sabato 28 giugno 2014

Domenica 29 giugno 2014 - Festa dei Santi Pietro e Paolo

Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice a Pietro:
«Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del Regno dei Cieli».
Su questo brano evangelico una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma.
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, risponde con entusiasmo Pietro al Signore che chiede: “Voi, chi dite che io sia?”. E su questa fede, che il Padre ha donato all’apostolo, il Signore fonda la sua Chiesa. E gli dà un nome nuovo. “Il nome del primo dei discepoli è Šim´ôn, in ebraico ‘Docile (all’ascolto)’ della Parola. Ma il Signore gli muta il nome, come ‘presa di possesso’ definitivo, nell’aramaico Kêfâ’ [Pietro], la rupe salda nella fede, sopra la quale il Signore può costruire la ‘sua Chiesa’” (Federici). Alla professione di fede di Pietro, la Chiesa – per un disegno stesso di Dio – ha unito da sempre la confessione di Paolo, come canta il prefazio della Messa di oggi: “Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli: Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea, che costituì la prima comunità con i giusti di Israele, il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti”. Pieni di gratitudine a Dio per il dono di questi due apostoli, “dai quali abbiamo ricevuto il primo annunzio della fede” (Colletta), rinnoviamo oggi con tutta la Chiesa, con gli apostoli Pietro e Paolo, la nostra professione di fede e il nostro amore a Pietro, al Papa, e fatti nuovi nella Chiesa, per il perdono dei peccati, il Signore ci renda pietre vive per fondare in tutte le nazioni la sua Chiesa, perché tutti i popoli abbiano un “luogo” dove i loro peccati siano perdonati: “tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

*


MESSA DEL GIORNO

Antifona d'Ingresso  
Sono questi i santi apostoli che nella vita terrena
hanno fecondato con il loro sangue la Chiesa:
hanno bevuto il calice del Signore,
e sono diventati gli amici di Dio.
 
 
Colletta

O Dio, che allieti la tua Chiesa con la solennità dei santi Pietro e Paolo, fa' che la tua Chiesa segua sempre l'insegnamento degli Apostoli dai quali ha ricevuto il primo annunzio della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te...
 

LITURGIA DELLA PAROLA
  
Prima Lettura
   At 12, 1-11
Ora so veramente che il Signore mi ha strappato dalla mano di Erode.

Dagli Atti degli Apostoli
In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Àzzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.
Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere.
Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione.
Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui.
Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva».


Salmo Responsoriale
   Dal Salmo 33Il Signore mi ha liberato da ogni paura. 
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.


Seconda Lettura   2 Tm 4,6-8.17.18
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia. 

Dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Canto al Vangelo
   Mt 16,18  
Alleluia, alleluia.

Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa
e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.

Alleluia. 


Vangelo   Mt 16, 13-19
Tu sei Pietro: a te darò le chiavi del regno dei cieli.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
 

