lunedì 28 aprile 2014

Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II santi. Le messe di ringraziamento

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Il  tweet di Papa Francesco: "L’inequità è la radice dei mali sociali." (28 aprile 2014)

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Sono in migliaia i polacchi che sono tornati in piazza San Pietro per la messa di ringraziamento per la canonizzazione di Papa Giovanni Paolo II. Numerosi e pieni di gioia i fedeli della diocesi di Bergamo alla messa di ringraziamento per la canonizzazione del loro concittadino Giovanni XXIII nella Chiesa di San Carlo al Corso, dove Angelo Giuseppe Roncalli fu ordinato vescovo.
Il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica di San Pietro, presiede la celebrazione in piazza San Pietro. Ricorda l’emozione che si era diffusa alla morte di Giovanni Paolo II, le pagine del Vangelo mosse dal vento al suo funerale. Ed elenca i motivi per cui Giovanni Paolo II può essere considerato un Papa coraggioso.
“Ha avuto il coraggio di dire apertamente la fede in Gesù in un’epoca di apostasia silenziosa da parte dell’uomo sazio, che vive come se Dio non esistesse”. “Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di difendere la famiglia, che è un progetto di Dio scritto a chiare note nel libro della vita. Ha difeso la famiglia mentre si stava diffondendo confusione e pubblica aggressione verso la famiglia, nel tentativo folle di scrivere una anti-genesi, un controprogetto del Creatore”. “Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di difendere la vita umana in un’epoca in cui si sta diffondendo la cultura dello scarto, come più volte si è espresso Papa Francesco”. “Ha avuto il coraggio di difendere la pace mentre soffiavano cupi venti di guerra”. “Ha avuto il coraggio di andare incontro ai giovani per liberarli dalla cultura del vuoto e dell’effimero e per invitarli ad accogliere Cristo, unica luce della vita e unico capace di dare pienezza di gioia al cuore umano”. “Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di vivere davanti al mondo la gioia di essere prete, la gioia di appartenere a Cristo e di spendersi totalmente per la causa del suo Regno”.
La messa di ringraziamento per la canonizzazione di Giovanni XXIII è stata celebrata dal vescovo di Bergamo Beschi, dal cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, mons. Coter e il nunzio in Libano Gabriele Caccia. Con loro numerosi sacerdoti e seminaristi.
Momento centrale della cerimonia la lettura da parte di monsignor Beschi della lettera che il vescovo ha scritto a Papa Francesco, espressione di gioia e riconoscenza. “Benediciamo il Signore per il dono della santità di Papa Giovanni XXIII e di Papa Giovanni Paolo II. La proclamazione di questo dono davanti alla Chiesa e al mondo alimenta la speranza che scaturisce dal Vangelo e da coloro che lo testimoniano in modo luminoso; nello stesso tempo ci sprona a ricercare, appassionatamente e con intima gioia, di raccogliere la seminagione di Vangelo che avviene attraverso i suoi testimoni e di coltivare quanto è stato seminato nella vita di ciascuno di noi, nella sua specifica vocazione e missione e nella vita di tulle le nostre comunità”.
“Caro Papa Francesco, nel messaggio di questi giorni, mentre condivide la nostra gioia, lei ci affida un’eredità che è per tutte le donne e gli uomini del mondo, ma che desidera abbia una particolare accoglienza nel popolo di questa terra”.
Tre sono gli inviti ai fedeli, secondo il vescovo Beschi: “custodire la memoria dei terreno nel quale essa è germinato, ‘un terreno fatto di profonda fede vissuta nel quotidiano, di famiglia povere, ma unite dall’amore del Signore, di comunità capaci di condivisione nella semplicità’””; “accogliere il cambiamento e le provocazioni che comporta per chi vuoi essere fedele al Vangelo” e a “continuare a camminare con convinzione lungo la strada tracciata dal Concilio”; “e l’invito a tutta la società bergamasca. a perseguire i valori della fraternità e della solidarietà, che in maniera profonda e forte ne hanno disegnato una fisionomia che possiamo continuamente rigenerare se li poniamo come tratti indiscutibili e impegnativi della nostra convivenza civile”.
Korazym (Andrea Gagliarducci)
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La Chiesa in cerca della sua santità
La Repubblica, 27 aprile 2014
di ENZO BIANCHI

