venerdì 30 maggio 2014

Un modo nuovo di vivere la collegialità




A colloquio con monsignor Fabio Fabene, sotto-segretario del Sinodo dei vescovi.

(Mario Ponzi) Una decisione che rispecchia «quella comunione affettiva ed effettiva che costituisce lo scopo precipuo del Sinodo dei vescovi». Così Papa Francesco nella lettera inviata il 1° aprile scorso al cardinale Lorenzo Baldisseri spiegava la sua scelta di elevare alla dignità episcopale il sotto-segretario del Sinodo. E questo pomeriggio, venerdì 30 maggio, è lui stesso a conferire l’ordinazione episcopale al designato per l’incarico, monsignor Fabio Fabene, il quale — in questa intervista al nostro giornale — racconta la sua esperienza di lavoro al servizio della Santa Sede e parla del suo nuovo incarico.
Ci riassume in poche parole la sua esperienza al servizio della Santa Sede in questi anni?
Il mio servizio alla Santa Sede è iniziato alla fine del 1997 nella Congregazione per i vescovi, dove sono rimasto fino all’8 febbraio di quest’anno, quando sono stato nominato sotto-segretario del Sinodo dei vescovi. Quelli trascorsi alla Congregazione sono stati anni belli e impegnativi, in un clima di collaborazione fraterna con i superiori e i colleghi. Il cardinale prefetto Bernardin Gantin aveva creato un ambiente sereno e cordiale fra tutti: voleva infatti che la Congregazione fosse come una famiglia. A questo riguardo ricordo il primo colloquio che ebbi con lui, prima di iniziare il mio servizio: mi ricevette nel suo studio e con la sua amabilità mi disse subito: «Questa è una famiglia!». Quelle parole mi colpirono e mi confortarono. Pensando alla Curia romana ero impressionato per il lavoro che mi attendeva e l’ambiente che credevo fosse austero e burocratico; scoprii invece un ambiente totalmente diverso da quello che avevo immaginato. In questo clima che favoriva l’intesa e la collaborazione responsabile sono nate belle amicizie tra i confratelli e anche con i laici, che ancora oggi continuano, anche se ormai siamo in diverse parti del mondo. Con il cardinale Gantin desidero ricordare gli altri prefetti che si sono susseguiti: i cardinali Lucas Moreira Neves, Giovanni Battista Re e Marc Ouellet, come anche i segretari che hanno alimentato, nonostante fossero cambiati i tempi, quello spirito voluto dal cardinale Gantin.
E il lavoro?
Quanto al lavoro penso al nuovo direttorio per i vescovi, Apostolorum successores, voluto dal cardinale Re per aggiornare l’Ecclesiae imago, e all’applicazione del motuproprio Apostolos suos. Questo documento fu la risposta alla seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, che chiedeva uno statuto delle conferenze episcopali. La Congregazione fu impegnata nel concedere la recognitio ai nuovi statuti che le conferenze dei vescovi dovevano aggiornare secondo le indicazioni di tale motuproprio. La Evangelii gaudium è ritornata sulle conferenze episcopali auspicando un’ulteriore concretizzazione delle loro funzioni in chiave collegiale. Nel 2001 si svolse l’assemblea del Sinodo sul ministero del vescovo e la Congregazione ne recepì e promosse subito le istanze, iniziando, tra l’altro, il corso per i nuovi vescovi, che ancora oggi continua. Nel corso degli anni si aggiunse anche l’impegno nella segreteria del Collegio cardinalizio. Come sostituto, con i segretari del Collegio e sotto la guida del cardinale decano Angelo Sodano, oltre all’impegno quotidiano, abbiamo lavorato per i vari concistori e soprattutto con il cardinale Baldisseri durante la sede vacante, seguita alla rinuncia di Benedetto XVI.
Lei assume il suo nuovo importante incarico in un momento di rinnovamento del Sinodo dei vescovi e sarà chiamato a portare il contributo dell’esperienza maturata nella Congregazione per i vescovi. Ce ne vuole parlare, soprattutto alla luce del ruolo che il Sinodo è chiamato da Papa Francesco a interpretare?