*

Nella loro storia possiamo leggere la nostra vita

Commento al Vangelo di domenica 29 giugno 2014 - Festa dei Santi Pietro e Paolo


«Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa; dove c'è la Chiesa, lì non c'è affatto morte ma vita eterna» (S. Ambrogio). Pietro e la Chiesa. E, in essa, la vita, e la fine della morte. E' questo il desiderio d'ogni uomo, il nostro desiderio d'oggi, il più profondo, il più intenso, l'anelito che freme insopprimibile in ogni parola, pensiero, azione. 
La vita e mai più nessuna morte. I peccati stessi gridano il nostro desiderio di felicità eterna, che si tramuta purtroppo in fuga da ogni sofferenza confondendo il piacere con l'eterno esistere a cui aspiriamo: “Io preferisco pensare che l’istinto sessuale sia un surrogato della religione e che il giovanotto che suona il campanello per cercare un postribolo, stia cercando Dio senza saperlo” (Bruce Marshall).
Anche le guerre, i divorzi, anche gli aborti, l’eutanasia e gli abomini genetici, la droga e il sesso sfrenato, e le nostre ore intrise di rabbia, malinconia, ribellioni e mormorazioni, le giornate rifugiate nel display di un tablet. 
Anche il gusto per il calcio e i mondiali, evaporato nel senso di frustrazione e vuoto percepito all’eliminazione dell’Italia, grida in noi il desiderio dell’eterno. Lo affermava il Card. Ratzinger quando spiegò il senso del gioco riferendosi alla Roma Antica: “la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata”.
Ed era “come se dicesse: guardate che, senza rendervene conto, perfino divertendovi a una partita della Nazionale in realtà con la bandiera della patria cercate la Patria perduta, cercate il Paradiso, cercate Dio” (Antonio Socci).
Non ci arrendiamo all'ineluttabile scorrere, v'è dentro un grido più forte di tutto, l'accorato appello lanciato ad una vita che sembra sorda ad ogni richiamo, che sfugge malvagia senza risposta. Tutti drogati di qualcosa o di qualcuno, sperando il cristallizzarsi, seppur effimero, d'un secondo almeno, un istante di tregua e di pace dove cullare le speranze deluse vissute solo in un sogno. 
Nella poesia “A Silvia”, Leopardi descriveva magistralmente i sentimenti che s’affastellano in noi:
"Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano”.
Il "vero" che ci travolge anche oggi, in famiglia, con quell’atteggiamento di tua moglie, con la porta che ti sbatte in faccia tuo figlio, spalancandoti così "ignude tombe", e dolori, e lacrime, e delusioni.
La vita, dunque, è come il cammino dei due discepoli di Emmaus, che avevano sperato in Gesù di Nazaret, profeta potente in parole ed opere; avevano riposto fiducia in Lui perché li liberasse dal giogo romano, immagine di ogni muro sul quale si infrangono le aspirazioni del cuore, e invece, anche Lui in una tomba da tre giorni. 
E le lacrime di Pietro, il tradimento e un amore strozzato nella paura di morire, nel terrore di fare la stessa fine atroce. Come noi, come ogni uomo, in Asia come in Europa, povero o ricco, uomo o donna, giovane o vecchio. Tutto infranto e i desideri ingoiati in una tomba, come quelle che si spalancano dietro ogni angolo delle nostre ore. 