Uomini e donne che sono stati riconosciuti fedeli al vangelo vengono canonizzati, proclamati santi dalla chiesa affinché siano di esempio per tutti: i cristiani hanno infatti la convinzione che tra di loro alcuni tentino di vivere con radicalità la fedeltà al vangelo e perciò meritano di essere autorevoli e affidabili. Quando questa conformità alla vita di Gesù si mostra evidente, allora coloro che ne sono stati testimoni attribuiscono la santità ai loro fratelli e sorelle.
Ma non si dimentichi che i santi non sono “impeccabili”, sono anche loro dei peccatori nei quali però l’amore e la misericordia di Dio hanno vinto. Costoro non si sono fatti santi bensì sono stati fatti santi da Dio, il solo Santo, perché hanno tutto predisposto affinché l’azione di Dio in loro non trovasse ostacoli.
Sappiamo inoltre che una cosa è la santità e altra cosa è il processo del suo riconoscimento in vista di una venerazione pubblica: molti santi non sono conosciuti a sufficienza per essere proclamati tali, altri non hanno avuto nessuno che avesse la forza di far avanzare questo riconoscimento, altri ancora sono stati canonizzati secoli dopo la loro morte, a volte sotto la spinta di politiche ecclesiastiche mutate.
Infine alcuni sono nel catalogo dei santi nonostante alcune loro azioni siano state in contraddizione profonda con lo spirito e il comandamento cristiano: i preti sapienti e liberi di un tempo dicevano che questi erano stati proclamati santi nonostante le loro infedeltà al vangelo perché lo erano diventati prima di morire, in un modo che solo Dio conosce... Così recentemente, sotto la pressione di realtà ecclesiali, alcuni testimoni hanno conosciuto corsie preferenziali verso il riconoscimento della santità, altri per prudenza ecclesiastica subiscono ritardi apparentemente inspiegabili.
Personalmente avrei desiderato per oggi la canonizzazione non solo di papa Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, ma anche quella di Paolo VI. Certo tre papi canonizzati insieme sarebbe stato insolito, ma non si comprende perché tra i papi del concilio proprio Montini sia escluso dalla canonizzazione, se non per ragioni di diffidenza verso il Vaticano II e la riforma liturgica a lui dovuta. Anche perché, se si dovesse discernere la santità in atti di governo pontificio, basterebbe verificare che questi non siano contraddittori rispetto al vangelo e al suo spirito, essendo in ogni caso i loro autori sempre uomini limitati e non esenti da errori, non necessariamente peccati.
Quali insegnamenti possiamo trarre da Giovanni XXIII e da Giovanni Paolo II? Di papa Roncalli occorre ricordare che il 23 febbraio 1965 il cardinal Lercaro avanzò la proposta della proclamazione della sua santità a concilio in corso, “non solo come santità esemplare, ma come santità programmatica di una nuova età della chiesa, individuata dal santo pastore, dottore e profeta”.
Questa proposta non fu accolta, ma comunque già alla sua morte papa Giovanni era stato percepito come un santo dai cattolici, come un cristiano autentico dagli altri cristiani, come un “giusto-buono” dai non credenti. Nel suo motto episcopale era riassunto il suo proposito: obbedienza e pace. Obbedienza al vangelo, nell’umiltà, nella povertà, nell’accettazione di quanto il Signore innanzitutto, la storia e gli uomini gli chiedevano di fare.
Aveva sempre accettato incarichi di lavoro a volte anche ingrati, aveva subìto umiliazioni, ma proprio per questo si sentiva libero e non ostacolato da interessi personali nell’agire da cristiano: così in Bulgaria ascoltava i poveri e sapeva amare con intelligenza gli ortodossi, a Istanbul seppe aiutare gli ebrei perseguitati... Proprio perché obbediente alla volontà del Signore che vuole che i suoi discepoli “siano una cosa sola” gettò le basi del dialogo con le altre chiese e proprio per la grande fede nel “Signore della chiesa” volle il concilio.
Accanto a questa obbedienza, e come sua conseguenza, si colloca il suo proposito di pace. Pace interiore, certo, ma anche pace tra i popoli e le nazioni, apertura a un atteggiamento mai ostile verso l’altro, rispetto della dignità di ciascuno, attenzione per i più deboli e per i poveri: tutti elementi ribaditi nella sua ultima enciclica, pubblicata come un testamento spirituale poche settimane prima della morte, la Pacem in terris. Un santo non perché autore di miracoli, non perché la sua vita fosse stata abitata dallo straordinario o da una mistica raffinata ma perché cristiano nei sentimenti, nelle azioni, nello stile: semplicemente, un cristiano sul trono di Pietro!
Dal canto suo Karol Wojtyla, già prima di diventare papa, si era manifestato come un confessore combattente della fede, un tenace difensore della presenza cristiana nella società, ma anche un uomo che aveva conosciuto l’orrore umano, il male di cui gli uomini possono macchiarsi, un cristiano capace di leggere anche le responsabilità dei cristiani nella storia.
Azioni che obbedivano al vangelo ma che sembravano nuove e inedite furono da lui vissute e indicate alla chiesa come urgenti: la riscoperta della presenza di Israele ancora popolo in alleanza con Dio, il dialogo con tutte le religioni chiamate ad Assisi a pregare per la pace, il riconoscimento degli errori commessi dai “figli della chiesa” nella storia attraverso l’uso della violenza e la persecuzione dell’altro, il riconoscimento dei martiri cristiani di tutte le chiese come testimoni nostri contemporanei. Tutte azioni che hanno fatto compiere alla chiesa un cammino che ora appare irreversibile, ma che sono soprattutto atti di obbedienza allo Spirito di Gesù Cristo.
In ogni caso, le due canonizzazioni di oggi rivelano anche papa Francesco: da un lato rispondono positivamente alla domanda di folle di uomini e donne che desiderano che questi due papi siano venerati, ma testimoniano anche la sua volontà di indicare alla chiesa che, anche in un’epoca giudicata di “crisi”, è ancora in grado di esprimere la santità e che questi ultimi successori di Pietro non hanno tradito la grande tradizione ma l’hanno servita rendendola viva, bella e soprattutto capace di essere ascoltata dall’uomo contemporaneo. Questi due papi erano molto diversi, ma la loro diversità è ricchezza, come quella raffigurata nell’icona di Pietro e Paolo, mostrati sempre in un abbraccio fraterno, anche se in vita avevano modi di sentire molto differenti.

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Il Papa si affida ai nuovi santi per le sfide della “sua” Chiesa   
La Stampa
 
(Andrea Tornielli) Francesco non relega Wojtyla e Giovanni XXIII nel passato e invia un messaggio alle gerarchie -- Quando alle 10.15, con voce sommessa, Francesco ha pronunciato in latino la formula della canonizzazione iscrivendo nel novero dei santi della Chiesa cattolica (...)