giovedì 29 maggio 2014

Vangelo, i cristiani e la pace

POPE_AND_BARTHOLOMEW_AT_THE_STONE

Cari amici, sono tornato dal viaggio – a dir poco intenso – di Papa Francesco in Terra Santa. Ero tra i giornalisti che hanno viaggiato sull’aereo del Papa. .
Mi vorrei soffermare qui su due momenti del pellegrinaggio, che come sapete è stato originato da un invito del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’abbraccio tra Paolo VI e Atenagora, avvenuto nel gennaio 1964, dopo cinquecento anni di divisioni, incomprensioni e scomuniche.
Il cristianesimo più che una religione è un avvenimento storico – l’irruzione di Dio nella storia con l’incarnazione di suo Figlio – che di testimonianza in testimonianza, a partire da quel primo gruppetto di seguaci di Gesù sulle rive del Mar di Galilea è arrivato fino a noi. Il cristianesimo non è innanzitutto una dottrina, un pacchetto di dogmi, un insieme di riti, una raccolta di regole morali ma l’incontro con una persona viva (lo ha detto e scritto Ratzinger, da cardinale e poi da Papa, nel prologo della sua prima enciclica “Deus caritas est”).
Ciò significa che i passi in avanti, i cambiamenti positivi, gli sviluppi, i momenti di grazia, non accadono solitamente perché gruppi di teologi o intellettuali si mettono a tavolino alla ricerca del minimo comun denominatore o del compromesso più accettabile, ma avvengono grazie al coraggio, allo sguardo di fede di testimoni che si lasciano portare dallo Spirito Santo.
Tutto ciò è stato evidente nel “miracolo” accaduto al Santo Sepolcro all’imbrunire di domenica. Nella basilica dove si custodisce la tomba vuota di Gesù, quel buco nella roccia dove Giovanni e Pietro la mattina di Pasqua accorsero senza trovare il corpo del Maestro (e alla fede semplice e intuitiva di Giovanni bastò lo sguardo ai teli per capire che Gesù era risorto, “vide e credette”), si sono ritrovati a pregare per la prima volta tutte le confessioni cristiane di Terra Santa. Solo chi ha il cuore intasato di schemi ideologici e pregiudizi può non accorgersi di che grande segno si sia trattato.
Vedere Francesco e Bartolomeo, Pietro e Andrea, trattarsi da fratelli, aiutarsi l’un l’altro, sostenersi a vicenda, inginocchiarsi insieme alla pietra dell’unzione, pregare insieme dentro al Santo Sepolcro, fa comprendere quanta strada è stata percorsa rispetto a quel primo abbraccio di cinquant’anni fa. E quanto forte sia – nonostante le resistenze interne – l’anelito all’unità. Non c’erano due gerarchi gelosi delle loro primazie, né due uomini ingessati in millenari protocolli, e nemmeno due leader imbrigliati nei diktat dei rispettivi teologi (che Atenagora voleva spedire in un’isola a discutere, mentre lui e il Papa cominciavano a camminare insieme). C’erano due fratelli in Cristo, che anelano a poter condividere lo stesso caliceper testimoniare meglio davanti al mondo che Deus caritas est.
Un secondo commento riguarda l’annuncio dell’incontro di preghiera con Abu Mazen e Shimon Peres che Francesco ha convocato in Vaticano e che si terrà probabilmente il prossimo 8 giugno, festa di Pentecoste. Il Papa ha precisato che non si tratterà di un summit, di un vertice per una mediazione vaticana. Non sarà un incontro diplomatico. Ci si incontrerà e poi ciascuno pregherà per la pace. Francesco, con questa iniziativa, mostra ancora una volta che cosa significhi essere “credenti”. La preghiera non è un optional, una manciatina di prezzemolo “religioso” sui processi diplomatici. Chi crede sa che i miracoli accadono, che la storia, anche la grande storia, è spesso determinata più dal fiume carsico della fede e delle preghiere di milioni di semplici persone che dalla genialità dei leader e dei potenti.
Ecco perché all’udienza di ieri, Francesco ha chiesto ai fedeli in piazza San Pietro: “Non lasciateci soli!”. Cioè: pregate con noi e per noi, pregate per la pace, pregate perché questo incontro riapra spazi di trattativa e rimetta in moto un processo stagnante.
Avendo nelle mani e negli occhi soltanto il Vangelo, gli inermi successori di Pietro e di Andrea sono stati un segno di unità e di speranza per il futuro della Terra Santa.
A. Tornielli

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Terra Santa. Card. Tauran: la forza del Papa è il potere del cuore