Ma quella sera, all'imbrunire d'un giorno di paura, i chiavistelli della vita ben serrati, nella stanza d’una pasqua appena volata via, ecco d’improvviso apparire un volto incandescente di luce, una voce, un saluto di Pace che trapassa i muri e i cuori. La sua voce, il suo volto, le sue piaghe. E' proprio Lui, lo dicono i segni del suo amore inchiodato su un legno. E la gioia esplode, incontenibile: in quel cenacolo, in mezzo a quel manipolo terrorizzato, che è scappato, che ha tradito, l'amore era deflagrato come una bomba, l’amore sperato nascosto in una vita più forte del peccato.
E Pietro era lì; la roccia, primo tra gli apostoli, il primo ad essere perdonato, il primato del perdono. La beatitudine di Pietro è un perdono che né carne e né sangue possono rivelare, perché viene dal sepolcro, ha attraversato l'inferno, e si è fatto dono gratuito e immeritato. Pietro, perdonato e per questo roccia e fondamento della Chiesa, capace di “legare” a Cristo i peccatori e “scioglierli” dal peccato, eternamente.
Con Pietro nella Chiesa si apprende l'amore perché il Buon Pastore ne guida il cammino. E’ Cristo, il Pastore incarnato nel pastore terreno che ci è donato. Pietro, e ogni papa, schiude le porte del Cielo offrendo gratuitamente a ogni uomo l'amore di Dio. 
Sulla soglia del mondo Pietro è garante e custode della fede incarnata qui ed ora; apre le porte della sua casa, la Chiesa dov'è vivo Cristo, e accoglie ogni uomo nelle viscere di misericordia di Dio, perché sia curato e rigenerato, e divenga cittadino del Cielo. 
Per questo, Pietro presiede nella carità un pugno di poveri uomini strappati all’inganno, il segno dell'unica speranza che Dio offre all’umanità. Conferma ogni giorno la nostra fede, quando siamo chiamati a darne ragione tra i sofismi e le menzogne del pensiero mondano.
Pietro saio tu ed io per le persone che ci sono affidate. Hanno bisogno d’essere presieduti nell’amore che abbraccia anche il nemico; ci chiedono, forse male, d’essere confermati nei passi malfermi sul cammino della conversione.
I tuoi cari, tuo marito, tuo figlio, tua suocera, i parrocchiani, gli amici, gli indifferenti, tutti sono in attesa della Chiesa che gli annunci e gli testimoni che il grido con cui reclamano una vita senza più la morte ha trovato risposta in Cristo crocifisso e risorto. E non hanno che te e me, in quell’istante, in quel luogo.
Dialogo, tolleranza, rispetto, tutto va bene per le umane, povere forze spese ad arginare il male. La casa di Pietro, però, - la nostra casa progettata e costruita a forma di croce - annuncia l'amore eterno, l’unica Pietra sul quale si infrange la potenza di ogni male. La Chiesa, infatti, è il luogo dell’impossibile che si fa possibile, come accadde a Nazaret nel seno della Vergine Maria.
Come accadde a San Paolo. Nella sua storia possiamo leggere la nostra vita. Era deciso, sicuro, religioso, zelante. Era tutto per Dio; per Lui era disposto ad incarcerare, e a uccidere. Come noi, al lavoro, in famiglia, con amici e vicini. 
Abbiamo la Parola di Dio dalla nostra, ne siamo certi, dobbiamo estirpare l'errore. Discussioni senza fine, polemiche, al bar, nella pausa pranzo, tra una lezione e l'altra, a cena la sera con consorte e figli. 
Indossata la corazza della nostra giustizia corriamo anche noi ogni giorno verso Damasco, recando lettere che ci autorizzano a gettare in prigione chi pretende di uscire dai nostri schemi. Anche in Chiesa, nelle comunità dove camminiamo per convertirci, nelle riunioni, nelle assemblee. Preti, laici, non v'è differenza, portiamo tutti la stessa armatura di certezze che abbigliava San Paolo.
