domenica 30 marzo 2014

Yes we can, ma Gesù prese anche il bastone




Di Eugenio Scalfari
IL GOVERNATORE della Banca d’Italia, ricordando Guido Carli alla Luiss, ha citato una delle frasi che ripeteva più spesso: «Dobbiamo liberarci dai lacci e lacciuoli che rallentano lo sviluppo dell’economia italiana».

Fui molto amico di Carli e la ricordo anch’io quella frase; i lacci e lacciuoli designavano gli strumenti di cui si servivano le corporazioni, le confraternite del potere, le lobby, gli interessi particolari che spesso avevano la meglio sull’interesse generale e che sussistevano in Italia anche dopo la nascita del mercato comune europeo. L’economia del nostro Paese era in gran parte configurata dall’esistenza di un sistema oligopolistico che creava una serie di ostacoli alla libera concorrenza, al centro del quale chi dava le carte erano la Fiat e l’industria elettrica. Con l’inizio del centrosinistra la vera e anzi unica novità voluta dai socialisti e soprattutto dal leader della sinistra Riccardo Lombardi fu la nazionalizzazione dell’industria elettrica spezzando in questo modo il monopolio più importante mentre l’Europa si apriva anche al mercato internazionale.

Il sindacato operaio di quell’epoca non rientrava affatto nell’elenco delle lobby; rappresentava la classe operaia, i suoi interessi e i suoi valori, ma essi non erano affatto contrari a quelli dello Stato. Luciano Lama nei momenti di difficoltà economica gestiva una politica di moderazione salariale e la stessa politica fu anche quella di Berlinguer e di Giorgio Amendola. La moderazione salariale dei sindacati fu riconosciuta più volte nelle relazioni dei governatori della Banca d’Italia, a cominciare addirittura da Menichella e poi da Carli, da Baffi e da Ciampi.

I lacci e lacciuoli di oggi esistono in un mondo la cui struttura economica e sociale è profondamente cambiata: la popolazione è invecchiata, i giovani tra i 16 e i 29 anni rappresentano meno di un terzo della popolazione, le imprese di grandi dimensioni sono quasi tutte scomparse, le medie imprese devono affrontare mercati dove il costo del lavoro è decisamente più basso che da noi, la delocalizzazione è diventata una prassi, le imprese piccole soffrono di un credito in continua diminuzione e con elevati tassi di interesse, gli imprenditori da trent’anni investono sempre di meno impiegando capitale e dividendi soprattutto nella finanza e sempre meno nell’industria; per conseguenza la base occupazionale si è ristretta e la produttività è fortemente diminuita, il sindacato rappresenta soprattutto i pensionati, la classe operaia come aristocrazia del lavoro non esiste più perché i contratti sono diventati individuali o di piccole categorie diverse tra loro.
Queste sono le condizioni con le quali i lacci e lacciuoli dell’epoca di Carli non esistono più ed hanno cambiato natura. Forse Ignazio Visco avrebbe dovuto spiegarlo alla platea che lo ascoltava.

I lacci e lacciuoli di oggi sono soprattutto la mescolanza tra finanza privata e politica, la carenza di innovazioni nelle manifatture, la scarsità del credito, la corruzione e l’evasione e infine, non ultimo, le mafie.

I contratti aziendali sono una forma idonea per risvegliare le manifatture e le imprese medio-piccole, ma al sindacato resta comunque un compito essenziale: vigilare sui diritti dei lavoratori che non debbono essere lesi ma semmai rafforzati e allargati anche nelle imprese medio-piccole. E al sindacato resta anche il compito e il ruolo di controparte per quanto riguarda il nuovo “welfare” e i nuovi ammortizzatori sociali.

Il governo sembra indirizzato a realizzare questi obiettivi ma non riconosce al sindacato il ruolo decisivo che abbiamo ora indicato. È un grave errore e basterebbe guardare alla funzione dei sindacati in Germania per rendersene conto.
«Yes we can» ha detto Renzi nel suo recente incontro con Obama facendo proprio lo slogan con il quale il senatore di Chicago vinse la sua battaglia per diventare presidente degli Stati Uniti. «Yes we can», ma che cosa esattamente? Adesso si applicherà il decreto di Enrico Letta sul tetto da porre alle retribuzioni dei dirigenti di imprese pubbliche. Sull’occupazione giovanile la legge di Letta ha già prodotto nuovi posti di lavoro per 14 mila giovani e nel 2015 la proiezione statistica prevede un risultato che arriverà ai 60-90 mila. Renzi non lo dice, ma finora i risultati concreti provengono dalle iniziative del suo predecessore. Ora aspettiamo le iniziative che Renzi promette che sono buone e concrete. Do you can? Vi guarderemo con attenzione, ma dovremo aspettare un bel po’ perché la bacchetta magica neanche Renzi ce l’ha.
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Tuttavia, anche se ho cominciato dal “We can” renziano, non è questo il tema principale di questo articolo. Il tema è Gesù che prende il bastone e bastona cacciando dal tempio gli scribi e i farisei che interpretano malissimo la legge di Dio e i corrotti che hanno gestito i loro sporchi commerci addirittura nei luoghi sacri del popolo di Israele.