Amare è molto più che tollerare ed è ciò che Papa Francesco ha fatto in Terra Santa incontrando i rappresentanti delle altre religioni, così come i presidenti palestinese e israeliano. Lo sostiene il cardinale Jean-Louis Tauran,presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che parla del “potere del cuore” esercitato dal Papa durante tutto il suo recente pellegrinaggio. L’intervista al porporato è di Antonino Galofaro:
R. – Ce qui résume le mieux ce voyage, ce sont la photo du Pape avec son ami…
Quello che riassume al meglio questo viaggio è la foto che ritrae il Papa davanti al Muro del Pianto, assieme al suo amico rabbino e al musulmano. Questa è l’immagine che meglio riassume il pellegrinaggio: l’importanza del dialogo interreligioso. Perché tutto può accadere dove le persone si conoscono, si parlano, si guardano in faccia, si ascoltano, accettano di riconoscere nell’altro aspetti positivi. Questi sono valori di santità e di verità che a modo proprio ciascuna religione ha, anche se noi sappiamo che Gesù è la Verità. Poi, sottolineerei la proposta fatta dal Papa ai due presidenti, israeliano e palestinese – “venite da me, a casa mia” – in maniera molto semplice, con parole che venivano dal cuore. Credo che questo sia un appello rivolto a tutti i cristiani, in particolare ai cattolici: se nella società di oggi e di domani esiste un potere che possiamo esercitare, quello è il “potere del cuore”. E io ho visto nel Papa che parlava con i suoi interlocutori questa forza del potere del cuore e cioè amare e vedere nell’altro veramente un fratello. Non semplicemente tollerare: in una famiglia non ci si tollera, ci si ama. Ha usato parole molto semplici, che non hanno nulla a che vedere con il diritto internazionale o la prassi diplomatica. Il Papa ha aperto un capitolo nuovo. Io credo che il Medio Oriente, il dialogo interreligioso e gli sforzi per la pace non possano rimanere nello stato nel quale sono oggi: inizierà qualcosa di nuovo, grazie a questo potere del cuore.
D. – Questo viaggio è stato presentato come un pellegrinaggio in Terra Santa, ma è andato molto al di là di questo, come lei ha indicato, in particolare sul fronte politico…
R. – Tout est politique, ma la politique n’est pas tout de l’homme, évidemment…
Tutto è politica, ma la politica non è tutto per l’uomo ovviamente. Credo che in una regione come quella del Medio Oriente religione e politica siano molto legate per la semplice ragione che, ad esempio, l’islam non fa distinzione tra religione e politica. Ma bisogna comunque sempre insistere, ne sono convinto, su questo fatto: che le guerre in corso non sono state provocate dalle religioni, mentre la religione fa parte della soluzione. Oggi non si può spiegare il mondo, volendo guardare all’avvenire, senza fare riferimento alla religione, al sacro, alla dimensione trascendente che ciascuno porta in sé.
D. – In che modo il Papa ha vissuto queste tre giornate così intense?
R. – Avec beaucoup de courage, de détermination et dans la prière…
Con molto coraggio, determinazione e nella preghiera. Io credo che la preghiera sia la chiave di tutto perché è la preghiera che gli da quella serenità. Ma ciò che è meraviglioso è vedere la semplicità con la quale egli accoglie le persone, anche quelle con le più alte responsabilità: per lui, veramente ogni uomo è un fratello…
D. – All’udienza generale di ieri, Francesco ha detto di avere ricevuto una parola di speranza…
R. – Vous savez, quand on voit à la foi personnes qui ont subi depuis des années…
Vede, quando si incontrano persone che hanno subito per anni e anni la guerra, le lotte intestine, ci si chiede come si sentano: sperano in un avvenire? Noi sappiamo che abbiamo un futuro… Io sono stato molto colpito, per esempio, dal re di Giordania che ha detto: “I cristiani, qui, sono a casa loro, c’erano prima di noi”: non è la prima volta che l’ho sentito dire e penso sia vero.
D. – Lei stesso ha ne ha ricavato un messaggio di speranza per i cristiani e per tutta la popolazione locale…
R. – Bien sur. Je pense que le Pape, enfin, a conquis le monde entier…
Sicuramente. Credo che il Papa abbia conquistato tutti. Il Papa non propone né soluzioni, né negoziati: semplicemente, apre la sua casa perché chiunque venga da lui si senta a casa propria, possa guardarsi in faccia e ascoltarsi. E’ formidabile, è magnifico!
Radio Vaticana