Ma è accaduto l’imprevisto, e riaccade oggi. Qualcosa a cui Saulo non era preparato, come nessuno di noi. Qualcuno è apparso sul suo cammino e ha smontato le sue certezze. Un fatto, un avvenimento, un incontro. E inizia la conversione, la Teshuvà, il ritorno al vero, al bello, al buono, al santo. 
San Paolo ha incontra Cristo, più forte d'ogni sua ignoranza, d'ogni suo passato. Una scintilla d'amore ed è nata una creatura nuova; accompagnato dalla Chiesa piena di misericordia, quella che aveva sin lì perseguitato, comprende che tutto nella sua vita era orientato a quell'istante. 
Dio lo aveva preparato, misteriosamente, senza moralismi, salvaguardando ogni millimetro della sua libertà, accompagnando i suoi passi, permettendo che si impantanassero nell'ingiustizia, che combinassero guai e si lasciassero dietro una linea di sangue e di dolore. 
Dio ha avuto pazienza, e lo ha atteso nel momento più virile della sua esistenza, laddove era lanciato verso il compimento d'una menzogna. E lì, sul selciato del suo cammino, lo ha amato e ricreato con un’elezione che lo generava in una missione che era l’opposto di quella a cui si era votato.
Nessun rimprovero, solo una luce ad illuminare il proprio nulla e subito un invio, una missione. La vita fantastica dell'apostolo delle genti sorgeva da lì, dal suo nulla. Sulla via di Damasco Paolo ha conosciuto la risurrezione di Cristo, capace di risuscitare anche la sua vita, di fare di un persecutore un perseguitato, di un determinato accusatore uno zelante annunciatore. 
I segni che accompagnano gli apostoli nella missione universale, per San Paolo hanno cominciato a compiersi in quel mezzogiorno che lo ha lanciato, con lo stesso ardore, con più zelo, sulle strade che aveva detestato, quelle dell'annuncio infaticabile del Vangelo.
Oggi appare anche a noi Cristo. Attraverso la predicazione della Chiesa, la liturgia di questa solennità, gli ammonimenti dei fratelli, il “perché” che ha fermato Saulo ci viene incontro nella situazione concreta che stiamo vivendo. Perché perseguitiamo il Signore, incarnato in nostra moglie, nei nostri figli, nei colleghi, nella suocera?
Perché abbiamo dimenticato Lui e il suo amore, seppellendo nella tomba degli inganni mondani la sua chiamata. Ma Lui ci viene incontro, ha avuto pazienza, la tenerezza che abbiamo sperimentato nella Chiesa, che non ci ha mai respinto, ma sempre risollevato, senza moralismi, senza esigenza. 
E fa di noi i suoi apostoli, lanciandoci in tutto il mondo, lavoro, scuola, casa, supermercato, parrocchia; e forse sino agli estremi confini della terra, come presbitero chissà, o tra le mura di un convento a pregare per ogni uomo, o formando famiglie sante che siano luce per i pagani, come San Paolo. 
Ci manda oggi laddove abbiamo combinato macelli con i nostri peccati, sui sentieri che abbiamo sporcato con le maldicenze, con i giudizi, con i compromessi, con le bugie, con le concupiscenze, con l'arroganza e la superbia. 
Ci invia come Pietro e Paolo, la nostra vita come un segno della sua misericordia, del Cielo che attende ogni uomo, perché tutti possano vedere, credere, e conoscere il Signore.

