martedì 27 maggio 2014

Nel segno della preghiera

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Concluso il pellegrinaggio di Papa Francesco.

(Mario Ponzi) Si è concluso questa mattina, martedì 27 maggio, il viaggio di Papa Francesco in Terra santa. Ieri sera il rientro in Vaticano. Ma il vero gesto conclusivo è avvenuto oggi davanti a colei che gli è stata compagna di viaggio nelle intensissime giornate vissute nella terra che l’hanno vista gioire e soffrire con il figlio Gesù. È questo il senso della preghiera silenziosa del Papa dinnanzi all’immagine della Madonna Salus populi Romani nella basilica di Santa Maria Maggiore. E quel fascio di fiori che ha lasciato ai suoi piedi è stato, questa volta, espressione del suo filiale ringraziamento per la mano che lo ha sempre guidato in quelle ore. Ma anche affidamento delle sue iniziative di pace per una terra martoriata.
Si è dunque concluso così come era iniziato il pellegrinaggio in Giordania, Palestina e Israele. Con la preghiera. In effetti la chiave di lettura proposta per alcuni degli avvenimenti che si sono succeduti nelle cinquantasei ore di permanenza del Papa nei luoghi santi aveva un po’ distolto l’attenzione sulla dimensione vera del pellegrinaggio. Che non è mai venuta meno perché Papa Francesco ha sempre incentrato gesti e parole proprio sulla preghiera. Lo stesso invito ai presidenti palestinese e israeliano, che ha avuto risonanza mondiale, è stato un invito a pregare insieme per la pace. Così come dinnanzi al muro di Betlemme e alla stele per le vittime del terrorismo, nei pressi del monte Herzl, ha pregato per le sofferenze inferte dall’uomo all’uomo.
Tuttavia è stato poco prima di lasciare la Terra santa che la preghiera ha raggiunto forse la sua più alta espressione. È avvenuto in quella che può essere considerata la prima sede della Chiesa nascente, il luogo dell’istituzione del sacerdozio ordinato, dell’Eucaristia, della riconciliazione. La sala del Cenacolo. E quando il Papa, nel tardo pomeriggio di ieri, lunedì 26, è entrato in quella sala, è sembrato come se trovasse apparecchiata la mensa intorno alla quale erano i nuovi apostoli inviati a diffondere la luce della Chiesa in oriente.
Un evento straordinario, nel senso vero della parola, perché in questo luogo, dal 1948 amministrato dalle autorità israeliane, raramente sono state celebrate messe pubbliche. E tuttavia straordinario anche per l’atmosfera che si respirava. Il Papa celebrava con gli ordinari di Terra santa e faceva memoria degli elementi fondanti di questa Chiesa: il servizio, il sacrificio, l’amicizia, il congedo e la promessa.
Ma poi ricordava anche la meschinità, la curiosità, il tradimento. Atteggiamenti, ha sottolineato, che sono sempre in agguato e possono riguardare ciascuno. Di qui l’invito a riscoprire i sentimenti più alti che ispira il Cenacolo, cioè la condivisione, la fraternità, l’armonia.
Sentimenti questi che poco prima si erano concretizzati in due momenti diversi. Il primo nella Viri Galilaei, una piccola chiesa greco-ortodossa sul monte degli Ulivi. Qui Papa Francesco è andato a salutare il patriarca Bartolomeo prima di ripartire. Si è trattato di un momento molto intenso, segnato proprio da quell’armonia e da quella fraternità che faranno poi confessare a Papa Francesco, ai giornalisti in aereo sulla via del ritorno a Roma, che «con Bartolomeo ci vogliamo bene».
Il secondo momento ha avuto luogo nella chiesa del Getsemani, proprio accanto all’Orto degli ulivi. È una piccola gemma, affidata alla Custodia della Terra santa. All’interno erano ad attendere il Pontefice circa quattrocento tra sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi. E quando è entrato Papa Francesco soprattutto le suore, come al solito, hanno fatto sentire, per la prima volta in questo viaggio, la forza “fragorosa” dell’entusiasmo con il quale lo seguono. Hanno fatto silenzio solo quando il Pontefice si è chinato dinnanzi all’altare per venerare la roccia dove, secondo la tradizione, Gesù pregò l’ultima volta prima di essere arrestato.
Concluso l’incontro, il Pontefice, accompagnato dal patriarca di Gerusalemme dei latini, Fouad Twal, ha raggiunto l’orto del Getsemani dove ha piantato un ulivo proprio accanto a quello che nel 1964 aveva piantato Paolo VI.
Il congedo dalla Terra santa è avvenuto all’aeroporto internazionale Ben Gourion di Tel Aviv. Non ci sono state cerimonie particolari, né è stato pronunciato alcun discorso così come era stato al momento di lasciare sia la Giordania, sia la Palestina. Dopo l’ultimo cordiale abbraccio con il presidente israeliano Shimon Peres, Papa Francesco è salito a bordo del 777/200 della El Al che lo ha riportato a Roma.

