lunedì 31 marzo 2014

L’Africa di Roncalli e Wojtyła




Verso il 27 aprile. Come i due pontefici hanno sposato la causa del continente. 

Anticipiamo, in una nostra traduzione, ampi stralci di un articolo a firma del direttore delle comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Abuja, in Nigeria. Il testo, in vista delle canonizzazioni del 27 aprile, comparirà sul prossimo numero della rivista comboniana europea on line Southworld.net.
(Patrick Tor Alumuku) Saranno tanti gli africani tra i cinque milioni di pellegrini attesi in piazza San Pietro e dintorni per la canonizzazione di due grandi pontefici della Chiesa del nostro tempo, Giovanni XXIII, “il Papa buono”, e Giovanni Paolo II, che molti africani chiamano il Papa “bianco e africano”.
Giovanni XXIII, Papa dal 1958 al 1963, viene ricordato con affetto per la sua importante enciclica Pacem in terris, ovvero Pace in terra. Ma in Africa viene ricordato soprattutto per aver chiamato il primo africano a far parte del collegio cardinalizio. Nel 1960 Giovanni XXIII creò cardinale il tanzaniano Laurean Rugambwa. Quest’ultimo era un pastore pragmatico, amorevole e attento. Fu un fattore unificante nel suo Paese e in Africa, e divenne anche un simbolo della speranza della Chiesa nel continente. La sua nomina, giunta in un tempo in cui la maggior parte dei Paesi africani lottava per l’indipendenza, fu vista anche come un riconoscimento e una responsabilizzazione della presenza indigena africana nella Chiesa universale. Quando, nel 1962, venne aperto il Vaticano II, Rugambwa diventò il punto di riferimento dei pochissimi vescovi indigeni africani e dei vescovi missionari, che erano maggioritari, al concilio.
Nei ventisei anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha cambiato la demografia ecclesiale come mai nessun Papa prima di lui in tutta la storia della Chiesa cattolica. In tale periodo, la popolazione cattolica mondiale è aumentata di circa il 43 per cento, dai 757 milioni nel 1978 agli 1,09 miliardi alla fine del 2003. Sotto Giovanni Paolo II, ancora più significativo è stato il netto cambiamento nel Terzo mondo. Il numero di cattolici in Africa, per esempio, è aumentato di oltre il 160 per cento, da 55 a 144 milioni. Anche la crescita più grande di vocazioni al sacerdozio verificatasi nella Chiesa durante il suo pontificato è avvenuta in Africa, dove in ventisei anni il numero di sacerdoti diocesani è più che triplicato.
Lo sviluppo della Chiesa in Africa è dovuto in gran parte all’attenzione che egli ha dedicato al continente attraverso le sue numerose visite. Ha compiuto quattordici viaggi, visitando quarantadue delle cinquantasette nazioni africane. All’inizio di uno di questi viaggi, un giornale italiano, «Il Corriere della Sera», lo ha definito «il Papa che ama l’Africa». Sono stati i suoi messaggi, i suoi gesti e il suo affetto a produrre l’enorme crescita e la forte presenza cattolica ora visibile nella maggior parte delle diocesi cattoliche a sud del Sahara. Durante quelle visite si è rivolto a seminaristi, sacerdoti e religiosi, laici e diplomatici, leader di governo; ha incoraggiato l’inculturazione, esortato le Chiese particolari a promuovere cause per i santi locali. Ha affrontato questioni come la corruzione, l’apartheid e la dittatura. Ha invitato a una nuova evangelizzazione ed esortato le famiglie cristiane a vivere in armonia. Ha auspicato una nuova Africa, capace di vivere nella giustizia e nella pace. Ha invitato i giovani a comprendere di essere loro la speranza del futuro africano e ha promosso la solidarietà tra le Chiese particolari. Ha esortato la gerarchia a rafforzare tutti i cattolici africani e ad aiutarli a realizzare la speranza di una liberazione autentica.
Giovanni Paolo II non ha mai nascosto la sua gioia per la continua crescita della Chiesa in molti Paesi africani, desiderando che tale crescita venisse sostenuta. Rivolgendosi ai vescovi nigeriani durante la sua visita nel 1998 disse: «La Nigeria ha una delle più numerose popolazioni cattoliche dell’Africa, e il numero dei credenti è in continua crescita. Questo è un segno della vitalità e della crescente maturità di questa Chiesa locale. Particolarmente promettente a questo proposito è l’aumento delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa». Esortando a una stretta collaborazione tra i sacerdoti e i loro vescovi, aggiunse: «Poiché i sacerdoti sono i vostri principali collaboratori nello svolgimento della missione apostolica della Chiesa, è essenziale che i vostri rapporti con loro siano caratterizzati da unità, fratellanza e apprezzamento dei loro talenti».
È stato in occasione del primo sinodo per l’Africa convocato da Giovanni Paolo II che per la prima volta nella basilica di San Pietro si è sentito il suono di un tamburo africano. Quel sinodo ha offerto a tutta la Chiesa in Africa l’opportunità di guardare non solo alle sfide, ma anche alle opportunità per consolidare la fede in un continente che stava diventando rapidamente cristiano. Quel sinodo è stato anche un’occasione per far conoscere al resto del mondo l’immenso impatto che il pontificato di Giovanni Paolo II aveva avuto sull’Africa. A quel tempo anche la presenza africana in Vaticano stava crescendo. Con il cardinale Bernardin Gantin, della Repubblica del Benin, come decano del Collegio cardinalizio, il cardinale nigeriano Francis Arinze come prefetto di un dicastero e l’arcivescovo guineano Robert Sarah a Propaganda Fide, e con una dozzina di sacerdoti africani nei vari dicasteri vaticani, era chiaro che Giovanni Paolo II voleva una presenza africana al centro dell’amministrazione della Chiesa.
L’influenza di Giovanni Paolo II si è allargata come un fuoco incontrollato. Tra le comunità rurali in tutta l’Africa c’è un’intera generazione di giovani cristiani che si chiamano Giovanni Paolo, molti dei quali sono anche diventati sacerdoti. I loro genitori erano stati colpiti dalla testimonianza di quel grande Papa e dal suo amore per il continente.
L’Africa è letteralmente invasa da istituzioni sanitarie, servizi sociali o centri di formazione pastorale e spirituale che prendono il nome da Papa Giovanni Paolo II. Le sue orme sono visibili in ogni angolo del continente. C’è un proverbio hausa che dice che se qualcuno ti ama dovresti contraccambiarlo. L’Africa ama Papa Giovanni Paolo II nella morte come nella vita. Non potrebbe esserci momento migliore per rendere omaggio a questo grande Papa di quello in cui gioire per la sua canonizzazione. È per questo che le singole diocesi e le conferenze nazionali stanno programmando dei pellegrinaggi a Roma in coincidenza con la sua canonizzazione.
L'Osservatore Romano