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Due fratelli per un'unica Chiesa

Lectio Divina per la Festa dei Santi Pietro e Paolo - Anno A - 29 giugno 2014


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la sua riflessione sulle letture liturgiche per la Festa dei Santi Pietro e Paolo – Anno A – 29 giugno 2014.
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
Due fratelli per un’unica Chiesa: San Pietro è il fondamento della Chiesa, e Paolo l’architetto, il costruttore (Sant’Ambrogio di Milano, De Sp. S. II, 13, 158; P.L. 16, 808);
Festa dei Santi Pietro e Paolo – Anno A – 29 giugno 2014

            1) Unità nella molteplicità.
            Per celebrare la festa dei Santi Pietro e Paolo, la Liturgia della Messa di oggi propone due testi che si riferiscono a San Pietro e uno che parla di San Paolo.
            Nella 1ª lettura presa dagli Atti degli Apostoli e nel Vangelo, che presenta un brano preso da San Matteo, si racconta l’assistenza premurosa che il Signore non fa mancare a Pietro nella sofferenza e nella prova, la professione di fede di Pietro (“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”), la sua gioia di credente, la missione che gli viene affidata di essere roccia.
            Nella 2ª lettera a Timoteo, proposta come 2ª lettura, è delineata molto bene la fisionomia e la statura spirituale e morale di San Paolo.
            Queste letture ci presentano due colonne della Chiesa nascente in generale, e della Chiesa di Roma, in particolare. La prima colonna è Pietro, che è la roccia posta da Cristo a fondamento della sua Chiesa, la seconda è Paolo, che è l’apostolo scelto per portare il messaggio evangelico ai pagani. Due persone profondamente diverse per temperamento e per cultura, ma accomunate da una straordinaria passione per Cristo. Un’unica missione è realizzata da loro percorrendo strade differenti, ma è convalidata dallo stesso sigillo della testimonianza spinta fino al versamento del sangue.
            In questi due Apostoli ci è proposta l’immagine di ciò che ogni cristiano è chiamato ad essere: una persona afferrata da Cristo, con la missione di farLo conoscere attraverso la testimonianza della propria vita, donata a Dio con gioia e semplicità in ogni istante.
            2) Le caratteristiche di San Pietro.
            Il modo di essere Apostolo di Pietro può essere capito e imitato, se ne comprendiamo il carisma suo specifico che era fatto di fermezza, solidità, perseveranza, forza di essere nella diversità delle situazioni sempre sostanzialmente eguali a se stesso, di vivere e di sopravvivere, sicuri di un Vangelo iniziale, d’una coerenza attuale, di una meta finale. Sinteticamente detto: la fede.
            Per avere la fede e vivere di fede non occorre avere doti speciali. Guardiamo la figura di Pietro: la sua grande fede si innestò su una umanità forte, ma semplice. Egli fu un pescatore di Galilea, un discepolo di Giovanni il Precursore. Poi fu chiamato da Gesù con un nuovo nome, Cefa, che significa Pietro[1]. Cristo lo chiamò ad essere pescatore di anime[2]  e pastore[3]. Gli affidò la Chiesa, insieme con gli altri undici e primo di essi. Il Redentore fece Apostolo[4] questo discepolo, che era un uomo umile[5], docile e modesto[6], debole anche[7], ed incostante e pauroso perfino[8], ma pieno d’entusiasmo e di fervore[9], di fede[10], e di amore[11]. Pietro da subito esercitò nella nascente comunità cristiana[12], di centro, di maestro, di capo. Un primato di amore e di verità, di fede, di fedeltà,
            E’ la fede che dobbiamo domandare a Pietro, quella che da lui e dagli Apostoli ci deriva.
            Che cosa saremmo senza la fede, la vera fede? Polvere di storia, granelli di sabbia sbattuta dal vento. Ma ci è richiesto qualche cosa di più, se vogliamo essere devoti di San Pietro. Ci è richiesta la fedeltà. La fede è di tutto il Popolo di Dio; ed anche la fedeltà; ma tocca principalmente a noi dare prova di fedeltà. «Siate forti nella fede» (1 Pt 5,9). Cioè non possiamo dirci discepoli e seguaci di San Pietro, se la nostra adesione al messaggio redentivo di Gesù Cristo non avesse quella fermezza interiore, quella coerenza esteriore, che ne fa un vero e pratico principio di vita.
            3) Le caratteristiche di San Paolo.
            Per descrivere il carisma, il dono spirituale specifico che ha ricevuto San Paolo, mi servirò di quanto scrive San Tommaso d’Aquino nel suo commento alle lettere di questo Apostolo delle Genti e di un paragone fatto da San Giovanni Crisostomo.
            Il grande teologo domenicano inquadra la figura di san Paolo e la sua opera con il richiamo alla espressione degli Atti degli Apostoli (9,15) con la quale il Signore parla di Paolo ad Anania in una visione: “Egli è per me vaso di elezione per portare ai popoli il mio nome”. L’immagine del vaso è sovente usata nella Scrittura per indicare gli uomini e San Tommaso si serve di questa immagine per descrivere le caratteristiche della figura di san Paolo.
            Quattro sono le caratteristiche di un vaso:
            1) è un prodotto della libera volontà di un artigiano,
            2) è un contenitore capiente,
            3) è fatto per essere usato, quindi
            4) è utile.
In effetti,
            1) come un vaso è plasmato dall’artigiano, così Paolo è un uomo plasmato da Dio. E’ creta docile nelle “mani” creative di Dio, che fatto con materiale prezioso come l’oro, il quale indica la ricchezza della sapienza, della carità e di tutte le virtù ricevute da questo Apostolo. Infatti San Paolo insegnò i misteri della Sapienza divina, elogiò la carità e raccomandò agli uomini le virtù da coltivare.
