domenica 29 giugno 2014

Il volto del pescatore



Nasce molto presto l’iconografia del primo vescovo di Roma. 

(Fabrizio Bisconti) Nasce molto presto l’iconografia petrina, se già in età tetrarchica, nel culmine della persecuzione dioclezianea, le storie del principe degli apostoli spuntano nel sarcofago di Giona, recuperato nella necropoli vaticana e ora conservato nel Museo Pio Cristiano. Ebbene, nel registro superiore della fronte del sarcofago marmoreo — per il resto decorato dall’epopea del profeta in viaggio verso Ninive — si riconoscono gli episodi della resurrezione di Lazzaro e della cattività dell’apostolo della circoncisione. 
A questo riguardo, dobbiamo rilevare la presenza di due scene anomale, una riferita al miracolo della fonte, ispirata agli scritti apocrifi, e l’altra a una presunta fuga dell’apostolo dal carcere, il cosiddetto Tullianum. Queste due rappresentazioni, a lungo studiate dagli iconografi, hanno dato luogo a diverse ipotesi di lettura dovute alla giustapposizione tipologica di Pietro e Mosè. 
Dopo questa precoce e incerta apparizione, l’immagine di Pietro entra con più sicurezza nella plastica funeraria romana e, in particolare, nelle fronti dei cosiddetti sarcofagi a fregio continuo, che furono concepiti da un atelier urbano attivo in età costantiniana. 
In questi sarcofagi appaiono, in sequenze o in maniera intermittente, le scene della negazione, dell’arresto e del miracolo della fonte. A questa trilogia negli esemplari più maturi si affianca una quarta scena relativa alla cosiddetta catechesi di Pietro, che lo coglie nel momento in cui converte i suoi carcerieri nelle vesti di un pensoso filosofo. 
Ma la figura di Pietro entra nell’immaginario cristiano già nella prima metà del III secolo, se consideriamo la decorazione pittorica della domus ecclesiae di Dura Europos, nell’attuale Siria, sul fiume Eufrate. Una delle scene che appare negli affreschi del cosiddetto battistero rappresenta Pietro salvato dai flutti secondo uno schema iconograficoche vede il Cristo mentre porge le mani all’apostolo avvolto dalle onde minacciose del lago di Tiberiade. La scena è rarissima e torna soltanto in un rilievo rinvenuto nelle catacombe di San Callisto, già del IV secolo, ma avrà larga fortuna nell’arte medievale. 
In tutte queste raffigurazioni, risulta importante la dinamica narrativa per decodificare i singoli episodi riconducibili alla storia di Pietro, senza che sia ancora definita la fisionomia del suo volto. In queste prime manifestazioni non è stato ancora concepito un vero e proprio ritratto del principe degli apostoli. Questo fenomeno interessa anche il volto di Paolo e quello del Cristo che, durante tutto il III secolo e i primi decenni del IV, non mostrano le caratteristiche del ritratto e, sin dall’età costantiniana, presentano tutti i caratteri dell’effige tipologica e stereotipata. Nell’ambito della creazione di questi ritratti “inventati” o, meglio, costruiti tenendo conto non delle particolarità fisiche ma delle caratteristiche psicologiche, Pietro assume l’aspetto rude dell’anziano pescatore come contrappunto rispetto a Paolo che si avvicina alla tipologia filosofica. 
Questa dicotomia si evidenzia nelle prime manifestazioni artistiche nelle rappresentazioni del collegio apostolico, così come viene concepito nella pittura catacombale e nei sarcofagi di manifattura romana e arelatense. I ritratti dei principi degli apostoli acquisiscono definizione e carattere quando i rappresentanti delle chiese dei gentili e della circoncisione appaiono ai lati del Cristo nelle scene teofaniche della maiestas e della traditio legis, ma anche nei clipei, da poco recuperati, del soffitto dipinto delle catacombe di Santa Tecla, dove si accompagnano ai busti di Andrea e Giovanni. 
Da quel momento — ossia tra la fine del IV e l’esordio del V secolo — le figure di Pietro e Paolo percorrono una strada comune, tanto che viene ideato anche il suggestivo schema iconografico dell’abbraccio tra i principi degli apostoli ispirato agli scritti apocrifi ma anche influenzato dal concetto damasiano della concordia apostolorum. 
In questo contesto i volti dei due apostoli cominciano a mostrare, con forza, la loro fisionomia e la loro dicotomia, oramai, ben giudicabile. Nel V secolo e, segnatamente, al tempo di Papa Leone Magno (440-461), il ritratto di Pietro appare in due postazioni strategiche del progetto decorativo della basilica di San Paolo fuori le Mura. Mi riferisco al clipeoche accoglie l’effige petrina in quanto avvio della teoria dei tondi pontifici che si distende, al di sopra del colonnato, nella navata centrale, e al mosaico, ridotto a frammento, proveniente dall’arco trionfale. 
Attorno a questo ultimo documento iconografico si era formato un alone di mistero, in quanto per molto tempo il frammento di mosaico con il volto monumentale di Pietro fu riferito a un cantiere rinascimentale della nuova basilica vaticana, proveniente dal ciborio di Sisto IV (1471-1484) e realizzato da Melozzo da Forlì. 
Dopo essere stato collegato con l’oratorio di Giovanni VII (705-707) il mosaico è stato finalmente riferito ai lavori leoniani del santuario di San Paolo fuori le Mura. L’equivoco si era protratto per tanto tempo in quanto il pezzo si conservava presso la Fabbrica di San Pietro e, ancora oggi, è collocato nelle Grotte Vaticane, all’ingresso della galleria di Clemente VII, sulla sinistra dell’arco più interno. 
Il brano musivo, che misura in altezza circa sessanta centimetri, riproduce — come si diceva — il volto di una figura di Pietro che si doveva sviluppare per circa tre metri e che doveva appostarsi su una grande superficie, come quella, appunto, di un arco trionfale. La definitiva attribuzione al monumento paolino è stata assicurata alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso da Maria Andaloro che riuscì a ricostruire il percorso del frammento dalla basilica di San Paolo allo Studio del mosaico della Fabbrica di San Pietro. Tale spostamento avvenne tra il 1826 e il 1827, quando, in seguito al rovinoso incendio della basilica ostiense del 1823, il mosaicista Giacomo Raffaelli staccò il volto di Pietro dall’arco trionfale. 
Oggi questo mosaico, dopo vari interventi di restauro più o meno invasivi, ha fatto il giro del mondo, diventando un monumento-documento saliente dell’iconografia petrina nella stagione paleocristiana. Il volto di Pietro appare in tutta la sua potenza espressiva, che lo avvicina più ai ritratti colossali degli imperatori tardoantichi che ai santi della produzione musiva ravennate coeva o più tarda. La testa dell’apostolo, quasi frontale, propone uno sguardo diagonale, che attutisce i segni decisi dell’arte monumentale. Di lì a qualche decennio il ritratto di Pietro assumerà le caratteristiche di un volto disegnativo, sicuro, quasi metallico, nell’abside feliciana dei santi Cosma e Damiano che, nella prima metà del VI secolo, aprirà il capitolo bizantino della storia dell’arte romana.
L'Osservatore Romano