In diverse occasioni Papa Francesco ha parlato dell’importanza del Sinodo dei vescovi, come organismo che rappresenta l’insieme del collegio episcopale. A questo riguardo si deve sottolineare la lettera del Papa al cardinale Baldisseri per annunciare l’elevazione alla dignità episcopale del sotto-segretario. Essa, dopo il motuproprio Apostolica sollicitudo del 15 settembre 1965, con il quale Paolo VI ha fondato il Sinodo, rappresenta il documento più importante circa l’organismo in questione. In essa il Santo Padre ha affermato chiaramente la sua intenzione: «Si possono — egli scrive — e si devono cercare forme sempre più profonde e autentiche dell’esercizio della collegialità sinodale, per meglio realizzare la comunione ecclesiale e per promuovere la sua inesauribile missione». Nello stesso documento afferma quale sarà la missione episcopale del sotto-segretario. Oltre la collaborazione già in atto con il segretario generale per quanto concerne lo sviluppo dell’attività sinodale, egli «in virtù dell’ordine episcopale rispecchierà quella comunione affettiva ed effettiva che costituisce lo scopo precipuo del Sinodo dei vescovi. Anche nel coordinare il lavoro interno della segreteria generale, il sotto-segretario sarà chiamato a esprimere la feconda e fruttuosa realtà che sgorga dalla partecipazione al munus episcopale» Nello svolgimento di questo impegno, la precedente esperienza nella Congregazione per i vescovi mi sarà di grande aiuto, soprattutto per quanto ho appreso dall’esercizio quotidiano del ministero dei vescovi nelle varie parti del mondo.
In più il nuovo incarico coincide con un periodo in cui il Sinodo dei vescovi si prepara a celebrare due importanti assemblee sulla famiglia, tema centrale che suscita molte aspettative.
Vorrei rispondere con quanto ha detto il Papa ai giornalisti nella conferenza stampa sull’aereo di ritorno dalla Terra santa rispondendo a una domanda sul tema del prossimo sinodo: «Il Sinodo sarà sulla famiglia, sul problema della famiglia, sulle ricchezze della famiglia, sulla situazione attuale della famiglia», e non soltanto sulla questione della comunione ai divorziati risposati. I pastori avranno modo di riflettere profondamente sul tema proposto. Il confronto reciproco e l’ascolto delle famiglie stesse aiuteranno i vescovi nei lavori sinodali e nel consegnare al successore di Pietro i loro suggerimenti e le loro proposte, affinché egli possa indicare alla Chiesa vie e modi per annunciare il Vangelo della famiglia nel nostro tempo. Il lungo percorso sinodale già iniziato con il documento preparatorio e le numerose risposte pervenute dalle conferenze episcopali del mondo al questionario, mi sembra che rappresenti già un esercizio concreto della collegialità episcopale, che vede impegnati i vescovi e il Papa con le loro rispettive responsabilità verso la Chiesa.
Secondo l’esperienza maturata nella Congregazione dei vescovi e avendo presente il ruolo che Papa Francesco ha voluto per il Sinodo dei vescovi nel governo della Chiesa universale, lei ritiene che i pastori siano pronti a vivere questo nuovo equilibrio tra Chiesa universale e Chiesa particolare?
Ogni vescovo è consapevole che l’unione collegiale, fondata sull’ordinazione episcopale e sulla comunione gerarchica, tocca la profondità del suo essere vescovo e appartiene alla struttura stessa della Chiesa. Lo Spirito Santo che nella Pentecoste discese sugli apostoli ci deve far comprendere sempre più intensamente che la collegialità dell’ufficio pastorale nella Chiesa non è un fatto organizzativo, ma innanzitutto una solidarietà spirituale che si manifesta in modo organizzato nei legami che uniscono il capo del collegio e i singoli vescovi con lui e fra di loro. Ogni vescovo è chiamato a vivere e a esercitare il suo ministero nella comunione episcopale e in quella collegialità affettiva che vige sempre tra i vescovi. Questa verità rappresenta un reale progresso ecclesiologico dovuto al Vaticano II, che proprio nella collegialità ha dato un denominatore comune al Papa e ai vescovi, e segna anche la spiritualità del vescovo, che deve essere, in quanto pastore, uomo e ministro di comunione. Proprio la natura collegiale dell’episcopato esclude che vi sia contrapposizione tra la Chiesa particolare e quella universale. La Lumen gentium ha ricordato come ogni vescovo porta in sé la sollecitudine per tutte le Chiese, e reggendo bene la propria Chiesa particolare, contribuisce al bene di tutto il popolo di Dio, che è il corpo delle Chiese. Il Sinodo dei vescovi contribuisce efficacemente a rafforzare i vincoli di unione nel Collegio episcopale.
L'Osservatore Romano