            2) Come contenitore, Paolo fu pieno del nome di Gesù, da predicare e da amare.
            3) Egli fu usato secondo la nobiltà più grande: per portare il nome di Gesù nel corpo, ricevendo le stimmate di Cristo, e nella bocca, come la colomba del diluvio portò nel becco il ramoscello d’ulivo che è simbolo della misericordia di Dio. Infatti, Gesù è questa misericordia: il suo nome significa Salvatore. Paolo stesso fu destinatario di questa misericordia, un convertito, ma la portò con la predicazione anche ai pagani eletti.
            4) Quanto all’utilità, Paolo divenne infatti maestro delle genti. E il frutto del suo insegnamento sono le sue lettere, nelle quali è esposta la dottrina della grazia di Cristo.
            Per capire questo 4 punto è utile il paragone che San Giovanni Crisostomo fa tra Paolo e Noè: “Paolo non mise insieme delle assi per fabbricare un'arca; piuttosto, invece di unire delle tavole di legno, compose delle lettere e così strappò di mezzo ai flutti, non due, tre o cinque membri della propria famiglia, ma l'intera ecumene che era sul punto di perire” (Paneg. 1,5). Proprio questo può -ancora e sempre- fare l’apostolo Paolo. Prendere da lui, tanto dal suo esempio apostolico quanto dalla sua dottrina, sarà quindi uno stimolo per il consolidamento dell’identità cristiana di ciascuno di noi e per il rinnovarsi costante della Chiesa.
            Infine, vorrei mettere in evidenza la frase di San Paolo che –secondo me- meglio esprime quello che questo Apostolo è: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). E’ un nuovo senso della vita, dell’esistenza umana, che consiste nella comunione con Gesù Cristo vivente; non solo con un personaggio storico, un maestro di saggezza, un leader religioso, ma con un uomo in cui Dio abita personalmente.
            Secondo il linguaggio contemporaneo, potremmo dire che San Paolo era un uomo interculturale. In effetti riassumeva in sé tre mondi: quello ebraico, quello greco e quello romano. Non a caso Dio affidò a lui la missione di portare il Vangelo dall’Asia Minore alla Grecia e poi a Roma, gettando un ponte che avrebbe proiettato il Cristianesimo fino agli estremi confini della terra.
            Protagonisti di questa missione siamo tutti noi cristiani, uomini e donne che, come san Paolo, possono dire: “Per me il vivere è Cristo”. Persone, famiglie, comunità che accettano di lavorare nella vigna del Signore (cfr Mt 20,1-16). Operai umili e generosi, che non chiedono altra ricompensa se non quella di partecipare alla missione di Gesù e della sua Chiesa.
            In questa missione le Vergini consacrate nel mondo hanno un compito particolare, quello di testimoniare nel loro lavoro quotidiano che si può vivere in Cristo, con Cristo e per Cristo, cioè “della Sua parola, del Suo Corpo, del Suo Spirito”, come scrive Sant’Agostino che aggiungeva che “la gioia delle vergini consacrate viene da Cristo, è in Cristo, con Cristo, alla sequela di Cristo, per mezzo di Cristo e in vista di Cristo”:
            Tutti siamo chiamati a seguire Cristo riponendo in Lui il senso ultimo della propria vita, fino a poter dire con l'Apostolo: “Per me il vivere è Cristo”. “Ma un’esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato fanno certamente i chiamati alla vita consacrata, cheli pone quale segno e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo. Non possono perciò non trovare in essi particolare risonanza le parole estatiche di Pietro: “Signore, è bello per noi stare qui” (Mt 17, 4).Queste parole dicono la tensione cristocentrica di tutta la vita cristiana. Esse, tuttavia, esprimono con particolare eloquenza il carattere totalizzante che costituisce il dinamismo profondo della vocazione alla vita consacrata “( Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Post-sinodale Vita Consecrata, n. 15).
LETTURA PATRISTICA
Sant'Agostino, vescovo
Dal Discorso 295, 1-2. 4. 7-8 (PL 38, 1348-1352)
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato.

Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
    Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
   
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l'incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l'intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l'intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell'universalità e dell'unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. È ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un'altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
   
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l'incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l'unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
   
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell'amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell'amore ciò che avevi legato per timore.
   
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
   
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch'essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
   
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

*
NOTE
[1] Gv 1, 42; Mt 16, 18.
[2] Lc 5, 10.
[3] Gv 21, 15, ss.
[4] Lc 6, 13.
[5] Lc 5, 8.
[6] Cf. Gv 13, 9; 1 Pt. 5, 1.
[7] Mt 14, 30.
[8] Mt 26, 40-45, 69 ss.; Gal. 2, 11.
[9] Mt. 26, 33; Mc. 14, 47.
[10] Gv 6, 68; Mt 16, 17.
[11] Lc. 22, 62; Gv 21, 15 ss.
[12] Cf At. 1 - 12, 17.