lunedì 31 marzo 2014

"Và, tuo figlio vive"



Essendo un allenamento a vivere bene, la Quaresima ci insegna l'atteggiamento adeguato da assumere dinanzi agli eventi che odorano di morte, come quello in cui si è imbattuto il "funzionario del re". In questo padre possiamo incontrarci tutti, protesi verso Cristo, cercando in Lui la salvezza. Anche in noi vibra questo tempo meraviglioso della Quaresima, il grembo dove la Chiesa gesta la gioia della Pasqua. Infatti, abbiamo anche noi un "figlio" che "sta per morire". E' a "Cafarnao", la Patria di Gesù, ma non sa dargli "onore". Non può riconoscerlo come "profeta". Siamo nella Chiesa, eppure proprio la prossimità con Gesù, con la sua Parola, con i sacramenti, con le attività della parrocchia, con le celebrazioni di gruppi e comunità, ci ha fatto scivolare in un rapporto superficiale e scontato con Lui. Siamo diventati professionisti del cristianesimo, pensieri e gesti partono in automatico, ma è pura ipocrisia. Ci siamo abituati al suo amore, non siamo più capaci di stupirci per le Grazie con le quali ci accompagna istante dopo istante. E non ci siamo accorti che il "figlio" di Dio che è in noi è malato. Non abbiamo saputo discernere i sintomi che si andavano manifestando: disattenzioni ai bisogni della moglie, piccoli egoismi nei confronti del marito, insofferenza crescente agli atteggiamenti lunatici dei figli, giudizi che covano da tempo, accidia nella preghiera, attaccamento al denaro, e quel sottile e pernicioso senso di frustrazione accolto e coccolato, sino a farci sentire incompresi dal mondo intero. Il demonio, subdolamente, si è infilato nei pertugi lasciati incustoditi e ci ha chiusi lentamente nella prigione dell'orgoglio. E ora è ira travolgente a ogni inconveniente, parole pesanti in risposta alle incomprensioni del coniuge, chiusura netta a ogni richiesta dei figli, avarizia nevrotica, pregiudizi sottili verso chiunque. Il "figlio" ha perso le sembianze del Padre, incapace di donarsi, di amare salendo sulla Croce che la storia ci presenta. Stiamo morendo. Ma Gesù, in questo tempo di Grazia, torna di nuovo" a "Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino", scende ancora nella nostra vita per riaccendere la memoria degli inizi, quando abbiamo ascoltato e accolto la sua Parola e abbiamo sperimentato il suo potere. Torna per guarirci, compiendo in noi "quello che ha fatto a Gerusalemme", viene cioè a purificarci scacciando venditori e cambiavalute dal nostro cuore, per ricostruire in noi il suo Tempio. Viene per fare Pasqua con noi. La Chiesa ci annuncia oggi che Lui è qui, proprio dove lo abbiamo rifiutato. Accorriamo allora, a "chiedergli" di "scendere" nei nostri peccati. E' vero, per "credere" abbiamo ancora bisogno di "vedere segni e prodigi". Ma Gesù ci conosce, e, come già alle nozze, si lascia di nuovo strappare il suo potere, per condurre la nostra debolezza alla fede adulta. Per questo, con misericordia infinita, ci annuncia ancora la sua Parola, offrendoci un "secondo segno", una seconda possibilità di convertirci e credere. La Quaresima ci insegna a non tralasciare alcuna delle Parole che Dio ci dice attraverso i fatti della storia. A non abbassare la guardia e a vigilare su tutto il fronte, perché le malattie si possono prevenire, sottoponendo istante dopo istante cuore e mente alla Parola di Dio. Il demonio ci gira intorno per divorare il bambino appena nato, il figlio di Dio che si accinge ad amare, perdonare, scusare, pazientare. L'unica forma per assumere l'ora che ci è data è ascoltare e obbedire alla sua Parola che la Chiesa ci predica. E incamminarsi, come il "funzionario del re", per andare a sperimentare che è vera e compie esattamente ciò che annuncia. Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, la scala che conduce alle acque del battesimo; una notte da attraversare, e trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento per incontrare la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. Un tempo, l'esistenza che ci è data, come quello nel quale Gesù aveva inviato quel padre. Questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi, ci accoglie con le parole di Gesù: "Và, tuo figlio vive". Siamo chiamati ad entrarvi custodendo, come Maria, questa profezia, per riconoscere che "proprio nell'istante" in cui ci è stata annunciata e abbiamo obbedito, la Parola aveva giàoperato il prodigio: dove la carne aveva visto la morte, lo Spirito aveva già dischiuso la vita. Così Gesù guarisce il "figlio", insegnandoci, attraverso un serio cammino di fede, a vedere il suo amore operare nell'istante in cui la sua Parola è deposta, come il suo corpo nella tomba, nel matrimonio che credevamo fallito, nel lavoro senza senso, nell'amicizia tradita, in ogni nostro peccato. La fede adulta che vince il mondo e accompagna ad essa anche la nostra "famiglia", è quella che spera contro ogni speranza. Accogliamo questo Vangelo, per guarire il "figlio" che è in noi, ma anche i nostri "figli" nella carne, perché la loro fede dipende dalla nostra conversione, non dai moralismi imbastiti dalle chiacchiere che gli propiniamo ogni giorno. La fede che illumina la ragione, altro che salto nel buio. La fede che si sperimenta empiricamente, orologio alla mano, perché Dio è puntuale, si è fatto carne per dare alla carne "segni" da ascoltare, vedere e toccare, vita autentica nella morte altrettanto vera.