Gesù che bastona è stato riportato d’attualità alle sette del mattino del giorno in cui Obama è arrivato a Roma per la sua breve ma intensa visita in Vaticano, al Quirinale e a Villa Madama con Renzi. Alle sette del mattino Papa Francesco aveva convocato a messa in San Pietro 500 membri del Parlamento e tutti i ministri del governo e li ha bistrattati di santa ragione. Non li ha abbracciati, non li ha perdonati, non li ha salutati. Li ha soltanto bastonati.

Il circuito mediatico giornalistico e televisivo, con l’eccezione di pochissimi giornali e di Enrico Mentana, ha sottovalutato quella messa molto particolare di Papa Francesco. Il motivo credo sia quello che le parole del Papa potevano esser ritenute simili agli slogan di Grillo, ma non è così. Grillo straparla contro la casta ma ne fa sostanzialmente parte specie quando si impegna ad abolire la libertà di mandato dei parlamentari per meglio tenerli in pugno impedendo proprio a loro la libertà d’opinione. Il Papa invece parlava ai politici italiani di una battaglia che Lui a sua volta sta combattendo in Vaticano contro tutte le forme di temporalismo.

Il potere temporale, così pensa il Papa, ha deturpato la Chiesa per secoli e secoli se non addirittura per oltre un millennio.
Francesco ritiene che la Chiesa non debba essere sporcata e deformata da questo peccato capitale. Ecco la rivoluzione che da un anno sta conducendo e che dovrebbe avvenire anche nel Paese che è la sede del Papato. Di qui la sua invettiva di giovedì scorso. I media hanno privilegiato Obama ma hanno sbagliato. Il presidente Usa è stato a Roma poco più di 36 ore, ha visto a lungo Napolitano, a lungo Papa Francesco, un po’ meno lungamente il presidente del Consiglio, ha visto il Colosseo e sul predellino dell’aereo il sindaco Marino con tanto di fascia tricolore.

Ma Francesco resta qui, per nostra fortuna. È dolce e mite come il suo Gesù Cristo, ma come Lui quando è necessario impugna il bastone e bastona. Lo fa in Vaticano, lo fa in San Pietro, lo fa con la Curia e lo fa con il Parlamento del paese nella città di cui è il Vescovo; ma il bastone che impugna riguarda il peccato del mondo, il solo vero peccato che mette il mondo fuori dalla grazia e dal bene.

Questo è il suo insegnamento e questa è la sua rivoluzione.
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Ho incontrato papa Francesco qualche giorno fa, era il 18 marzo scorso, gli avevo chiesto quell’incontro come già accaduto altre volte, non per scriverne raccontando quel che c’eravamo detti, ma per proseguire il dialogo tra Lui e un non credente come io sono. Poi ho scritto raccontando quel dialogo, ma soltanto per me, per ricordare a me i pensieri che ci siamo scambiati. Ma uno di quei pensieri lo voglio qui riferire perché è strettamente pertinente con quello che ha detto alla messa di giovedì scorso. Ha detto: «In tutte le decisioni che ciascuna persona prende esiste il rischio che le sue convenienze personali e di gruppo prevalgano su considerazioni più alte. Ricordo questi versi di Dante: “Ahi Costantin di quanto mal fu matre...” Quei versi ricordano l’editto dell’imperatore Costantino che nel 313 d. C. fece una donazione alla Chiesa e ne autorizzò il culto, anzi lo fece proprio inserendo la croce sui suoi vessilli. Il peccato del mondo è l’ingiustizia e la prevaricazione. Io la chiamo concupiscenza, cupidigia del potere, desiderio di possesso. Questo è il peccato del mondo che noi combattiamo da due diverse sponde».

Questo pensiero è il medesimo che ha ispirato il Papa nell’allocuzione fatta in San Pietro ai membri del Parlamento italiano e probabilmente ad Obama che ha incontrato poche ore dopo. Obama lo sa anche lui che nel suo paese ha combattuto e combatte questa battaglia.

Se tutti i detentori del potere lo usassero per realizzare questa finalità, il mondo affronterebbe quella che Berlinguer chiamò la questione morale. Due domeniche fa, rievocando Berlinguer, scrissi che tra lui e Francesco esistono molti punti in comune ed è vero.

Pensateci, pensateci a lungo e non scordatevene voi che avete il potere. È vero, «You can», ma Gesù a volte prende il bastone. Anche chi non crede, questa verità la conosce, la condivide e non se la scorda.
La Repubblica

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