto una ragione di vita.  Insieme con i parenti di Girotti e un gruppo di concittadini determinanti quanto lui, ha dato vita all’Associazione intitolata a Padre Girotti, con sede presso il Centro culturale San Giuseppe, altra istituzione della città.

Se il 26 aprile padre Giuseppe Girotti diventerà beato è anche e soprattutto merito della gente di Alba.

Da mihi animas, cetera tolle

Papa Francesco riceve i partecipanti al Capitolo dei Salesiani che hanno appena eletto il nuovo rettore maggiore Ángel Fernández Artime, amico dai tempi in cui lavoravano insieme a Buenos Aires, del cardinale Bergoglio
“Don Bosco- ha detto il Papa-  con il suo motto: “Da mihi animas, cetera tolle” e il suo programma di lavoro e temperanza che fa superara la tentazione della mondanità spirituale. “Occorre preparare i giovani a lavorare nella società secondo lo spirito del Vangelo, come operatori di giustizia e di pace, e a vivere da protagonisti nella Chiesa” ha detto il Papa e ha ricordato l’importanza della dimensione vocazionale. “A volte- ha detto il Papa- la vocazione alla vita consacrata viene confusa con una scelta di volontariato, e questa visione distorta non fa bene agli Istituti. Il prossimo anno 2015, dedicato alla vita consacrata, sarà un’occasione favorevole per presentare ai giovani la sua bellezza.”
E ha proseguito il Papa : “Bisogna evitare in ogni caso visioni parziali, per non suscitare risposte vocazionali fragili e sorrette da motivazioni deboli. Le vocazioni apostoliche sono ordinariamente frutto di una buona pastorale giovanile. La cura delle vocazioni richiede attenzioni specifiche: anzitutto la preghiera, poi attività proprie, percorsi personalizzati, il coraggio della proposta, l’accompagnamento, il coinvolgimento delle famiglie. La geografia vocazionale è cambiata e sta cambiando, e questo significa nuove esigenze per la formazione, l’accompagnamento e il discernimento.”
Lavorar con i giovani dice il Papa significa avere a che fare con “il mondo della esclusione giovanile. Pensiamo alla vasta realtà della disoccupazione, con tante conseguenze negative. Pensiamo alle dipendenze, che purtroppo sono molteplici, ma derivano dalla comune radice di una mancanza di amore vero. Andare incontro ai giovani emarginati richiede coraggio, maturità umana e molta preghiera. Ci può essere il rischio di lasciarsi prendere dall’entusiasmo, inviando su tali frontiere persone di buona volontà, ma non adatte. Perciò è necessario un attento discernimento e un costante accompagnamento.”

Infine un pensiero per la vita di comunità a volte attraversata da “tensioni, con il rischio dell’individualismo e della dispersione, mentre c’è bisogno di comunicazione profonda e di relazioni autentiche.”  E Papa dice che la “forza umanizzante del Vangelo è testimoniata dalla fraternità vissuta in comunità, fatta di accoglienza, rispetto, aiuto reciproco, comprensione, cortesia, perdono e gioia.”
Angela Ambrogetti
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Sala stampa della Santa Sede
Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Capitolo Generale della Società Salesiana di San Giovanni Bosco (Salesiani). Discorso del Papa:
Cari fratelli,
siate i benvenuti! Ringrazio il neo-eletto Rettor Maggiore Ángel Fernández Artime per le parole che mi ha rivolto. A lui e al nuovo Consiglio Generale auguro di saper servire guidando, accompagnando e sostenendo la Congregazione salesiana nel suo cammino.  Lo Spirito Santo vi aiuti a cogliere le attese e le sfide del nostro tempo, specialmente dei giovani, e a interpretarle alla luce del Vangelo e del vostro carisma. (...)