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Il saluto del custode di Terra santa al Cenacolo. Con la pazienza del chicco di grano   

«È per noi, e per tutta la Chiesa di Gerusalemme qui riunita e rappresentata dagli ordinari cattolici di Terra santa e dai patriarchi delle Chiese orientali, gioia grande essere stati con lei in questo luogo santo, testimone dell’ardente desiderio di Gesù di amare i suoi fino alla fine». Così si è rivolto a Papa Francesco padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra santa, al termine della messa nel Cenacolo di Gerusalemme.
«Questo luogo — ha detto — ha visto il compiersi di ogni promessa di Dio, e sa che nessuna infedeltà dell’uomo, nessun timore, e neppure il nostro tradimento, può impedire alla sua alleanza di compiersi fino alla fine, fino alle profondità dove il suo Spirito, il suo amore, dimora in noi, e noi in lui».
Il custode ha poi ricordato che, come raccontano le cronache, dal Cenacolo, «acquistato per essere donato ai francescani nel lontano 1333», i frati si muovevano per celebrare al Santo Sepolcro le messe cantate e i divini uffici. «L’apertura all’evangelizzazione missionaria di san Francesco — ha aggiunto — ha portato i frati qui, nella terra della nostra redenzione e la Chiesa ha confermato la nostra missione di custodi dei luoghi santi».
Padre Pizzaballa ha poi fatto notare che «non c’è una basilica a custodire il luogo dove Gesù ha celebrato la sua ultima Pasqua, dove ha pregato per i suoi, dove, risorto, è apparso a donare la pace, dove lo Spirito è sceso sugli apostoli riuniti in preghiera con la Vergine Maria». Nel Cenacolo non si celebra l’Eucaristia, fatta eccezione per la visita del Papa. «È questo — ha detto — uno dei luoghi più feriti di tutta la Terra santa, testimone delle tante ferite nei popoli che la abitano, ma noi vogliamo credere che queste ferite hanno un legame misterioso e reale con le stigmate della passione con cui il risorto, qui, apparve ai suoi». E questo legame è «altrettanto misterioso e reale con quella pace che Gesù ci ha dato e lasciato, la pace che è lui stesso, il Signore vittorioso del male e della morte».
Rivolgendosi al Papa, il francescano ha detto che con tutta la Chiesa c’è la disponibilità a «custodire queste ferite». Insieme, ha aggiunto, «vogliamo custodire con tenacia un’immensa fiducia, una fiducia gioiosamente pasquale: la fiducia nell’umiltà di Dio, nello stile povero e semplice del suo regno, nella pazienza del chicco di grano». Questo luogo, ha detto, «ci costringe, in qualche modo, ai piccoli passi», cioè «ci riporta all’essenziale, ci fa vivere in umiltà e fiduciosi della verità». Invita a credere che «questa è l’unica via capace di seminare e costruire comunione e amicizia, anche lì dove comunione e amicizia sono da secoli smentite. Qui, oggi, con lei, ancor più vogliamo credere che nulla è impossibile a Dio». E — è stata l’intenzione del custode — «vogliamo farlo per questa terra e per ogni terra; per questa Chiesa e per tutta la Chiesa, di cui il Cenacolo, così com’è, è simbolo eloquente».
Infine padre Pizzaballa ha assicurato che, a conclusione del pellegrinaggio del Papa in Terra santa, i cristiani «rendono grazie a Dio per questa Eucaristia, segno di fraternità e comunione, sacramento di unità. La Chiesa una e indivisa che qui è nata fa risuonare nei nostri cuori il comandamento nuovo, segno distintivo della sequela di Cristo Signore». Nella cerimonia svoltasi al Santo Sepolcro il giorno precedente — ha ricordato — «il sogno dell’unità di cui il Cenacolo è simbolo, ci è sembrato vicino e tangibile e ci ha fatto esultare». Per questo, ha detto al Pontefice, «in unione a tutti i popoli di questa terra, al termine di questo suo pellegrinaggio, le porgiamo il nostro sincero e affettuoso ringraziamento per l’alta testimonianza di pace e di unità che ci ha consegnato, e le assicuriamo la nostra preghiera costante e sincera, qui e in tutti i luoghi della redenzione».
L'Osservatore Romano