Conferenza stampa di presentazione del cammino di preparazione alla canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II del 27 aprile 2014. Interventi



Sala stampa della Santa Sede
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si è tenuta una conferenza stampa di presentazione del cammino di preparazione alla canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II del 27 aprile 2014. Intervengono l’Em.mo Card. Agostino Vallini, Cardinale Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma; Mons. Giulio Dellavite, Segretario Generale della Curia diocesana di Bergamo; Mons. Walter Insero, Incaricato dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma e P. Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede.

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Bergamo e Roma per la canonizzazione. Nel segno della carità e della preghiera

Opere caritative che coinvolgono direttamente la Chiesa di Bergamo e il suo clero; e due appuntamenti di preghiera, tra cui una «notte bianca della misericordia», organizzati dal vicariato di Roma: sono i segni scelti per la canonizzazione dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, presentati durante la conferenza svoltasi stamane, lunedì 31 marzo, nella sala stampa della Santa Sede. A poco meno di un mese dall’appuntamento del 27 aprile, che richiamerà a Roma centinaia di migliaia di fedeli da ogni parte del mondo, è stato illustrato il cammino di preparazione alla cerimonia presieduta da Papa Francesco in piazza San Pietro nella domenica della Divina misericordia.
I monsignori Giulio Dellavite, segretario generale della curia vescovile di Bergamo, e Walter Insero, incaricato dell’ufficio per le comunicazioni sociali del vicariato di Roma, hanno riferito sulle iniziative promosse dalle rispettive diocesi. Quelle bergamasche seguono una triplice direzione con altrettante opere segno di carità. Il primo filone punta su alcuni progetti: uno internazionale per Haiti, con un contributo per una scuola edile; uno europeo, con l’edificazione di una parrocchia in Albania; e uno in casa, con la ristrutturazione di una vecchia caserma cittadina in disuso per trasformarla in una struttura a favore dei poveri. Il secondo filone riguarda il sostegno alle famiglie colpite dalla crisi economica, attraverso l’incremento del fondo a loro favore, ottenuto con la vendita di beni della diocesi e con l’impegno dei 900 sacerdoti del clero locale a versare l’equivalente di uno stipendio. Il terzo, infine, è socio-culturale e prevede borse di studio per i giovani.
Per quanto riguarda Roma, il vicariato ha promosso due appuntamenti di preghiera e di testimonianza: il primo, con l’apertura notturna di undici chiese del centro storico sabato 26 aprile e sacerdoti disponibili per confessare in diverse lingue; il secondo, con raduno dedicato ai giovani a San Giovanni in Laterano, martedì 22. Infine la Chiesa di Roma ha allestito la piattaforma digitale www.2papisanti.org che offrirà informazioni logistiche e contenuti sulla spiritualità dei due Pontefici.
Il cardinale vicario Agostino Vallini ha parlato di una festa della santità, in un tempo in cui c’è bisogno di speranza. Offrendo una lettura “spirituale” dell’avvenimento, il porporato ha sottolineato in particolare lo «stile di vicinanza e di accoglienza che accomuna» i due Pontefici. «C’è un filo rosso — ha detto — che li lega: la loro fede come modello di vita cristiana e umana. Entrambi hanno indicato a tutti i cristiani una meta: Roncalli con l’indizione del concilio Vaticano II, chiamando con grande coraggio e fede la Chiesa a rinnovarsi; Wojtyła impegnandola lungo le tante vie nuove della fede e della pastorale».
Durante l’incontro con i giornalisti, rispondendo alle loro domande, il direttore della sala stampa padre Federico Lombardi ha precisato che «non ci sono ancora previsioni o cifre precise», da parte della Santa Sede, sul numero dei pellegrini che giungeranno. «Noi invitiamo tutti a venire serenamente, senza paure», ha aggiunto. Per quanto riguarda invece la presenza del Papa emerito, ha spiegato che Benedetto XVI «è stato invitato ma che, a un mese dall’avvenimento, non c'è nessuna sicurezza». Infine ha annunciato che si sta potenziando la struttura informativa per i tanti media che si stanno accreditando.
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